Cento anni di canzoni – 4
Milly
a cura di Alessio Lega
E se vi guardo, bionda
sconosciuta,
e voi passando un poco mi guardate
il cuor vi chiama e voi restate muta
e della voce sua non vi curate
Chi siete? Io non lo so
Ma so che gli occhi ardenti
hanno la forza di rubarmi il cuor...
“Se lei non conosce me, io conosco lei... Pure... Io la
conosco, signorina, la conosco, ripeto, ma così, di sfuggita,
l'ho seguita, l'ho osservata a lungo, talvolta, ma senza mai
osare avvicinarla. Conosco le sue linee esteriori, qualche istante
della sua vita e soprattutto quel po' di anima che da un viso
si può rivelare a un osservatore attento. Ma è
poco, signorina, al confronto dell'immensità di ciò
che vorrei conoscere in lei... Lei ama la sua arte. Lo si vede
in tutti i suoi gesti. Non può avere quindi che un'anima
finissima e profonda. Anch'io mi affatico disperatamente in
un'arte con questa stessa penna. Non le sono quindi così
estraneo. Posso capire molte cose di Lei che nessuno vede. Lei,
una sera di febbraio, leggeva sul tram, verso casa, Mimì
Bluette. Se ha letto quel libro, e se Lei è davvero
come io l'ho immaginata, deve sentire tutta l'umile immensità
di ciò che le offro.”
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Milly
foto di Riccardo Schwamenthal |
Il timido stalker che scrive nel 1927 queste lettere
a una soubrette del varietà di Torino, risponde al nome
di Cesare Pavese. La soubrette non ne sa nulla. Le lettere vengono
intercettate e distrutte da sua madre, prima che possa leggerle.
Le scoprirà, molti anni dopo la morte dell'autore, quando
verrà pubblicato l'epistolario dello scrittore suicidatosi
nel 1950. In quegli anni Milly che non è più una
soubrette, ma la più grande signora della nostra canzone,
canta un testo di Mauro Pogliotti che è proprio un collages
di poesie di Pavese.
Un paese vuol dire non essere soli,
avere gli amici, del vino, un caffè.
Io sono della città; riconosco le strade
dalle buche rimaste, dalle case sparite,
dalle cose sepolte che appartengono a me.
Al di là delle gialle colline c'è il mare (...)
Il percorso di Milly è un percorso affascinante e tenace,
in cui possiamo rintracciare il senso del filo che annodo di
capitolo in capitolo in questa ricerca. Le radici della canzone
d'autore, dalle sue origini al grande sviluppo degli anni '60
e '70. Proprio gli anni nei quali Milly ebbe la sua terza
carriera, quella che ce l'ha consegnata come l'interprete
fondamentale che armonizzava molte scuole e tendenze: il bal-tabarin
degli anni '20, l'operetta, la rivista, la canzone a teatro,
la canzone popolare, quella poetico-letteraria, quella di protesta...
un'interprete che aveva attraversato tutte queste epoche d'oro,
tornando a risplendere di luce propria a ogni torno di decennio.
La signora è piccina, minutissima, piccola di statura,
vestita di scuro. La pelle trasparente, un po' tirata sotto
la sempiterna parrucca, non ignora i solchi dell'età
“per quello che devo fare in teatro, le mie rughe vanno
benissimo!”, ma nel complesso appare come un essere senza
tempo, uno spirito un po' ironico, un po' drammatico, un po'
molesto. Il timbro scavato, profondo arriva in maniera naturale,
nelle sale piccole e dov'è possibile rifiuta l'amplificazione
“l'uso del microfono appiattisce la mia voce”. Le
parole sorrette da una dizione chiarissima e da un'intonazione
naturale, si materializzano dentro lo spettatore, più
come immagini che come suoni. L'atteggiamento della vecchiaccia
– come la chiamava quel teddy boy di Ivan della
Mea, ancora ridacchiando a 40 anni di distanza – è
fra il beffardo e il tragico: una sintesi perfetta dello straniamento
brechtiano... d'altronde a Brecht (per tramite di Strehler)
Milly doveva la propria rinascita.
“Certe volte a forza di sentire che la civiltà
occidentale è in gioco, da salvare, sacra, viene voglia
di mandarla al diavolo (...) non si sa bene cosa sia questa
civiltà nel cui nome tutti sentenziano, approfittano.
(...) Poi una sera si va ad ascoltare la cantante Milly che
ignora tutto dei sacri valori (...) e magari proprio così
si capisce per quale somma di civiltà siano filtrati
i gesti, il gusto, la misura di questa squisita cantante. La
civiltà di Milly: piccola com'è, spiega la grande
civiltà meglio di tanti discorsi complicati” (Giorgio
Bocca).
Chi l'ha conosciuta bene – il suo regista/feticcio Pippo
Crivelli, che gli ha cucito addosso parecchi recital e che oggi
ne cura la memoria discografica, il pianista Roberto Negri,
col quale ebbi la fortuna di parlarne a lungo prima dell'improvvisa
scomparsa di quest'ultimo, Paolo Ciarchi, che in una delle sue
molte vite l'ha accompagnata alla chitarra nei leggendari concerti
al Teatro Gerolamo dei primi anni '60 – la ricorda come
un monumento al professionismo, una perfezionista che studiava
ogni gesto, ogni sguardo, ogni intonazione fino alla nausea.
Una donna dura anche, solitaria, che non si è mai voluta
legare a un affetto, gelosa della propria indipendenza e dedita
solo al lavoro in scena.
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Milly durante un'esibizione. Il chitarrista è
un giovanissimo Paolo Ciarchi foto di Riccardo Schwamenthal |
Le ferite dell'infanzia sono profonde, nutrono il desiderio
di rivalsa per tutta una vita “la mia ribellione me la
porto dentro da quando un uomo piantò la moglie e tre
figli in miseria. Era mio padre. Io avevo cinque anni. Mi misero
in collegio, ne venni fuori con il complesso di non essere voluta,
di non essere amata, una paura che dimentico solo con gli applausi
del pubblico”. Carla Mignone – Milly – nasce
ad Alessandria nel 1905 da famiglia molto povera. Il padre parte
per il sud America in cerca di fortuna. Farà perdere
le sue tracce, si formerà una nuova famiglia. I quattro
ad Alessandria rimangono nella merda, la madre coglie ogni occasione
per sbarcare il lunario, lavorando anche per il Varietà,
i figli piccoli sono accolti dalle suore di Acqui Terme. Si
riuniscono poi tutti a Torino nel 1920, sono anni durissimi,
di fame. Così prende forma la tempra della più
grande interprete italiana di Jenny dei Pirati.
Oh signori voi mi vedete
sciacquare le bottiglie e rifare i letti
e mi date tre spiccioli di mancia
e guardate i miei stracci
e questo albergo stracciato come me,
ma ignorate chi son io davvero. (...)
M'hanno detto «asciuga i bicchieri, ragazza»
e m'han dato di mancia un cent,
ed ho preso il soldino e ho rifatto un letto
in cui nessuno stanotte tranquillo dormirà
e chi sono nessuno ancora sa (...).
E più tardi cento uomini armati
verranno nell'ombra e tenderanno agguati,
poi faranno prigionieri tutti quanti
li porteranno legati davanti a me
mi diranno «chi dobbiamo far fuori?».
Si farà silenzio intorno a me
e qualcuno chiederà «chi dovrà morire?»
ed allora mi udranno dire «Tutti»
e ad ogni testa mozza farò «Oplà!».
Come nelle favole, viene notata da un impresario per la sua
avvenenza, mentre fa la bigliettaia al botteghino del Cineteatro
Iris: più piccola e più piatta delle donne in
voga all'epoca, Carla ha due occhi enormi e magnetici che mangiano
il mondo. Testate le sue capacità canore, viene buttata
in scena nel 1922, vi resterà per 58 anni ancora, fino
alla settimana prima di morire. I due fratelli minori Mity e
Tòto la seguono presto in qualità di ballerini.
Come nelle favole Milly trionfa e viene notata anche dal principe
ereditario Umberto, col quale ha una storia d'amore, che ne
rafforza la leggenda. Tentata dal cinema e da Brodway e insofferente
al provincialismo italiano, questa professionista venuta dal
nulla, che parla alla perfezione anche il francese e l'inglese,
fa qualche stagione a Parigi e nel 1936 si trasferisce negli
Stati Uniti, dove resta dieci anni.
Torna in Italia finalmente senza problemi economici, ma pressoché
dimenticata e ricomincia con la rivista e parti secondarie nel
nascente cinema neorealista. Ma sente che la sua vocazione è
oramai il teatro di prosa. Affronta provino su provino, con
umiltà, con coraggio, come una debuttante di 51 anni.
Però è proprio la sua versatilità, quell'aria
così Mitteleuropea che è sopravvissuta all'orrore
della guerra, quell'aura da sciantosa solenne e decadente
a folgorare Streheler per la storica messa in scena dell'“Opera
da tre soldi” che lo stesso autore definì “una
resurrezione”. Al fianco di mostri sacri quali Tino Carraro,
Mario Carotenuto, Tino Buazzelli, Milly è la vera rivelazione
dello spettacolo.
Paolo Grassi se ne innamora e le fa costruire, dal giovane regista
Filippo Crivelli, una serie di recital indimenticabili: Le
canzoni di Milly 1963, L'amore e la guerra 1966,
Donna amata dolcissima 1969, Tutto il mondo va in
cerca d'amore 1972, Tante storie d'amore e di follia
1973. Fra questi c'è anche lo storico Milanin Milanon
del 1962, nel quale debutta un giovane medico-pianista che si
chiama Enzo Jannacci. Lo spettacolo monstre che racchiude
tutti gli altri è Canzoni come costume, canzoni come
civiltà che debutta nell'aprile del '75 alla Piccola
Scala: un tour de force di 53 canzoni senza un momento
di riposo. Milly prepara tutto senza batter ciglio, ha un'unica
perplessità “detesto i teatri importanti, mi mettono
ansia”.
Intanto anche le televisione l'ha riscoperta e la invita ripetutamente,
fino a ingaggiarla come ospite fisso del varietà Studio
Uno nel biennio '65-66... ma a Milly la televisione non
piace affatto, non le piace quel modo approssimativo di lavorare,
non le piace non poter gestire i propri tempi teatrali, non
le piace soprattutto il personaggio di signora affascinante
che interpreta le vecchie canzoni dei tempi andati. Milly è
semmai tentata dal nuovo: adora i cantautori, è fra le
prime a interpretare due canzoni di Fabrizio de André
(La guerra di Piero e Il pescatore), si è
avvicinata alla canzone popolare per tramite di Crivelli –
che è anche il regista dei fondamentali spettacoli promossi
dal Nuovo Canzoniere, quali lo storico Bella Ciao del
1964 –, e sollecita agli autori della nuova scena impegnata,
come Ivan della Mea, canzoni tutte per sé.
Alla soglia dei 75 anni Milly – la più grande interprete
italiana – si propone in faticose tournée ai quattro
angoli della penisola. L'ultimo spettacolo debutta a Palermo
nell'estate del 1980. Milly chiede al regista il permesso di
portare scarpe più basse perché le si son gonfiate
le caviglie e – cosa del tutto inaudita per lei –
di tagliare un paio di canzoni dalla scaletta.
Poi, finite le repliche della stagione, dice di essere “un
po' stanca” e torna a casa a riposarsi.
Alessio Lega
alessiolegaconcerti@gmail.com
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