agricoltura
Come ti regolamento il seme
di Stefano Boni
Le leggi sulla certificazione dei semi degli ultimi decenni sono commissionate dai potentati finanziari e imprenditoriali ai politici nazionali ed europei.
Chi avrebbe mai detto nell'Italia
degli anni cinquanta che costruire una casa avrebbe previsto
un percorso a ostacoli tra infinite norme e certificazioni,
regolamenti e procedure? Chi avrebbe detto che sarebbero praticamente
scomparse fontanelle e panchine dal panorama urbano? Chi avrebbe
detto che avrebbero vietato il lardo di colonnata, certe modalità
di stagionatura dei formaggi, il tagliere in legno e marmo?
Chi avrebbe detto che avrebbero regolamentato le dimensioni
minime delle cucine o l'altezza dei soffitti? Chi avrebbe mai
detto che per pulire le patate dalla terra ci sarebbe voluto
un ambiente a norma? Chi avrebbe detto negli anni settanta che
luce, acqua, telefoni, autostrade, parcheggi sarebbero stati
svenduti ai privati? Chi avrebbe detto che in Toscana per scavare
trenta centimetri in profondità si sarebbe dovuto richiedere
l'autorizzazione? Chi avrebbe detto solo un decennio fa che
non si sarebbe potuto cucinare una torta a casa e portarla a
scuola per il compleanno del figlio? Chi avrebbe mai detto che
le multinazionali avrebbero potuto brevettare i principi attivi
di piante usate comunemente dai terapeuti artigianali per secoli?
I teorici del neoliberismo ci avevano promesso che lo stato
stava arretrando, lasciando spazio alla libera impresa. Evidentemente
non è così. La mano sinistra dello stato, quella
che ha garantito – seppur parzialmente e spesso in modo
ipocrita e ambivalente – servizi sociali ed assistenza
sanitaria, impieghi pubblici e istruzione sussidiata, salvaguardia
ecologica e trasporti è in effetti stata ridotta all'osso
e ciò che è rimasto è stato trasformato
– per linguaggio e logica – in impresa privata.
La mano destra, quella che impone l'ordine dei potenti tramite
la legalità, ha invece assunto una rilevanza sempre maggiore.
Perché passano invariabilmente norme che riducono l'autonomia
produttiva e di vita della cittadinanza? Dissipate le nebbie
dell'informazione mediatica prevalente che evoca la salvaguardare
del cittadino (ma poi permette di inquinare liberamente e di
rovinarsi con gratta e vinci, scommesse e slot machines),
che sostiene che il privato è più efficiente (ma
continua a regalare soldi alle imprese padronali e miliardi
alle banche), la logica delle leggi degli ultimi decenni appare
chiara: sono commissionate dai potentati finanziari e imprenditoriali
ai politici nazionali ed europei. Le varie lobby si scrivono
le leggi che consentono loro di aumentare il giro di affari,
di sottoporre alla logica del (loro) profitto ambiti ancora
non colonizzati.
Concentrare il monopolio della produzione
L'ultima frontiera riguarda un ambito di quelli che si stenta
a credere che possa essere sottoposto a regolamentazione: la
certificazione dei semi sia per uso agricolo che forestale (potenzialmente
applicabile a qualunque altra specie vegetale). La Commissione
Europea ha adottato il 6 maggio 2013 la Plant reproductive
material law che sarà votata ed emendata nel parlamento
europeo e dovrebbe entrare in vigore nel 2016. La legge sottopone
a certificazione obbligatoria tutti i semi commercializzati:
potranno essere veduti solo semi autenticati e li potranno fornire
solo operatori professionisti. Specifica innumerevoli regolamentazioni
stabilite da istituzioni tecniche e scientifiche inerenti al
processo di certificazione e concernenti la registrazione, gli
standard, i controlli di qualità, l'impacchettamento
e l'etichettatura. È evidente dalla complessità
delle indicazioni e delle procedure, dalla molteplicità
dei codici e dei riferimenti normativi che i veri bersagli da
colpire con questa normativa sono i piccoli e medi produttori
di semi a bassa propensione all'inquadramento burocratico, in
pratica i contadini, quelli che con la terra ci lavorano.
È facile prevedere che i piccoli coltivatori e chi ha
un orto domestico avrà più difficoltà a
trovare semi di varietà locali e biologiche. Secondo
Ben Gabel del Real Seed Catalogue: “non c'è
modo di registrare le varietà adatte all'uso domestico
perché non rispondono ai severi criteri della Plant Variety
Agency, che si preoccupa solo dell'approvazione dei tipi di
sementi che utilizzano gli agricoltori industriali... dovrebbero
essere i contadini a decidere quali varietà fanno il
loro caso”. La procedura di autocertificazione dei semi
è evidentemente al di fuori della portata dei piccoli
produttori: per certificare autonomamente i propri semi si deve,
infatti, avere “uno staff di laboratorio qualificato”.
Sono previsti campioni, tests, ispezioni. Le agenzie di certificazione
possono decidere le sementi che andranno sul mercato: la legge
prevede che sia fornita la certificazione solo a specie ritenute
dai tecnici superiori a quelle in commercio dopo un anno di
sperimentazione, impedendo la ricerca di benefici di certe varietà
sulla lunga durata.
L'obiettivo certo è di concentrare il monopolio della
produzione dell'intero patrimonio genetico vegetale legale europeo
(il resto non deve più esistere) nelle mani di pochi
e di generare l'ennesima moltiplicazione di uffici europei e
nazionali (registri, dispensatori di certificazioni, operatori
di controllo) per gestire burocraticamente l'implementazione
del potere centralizzato di decidere quali sementi possano essere
commerciate. “Come qualcuno potrà sospettare –
afferma Mike Adams su Natural News – questa mossa
è la ”soluzione finale“ della Monsanto, della
DuPont e delle altre multinazionali dei semi, che da tempo hanno
tra i loro obiettivi il dominio completo di tutti i semi e di
tutte le coltivazioni del pianeta”. Per molti dei piccoli
e medi produttori di semi questa normativa, se applicata, significa
la fine dell'attività. Non è un caso che le critiche
più aspre a tale legge siano state formulate proprio
da contadini produttori di semi, spesso interessati a promuovere
varietà locali, coltivabili senza supporti tecnologici.
Ben Gabel sostiene “Questa legge crea una nuova serie
di funzionari dell'Ue, pagati per spostare montagne di carte
ogni giorno, mentre la stessa legge sta uccidendo la coltura
da sementi prodotti da agricoltori nei loro piccoli appezzamenti
e interferisce con il loro diritto di contadini a coltivare
ciò che vogliono”.
Spirale di onnipotenza normativa
La legge, sebbene imponga per decreto la certificazione dei
semi e di fatto sancisca il monopolio delle multinazionali sulla
grande distribuzione, è stata emendata nell'ultima versione
in conseguenza a una mobilitazione telematica massiccia (240.000
adesioni alla petizione promossa da Arche Noah): gli orti domestici
potranno crescere i propri semi e scambiarli gratuitamente;
le piccole organizzazioni, sotto i dieci dipendenti, potranno
vendere semi non certificati. Rimane da vedere nelle scritture
derivate dalla legge se queste deroghe rimarranno o verranno
colpite da emendamenti nel parlamento europeo o se saranno rese
inservibili nelle circolari applicative.
Il sommario – un riassunto parziale e rassicurante, fazioso
e mistificatorio delle complesse leggi effettivamente approvate
– contiene le solite legittimazioni ideologiche per l'introduzione
di tale normativa: modernizzare il settore; garantire la sicurezza
della filiera alimentare; salvaguardare la “identità,
salute e qualità”; si osa evocare la biodiversità
e la sostenibilità (Article 11). Qui si raggiunge il
paradosso. È palese che il problema dell'alimentazione
odierna è il suo inserimento nella logica del profitto
globale: è l'industrializzazione di agricoltura e allevamento
a porre le maggiori minacce ad una sana alimentazione. Questo
è evidente nei casi eclatanti quali mucca pazza; vino
all'etanolo; diossina nella mozzarella, latte, carne e uova;
sistematiche discrasie tra etichettatura e contenuto; la recente
scoperta di carne provenienti da vari tipi di animali spacciata
come manzo.
Le insidie risiedono però principalmente nell'intossicazione
quotidiana riscontrabile in numerosissimi prodotti: coloranti,
conservanti, antiossidanti, addensanti, emulsionanti, dolcificanti,
esaltatori di sapidità, agenti antischiuma, antiagglomeranti,
ecc. La complessità delle procedure di certificazione
dei semi va a beneficiare proprio le aziende che hanno messo
a rischio l'alimentazione. La logica del profitto immediato
e l'intensificazione super tecnologica dell'agricoltura comporta
l'assunzione da parte del coltivatore di certe dimensioni, metodi,
concezioni, di cui questa legge è un tassello. È
una direzione che non va riformata, o ulteriormente regolamentata,
va semplicemente abbandonata.
Dopo i semi, quale sarà l'ulteriore frontiera da sottoporre
a regolamentazione? La delirante spirale di onnipotenza normativa
è ormai da tempo fuori controllo. Le lobby esigono la
messa fuori legge di ogni attività che possa generare
ambiti di autonomia finanziaria, produttiva e sociale in modo
da rendere completa la dipendenza dalle aziende. Eppure il dominio
totale è illusorio: alcune legislazioni repressive creano
nuove resistenze. Settori che sono stati restii all'illegalità,
si trovano a constatare l'assurdità burocratica e a ritagliarsi
spazi di opacità dove attivare dinamiche invisibili ai
controlli: sottraendosi alla legge, possono re-inventate creativamente
processi, luoghi, pratiche nella loro interezza. Credere di
riuscire a catalogare e monopolizzare il mercato dei semi è
sintomo di questa perdita di senso del limite, di una autorità
che, nella sua violenza arbitraria, perde progressivamente legittimità.
Diventa sempre più palese cosa sia lo stato e quali interessi
serva. Solo l'abbattimento del complesso intreccio di interessi
finanziari e politici, mediatici e imprenditoriali, militari
e polizieschi, può rimettere al centro della politica
quelli della società. Pare un potere inattaccabile. Eppure
le politiche che vengono portate avanti moltiplicano ogni giorno
gli scontenti, gli esclusi, i disillusi, gli arrabbiati. Eppure
il potere si regge solo sulla nostra acquiescenza. Eppure ogni
pazienza, ogni rassegnazione, ogni apatia ha un limite.
Stefano Boni
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