lavoro
Le mani, la fronte...
di Giorgio Sacchetti
Lavoro e quotidianità
nelle miniere di lignite del Valdarno in Toscana.
Pubblichiamo un saggio del nostro collaboratore Giorgio Sacchetti,
valdarnese lui stesso, storico del lavoro oltre che dell'anarchismo.
Con una pagina finale dedicata al complesso museale che a Cavriglia
(Arezzo) è dedicato proprio alle miniere.
L'impianto narrativo di questo
saggio intende mettere in connessione, con modalità empiriche,
due mondi – cui peraltro corrispondono altrettante esperienze
formative – separati ma assiduamente frequentati e vissuti
dall'autore con intensità di sentimento, sebbene in epoche
diverse. Da una parte gli ambienti operai e contadini del Valdarno
Superiore in Toscana come luogo dell'infanzia e dei ricordi
di famiglia, dall'altra l'attività scientifica condotta
in età adulta e concretizzatasi in una ponderosa ricerca
di dottorato dedicata alle miniere di lignite (Ediesse 2002,
cit. infra). La scelta, certo inconsueta in storiografia, di
un “noi” narrante si pone non solo come mero escamotage
per una lettura in soggettiva, ma anche quale indicazione di
un protagonista, “meta-personaggio” realistico e
collettivo. Nel nostro caso trattasi di giovani contadini-minatori
colti nella loro quotidianità lavorativa in un giorno
qualunque del secondo quarto di secolo del novecento. L'arco
temporale considerato, ricco di cesure proprie e forti, è
vasto ma per certi versi omogeneo e sostanzialmente immobile
sul piano del progresso tecnologico industriale nello specifico
settore lignitifero. Insomma il modo di stare nel buio delle
gallerie non cambia. Basti pensare che il casco da minatore,
tanto caro all'iconografia del lavoro, sarà per lungo
tempo un accessorio misconosciuto in Valdarno. Ciò che
qui si vuole raccontare è un pezzo di storia italiana,
piccolo ma significativo a nostro modo di vedere, per una visione
particolare della lunga fase di transizione del mondo contadino
verso le nuove attività d'industria. La ricostruzione
si basa su concrete e tradizionali fonti d'archivio cui si aggiungono,
a completamento o come supporto di ambientazione, fonti orali
e memorie familiari di primissima mano. Altra questione riguarda
le culture politiche dei minatori, oggetto di altre ricerche
pubblicate dall'autore, che qui lasciano il posto piuttosto
agli orizzonti mentali ed agli antagonismi sociali che si legano
in modo diretto alle modalità di lavoro.
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Discenderia delle Carpinete.
Immagine proveniente dall'album Le Carpinete. Luglio 1947.
Esposto presso Mine, Museo delle miniere e del territorio. Donazione
Marco e Claudia Salmini. |
Contadini - minatori
S'è fatto i contadini fino a dopo la guerra questa,
ma fin dall'epoca della guerra quell'altra diversi dei
nostri giovanotti, chi poco chi parecchio, hanno lavorato alle
miniere di lignite1. Le citte,
invece, andavano per lo più “ai tabacchi”
e qualcheduna poi avrebbe imparato a fare la magliettaia a casa.
Ultimi a entrare in fabbrica2,
primi a fare il minatore... part time, job on call
e perfino job sharing: dimissioni, assunzione, licenziamento
e si ricomincia da capo3.
È la campagna “serbatoio dell'industria”
(il reclutamento avviene con sistemi molto informali e, spesso,
senza garanzie né diritti).
Anche tra gli anni venti e cinquanta del novecento – con
modalità quasi immutate nei secoli – le novità
importanti ci arrivavano con il passaparola, dai sensali nei
mercati di San Giovanni e di Figline Valdarno, oppure ce le
portavano i barrocciai nelle campagne e nei borghi insieme alle
loro mercanzie. È da lì che la notizia dell'offerta
di un mestiere finalmente moderno e nuovo si diffonde con rapidità,
rimbalza nelle aie estive e al canto del fuoco nelle
veglie invernali, incontra miraggi e sogni giovanili. Certo
s'aveva voglia di scappare da una campagna sempre più
avara e da un lavoro che non ci garbava punto, ma – sotto
sotto – la gioventù si voleva anche divincolare
dal capoccia, dalla massaia e dal fattore. Insomma non s'accettava
un destino fra le zolle uguale a quello dei nostri nonni e dei
bisnonni, e il futuro non doveva essere come un quadro già
fatto. Fra il poggio e il piano s'era tutti contadini, mezzadri
su poderi piccini dove la rotazione dei prodotti agricoli scritta
nei libri e suggerita dagli agronomi era sempre difficile da
mettere in pratica. Solo se la buona sorte ci assisteva, preservandoci
da grandinate, gelate e alluvioni, c'era da mangiare per tutti
(E un s'era nemmen pohi!)4.
Il podere insomma era quello e le bocche aumentavano più
delle braccia.
Sulle basse pendici collinari di Pratomagno, a ridosso dei calanchi
di origine lacustre, dove abitano in quel periodo i Sacchetti,
si coltiva la terra e si cura il bestiame; ci “si ingegna”
anche con gli animali da cortile, con i piccoli lavori agricoli
i ragazzi e le donne con la tessitura. Nel giro di pochi chilometri
vivono altre famiglie con loro imparentate: Pieralli, Giuliani,
Bigi, Pasquini, Stonizzati, Margiacchi, Ungheria... Tra l'Acqua
Zolfina, la Treggiaia, Renacci e Grania ci sono molte case coloniche.
È una fitta rete di viottoli, campi coltivati delimitati
da filari, frutteti, boschi e borri, compresa nei territori
dei comuni di Castelfranco di Sopra e Terranuova Bracciolini.
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Tracciatura meccanica in opera all'ottavo livello della miniera.
Nelle gallerie operavano varie figure. I minatori erano divisi
in compagnie sotto la responsabilità di un caposervizio
e di un sorvegliante. In miniera c'erano due compagnie che lavorano:
quelle addette al tracciamento, composte da due minatori e quelle
addette all'abbattimento formate da tre persone – capo
minatore, minatore e caricatore – che procedevano nello
scavo della lignite.
La tracciatura meccanica delle gallerie fu introdotta attorno
agli anni '40 del novecento con l'uso di macchine elettriche
impiegate dove il banco era più compatto.
Immagine proveniente dall'album Le Carpinete. Luglio
1947.
Esposto presso Mine, Museo delle miniere e del territorio.
Donazione Marco e Claudia Salmini. |
Le miniere di Castelnuovo sono invece sull'altra riva dell'Arno5,
proprio di fronte dalla parte dove tramonta il sole, in direzione
delle colline del Chianti. Per arrivarci si deve attraversare
il ponte e ci saranno sì e no una decina di chilometri.
C'è chi li fa anche tutti a piedi, ma qualcuno a San
Giovanni monta sul trenino del Ponte alle Forche che fa una
gita per ogni sciolta (turno), apposta per portare gli
operai nel bacino lignitifero. Tre vagoni sempre zeppi. Noi
però s'ha la bicicletta come i bersaglieri (qualcuno
addirittura possiede, fortunosamente, una bella Bianchi modello
del 1911, che è un vero scialo) e ci si muove a gruppi.
La strada di Botriolo è il nostro punto di ritrovo. Si
va tutti insieme la mattina presto, con la borsa di stiancia
a tracolla preparata la sera avanti dalle nostre donne, a fendere
le nebbie con poderose pedalate ragionando e scherzando; e d'inverno,
con i manubri accessoriati con pelli di conigliolo, si
tengono le mani al riparo dai geloni. Meglio che badare i maiali
e fare il segato per le bestie (almeno noi si spera), dopo tanto
i lavori pesi stagionali: mietitura e battitura, vendemmia,
raccolta delle olive, coltratura, semina... ci toccheranno uguale6.
Passato l'Arno ci si riunisce con altri ciclisti, ora siamo
in tanti e, man mano, aumentano anche i gruppi di appiedati.
Si va tutti nel solito posto. La maggior parte s'ha l'acetilene
a carburo ciondoloni che s'adopra per far lume quando si scende
in galleria; quegl'altri vuol dire che sono operai dei piazzali.
Una volta attraversato il paese di San Giovanni costeggiando
la stazione e la Ferriera si notano i primi vagoni carichi di
minerale in sosta sui binari morti del deposito. L'impianto
di caricamento meccanico delle “pule” con tramoggia
ed elevatore a tazze azionato da un motore elettrico è
già in funzione. Ora manca proprio poco e siamo già
alla fabbrica e deposito delle bricchette (le mattonelle pressate
fatte con gli scarti e le minutaglie di lignite). Al ponte sul
borro di Vacchereccia sferraglia la locomotiva 113 della ditta
Orenstein e Koppel, n. 5403 di caldaia, costruita nel 1912,
scartamento 0,70 e pressione di lavoro 12 atmosfere. I vagoni
sono ricolmi e forse li portano alle Fornaci del Bagiardi, oppure
li scaricheranno per lo stabilimento ceramico e qualche vetreria
qui vicino. E viaggia già anche qualche camion Fiat BL.
Ci siamo ormai abituati, ma la veduta di qua d'Arno una volta
assomigliava di più a quella dei nostri posti. All'epoca
che incominciarono i lavori sotterro e prima che le cave a cielo
aperto dismesse diventassero pozze impaludate qui c'erano boschi
di leccio, querce e castagni. I nostri vecchi ci hanno raccontato
di uliveti che ora non ci sono quasi più, di campi al
piano coltivati a cereali e interi filari di vite sbancati,
di borghi e case crollate.
La lignite ci riempie già i buchi del naso. I rumori
dei cantieri si avvicinano, pedalata dopo pedalata.
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L'immagine mostra un minatore impegnato nel mettere in sicurezza
una galleria. Le gallerie delle miniere del Valdarno erano sostenute
da armature in legno di pino o acacia e composte da 3 pezzi,
due gambe ed un cappello, detto cappuccia. Quando la galleria
da armare presentava una delle due parti tanto resistente da
non richiedere di essere sostenuta con legname si usava ricorrere
all'armatura zoppa. La discenderia ed i garages erano fatti
in muratura. Dagli anni '40 del 1900 furono introdotte anche
le armature metalliche.
Immagine proveniente dall'album Le Carpinete. Luglio
1947.
Esposto presso Mine, Museo delle miniere e del territorio.
Donazione Marco e Claudia Salmini. |
Nella bocca della miniera 7
La lignite, in un modo o in un altro, dà da mangiare
a noi del Valdarno e a quelli di fuori8.
Il bacino è suddiviso in cinque gruppi: Calvi, Castelnuovo,
Allori, Santa Barbara e San Donato/Gaville, ciascuno formato
da vari cantieri e miniere per un totale di quattordici pozzi
inclinati (discenderie). E nel bel mezzo si staglia una centrale
termoelettrica da 20.000 kW alimentata dal minerale umido appena
sortito dalle gallerie. Passando da Santa Barbara si vede il
nuovo impianto di estrazione, supermoderno (realizzato dalle
Officine Meccaniche Reggiane) con nastri trasportatori in gomma,
parte metallica esterna ed edificio murario all'imbocco. In
un'area limitata del bacino si praticano coltivazioni a cielo
aperto con lo scoperchiamento del banco eseguito da escavatori
meccanici a cucchiaio. Una delle macchine, modello americano
“a benna” capace di scavare ad un livello inferiore
al suo piano di posa, è già all'opera di primo
mattino. Quando gli si passa vicini si resta a bocca aperta!
È un vero formicaio il posto dove si va a lavorare, fatto
di trabiccoli, macchinari e gente sempre in movimento; un ginepraio
di strade trafficate e passerelle, fabbricati, viottoli di polvere
o fango, torrenti deviati secondo convenienza, cataste di minerale,
cumuli di inerti abbandonati. Su tutta la superficie si estende
una fitta rete ferroviaria con uno sviluppo di 35 km, in prevalenza
con binari a scartamento ridotto, gestita direttamente dalla
Società mineraria, che dispone anche di quattro grosse
locomotive. A scartamento normale la linea di sette o otto km
che va fino alla stazione di San Giovanni. L'area dei piazzali
principali (530.000 mq in tutto, di cui 20.000 coperti) è
ampia come tre poderi di quelli grossi. Qui viene convogliata
la lignite estratta dalle diverse miniere o per essere spedita
direttamente allo stato naturale o per essere prima essiccata,
vagliata negli appositi impianti e classificata (umida, bazzotta,
secca). Noi ciclisti che si viene dalla zona del Pratomagno
si posa il mezzo vicino alle stalle dei cavalli da tiro e ci
si ritrova con quelli del Chianti, della Val d'Ambra e del Senese,
con chi è appena sceso dal trenino. Poi ci si disperde
di nuovo e, alla spicciolata, ognuno s'avvia al posto di combattimento.
Si procede, facendo attenzione ad attraversare i binari dove
passano vagoncini decauville o chiatte di legno, tra decine
di capannoni allineati, in legno e muratura, adibiti all'essiccamento.
Si passa fra magazzini, tettoie, matasse di fili elettrici,
attrezzi e pali per la luce, vecchie ciminiere di argani a vapore,
basculle per vagoni e vari casotti dove si riparano gli scaricatori
quando piove. Il vocio e il rumore delle macchine è sempre
più forte. C'è una città che sta sopra
a quella sotto. Davanti ai nostri occhi due grandi teleferiche
sorrette da enormi piloni, adibite al trasporto promiscuo di
materiali, scarrucolano avanti e indietro a pieno ritmo. Una
(lunga 1300 metri, potenza 12,5 Hp) mette in comunicazione il
piazzale del gruppo Allori con la centrale elettrica, capace
di trasportare fino a mille tonnellate di prodotto al giorno.
L'altra, lunga oltre 5 km, arriva fino al piazzale di manovra
del Ponte alle Forche, e può trasportare fino a 650 tonnellate
al giorno. Gli uffici degli impiegati e del direttore sono parecchio
discosti, in località San Paolo. A portata di mano invece
ci s'ha l'infermeria che noi si chiama ospedaletto, prima
non c'era, ma ci vorrebbe anche un'automobile a disposizione
per portare i feriti a Figline. Poi c'è un'officina meccanica
che ha tutti i ritrovati moderni. Tutte cose per raccomodare,
alla meglio, danni di tutte le specie9.
Noi della prima sciolta (7-15) s'arriva puntuali col
suono della sirena. Alla bocca della miniera ci si trovano i
comandanti già piazzati a fare la conta: il capo-servizio
e il sorvegliante (che ha fatto il militare nei carabinieri).
A loro rispondono i vari capi-squadra per il controllo ravvicinato
delle singole compagnie che operano in sotterraneo. E ogni compagnia
risulta formata, al minimo, da un capo-minatore anziano ed esperto,
da un minatore e da un caricatore10.
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L'immagine
mostra una galleria della miniera nel 1927 e più
precisamente lo stacco fra la diretta e la discenderia. Le gallerie
delle miniere del Valdarno erano una perpendicolare all'altra:
la discenderia era la galleria principale da cui si distaccava
perpendicolarmente la diretta a tetto. Da questa, in direzione
del banco di lignite, partivano le traverse, poi i rinquarti,
i galleriozzi per giungere alla camera di coltivazione e poi
di abbattimento della lignite.
Immagine proveniente dall'album Le Carpinete. Luglio
1947.
Esposto presso Mine, Museo delle miniere e del territorio.
Donazione Marco e Claudia Salmini. |
Nella pancia della miniera
Per lavorare in galleria bisogna essere o parecchio robusti
o parecchio agili e non ci vogliono i corazzieri. Bastano i
bordellotti (ragazzotti) de' contadini come noi.
Il patire incomincia già a scendere. Si accede da un
antro buio di tre metri per due e mezzo. Acetilene accesa, luce
fioca e si va a piedi, non siamo mica in Belgio, giù
per una scala gradinata collaterale alle gallerie, in fila indiana
distanziati e attenti con gli scarponi a non cozzare in cavi,
tubi, diavoli e serpenti, a non battere il capo sulle sporgenze.
I binari consumati luccicano e gli occhi si abituano all'oscurità
un po' alla volta. Venti minuti ci vogliono tutti per scendere
ad un centinaio di metri di profondità (19° livello);
poi c'è da accordare i soni nella compagnia, posare la
roba e metterla attaccata all'armatura. Al capo-minatore tocca
la scelta, non facile e insindacabile, del modo migliore di
attaccare il banco. Due sono le specie di lavoro: avanzamento
e abbattimento, ossia piccone più dinamite. Ma il brillamento
della mina rimane sempre il momento più delicato. E dopo
una breve riunione (brainstorming!) si decide di incominciare
ognuno con compiti e mansioni precise: te fai questo, te fai
quest'altro. Chi pensa a spingere o agganciare i carrelli, chi
batte la mazza e chi monta l'armatura, c'è poco da scherzare.
Il sistema di coltivazione “per frana” prevede tagli
orizzontali discendenti. La distanza verticale fra due tagli
successivi è di 5 metri11.
Come abbattitori si fa tutto il lavoro a mano e, allo scopo,
s'adopera un arnese leggero detto incastrino, oltre la marra
(zappa tiratora), la mazza e i cunei. Altri arnesi in
dotazione: la barramina12, la
succhia, il piccone (detto anche malimpeggio) e la pala.
C'è anche una bella lampada di sicurezza marca “Friemann
Wolff”13, pesa solo due
chili, ma fuori dalle camere s'adopra sempre l'acetilene a fiamma
libera.
Le gallerie, man mano che si procede, vengono puntellate e armate
con legname di acacia o pino.
Per respirare e per prevenire la formazione di gas nocivi, siccome
le Bicchieraie sono una miniera importante, ci sono stati installati
dei potenti ventilatori artificiali a 15 Hp a modo che “la
quantità di aria che, per ogni operaio, circola negli
ambienti di lavoro, superi in media i 50 litri al secondo”14.
Ma poi questi ventilatori servono, ci par di capire, anche per
asciugare la lignite. Sicché la realtà delle cose
è un po' differente da quanto si vorrebbe prescrivere.
Una volta un vecchio minatore ci raccontò che aveva sentito
dire da un ingegnere che in America avevano fatto un esperimento
scientifico per vedere chi era più bravo a stare senza
respirare fra l'uomo, il topo e l'uccello (e pare che abbia
vinto il topo)15.
Non è che sottoterra ci siano le stagioni e spesso l'aria
è soffocante oppure ci sono gli sbalzi improvvisi di
temperatura. Gli ingegneri le chiamano escursioni termiche (in
do' gli è cardo, in do'gli è freddo) e può
dipendere dall'altezza delle masse di copertura, dalla natura
del materiale attraversato, dalle correnti che si formano nel
dedalo di gallerie, dall'ossidazione spontanea del combustibile,
dal calore animale, da quello delle lampade, dagli spari della
dinamite e così via. Quando si superano di molto i 30°
diventano indispensabili le pause anche per noi giovani. E gli
incendi dovuti all'autocombustione dei banchi hanno portato
talvolta la temperatura a tocc are quasi i 50°! Poi ci sono
gli allagamenti e spesso si lavora con la melma fino ai ginocchi.
Meno male che ci sono i nostri amici pompisti che intervengono
nella eduzione delle acque con i loro potenti mezzi azionati
da motori elettrici.
Quanto al vestire, a seconda della bisogna si sta anche mezzi
ignudi, però ci s'ha la camiciola e i calzettoni
di lana fatti dalle nostre mamme, le mutande di tela, i pantaloni
grezzi e gli scarponi chiodati di vacchetta (ammorbiditi con
la sugna) oltre la giubba e il berretto, ma questi si posano
insieme alla borsa di stiancia con il ricambio panni e il mangiare.
Normalmente per ogni coppia di minatori che scava la lignite
c'è un operaio che la carica nelle berline (o chiatte);
che poi vanno spinte fino al garage, che è una galleria
più ampia, dove si lasciano le piene per ripigliare le
vuote e riportarle vicino alla camera di abbattimento. E così
via. Le gallerie di trasporto son parecchie, ad ogni livello
corrisponde un carreggio. La rete ferroviaria sotterranea di
tutte le miniere del Valdarno è di 40 km misurati. I
vagonetti da condurre su “a giorno” si convogliano
prima nelle gallerie principali, quelle a doppio binario, vere
arterie delle miniere verso i piani inclinati d'estrazione.
Una volta fatti i “treni” ci penseranno i cavallai
con i loro cavalli, oppure a volte funziona il “catenone”
mosso da una grande puleggia16.
Orecchi ritti, quando si lavora si sta zitti e in campana. Se
non si vuol fare una finuccia. Il bruciore agli occhi e il naso
fino del capo-minatore ci mettono subito in allarme.
Bisogna conoscilo i'legno, ascortallo zitti, perché
a vorte e fa de' brutti scherzi! N'ho visti diversi fa' la
morte di'topo... Ho ancora nell'urecchi l'urlo di' poro Cencetti,
un si fece a tempo a vortassi... era di già sparito...
quella maledetta pigna lo sotterrò... ci vorse tre
o quattr'ore pe' rilevallo... si lavorò come bestie...
ma l'era bell'e spiaccicato...come una tarpa...17
...Chi non ha provato o quantomeno visto non può considerare
cosa sia lasciare la luce del sole per andare a lavorare nelle
tenebre di una galleria. L'attenzione, il coraggio, la forza
di volontà, l'abitudine al pericolo che occorrono per
resistere e continuare a lavorare, sepolti vivi, sono inimmaginabili.
La morte si fa sentire costantemente, investendoci con l'afrore
del suo alito. Il sudore ci impregna l'unico cencio con cui
copriamo le parti genitali. I grossi frammenti di minerale
schizzanti sotto l'urto dei colpi vibrati ci martirizzano
le membra ormai maltite e sudice dal lavoro... 18.
Si estrae il minerale in camere a pianta quadrata (quattro
metri per quattro), a diversi livelli, con l'uso di esplosivo
(detto foho). Prima si taglia il banco ai lati e si scalza
sotto con l'incastrino, poi si trivella con la succhia e ci
s'infila la dinamite. Nei minuti che passano fra l'accensione
della miccia e lo scoppio susseguente ci si deve allontanare
almeno di 15 metri, che è la distanza minima di sicurezza.
C'è il tempo per tirare il fiato al riparo dei fumi e
dei polveroni, quindi tutto ricomincia da capo (“incastro,
mina, accensione, scoppio”)19.
Alle 12 ci s'ha una mezzoretta per mangiare. Ci s'accovaccia
in un cunicolo illuminato alla meglio, la sporta sulle ginocchia,
il bere appoggiato a terra di fianco e un coltellino in mano.
Ognuno tira fuori le sue cose e le favorisce, non solo proforma,
a quegl'altri. Sudici e sudati fradici ma la fame non manca.
Quaggiù nessuno ci vede e ci sente e si parla liberi
fra noi, ma senza vociare però. Chi ha il corteccino
di pane ripieno di fagioli zolfini, chi il baccalà o
un tocco di cacio, chi un pezzo di conigliolo dell'allevamento
familiare. Da bere ciò che resta nel fiascotto di rosso
oppure il “mezzovino” o magari l'acquerello20
che ci rinfresca. Tutti i giorni si porta anche, all'usanza
del minatore, una bella cipolla rossa con du' chicchi di sale,
ma a quella – se ci riesce – gli si dà un
morso ogni tanto mentre si lavora. Dice che faccia bene al sudore21.
Mentre si mangia si ragiona anche di lavoro e qualche volta
di sindacato. La sicurezza rimane il problema dei problemi,
mentre sempre più spesso succedono gli incidenti e qualcuno
ci lascia la pelle. Il capo-minatore racconta, e noi s'ascolta.
...E s'era dentro a fa' l'incastra, tutto d'un corpo l'armatura
cedé: s'era chiusi dentro... quelli di fori s'eran
messi a facci un varco. In qui' mentre vòrto l'occhi
e i' celo s'abbassava... un capii più nulla... aveo
venticinqu'anni... te l'immagini... come una molla... c'era
un buho lassù arto mi c'infila' dentro. Quell'attro
era pe' restacci e urlava. I celo gl(i)'era addosso... sartò
sulla chiatta, lo presi pe' bracci e lo tira' fori: in qui'
mentre la camera la cascò22.
Non sempre le disgrazie dipendono dal grisou (asfissie, ustioni
e ferimenti da esplosioni e crolli).
La modernizzazione ha quasi peggiorato le cose perché
ci ha riempito le miniere di attrezzature nuove. Oltre i “normali”
franamenti, scoscendimenti e distacchi di roccia sono aumentati
i cosiddetti “incidenti diversi”. Come ad esempio
quelli causati da investimento di vagonetti, dalla caduta nei
pozzi, urti o da folgorazione elettrica. “Un operaio mentre
spingeva un vagoncino, venne da questo trascinato nel baratro,
perché all'orifizio mancava il cancelletto di sicurezza...”23.
Colpa dei cottimi, incentivati fino al 20 per cento della paga,
e delle troppe economie. L'armatura delle gallerie viene sempre
fatta a mano e a regola d'arte (due montanti sovrastati dalla
cappuccia), però bisogna risparmiare e andare di corsa,
così non sempre si riesce a calibrare alla perfezione
gli incastri con la pressione che vien da sopra; l'esplosivo
poi bisogna adoprarlo con parsimonia (le spese per il foho
ce le mettono nei ritiri della paga): ecco i motivi principali
dei frequenti distacchi di blocchi di lignite dalla volta.
...Ma quando i'foho lo facein pagare siccome du'cartucce
le costaan quasi la giornata, e cercaan di sacrificassi e
di rischia' di più la vita [...] Quando e ci rimase
i' mi' poro babbo [sotto l'abbattimento] e su' amici lo rilevaron
dopo quattr'ore! E gl(i)'era sbucciato! Poi dalla gran paura
e gli si spanse l'eterizie. Pe' l'appunto a que' tempi lì,
e un c'era neanche e mezzi pe' curassi: quando mandonno la
medicina e gl(i)'era bell'e bartao...24
..Anche l'accensione della mina costituiva un potenziale pericolo,
e non solo per il fatto in sé. Prima del turno passava
il “fochino”, l'addetto alla distribuzione di
esplosivo. Ne dava il quantitativo richiesto, il cui costo
veniva decurtato dalla paga. Finivamo per risparmiare anche
su quello. Quando il banco da abbattere sembrava meno compatto
– le numerose venature d'argilla lo indicavano –,
eravamo tentati di non frantumarlo completamente. Avremmo
consumato meno esplosivo, i pezzi di lignite sarebbero stati
più grossi e qualitativamente migliori. Facevamo esplodere
solo la parte inferiore del banco per staccare, con le mani
e il piccone, quanto restava appeso in alto. Un tentativo
pericoloso, perché la massa lignitifera della volta
poteva improvvisamente cedere e intrappolarci...25
“Ingresso abusivo con fiamma libera in galleria saggio”:
scrivono bene nel verbale quelli del Corpo Miniere26.
Ma le disgrazie succedono per un motivo che tutti sanno e nessuno
dice. Nei piazzali hanno messo da poco i servizi igienici (le
“ritirate”) e gli operai lassù vanno al gabinetto
che sembrano impiegati. Noi sottoterra invece ci s'arrangia
e per fare i bisogni ognuno cerca il su' galleriozzo personale
o anche uno “stanzone” abbandonato va bene, differente
da quegl'altri è ovvio. Però prima si deve dare
un'occhiata, ispezionare e far lume, non si può andare
a tastoni ed è lì che si rimane buggerati. Il
grisou, “aria morta”, ci mette un attimo a scoppiare,
una fiammata e un bagliore accecante, un rumore assordante...
Ca madonna! Era meglio pestare le fatte.
Siamo sempre soli quaggiù ognuno con la su' acetilene
(ma se n'avrà di cose da raccontare alla prossima mietitura!).
Le talpe, in colonia numerosa e ingrassate con gli avanzi e
il sudicio dei cavalli e dei cristiani, sono le nostre amiche
e si sono ormai ambientate. Fanno compagnia e ci guardano lavorare.
Anzi il loro caratteristico stridio ci serve da preallarme nell'imminenza
dei crolli, perché quelle bestioline sentono anche i
piccoli movimenti del banco e ben prima di noi!
A starci parecchio qua sotto ci s'ammala, a respirare il pulino
(la polvere di lignite), ma più che altro per via dell'umidità:
bronchite asmatica, silicosi, antracosi, tubercolosi, polmoniti,
artrosi... dicono i dottori bravi27.
Chi non ce la fa può chiedere di andare sui piazzali
ma non sempre ti accontentano e poi nemmeno lì, alle
intemperie, ci sono le mele smezzate. Nella compagnia ci si
vuole bene come fratelli e quando c'è uno malato tutti
ci si preoccupa.
... Se ce la fai a stare in piedi, non restare a casa. Scendi
in galleria. Una volta sotto, penseremo noi a mandare avanti
il tuo lavoro; così il sorvegliante ti segna la presenza
e non perdi la giornata28.
Dei dottori non c'è da fidarsi e la Mineraria comanda
anche al pronto soccorso. Sugli incidenti loro danno sempre
la colpa a noi. Come successe al poro Brogi di Vacchereccia,
che prima rimase sotto qualche quintalata di lignite e dopo
quelle fave (persone scriteriate) dell'ospedale di San
Giovanni dissero che era morto per un'ernia trascurata!29
|
Centrale elettrica di Castelnuovo dei Sabbioni. La vecchia
centrale di Castelnuovo, oggi non più esistente entrò
in funzione nel 1907. Riusciva a produrre una quantità
di energia tale da illuminare Arezzo, Firenze e Siena.
Immagine proveniente dall'archivio fotografico Emilio
Polverini. |
Fuori il culo della miniera
Finita la prima sciolta si risale con un buon passo e ci sembra
di volare. Fuori il fitto sole e la luce accecano. Alla bocca
della galleria c'è tutto il nostro lavoro fermo sui vagonetti
pronto per la cernita, ma una digrossata la s'era bell'e data
noi stamattina in galleria, dividendo intanto i pezzi grossi
dalla pula. A lavorare sui piazzali ora non ci sono soltanto
i manovali e gli operai fatti (esperti), ma anche donne
e bambini dei posti qui vicino. Che li pagano con du' palanche.
Vanno e vengono e non c'è nemmeno bisogno di fare tanti
fogli per l'assunzione. È un'usanza dell'epoca della
prima guerra mondiale30: allora
qualche donna arrivò a fare persino il macchinista dell'argano,
ma ora questo è un lavorino leggero riservato agli invalidi.
I ragazzi piccini sono abilissimi ai vagli, riempiono i corbelli
a gran velocità, saltellano e paiono non curarsi del
polverume.
...Un capitolo a parte è quello dei minori di 16
anni. Fra tanti vagoni dislocati nei luoghi di carico, vi
sono quelli da riempire di pezzi piccoli. Questo compito è
riservato a quei minori [...] Il corbello era d'obbligo per
espletare la mansione. Si tratta di un contenitore in stecche
di castagno a forma cilindrica. Altezza 65-70 cm. Diametro
45-50 cm, un cesto rotondo, insomma. In 4 ragazzini a suon
di corbelli riempiti a ragguardevole distanza dovevano viaggiare
speditamente e riempire un vagone ferroviario. I fortunati
in misura maggiore, poiché lavorare era una fortuna,
venivano adibiti a scegliere la terra, cernita che viene eseguita
agli impianti di vagliatura e lungo le distese di minerale
ad essiccare. Trascinare il corbello con i frammenti di sterile
che pesa, lavorare a schiena piegata, proibito accoccolarsi,
sotto il sole a perpendicolo [...] I ragazzi impiegati alla
cernita dei vagli avevano anche il disagio di molta polvere
da respirare...31
Si ripiglia le biciclette dal cavallaio, ma prima ci si dà
una sciacquata alla sistola, e si ritorna a casa piano piano.
Non c'è furia (che sennò ci tocca governare le
bestie grosse o fare l'erba medica ai coniglioli). Il
primo tratto di strada si rifà con compagni che prima
non s'era visto. Sono quelli delle famiglie che hanno smesso
di fare il contadino o che son di fuori: maremmani, senesi,
veneti e “austroungarici” (figlioli di prigionieri
di guerra accasati in Valdarno e che si chiamano Sladojevic,
Gloter, Piltner.. )32. Loro stanno
nei villaggi minerari e fanno vita comunitaria. Parecchio tempo
fa la direzione delle miniere aveva fatto dei capannoni dormitori
a ridosso delle prime gallerie che, ci raccontano, si erano
riempiti di accattoni e miserabili. Poi invece sono stati costruiti
i complessi abitativi per operai a Ronco e i casamenti della
Dispensa. Certo non sono abitazioni belle come quelle degli
impiegati e dei sorveglianti (che hanno lignite gratis per il
riscaldamento e un pezzo di terra con manovale-ortolano a disposizione),
però almeno son comode e pulite, con bagni e lavatoi
comuni, spacci cooperativi dove si paga con i buoni e ora ci
faranno addirittura una torre serbatoio per l'acqua potabile.
Alla Tinaia di San Cipriano si completerà il Villaggio
Santa Barbara, che già fa da dormitorio e mensa per i
minatori immigrati temporaneamente e per quelli senza famiglia,
nonché da riparo di fortuna per le famiglie della frazione
San Martino evacuate a seguito dei crolli per gli scavi alla
vicina miniera di Allori33.
A differenza di noi che siamo rimasti contadini loro hanno più
svaghi. E si ritrovano al dopolavoro e nei vecchi circoli di
Cavriglia, Meleto e Vacchereccia, hanno messo su la banda musicale
e la squadra di calcio, il doposcuola e le rappresentazioni
teatrali con le rime in ottava, fanno le feste da ballo quasi
tutte le domeniche, giocano alla ruzzola, organizzano le tombolate
dove si vincono capofreddo, finocchiona, burischi e pampepato.
Arrivati nell'aia il capoccia ci guarda, come se si tornasse
dalla fiera di Terranuova.
Chi va in miniera cambia carattere si sa, e di molto. Lo si
riconosce dal modo nuovo di intercalare i discorsi. La bestemmia
ad esempio, fattasi imprecazione rabbiosa contro chi comanda,
non è più quella sorta di gioco o esercizio fantasioso
tipico dei giocatori di carte nelle osterie toscane, non è
più arricchimento espressivo nella dialettica mezzadrile
capoccia-massaia, patriarca-famiglia. Lo schema giaculatorio
si fa fisso e ripetitivo. Al nome di dio e della madonna si
accostano normalmente quelli del diavolo, di mestieri ritenuti
disonorevoli, di animali34.
Chi va in miniera cambia persino la camminata.
...la posizione del busto assume una caratteristica cifotica
(ricurva) e l'andatura ha uno svolgimento ondulatorio, quasi
che ad ogni passo si trovasse nella necessità di evitare
un ostacolo posto al di sopra del capo. Al tempo stesso il
bacino oscilla sul piano frontale con lieve piegamento della
gamba che non muove il passo. Tale stile deambulatorio deriva,
a nostro avviso, sia dal condizionamento che produce la galleria
in cui il cielo può cascarti addosso e schiacciarti,
sia dai movimenti a cui il corpo del minatore è obbligato
quando esegue la fitta. La fitta veniva eseguita spesso in
ginocchio: il movimento in avanti delle braccia, assecondato
da quello della spalla su cui batteva il manico dell'incastrino,
riceveva ulteriore potenza dal contemporaneo spostamento del
bacino (sempre in avanti). Questo movimento veniva eseguito
per lunghe ore in modo ritmico sui due lati del corpo. Il
passo è pesante (ricordiamo che le scarpe del minatore
pesavano oltre tre chili) e marcato, mentre le ginocchia spesso
sono leggermente piegate all'esterno. Durante la conversazione
il braccio si muove in tutte le sue parti per tutta l'ampiezza
dell'arco gestuale e, nei momenti di maggior partecipazione
emotiva, anche il busto, il cui baricentro è spostato
verso l'alto, asseconda e segue i gesti del braccio. Numerosi
sono anche i gesti di contatto con l'interlocutore. L'espressività
del volto è rivelata da una notevole vivacità
dell'occhio e mentre i muscoli facciali restano duri, solo
il sopracciglio, solitamente prominente, è molto mobile35.
Giorgio Sacchetti
Questo saggio è originariamente apparso nella rivista
Snodi Pubblici e privati nella storia contemporanea, n.
10 / 2013, Soggettiva sul lavoro, pp. 32-47
Info e richieste: Studio LT2 Edizioni, Dorsoduro 1214, 30123
Venezia; email: studio_lt2@libreriatoletta.it
Si ringraziano: Paola Bertoncini per la selezione iconografica;
Regina Milito e Luca Lanzi (Casa del Vento) per la gentile collaborazione.
Note
- Ricordi di famiglia dell'autore.
- L'identità contadina, che aveva ben inglobato quella
precaria e occasionale di minatore, permarrà poi anche
nell'operaio di fabbrica (vetrerie, ferriera, cappellifici...).
Nel secondo dopoguerra, epoca in cui avviene la “discesa
a valle dell'economia” per il Valdarno superiore, il legame
con la precedente attività è testimoniato dalla
eccezionale diffusione intorno alle aree urbane industrializzate
di piccoli orti, capanne e pollai messi su alla meglio in luoghi
di fortuna.
- Questa la dichiarazione capestro alla firma dei neoassunti
(prendere o lasciare): “Io sottoscritto dichiaro di accettare
l'ammissione al lavoro presso la Società Mineraria ed
Elettrica del Valdarno, in qualità di giornaliero provvisorio
con paga oraria di £___ più indennità di
caro vita di £ ___ giornaliere. Accetto le condizioni
di pagamento in uso presso la Società senza reclamare
acconti, e le condizioni seguenti. Per il licenziamento resta
bene inteso che la Soc. Mineraria ed Elettrica del Valdarno,
potrà licenziare il firmatario di questa dichiarazione
in qualsiasi momento dando però all'interessato un preavviso
o la paga di otto giorni. Trattandosi di assunzione in servizio
di carattere assolutamente precario, accetto che non saranno
applicabili al caso mio le clausole del concordato di ___ e
quelle che potranno essere stabilite in nuovi patti che la Direzione
potesse concordare con la massa operaia. Il sottoscritto______
Firenze, lì______”. Estratta da Archivio storico
Enel, Napoli, ex Compartimento di Firenze “Piero Ginori
Conti”, Società Mineraria del Valdarno [da ora
in poi: Archivio storico Enel, SMV], b. 202, copialettere 1918-1922,
Uff. Personale.
- Le famiglie si erano talmente estese fino a comprendere non
solo i birchi (“innocentini” o trovatelli)
come era usanza, ma anche i cugini acquisiti. Era sempre più
difficile organizzare il lavoro e nel contempo amministrare
questi gruppi plurifamiliari nelle loro crescenti necessità
quotidiane.
- I banchi di lignite documentano l'esistenza di immense foreste
sui bordi di un lago pliocenico nel Valdarno superiore. Il bacino,
situato nel comune di Cavriglia (Arezzo) e con una piccola parte
che sconfina nel comune di Figline Valdarno (Firenze), è
costituito da tre lenti di lignite xiloide distanti da cinque
a dieci chilometri dalla stazione di San Giovanni. Il giacimento,
che appartiene quasi totalmente alla Società Mineraria
del Valdarno, raggiunge lo spessore di trenta metri con una
profondità massima di 150 ed ha (dati 1937) una disponibilità
di circa settanta milioni di tonnellate di lignite.
- La sovrapposizione diffusa dei due mestieri (minatore e contadino),
porta a esiti negativi sul lungo periodo. Decenni di discontinuità
nel settore agricolo del Valdarno Superiore dovuti a deficit
organizzativi nella gestione della manodopera ed alla conseguente
cronica mancanza delle cure quotidiane e di manutenzione minuta
dei poderi, si traducono in un decadimento complessivo dei campi,
nell'invecchiamento precoce delle colture arboree mai rinnovate
ed abbandonate a se stesse.
- I titoli di questo paragrafo e di quelli successivi sono ripresi
dalla canzone Dio degli inferi. Voci dal sottosuolo, dal
profondo delle miniere del Valdarno (Casa del Vento) - cd
“Articolo Uno”, 2009.
- Alla fine degli anni Cinquanta la trasformazione del bacino
allontana dal lavoro tremila minatori residenti nei comuni di
Cavriglia, San Giovanni, Figline, Montevarchi, Castelfranco,
Pian di Scò, Incisa. Il ciclo della lignite, già
produzione autarchica e di guerra, si concluderà poco
dopo con le ultime escavazioni intensive a cielo aperto. Per
ovviare alla antieconomicità del trasporto si erano storicamente
perseguite varie modalità di utilizzo in loco del combustibile,
in Ferriera inizialmente e da ultimo nella centrale termoelettrica.
Cfr. Giorgio Sacchetti, Ligniti per la Patria. Collaborazione,
conflittualità, compromesso. Le relazioni sindacali nelle
miniere del Valdarno superiore (1915-1958), Ediesse, Roma
2002.
- Per la descrizione degli ambienti esterni alla miniera: “Rivista
del Servizio Minerario”, annate dal 1925 al 1946, passim;
Archivio storico Enel, SMV, Varie, fasc. Perizia danni di
guerra...; e La Società Mineraria del Valdarno e
le sue miniere di lignite in Castelnuovo dei Sabbioni, in
“La Vita Corporativa Aretina”, 1937, n. 2, pp. 31-36.
- Qualifiche principali: minatore (scavo rocce e minerali,
perforazione fori da mina, coopera al caricamento e sparo delle
mine, messa in sicurezza del cantiere, carico e trasporto materiali
abbattuti fino ai fornelli di gettito...); armatore
(armamento gallerie in ferro e legname, trasporto materiali
di risulta); disarmatore (disarmo gallerie e cantieri,
rimozione impalcature e attrezzature); perforatore (perforazione,
preparazione “volate” o esplosioni simultanee di
più mine); carichino (caricamento e sparo delle
mine, trasporto esplosivi); stradino (installa, ripara,
rinnova binari e scambi); tubista (addetto tubazioni
ventilazione, acqua, aria compressa, fanghi); arganista;
verricellista; aggancino (formazione convogli
nelle discenderie); manovale; ferratore; cavallaio;
motorista; ausiliario; pompista; guardia
d'imbocco; fuochista; macchinista; ungitore;
capo manovra; pesatore; stivatore; sterratore;
elettricista; aiuto-sorvegliante o capo-sciolta;
incapannatore; segantino... Cfr. Archivio
storico Enel, SMV, b. 59/p, Personale / Fed. Sind. Industriali
minerari, fasc. Mansionario.
- “L'esaurimento delle camere procede da muro a tetto,
in modo che in ogni camera due pareti sono costituite da lignite
in posto, e le altre due pareti da materiale in frana [...]
I galleriozzi di rinquarto servono per la ventilazione dei cantieri
e per il carreggio” (Luigi Gerbella, Arte mineraria,
vol. II, Hoepli, Milano 1938, p. 393). Per le modalità
di organizzazione del lavoro abbiamo consultato: Gaetano Castelli,
La coltivazione delle miniere di lignite, Zanichelli,
Bologna 1922, in particolare alle pp. 169-199 (Arte del minatore)
e 347-366 (Organizzazione delle miniere).
- Sbarra d'acciaio lunga qualche metro munita di una punta
tagliente, usata per praticare nella roccia i fori per le mine.
- Le lampade elettriche, causa varie imperfezioni, hanno un
uso limitato a lampade di riserva o “di sicurezza”.
La vecchia acetilene ha invece il difetto delle facili estinzioni
per insufficiente produzione di gas, con pericolo di esplosione
ad ogni brusco aumento di fiamma. Da tempo era allo studio un
prototipo di lampada elettrica (o anche a benzina) munita di
dispositivo indicatore del grisou. Cfr. Lampade elettriche
per miniera, in “Rassegna Mineraria Metallurgica e
Chimica”, 16 gennaio 1915, n. 1, pp. 9-10.
- “Rivista del Servizio Minerario”, 1925, p. 139.
- “...In quanto agli effetti fisiologici, si constatò
che in una atmosfera contenente 0,16% d'ossido di carbonio,
un topo dà segni di malessere dopo un'ora di permanenza,
mentre un uccello comincia a soffrire dopo tre minuti soltanto
e cade tramortito dopo 18. All'uomo, rimasto un'ora in un'atmosfera
contenente 0,25% di acido di carbonio, occorrono, per ristabilirsi,
almeno otto ore di riposo; al topo 25 minuti, ma esso comincia
ad essere agitato dopo soli 12 minuti...” (Limiti
di esplosione delle miscele di gas combustibile e d'aria,
in “Rassegna Mineraria Metallurgica e Chimica”,
16 febbraio 1915, n. 2, p. 29).
- Cfr. Testimonianze di Anselmo Baroni e Mario Biagioni, raccolte
da Marcello Cioni, Cenni di storia valdarnese (1700-1924),
Biblioteca comunale di Montevarchi, San Giovanni Valdarno 1992,
pp. 62-64.
- Testimonianze raccolte da Emanuela Latini Sladojevich, Ethos
della cultura mineraria, in “La Storia del Valdarno”,
1980, n . 9, pp. 209-210.
- Rambaldo Macucci, Foco lapide e altri scritti, Comune
di Cavriglia - Tipografia Valdarnese, San Giovanni Valdarno
1996, p. 34.
- Cfr. Marta Bonaccini, Profumo di lignite, Editori
del Grifo, Montepulciano 1995, pp. 157-160.
- L'acquerello è il dissetante dei contadini: acqua
fatta passare sulla poltiglia delle vinacce.
- Su questi aspetti enogastronomici e sul rapporto tra fame
e identità sociale del minatore valdarnese, cfr. Giorgio
Sacchetti, Tirar la cinghia, con rabbia, in “Slow.
Quarterly Magazine of the International Slow Food Movement”,
2001, n. 21, pp. 12-17.
- Emanuela Latini Sladojevich, Ethos della cultura mineraria,
cit., p. 213.
- Mario Mari, Rapporto sulla sicurezza nelle miniere e sulle
prevenzioni degli accidenti (Tenutasi alla riunione del Comitato
amministrativo della Unione Internazionale dei Sindacati Minatori.
Budapest, 10-14 ottobre 1950), in Archivio CGIL- Camera
del Lavoro, San Giovanni Valdarno, p. 10.
- Emanuela Latini Sladojevich, Ethos della cultura mineraria,
cit., p. 212.
- Da: Marta Bonaccini, Profumo di lignite, cit., p.
159.
- Cfr. Corpo delle Miniere, distretto di Firenze, Archivio
storico, posiz. 5-III, Arezzo, Miniere varie, Castelnuovo -
Infortuni.; “Rivista del Servizio Minerario”, annate
dal 1925 al 1946, passim.
- Cfr. Renato Lenzi, La silicosi nelle miniere di lignite
del Valdarno, relazione al XXIII Congresso Nazionale di
Medicina del Lavoro, Rimini 13-16 settembre 1959, http://web.tiscali.it/lenzi/;
Guido Y. Giglioli, Patologia del minatore di lignite,
in “Il Ramazzini”, 1915, pp. 26-48.
- Marta Bonaccini, Profumo di lignite, cit., p. 75.
- Agostino Brogi da Vacchereccia “..mentre lavorava in
un abbattimento al 9° livello della miniera Casino veniva
investito da un pezzo di lignite staccatosi da una parete che
lo rovesciava per terra. Subito soccorso ed accompagnato fuori
l'operaio accusava dolori al basso ventre ed aveva conati di
vomito. Portato subito all'ospedale di S. Giovanni gli veniva
riscontrata la strozzatura dell'ernia da cui da vecchia data
era afflitto; decedeva nella giornata di ieri 19 corr.”
(Corpo delle Miniere, distretto di Firenze, Archivio storico,
posiz. 5-III, Arezzo, Società Mineraria Valdarno, 20
dicembre 1926).
- Nel 1918, su un totale di 5056 lavoratori, se ne avevano
1818 nelle gallerie (tutti maschi e quasi sempre adulti), il
resto all'esterno così suddiviso: 2959 uomini e 88 ragazzi;
191 donne di cui 58 bambine. Cfr. “Rivista del Servizio
Minerario”, annate dal 1917 al 1919, passim.
- Rambaldo Macucci, Foco lapide e altri scritti, cit.,
p. 75.
- La popolazione nel comune minerario di Cavriglia (Arezzo)
raddoppia passando dai 4104 residenti del 1861 ai 9418 del 1913;
il dato si stabilizza nel periodo fra le due guerre con 9474
abitanti al censimento del 1951. Cfr. Rossella Valentini, Cavriglia
nei secoli XIX-XX, geografia storica di un comune del Valdarno
di Sopra tra agricoltura e industria estrattiva, Istituto
di Geografia, Firenze 1989.
- Cfr. Archivio storico del Comune di Cavriglia, 1940, b. 109,
licenza n. 6409 del 4/10/1940; Archivio storico Enel, SMV, Varie,
fasc. Perizia danni di guerra...
- Considerazioni che scaturiscono dalle frequentazioni dell'autore,
fra gli anni Cinquanta e Sessanta, degli ambienti operai e contadini
nel Valdarno.
- Estratto da: Emanuela Latini Sladojevich, Ethos della
cultura mineraria, cit., p. 214.
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Miniera Est. 1917. In primo piano l'imbocco della miniera,
ovvero la discenderia in muratura. Nel piazzale sono accatastati
i tronchi impiegati per la costruzione delle armature di sostegno
delle gallerie. In secondo piano, al centro, l'argano utilizzato
per lo spostamento delle chiatte cariche di lignite. A destra,
nell'immagine, la “gubbia” costituita da un cavallo
e un asino, usati per il traino delle chiatte vuote.
Immagine proveniente dall'archivio
fotografico Emilio Polverini. |
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Interno della miniera Bicchieraie settimo livello. Garage
al termine della discenderia. Anche il garage era una zona della
miniera in muratura perché costituiva un impianto fisso.
Immagine proveniente dall'archivio
fotografico Emilio Polverini. |
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Minatori al lavoro nella camera di abbattimento.
Nell'immagine vediamo a sinistra un minatore che utilizza
l'incastrino, a destra l'altro minatore sta operando dei fori
per l'esplosivo con la succhia.
Nelle miniere del Valdarno l'esplosivo utilizzato fino al
1925 è la dinamite, sostituito poi con la cheddite e
la “grisoutina”. La cheddite era una miscela esplosiva
confezionata o in quarti di cartuccia, localmente detti miniozzi,
o in mezze cartucce. Le micce utilizzate erano di due tipi:
le bianche e le antigrisoutose. Le micce venivano tagliate con
la pinzetta del minatore o con il coltello. Nelle miniere dove
non operavano i “fuochini” le micce venivano distribuite
ai capi minatori. Quando si sospettava la presenza di grisou,
si ricorreva all'accensione elettrica. I fori per inserire la
dinamite venivano eseguiti con strumenti differenti a seconda
della natura del materiale da abbattere, dell'importanza del
lavoro e dei mezzi a disposizione. L'esplosivo doveva essere
posizionato in maniera tale da ridurre al minimo la frantumazione
del minerale da abbattere.
Immagine proveniente dall'archivio
fotografico Emilio Polverini. |
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La
miniera Carpinete fu l'ultima miniera in sotterraneo
presente nell'area di Castelnuovo dei Sabbioni, chiusa
alla
fine degli anni sessanta del novecento. Nell'immagine
si vede
chiaramente lo spazio del “garage”, luogo
deputato
al deposito temporaneo e allo scambio delle chiatte.
Immagine proveniente dall'album Le Carpinete. Luglio
1947.
Esposto presso Mine, Museo delle miniere e del territorio.
Donazione Marco e Claudia Salmini. |
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Impianto di stoccaggio della lignite.
Una volta trasportata all'esterno la lignite seguiva un iter
particolare. La prima classificazione della lignite avveniva
in sotterraneo dove venivano distinti i vagoni di pezzi grossi
da quelli di pula. Le pule, le cui dimensioni massime erano
di 15 cm circa, venivano portate ai vagli, dove si effettuava
una ulteriore classificazione ottenendo i pezzi piccoli, il
trito, il tritino, la polvere. I pezzi grossi di lignite venivano
scaricati a mano e messi nelle “stive” e disposti
in modo tale che l'azione di essiccazione del sole fosse la
maggiore possibile. I pezzi essiccati erano poi disposti nei
capannoni aperti. Il trito veniva in parte essiccato nei Bricchettifici
della zona dove si otteneva la mattonella di lignite –
la bricchetta. Il tritino, invece, veniva essiccato in un impianto
apposito. Le polveri venivano mandate ai Bricchettifici dove
venivano utilizzate per l'alimentazione dei forni.
Immagine proveniente dall'archivio
fotografico Emilio Polverini. |
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Le due fotografie mostrano i locali della “lampisteria”
presso Carpinete. Qui si conservavano quotidianamente le lampade
impiegate dai minatori per lavorare in galleria.
Immagine proveniente dall'album Le Carpinete. Luglio
1947.
Esposto presso Mine, Museo delle miniere e del territorio.
Donazione Marco e Claudia Salmini. |
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Minatore che consuma il pasto in galleria.
Immagine proveniente dall'archivio
fotografico Cgil Arezzo. |
MINE
- Museo delle miniere e del territorio - Castelnuovo dei
Sabbioni (Ar)
Mine. Il complesso
museale che documenta e valorizza la storia del territorio
di Cavriglia e in particolare le vicende minerarie che
hanno modificato profondamente una parte rilevante di
questo territorio, è ospitato in alcuni edifici
nella parte alta di Castelnuovo dei Sabbioni. Il resto
del vecchio borgo fu abbandonato e in parte distrutto
dall'attività mineraria. Alcune case in rovina
contornano la strada che conduce alla parte superiore
dell'abitato, che comprende alcuni edifici recentemente
recuperati e rifunzionalizzati in spazi museali: la ex
chiesa di San Donato, adibita a spazio polifunzionale,
il centro espositivo ed una palazzina degli anni Venti
del Novecento utilizzata come centro di documentazione
e spazio per attività didattiche.
La logica comune che pervade questi spazi è fortemente
tesa al coinvolgimento dello spettatore per una conoscenza
approfondita del patrimonio culturale conservato.
Il Percorso museale si sviluppa attraverso sette
sale dedicate alla storia e alle vicende minerarie secondo
un percorso che inizia dalle prime notizie documentate
sul giacimento di lignite, per poi passare allo sviluppo
dell'attività mineraria e alle prime lotte sindacali.
Il percorso si concentra poi sulle tecniche di scavo e
sulla vita del minatore, sui suoni e gli odori della galleria,
sulle stragi naziste avvenute nel territorio nel 1944,
le lunghe lotte e autogestioni del dopoguerra e sui cambiamenti
delle tecniche di coltivazione; da quelle in galleria
a quelle a cielo aperto. L'itinerario si chiude con la
presentazione della trasformazione del territorio dovute
all'attività mineraria e al suo riassetto. Punto
caratteristico dell'allestimento è l'interazione
con le moderne tecnologie che permettono al visitatore
di essere soggetto attivo nella conoscenza dei temi presentati.
È presente una figura parlante, che rappresenta
Priamo Bigiandi, un personaggio simbolico della storia
territoriale che introduce alla visita, vi sono poi dei
touch screen, un'installazione artistica per ricordare
la strage dei civili il 4 luglio 1944, un tappeto virtuale
finale che permette, in un breve spazio, una ricca documentazione
della distruzione/ricostruzione del territorio ed inoltre
possibilità di esperienze tattili ed olfattive
che rendono particolarmente densa la visita al museo.
Gianfranco Molteni
minecavriglia.it
info@minecavriglia.it
facebook: MINECAVRIGLIA
Orario di apertura
aprile-ottobre
martedi e mercoledi h. 10-13
da giovedi a domenica h. 10-13/16-19
novembre-marzo
mercoledi e venerdi h.10-13
sabato e domenica h. 10-13/15-18
Ingresso
Intero € 5,00
Ridotto (sopra i 65 anni e gruppi
superiori a 15 persone) € 3,00
Gratuito bambini fino a 12 anni. |
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