Sarà una twitter-società
di Paolo Pasi
Il nostro mondo ha le parole
contate. Poche centinaia al giorno, e mai tutte in una volta.
Del resto ci siamo ispirati a un'antica regola di saggezza.
Il silenzio è d'oro, mentre noi ci eravamo ridotti a
uno stato di logorroico impoverimento. Così ci siamo
inventati lo strumento giusto per contenere le nostre dispersioni
verbali. La nostra bulimia dialettica. L'esondazione del chiacchiericcio
che ha annegato le possibilità espressive.
Ma mi sto dilungando. Vengo al dunque.
Abbiamo inventato il conta-parole. Ce lo leghiamo al polso,
accanto all'orologio. Così possiamo misurare la nostra
produttività comunicativa per unità di tempo.
Il conta-parole è sempre aggiornato su quanto ci resta
da dire nel corso della giornata. Procede alla rovescia. Quando
arriva allo zero ci obbliga al mutismo fino al giorno successivo,
per poi ricaricarsi in automatico. Grazie alla tecnologia abbiamo
imparato ad attenerci all'essenziale, e i trasgressori incorrono
nella riprovazione sociale, che è poi la sanzione più
efficace.
Faccio un esempio. L'uso di due relative nella stessa frase
è indice di mentalità contorta e involuta, e definisce
il superamento della prima soglia di attenzione. Andare oltre,
magari con una terza relativa, fa del soggetto un potenziale
fuorilegge. Dunque non imbastite mai discorsi articolati in
pubblico. L'ostentazione verbale non è più possibile.
L'epoca degli sprechi è finita. Sobrietà. Risparmio.
Lotta al superfluo e allo stile colloquiale dissoluto.
Per i renitenti ci sono corsi di rieducazione e sostegno, a
pagamento s'intende: Teoria e tecnica dell'ottimizzazione
verbale oppure Economia vocale per la gestione efficiente
delle relazioni sociali.
I risultati si vedono, e soprattutto si sentono. Abbiamo eliminato
le artificiose frasi di cortesia, le inutili ripetizioni, i
buongiorno e i buonasera buttati lì distrattamente. Adesso
la gente cammina per strada e si saluta con un gesto e un mezzo
grugnito che equivale a una sola parola. I più preferiscono
non salutarsi affatto e tenersi stretta quella parola risparmiata
che potrebbe rivelarsi provvidenziale nel corso della giornata.
Lo sa bene quel vecchio trombone, noto accademico e critico
letterario, che nel corso di un convegno esordì con la
peggiore premessa, «Sarò breve», ma poi rimase
ammutolito di fronte alla platea interdetta. Era rimasto a secco.
Il suo conta-parole segnava zero. Lo portarono via che si guardava
inebetito le mani, come se queste potessero rivelare il trucco
che lo stava disonorando. In realtà venne fuori che il
trombone aveva provato e riprovato il suo discorso davanti a
uno specchio. A voce alta. Ecco a quali errori miserabili può
portare l'insicurezza mascherata da perfezionismo.
Noi, che perfezionisti non siamo, ci esprimiamo ormai con frasi
tronche.
«Cosa capodanno?»
«Non deciso casa forse»
«Domani chiamo...»
L'ora convenuta, spesso, viene comunicata con le dita. Fanno
sempre tre parole in meno. Ma c'è di più. Ormai
governiamo le nostre esistenze all'insegna della parsimonia
onomatopeica. Nel corso di una lite reagiamo con versi e linguacce
invece di ricorrere ad articolate varianti del vaffanculo come
facevamo un tempo.
Abbiamo affinato le risorse espressive della mimica facciale
e gestuale. E laddove i gesti non arrivano, possiamo sempre
contare sulle nostre piccole lavagne luminose per provvedere
al necessario senza aprire bocca: consultare, comunicare, fare
la spesa, prendere posizione, sottoscrivere, dire la nostra
e abbandonarci al pettegolezzo. Perché fare quattro chiacchiere
con il nostro vicino quando possiamo raggiungerlo con un semplice
tasto di invio?
Tutto si collega e tutto si spiega, insomma. Alla sera, quando
il conta-parole è in riserva e gli argomenti di casa
agli sgoccioli, ci rituffiamo nel mare della navigazione virtuale
e diamo fondo agli arretrati del giorno. Lanciamo silenziosi
le nostre parole mancate e speriamo che restino impigliate nella
rete affinché qualcuno le raccolga come il messaggio
in bottiglia di un naufrago. Ciascun messaggio non può
superare i 150 caratteri. Un altro limite, direte voi. Ma le
bottiglie sono tante. E con i tempi che corrono, credetemi,
è tutto grasso che cola. Soprattutto per la pubblicità.
Paolo Pasi |