pregiudizi
Alle radici del razzismo
intervista a Marco Aime di Andrea Staid
La casa editrice Elèuthera ha appena pubblicato La macchia della razza dell'antropologo Marco Aime.
Sottotitolo: “storie di ordinaria discriminazione”.
Abbiamo rivolto alcune domande all'autore.
Cos'è la razza?
Cos'è l'identità? In questo breve saggio Marco
Aime, con una scrittura semplice e pungente, decostruisce la
società del dominio che innalza muri fra le diverse culture
ormai largamente presenti nelle nostre metropoli. E mette a
nudo le identità culturali che separano, che non vogliono
l'incontro con il diverso, spingendoci ad accettare la sfida,
a non avere paura, ad ascoltare quanto hanno da dirci gli altri.
Affetti da una sconfortante smemoratezza rispetto al loro passato
migratorio, gli italiani stanno diventando sempre più
«animali stanziali del pensiero», fortemente legati
«alla terra e al sangue». Stiamo tornando a un linguaggio
arcaico perché ci mancano le parole capaci di descrivere
il presente e costruire il futuro, e allora ci rivolgiamo al
passato e alle parole di una cultura che non è più
la nostra. Aprirsi all'altro è invece il motore che rende
vitale una cultura. La diversità offre nuove scelte,
arricchisce il mondo e se stessi, fa entrare aria fresca. Eppure
alcuni di noi hanno preferito sbarrare le finestre e respirare
l'aria stagnante di una purezza peraltro mitica. Siamo ridiventati
«tribali», ci siamo stretti attorno al totem della
nostra cultura e siamo pronti a difenderlo dagli stranieri che
ne minacciano l'integrità. E se non fosse la nostra cultura,
ciò che stiamo difendendo, ma solo i nostri soldi e i
nostri privilegi? Ecco una piccola intervista a Marco Aime sulle
tematiche che affronta nel suo La Macchia della razza
appena pubblicato da Elèuthera con una premessa di Marc
Augè e una importante appendice scientifica contro il
concetto di razza di Guido Barbujani.
A.S.
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Marco Aime (Torino, 1956) |
Perché un libro sulla razza nel 2013? E perché
una lettera proprio a un bambino rom?
Purtroppo credevamo, un po' ottimisticamente, che dopo la tragedia
della Shoah la questione razziale fosse un residuo del passato,
destinato a rimanere confinato negli archivi polverosi della
storia. Invece no, non è così e lo dimostrano
ancora episodi più recenti come i fischi a Boateng e
ad altri calciatori di colore. Purtroppo il razzismo è
rimasto a covare sotto le braci e al minimo alito di vento di
restaurazione, ecco che ce lo troviamo di nuovo davanti agli
occhi. Magari declinato in forme talvolta più subdole
e apparentemente non gravi, penso per esempio a quei bigliettai
o controllori che sul treno o alla stazione danno del lei a
tutti, ma del tu agli stranieri adulti, ma non per questo meno
pericolose, perché rivelano una mentalità discriminatoria.
Puoi dirci qualcosa su l'identità umana? Può
creare discriminazione?
L'identità è l'ossessione contemporanea. Finite
le grandi narrazioni “ideologiche” del Novecento,
si è diffusa l'opzione identitaria, che rimanda sempre
di più a una lettura etnica della società e a
conseguenti pratiche di esclusione. “Identità”
è un termine entrato a far parte del comune lessico politico
e mediatico a partire dagli ultimi venti-venticinque anni. Vi
è entrato in modo così pesante da finire per essere
usato non solo con ampia disinvoltura nelle retoriche comunicative,
ma di essere trasformato in oggetto, in sostanza per poi, magari,
essere usato come arma politica. Se usata politicamente l'idea
di identità può diventare pericolosissima, perché
conduce alla ricerca (inutile e vana) della purezza e alla conseguente
esclusione di chi viene ritenuto diverso. Esclusione e talvolta
eliminazione. Quando l'ossessione per l'identità si fa
troppo forte, può trasformarsi in razzismo. Basti ricordare
il delirio identitario della Germania nazista, ma anche le leggi
razziali del governo fascista italiano, la segregazione dei
neri negli Stati Uniti, l'apartheid sudafricano, le persecuzioni
dei rom e tanti altri casi di cui la storia è tragicamente
ricca.
Quale è il ruolo dei media e dei politici nella
creazione dello “straniero” come nemico?
Il ruolo dei media è fondamentale nella costruzione dell'altro
e del diverso. Per esempio, se è uno straniero commette
un reato, si indica già nel titolo dell'articolo o del
servizio la provenienza, cosa che non avviene se lo stesso reato
è un italiano a commetterlo.
Quale può essere il compito di un antropologo nel
difficile panorama intellettuale italiano?
Credo che un antropologo, come ogni altro addetto alla cultura
abbia il dovere civico di impegnarsi nel combattere queste tendenze
discriminatorie e razziste. Bisognerebbe ricordare la celebre
risposta di George Orwell a chi gli chiedeva perché andava
a combattere volontario nella guerra di Spagna contro le truppe
di Franco: “Per comune decenza”. Purtroppo non sempre
gli intellettuali in questo paese hanno preso posizioni decise
e chiare su questi temi.
Per quanto riguarda l'antropologia, poi, è necessario
prestare sempre maggiore attenzione ai fatti della contemporaneità,
dell'oggi e del qui. Gli studi fatti in molti angoli di mondo
possono tornare utili a creare nuove prospettive di indagine
e a proporre ipotesi originali. Bisogna utilizzare gli strumenti
teorici della disciplina per contribuire all'analisi della nostra
società e alla sua migliore comprensione. Credo si tratti
di un dovere.
Andrea Staid
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