territorio
La febbre del cemento
di Antonio Senta
Speculazione edilizia e devastazione della terra.
Anche la sinistra ha le sue belle responsabilità. In Emilia-Romagna, tanto per fare un esempio...
Sono numeri impressionanti: secondo
l'Istituto superiore per la protezione e la ricerca ambientale,
in Italia viene cementificata una superficie di ottantasei ettari
al giorno, ovvero, ogni anno, un'area equivalente all'estensione
di Milano e Firenze, in una progressione che fa della penisola
la nazione meno verde d'Europa, dopo l'Olanda e il Belgio. Negli
ultimi quarant'anni è scomparso così un territorio
pari alla somma di Lombardia, Emilia Romagna e Liguria.
A essere invase da colate di cemento sono in particolare le
zone pianeggianti: la pianura padana, la costa adriatica, quella
ligure, laziale e campana sono ormai gigantesche conurbazioni
senza soluzione di continuità; il terreno non assorbe
più le piogge, gli alvei dei fiumi non riescono a far
defluire l'acqua, e quindi con assoluta regolarità intere
zone del paese sono alluvionate.
Solo in Emilia Romagna, secondo l'Osservatorio nazionale sui
consumi di suolo, il cemento e l'asfalto cancellano ogni giorno
più di 8 ettari di campagne. Il suolo viene consumato
in larga parte dalla disordinata espansione di quartieri a bassa
densità abitativa che mangia le campagne limitrofe. La
provincia di Bologna in particolare continua a pianificare volumi
su volumi, a cui come se non bastasse aggiunge ogni mese autorizzazioni
ad hoc per ulteriori decine di migliaia di metri quadri
di edificazione, anche commerciale, facendo sì che gli
appetiti e interessi privati diventino normativa urbanistica.
Ciò risponde a un'unica esigenza, quella della rendita
fondiaria speculativa. Costruttori e politici continuano a espandere
senza fine le città, mentre nei centri storici aumentano
le case vuote e le cosiddette grandi opere si affastellano una
sopra l'altra, tunnel, autostrade, aeroporti, ponti, porti turistici,
parcheggi. Tutte infrastrutture il più delle volte inutili,
a cui si devono aggiungere i luoghi materiali dove far crescere
l'economia del debito e quindi centri commerciali, ipermercati,
outlet, parchi divertimento, mega cinema ecc.
Il territorio è merce
Tante sono le maxi opere di speculazione e di devastazione dei territori. L'ultimo
progetto a salire agli onori della cronaca è quello del
nuovo centro sportivo del Bologna calcio su una zona di 220.000
mq di proprietà dei soci dello stesso Bologna calcio
nella campagna di Granarolo. Anche in questo caso l'edificabilità
è stata concessa grazie a un protocollo “speciale”
firmato dalla Provincia. A essere al centro del dibattito ormai
da dieci anni è invece il passante nord, una striscia
d'asfalto lunga 40 chilometri da Ponte Rizzoli per arrivare
a Lavino di Mezzo con quattro caselli autostradali e tre corsie
per senso di marcia che prevederebbe un consumo di suolo agricolo
di circa 750 ettari. Un caso tanto “vecchio” quanto
eclatante di cemento che si è mangiato la campagna, distruggendo
sorgenti idriche e parte del Parco delle acque minerali, è
quello dell'autodromo di Imola. Esso sorge a poche decine di
metri dal tessuto urbano e molesta di rumore e inquinamento
tutto il centro storico. La pista viene noleggiata per far cassa
e nel 2013 sono previste centocinquantacinque giornate di attività
di cui sessanta “in deroga“, ovvero più rumorose
del normale, con buona pace degli abitanti.
Questi sono solo tre esempi di una modalità d'intervento
costante e continuata in provincia di Bologna. Torniamo ad alcuni
dati, parziali ma esemplificativi: la città di Imola
in trenta anni è raddoppiata: rispetto agli anni 70 la
popolazione è cresciuta del 17 per cento, mentre il cemento
è aumentato del 167 per cento. Tra il 1980 e il 2000
Budrio ha avuto un aumento demografico dell'11,4 per cento,
ma la crescita di suolo urbanizzato è stata del 71 per
cento. Ancora, a Castel San Pietro nel periodo 1976-2003 c'è
stato un 156 per cento in più di cemento, e a Castel
Guelfo, sede di un grosso outlet, l'aumento è stato del
300 per cento pur mantenendo lo stesso indice demografico. Lo
stesso accade a Crespellano (+50 per cento), Medicina (+ 40
per cento), Granarolo (+34,5 per cento), ma cifre simili le
troviamo un po' ovunque.
L'Emilia-Romagna ha conquistato il quinto posto nella classifica
delle regioni più cementificate dopo Lombardia, Veneto,
Campania e Friuli-Venezia Giulia. E lo fa con la solita ipocrisia
“progressista” ex-Pci. Il governatore regionale
degli ultimi tredici anni, Vasco Errani, uno dei deus ex machina
del Partito democratico, in campagna elettorale affermava: “Dobbiamo
fare una scelta radicale. Basta consumare territorio, il territorio
è una risorsa finita”. Quel che succede invece
è sotto gli occhi di tutti: il territorio è usato
esclusivamente per costruire, è merce alla pari della
calce, del mattone e del calcestruzzo.
A peggiorare ulteriormente questo quadro ci ha pensato un decreto
governativo dello scorso gennaio, che stabilisce che i rifiuti
solidi urbani siano da considerarsi rifiuti speciali e possano
essere bruciati nei cementifici. Ecco qual è la
soluzione per far finta di risolvere la questione dei rifiuti
e per zittire ambientalisti e abitanti che contestano mega discariche
e inceneritori: “spalmarli” su tutto il territorio.
Se consideriamo infatti che i cementifici sono un po' ovunque
e che non c'è provincia che non ne abbia almeno uno,
risulta ovvio che in questi stabilimenti, spesso piccoli e sempre
privati e quindi sostanzialmente alieni da controlli, si brucerà
un po' di tutto, compresi i rifiuti tossici e radioattivi.
Antonio Senta
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