Dibattito
zapatismo 1/Ma c'è a sinistra chi vuole solo il potere
Ci piacerebbe fare chiarezza su alcuni punti rispetto alla critica
di Orsetta Bellani (pubblicata sullo scorso numero di “A”)
a proposito del riferimento all'Ezln e all'Altra campagna nell'articolo
“Lettera dal
Sud America” pubblicato sul numero 376 (dicembre 2012
- gennaio 2013) di “A”.
Come prima cosa vorremmo dire alla compagna che concordiamo
sull'importanza delle pratiche concrete delle comunità
zapatiste e che il loro pensiero è stato un importante
punto d'affermazione di idee con le quali noi anarchici saremo
sempre d'accordo: la negazione della conquista del potere, l'autonomia,
l'autogoverno, l'orizzontalità e l'autogestione. Ma soprattutto
l'unione di etica e politica che vuol dire, per noi anarchici,
coerenza tra fini e mezzi.
Il fatto che appoggiamo, dimostriamo la nostra solidarietà
e condividiamo concetti importanti del pensiero zapatista non
vuol dire che siamo d'accordo in tutto, né tantomeno
che stiamo perdendo il nostro spirito critico. È necessario
inoltre stabilire una differenza tra le pratiche zapatiste nelle
comunità autogestite che stanno costruendo un “altro”
mondo in un territorio determinato, (i cinque caracoles
autonomi), e le iniziative politiche dell'Ezln volte alla costruzione
di alleanze, in Messico e nel mondo. E con l'Altra campagna,
come con altre iniziative precedenti, l'Ezln cerca di sconfiggere
la solitudine che vive in Messico, uscendo dalle foreste del
sudest per provare a instaurare nuovi dialoghi e nuove alleanze.
Bellani dice di non essere d'accordo quando affermiamo che “...
l'ultima fase degli zapatisti di guardare non verso il basso
come hanno fatto finora, ma piuttosto che con l'Altra campagna
hanno percorso il Messico guardando in basso e a sinistra”
né tanto meno concorda quando diciamo che: “...
porsi non sotto ma sotto e a sinistra vuol dire mantenere una
categoria vincolata alla forma stato che serve per continuare
a riprodurla”.
I concetti di sinistra e destra non sono propri della cultura
delle comunità indigene, sono categorie nate durante
la rivoluzione francese le cui posizioni, anche se in modo opposto,
aspirano alla conquista del potere. Siamo convinti di non poter
classificare i diseredati e gli emarginati tra chi si trova
a sinistra e chi a destra. È la configurazione della
società dominante ed egemonica che classifica in sinistra,
centro e destra, perché ci si esprima elettoralmente
affermando in questo modo un modello gerarchico, verticale e
centralizzato. Ciò nonostante queste categorie non sussistono
quando chi viene dal basso prende in mano la propria vita, quando
si aspira a un'altra società diversa, a un mondo nuovo.
Crediamo che la proposta in basso a sinistra sia confusa e vada
nella stessa direzione di chi in realtà aspira a conquistare
il potere e pertanto a stare sopra. Ossia, propongono forme
di azione che riproducono la logica dello stato e delle istituzioni
create secondo questo modello.
La sinistra è rappresentata da giacobini autoritari,
da socialdemocratici e leninisti di diverso tipo, e tutti aspirano
a dirigere e a governare il popolo con un colpo di stato, le
elezioni o una rivoluzione violenta.
In America Latina, Messico compreso, la sinistra è in
maggioranza socialdemocratica o in qualche modo leninista. Tutti
loro ritengono che il fine giustifica i mezzi, e le ragioni
del partito e dello stato, quando sono al potere, si trovano
al di sopra dei bisogni e delle necessità del popolo.
Nel nostro continente i socialdemocratici o fanno parte dei
cosiddetti governi progressisti e di sinistra o rappresentano
l'alternanza governativa. L'altro settore della sinistra, il
versante leninista, con l'eccezione di Cuba e del Venezuela
in cui sono al potere, sta all'opposizione e con loro si è
ritrovata l'Altra campagna nella questione del dal basso e a
sinistra.
Come camminare insieme a chi aspira a un ruolo dirigente nella
lotta anticapitalista e ha l'unico obiettivo della conquista
del potere? Come si possono mischiare le pratiche orizzontali
e autogestionali con quelle che difendono il centralismo democratico?
Nel dicembre del 2012 l'Ezln informa della chiusura dell'Altra
campagna, affermando che “A partire da ora la nostra parola
inizierà a essere sellettiva a proposito del destinatario”.
In un comunicato del 26 gennaio 2013, riferendosi ad alcuni
membri dell'Altra campagna, dice che “si sono avvicinati
per trarne dei rendiconti politici” o per scavalcare gli
altri; e conclude dicendo “che non torneremo più
a camminare con loro”.
Riteniamo che il concetto di sinistra e le sue tradizioni, anche
se dal basso, non sembrano essere molto utili per pensare e
costruire una nuova realtà, “un mondo dove ci possano
essere altri mondi”, come dicono gli zapatisti.
Taller Anarquista
(Laboratorio Anarchico)
Montevideo - Uruguay
traduzione dal castigliano di Arianna Fiore
Dibattito zapatismo 2/ Le parole non cambiano la sostanza
Sono d'accordo sull'importanza di non perdere lo spirito critico
e mi sembra molto interessante la vostra riflessione sul fatto
che il termine “sinistra” sia un concetto che nulla
ha a che vedere con la cosmovisione indigena. Penso sia quindi
pertinente criticare gli zapatisti per l'utilizzo del termine
“sinistra”, ma non credo che il suo impiego snaturi
di fatto un movimento che non aspira alla conquista del potere
né propone forme di azione che riproducono la logica
dello stato. Le parole sono molto importanti, ma secondo me
non abbastanza da cambiare la sostanza di un programma politico
e di una pratica quotidiana che sono antiautoritari e apartitici.
I principi che muovono la Otra Campaña riprendono in
tutto e per tutto quelli zapatisti, con lo scopo di mettere
in rete i movimenti di tutto il mondo che si ritrovano in essi.
A causa del carattere aperto della Otra Campaña è
possibile che tra gli aderenti ci siano collettivi o associazioni
vicine ai governi socialisti o socialdemocratici latinoamericani.
Immagino che se lo affermate è perché ne avete
esperienza.
Nel vostro contributo al numero
376 di “A” scrivete che “nell'ultima fase,
gli zapatisti hanno smesso di guardare verso il basso come avevano
fatto finora, ma lo hanno fatto guardando in basso a sinistra.
Ciò li colloca in uno spazio politico, quello della sinistra
radicale, più o meno ortodossa e leninista, in cui vengono
reiterate le politiche che gli stessi zapatisti hanno criticato
nel tempo. Inoltre, trovarsi non in basso ma in basso a sinistra,
vuol dire continuare ad avere una categoria vincolata alla forma
stato che serve alla sua riproduzione”.
L'affermazione è secondo me incorretta, forse andrebbe
circoscritta ad alcune realtà (non certo tutte) che hanno
aderito alla Otra Campaña.
Orsetta Bellani
La Spezia
L'Alfama vive, Firenze muore
L'Alfama è un quartiere nel centro di Lisbona. L'Alfama
è un villaggio in una capitale d'Europa, di quell'Europa
che stenta a tenere il passo in un mondo che si fa sempre più
globale.
Da un paio d'anni vivo all'Alfama e assisto quotidianamente
a un miracolo: una non curante partecipazione a un mondo che
cambia per ritrovare se stesso.
Sotto casa ha il negozio Emanuel. Emanuel fa il barbiere, nel
senso tradizionale del termine. Lui taglia i capelli e rade
la barba come si faceva nel secolo scorso. Inumidisce i panni
e affila la lama, poi con un sorriso satanico passa la lama
sul viso dei clienti con il solo obiettivo di non lasciare indietro
neanche un pelo. Tutte le volte che vado da Emanuel guarda i
miei capelli e mi dice che sono fortunato ad avere ancora così
tanti capelli, e che solo un professionista come lui sa tagliarli.
Quindi inizia il meticoloso lavoro della barba e dei capelli,
assentandosi ogni dieci minuti.
Da Emanuel vado con Giacomo e Giovanni. A Giacomo Emanuel dà
una spuntatina, perché Giacomo vuole i capelli lunghi,
a Giovanni fa la cresta. Due modi di essere nei quali mi specchio:
per essere teneri occorre essere un po' tamarri.
Emanuel si assenta ogni dieci minuti per due ragioni, una è
nel retro bottega, l'altra è dallo Ze. Quella del retro
bottega me la mostra con orgoglio: con un fornelletto da campeggio
si prepara il pranzo. A suo dire più buono di quello
che si può trovare nella migliore tasca dell' Alfama:
carne di vacca in brodo. Le visite allo Ze da parte di Emanuel
sono segnate dal naso rosso e dai pronunciati capillari sulla
guance. Ma come se questo non bastasse, quando mi si avvicina
nel lavarmi la testa, vengo tramortito dall'intenso profumo
di vino dell'alentejo. Ovviamente fa parte del prezzo e sostituisce
la desueta acqua di colonia.
Lo Ze gestisce un alimentari, di quelli del secolo scorso per
intenderci, dove trovi di tutto. Lo Ze è uno di quelli
di cui ti fidi per definizione. Quando vado a fare la spesa
controlla sempre la frutta che metto nel sacchetto e se non
è buona me la sostituisce. Tempo fa un tizio mi ha centrato
la macchina mentre era parcheggiata davanti al suo negozio.
Lui conosce il tizio ed è uscito per suggerire di lasciarmi
un biglietto, quindi che si è fatto carico di farmelo
avere.
Una sorta di giustizia senza legge.
Emanuel va dallo Ze a farsi il cicchetto e lo Ze va da Emanuel
a tagliarsi i capelli. Temo che il conto sia a favore dello
Ze, ma questo non impedisce di essere amici.
Una sorta di economia senza soldi.
Emanuel il barbiere e lo Ze il fruttivendolo vanno dallo Ze
il lattaio a farsi il caffè. Dallo Ze lattaio gira l'intera
Alfama occidentale, quella Sao Joao da Praca. Alla mattina quando
esco per andare al lavoro mi faccio un caffè dallo Ze
il lattaio e generalmente incontro Joao. Joao dalla tenuta dovrebbe
fare il muratore, ma da quando conosco le sue abitudini il dubbio
è diventato certezza. Joao si fa un bicchiere di vino
alle 8 del mattino. A fare colazione c'è sempre Carla
che affoga “o dulce de Deus na meia de leite” e
c'è Maria, la mia vicina di casa, che baratta un pequeno
almoço con la pulizia del locale.
Emanuel il barbiere, lo Ze lattaio e lo Ze fruttivendolo parlano
con me, Gianluca l'italiano di Facebook e tra di loro di José
che è finito un'altra volta in galera per aver rubato
i documenti a dei turisti. In fondo penso che stiano parlando
della stessa cosa, del furto delle generalità di una
persona, con la differenza che Zuckerberg di Facebook non finisce
in galera ma diventa ricco.
Ero a Firenze qualche settimana fa e la sera passeggiavo per
il centro, con occhio attento cercano di vedere il lavoro fatto
in questi anni dal probabile futuro primo ministro. Mi ha sinceramente
stupito vedere uno dei fiori all'occhiello dell'Italia ridotta
ad una vetrina senza anima.
Una città vuota di persone piena di gente.
Intendiamoci, non è certo colpa di Renzi ma...
Ho percorso via Nazionale, in centro ma appena fuori dai percorsi
turisti e sono arrivato nella comunque centralissima piazza
dell'Indipendenza, una piazza poco curata, sporca.
Se è vero, come credo, che l'opera di un sindaco non
si misura solo con le piazze sporche allora chiedo a chi vive
con gli emarginati ai bordi della città cosa ne pensa
di Renzi. Conosco da alcuni anni delle associazioni fiorentine
che operano nei quartieri periferici di Firenze. Ne esce un
quadro preoccupante di Renzi, come di uno poco attento hai bisogni
degli ultimi, quelli che arrancano dietro un'Europa che stenta
a tenere il passo in un mondo che si fa sempre più globale.
Ma è questa l'Italia che vogliamo? Un'Italia senza anima
capace di curare solo le vetrine.
Il mio non è un giudizio definitivo ma un'impressione.
In questi anni di non voto, ho riconquistato una certa verginità
politica, e ho intenzione di approfondire quello che i candidati
hanno fatto quando hanno governato. Insomma, giudicare quello
che prometteranno di fare sulla base di quello che hanno fatto.
L'Europa, il Portogallo, Firenze per come li conosciamo oggi
potranno anche sparire e con loro tutti quelli che hanno venduto
l'anima inseguendo il sogno di un progresso che dovrebbe farci
tutti oziosamente godere i frutti di un benessere che ci uccide.
L'Alfama nella sua lenta operosità invece è viva,
perché in fondo non insegue nessuno se non se stessa.
Gianluca Luraschi
gianluca.luraschi@gmail.com
Prosegue il dibattito
su
“Libertà senza Rivoluzione”
Prosegue il dibattito sul volume Libertà senza Rivoluzione
di Giampietro “Nico” Berti (Piero Lacaita Editore,
Bari 2012), di cui abbiamo ripreso qualche
stralcio in “A” 377 (febbraio). Sui numeri
successivi sono intervenuti Franco
Melandri e Domenico
Letizia (“A” 378, marzo), Luciano
Lanza e Andrea
Papi (“A” 379, aprile), Luigi
Corvaglia e Alberto Ciampi
(“A” 380, maggio), Marco
Cossutta e Salvo
Vaccaro (“A” 381, giugno), Persio
Tincani e Fabio
Massimo Nicosia (“A” 382, estate) e ora Enrico
Ferri e Antonio Cardella.
Il dibattito è naturalmente aperto a chiunque intenda
intervenire, con il limite delle 6.000 battute spazi compresi.
Dibattito
Libertà senza Rivoluzione/11
Enrico Ferri/Né comunismo, né liberalismo,
né capitalismo. L'anarchismo è differente
Il programma della riflessione è fissato nella premessa:
i fasti dell'anarchismo si collocano nel periodo che va dalla
Prima Internazionale (1864) alla rivoluzione spagnola del 1936-39.
Dalla fine della seconda guerra mondiale al '68 si assiste al
venir meno del movimento anarchico; dal '68 ad oggi “tale
disgregazione si è ulteriormente accentuata”, fino
alla “completa dissoluzione”. Ne discende, per Berti,
che se l'anarchismo – pensiero e movimento – vuole
avere un ruolo nel presente e nel futuro, deve fare i conti
con la sconfitta del comunismo e la vittoria del capitalismo.
Mi sembra riduttiva e, in ultima istanza, fuorviante la definizione/caratterizzazione
che l'autore dà dell'anarchismo e della sua stessa storia.
È difficile dire quando cominci la storia del pensiero
anarchico e quale sia stato il primo atto coscientemente anarchico
nella storia. L'anarchismo ha una matrice classico-umanistica
(non quella della “civiltà occidentale”,
che esiste solo sui libri): una visione positiva e ottimistica
dell'uomo quale essere fondamentalmente socievole e cooperante,
capace di autoregolare la sua esistenza, in modo cooperativo,
solidale, non coercitivo, al di fuori della logica servo-padrone,
delle gerarchie. È una forma di democrazia diretta in
cui l'individuo è spinto a partecipare, a prendere posizione,
a decidere, a difendere le sue decisioni, a identificare nello
stesso soggetto (il popolo, inteso come insieme di individui
differenziati) il governato e il governante.
Quella dell'anarchismo è un'antropologia di segno positivo
per cui ogni uomo è ritenuto capace di promuovere e garantire
lo sviluppo integrale dei molteplici aspetti della sua persona,
accanto e con la cooperazione (e, se necessario, in aiuto) degli
altri uomini.
All'ottimismo antropologico si lega una visione scettica, sospettosa
del potere o, se vogliamo, dell'uomo che esce da un rapporto
orizzontale e cooperante con i suoi simili, per porsi al di
fuori e sopra la comunità. Una visione scettica del potere
che cessa di essere strumento comune e condiviso, per obiettivi
atti allo sviluppo degli individui, e diventa strumento di parte,
usato contro altre componenti della società.
Gli anarchici non sono contro l'autorità legittima, riconosciuta,
non coercitiva, che serva secondo l'etimo (da augere)
ad accrescere le possibilità comuni, come l'autorità
del medico accresce la salute e quella del docente la conoscenza;
l'anarchismo è contro l'uso antisociale del potere, contro
l'uso che ne compromette la condivisione e l'utilità
generali, universale sarebbe meglio dire. La libertà,
in questa prospettiva insieme antropologica, esistenziale e
sociale, è una e ben definita, né “schizoide”
né “infinita”: è la possibilità/necessità
di uno sviluppo integrale della persona, di ogni persona, vista
sempre come suscettibile di una crescita e di un miglioramento
ulteriori. Riduzione del tempo dedicato alla soddisfazione del
bisogno, valorizzazione della dimensione spirituale (culturale),
ludica, emozionale, sensuale dell'esistenza per ridiventare
padroni del proprio tempo e, alla maniera di Stirner: “godere
della vita e di se stessi”: non è un modello social/popolare
di vita e di uomo, ma una prospettiva aristocratica generalizzata.
Un tipo di vita esteso a tutti gli esseri umani, a spese di
nessuno.
Libertà significa in questa prospettiva rimuovere gli
ostacoli al libero sviluppo individuale, creando e promuovendo
dimensioni complessive atte a favorire tale sviluppo. Perciò
è anarchico il gesto di uno Spartaco che si ribella,
come quello di chi costruisce una scuola che voglia aiutare
dei bambini ad acquisire consapevolezza, senso di sé
e degli altri. Se questi sono alcuni dei caratteri essenziali
dell'anarchismo, appare molto riduttivo confinarlo in un movimento
o un “episodio” storico, pensare che possa “morire”
la speranza e la fiducia nell'uomo e nella vita, che hanno trovato
anche nell'arte, nella poesia, nella filosofia, nella letteratura,
persino in certe correnti religiose le loro manifestazioni più
articolate, tanto come negazione della coercizione che come
promozione del libero sviluppo individuale.
L'anarchismo dovrebbe ridefinirsi dopo la sconfitta del comunismo
e la vittoria del capitalismo. Il comunismo del “socialismo
reale” ha mostrato presto la sua incapacità teorico/pratica
di raggiungere gli scopi che una parte significativa dell'umanità
aveva condiviso. Gli stessi dell'anarchismo: la liberazione
materiale e spirituale dell'uomo. Ha prodotto una nuova tirannide
dove è venuta meno tanto la libertà dal potere
dispotico e autocratico che la libertà intesa come possibilità
concreta di crescita materiale e spirituale generalizzate. È
venuto meno il comunismo, ma non le esigenze e le richieste
di condivisione del benessere e dello sviluppo, di solidarietà.
Il capitalismo ha vinto? Avrebbe vinto se avesse generato e
promosso quella ricchezza e quello sviluppo che dovrebbero essere
parti del suo Dna, ma che sono rimasti prerogative di pochi,
pagate da molti. Con un modello rozzo di benessere e di crescita
fondato sull'“appropriazione”, termine caro ai Ferengi
di Star Trek, ma che Berti usa senza ironia.
Nella seconda parte c'è una lunga disamina alle varie
posizioni presenti nel movimento anarchico, anche se il modello
a cui tendere sembra delineato nella prima parte del libro:
una prospettiva liberal-capitalistica con qualche appropriazione
in più e qualche guerra in meno. Ne riparleremo più
ampiamente...
Enrico Ferri
Dibattito
Libertà senza Rivoluzione/12
Antonio Cardella/Ma, con tutti i nostri difetti, noi ci siamo ancora
Premetto che non posseggo gli strumenti necessari per valutare
appieno l'enorme mole di lavoro che ha consentito a Nico Berti
di portare a compimento Libertà senza rivoluzione,
un'opera meritoria da qualunque angolazione la si consideri.
Berti, quindi, mi assolverà se il mio intervento sarà
quello di un militante anarchico che, per l'età avanzata,
ha avuto il privilegio di parlare su certi argomenti che il
libro tratta con compagni, adesso purtroppo scomparsi, che hanno
vissuto da contemporanei impegnati le vicende a cavallo del
XIX e XX secolo.
Berti – a mio modo di vedere – vive come evento
inesorabile e duraturo il prevalere del capitalismo borghese
sul fronte dell'opposizione di matrice prevalentemente marxista.
Sempre a mio modo di vedere, quando lo scontro avviene all'interno
di un sistema che nessuno dei contendenti vuole radicalmente
cambiare, è normale che chi detiene il potere economico
(o, se si preferisce, il possesso dei mezzi di produzione delle
risorse) prevalga sugli oppositori. È stato sempre così
e nessuna meraviglia che sia capitato anche nella lunga vicenda
della lotta di classe delle origini. Come aveva giustamente
osservato Bakunin prima di uscire da una Prima Internazionale
svilita dalle beghe interne e dalla miopia arrogante di Karl
Marx, il privilegiare la lotta economica su quella socio-politica
avrebbe portato alla sconfitta la causa dei lavoratori e determinato
l'involuzione autoritaria del movimento internazionalista. Lo
stato sovietico, esito della Rivoluzione d'Ottobre, confermò
appieno le previsioni di Bakunin e dei fuoriusciti anarchici
riunitisi a Saint Imier. L'involuzione leninista che disegnò
gli assetti dello stato sovietico, non è – a mio
parere – una tragica deriva di un marxismo virtuoso, ma
la conseguenza di una logica tutta interna alle dinamiche del
potere. Il dramma del marxismo è tutto nel non aver compreso
che il semplice possesso dei mezzi di produzione da parte del
proletariato non avrebbe risolto il problema dell'eguaglianza
e della libertà dei popoli se non si fossero affrontati
correttamente i temi di un nuovo assetto politico-sociale che
non facesse più perno sulla forma stato. Di fatto, riproponendo
la lotta per il potere (la dittatura del proletariato) Marx
riconduceva il conflitto all'interno della logica capitalistico-borghese
e rinviava ad un futuro improbabile e senza premesse credibili
una società senza stato.
In buona sostanza, in ambedue le visioni, quella liberal-democratica
e quella comunista, lo stato era la struttura portante: da una
parte della barricata l'involuzione autoritaria del mondo (prima
e dopo la Spagna del '36 e prima e dopo il secondo conflitto
mondiale); dall'altra, lo stato liberaldemocratico della borghesia
capitalistica.
Veniamo adesso alla asserita vittoria (altrettanto epocale)
del capitalismo evocata da Berti.
Intanto a me sembra importante distinguere di quale capitalismo
parliamo: considerare il capitalismo che si gioca prevalentemente
in borsa, in continuità con il capitalismo che produceva
– con tutti i suoi limiti – beni e servizi destinati
ad ampliare le aree del benessere (certamente relativo) delle
popolazioni, vuol dire ritenere che la natura del mercato e
la funzione del denaro siano nei due casi quanto meno comparabili,
il che è improponibile. La semplice constatazione che,
a fronte di un pil planetario valutato intorno ai 75mila miliardi
di dollari, la circolazione del denaro nella stessa area è
di circa otto volte superiore (in soldoni circa 600mila miliardi)
porta a distinguere la qualità e la natura stessa delle
due forme di capitalismo. Il che equivale a dire che la speculazione
finanziaria, la capacità del denaro di riprodurre per
partogenesi se stesso, siano incommensurabilmente lontane dall'economia
reale. Quanto questo liberalismo e liberismo siano vincenti
lo vediamo nella stagione drammatica che viviamo, con la quantità
di buchi neri che inesorabilmente ingoiano risorse umane e materiali,
desertificando aree sempre più ampie del pianeta.
Per coerenza gli anarchici sono rimasti estranei a queste logiche
e, con tutti i loro difetti, ci sono ancora, al contrario di
alcuni ismi che sembravano avere vite imperiture. Certo,
spesso abbiamo sopportato il peso gravoso dell'isolamento quando
non addirittura dell'irrisione, ma siamo ancora qui a discutere
se un altro mondo è possibile, che rimane un modo originale
e complesso di fare politica.
Le mie osservazioni su Libertà senza rivoluzione
si fermano qui. Ritengo il lavoro di Nico Berti in ogni caso
prezioso per la capacità dell'autore di focalizzare aspetti
decisivi per una riflessione sulla necessità di riattualizzare
il pensiero anarchico in tempi sideralmente lontani dalle origini,
anche se la barra resta fissa sulla prospettiva di una società
di liberi ed eguali.
È chiaro che non ce la faremo da soli: dobbiamo trovare
compagni di viaggio per un percorso tutt'altro che scontato,
in un mondo che cambia continuamente i suoi assetti geo-politici.
Dobbiamo guardare senza scetticismi i turbamenti dei popoli
emergenti. Chi per avventura ne ha conosciuto le popolazioni,
sa che, a loro modo, declinano le medesime istanze di libertà
e progresso.
Grazie, Nico.
Antonio Cardella
Documentarsi sull'Islam, prego
Senza polemica, ma consiglierei agli autori dei due articoli
raccolti sotto il titolo “Sfida
laica all'Islam” (“A” 381, giugno 2013)
di leggersi un qualsiasi libro di Massimo Campanini o il commento
di Alberto Ventura al Corano, così forse avrà
le idee più chiare sull'Islam.
Io sono laico e non credente, molto curioso verso le altre culture
qualsiasi esse siano, e non mi interessa che non corrispondano
a categorie occidentali magari universali solo perché
dominanti a prescindere dalla loro validità filosofica
e politica. E se è vero che siamo così democratici,
perché invece di criticare non aiutiamo l'Islam a comprendere
meglio il senso della democrazia, di modo che possano poi tradurla
in una maniera che rispetti la loro cultura e la loro storia?
Con affetto.
Maurizio Garuglieri
(Roma)
Non è questo il momento di chinare la testa
Scrivo e invio questo appello assolutamente personale ad A
- rivista anarchica perché è l'unica rivista anarchica
che conosco oggi in Italia. La mia è una posizione assolutamente
individuale, quindi non pretendo sia considerata espressione
di alcunché se non di me stessa.
Io voglio solo avere un canale per fare un invito che sento
urgente e che non ho altro modo di fare poiché non sono
iscritta né milito in nessuna organizzazione o federazione
anarchica. Ma anarchica lo sono.
Credo che ci sia urgenza per tutti i liberi pensatori di questo
paese di unirsi il più presto possibile, ma non affrettatamente,
ai movimenti del proprio territorio. Qualunque essi siano.
Non ho votato a queste elezioni, col cuore più leggero
del solito. Non ho letto giornali, né guardato tv negli
ultimi mesi, non ho seguito la campagna elettorale se non tramite
amici e militanti selezionatamente interessati. Eppure vedo
con preoccupazione lo svolgersi degli eventi. Da un lato i “grillini”
che non si sa quanto riusciranno a rendersi indipendenti da
Grillo e come si comporteranno in parlamento: voteranno? Produrranno
leggi e quali? Seguiranno la catena di comando? Si asterranno
da tutto restringendo di fatto il potere decisionale? Si divideranno
e, in buon ordine, responsabilizzeranno e cederanno al fascino
dell' “istituzionalità”? Il potere li accecherà
e gli farà perdere qualunque contatto di umanità?
Ne approfitteranno restando puri per spingere sul 100 per cento
alle prossime elezioni? Io non lo so.
Dall'altro lato i politici della seconda (terza? quarta?) repubblica
che sembrano aver ricevuto la classica doccia fredda cui sono
seguiti “barlumi” di risveglio che certo non meritano
fiducia alcuna. Gli si legge in faccia la voglia solo di tornare
a un tran tran noto e conosciuto in cui indignarsi, costernarsi,
impegnarsi e “gettare la spugna con gran dignità”
ancora e ancora. Che cosa faranno è prevedibile quasi
un secondo prima che lo facciano o lo dichiarino. Il destino
collettivo non li appassiona in modo alcuno.
Poi ci sono i movimenti, le lotte, gli operai di qualunque colore
e settore economico, i lavoratori della conoscenza e del sociale
e gli artisti che vivono in costante senso di spaesamento. Sanno
che le loro pratiche e analisi sono oggi le uniche in grado
di difendere e proporre la libertà, ma ancora una volta
si trovano al giogo della storia. La guerra non è stata
ancora dichiarata, sapremo (forse solo fra 20 o 30 anni) qual
è stato il momento di inizio, ma già gli effetti
si dispiegano in tutta la loro violenza per le strade, nelle
carceri, nei Cie e sempre più, ovunque esista aggregazione.
Non è questo il momento di chinare la testa, non è
il momento di nascondersi, non è il momento di non rispondere
a chi si è scelto il proprio destino sputando a terra
le idee di libertà e diritti con cui fino a ieri si è
sciacquato la bocca. Nessuno sa che cosa fare, per chi parteggiare.
Ma vogliono tutti la governabilità e la sicurezza e in
un modo o nell'altro la otterranno. Che sia una dittatura, il
capitalismo selvaggio o la mano invisibile di vernice repubblicana
sarà solo un modo di accelerare sulla reazione, sulla
repressione e un nuovo nascondersi e aspettare per anni. Si
leggono su Facebook le parole di Mao, rimbalzano sui comunicati
anche se non sempre dichiarate: “la situazione è
eccellente”. Be', a me non pare proprio. A me pare preoccupante.
Io sto nelle lotte, non so come starci e faccio più casini
che unione, ma ci sto. Ma mi sento tanto sola. Quando leggo
un articolo di una qualche compagna o compagno con le mani (e
la coscienza) sporche, magari dal carcere, mi commuovo. Sono
una donna e mi sento un po' una principessina, ma la mia, almeno
a voi, la voglio dire liberamente. Resto anonima però.
Nei movimenti siamo visti come “settaristi” oppure
ho sentito l'altro giorno dire ad Ascanio Celestini che è
un puritano. Nessuno, di nuovo, ci sopporta più ben volentieri.
Ancora una volta la parola utopia è diventata qualcosa
di cattivo, come una droga pesante che i benpensanti schifano:
l'eroina, anzi no, il metadone del pensiero critico. Ancora
una volta la libertà viene accusata di non dare da mangiare.
Non c'è niente di nuovo sotto il sole direte voi? Be',
io credo che la vostra sia una speranza. Ma anche aveste ragione,
sarebbe meglio? Quanto ancora aspetteremo prima di rompere le
fila? E che cosa aspettiamo?
Abbasso l'identitarismo! Anche quello anarchico!
Con tutto l'affetto. Saluti antifà.
Giulia Ponti
giulia.ponti@email.it
|
“A” Berlino...
Berlino (Germania). Cinzia Piantoni, di Erre & Pi,
grafica e impaginatrice della nostra rivista, davanti alla
porta di Brandeburgo |
|
I
nostri fondi neri
|
Sottoscrizioni. Giorgio Bixio (Sestri Levante
– Ge) 10,00; Marino Frau (Serrenti – Vs)
10,00; Aurora e Paolo (Milano) ricordando Audrey Goodfriend,
500,00; Antonello Amico (Caltanissetta) 10,00; Piero
De Leonardis (Brindisi) 10,00; Roberto Nanetti (Settimo
Torinese – To) 50,00; Agostino Perrini (Brescia)
10,00; Remo Ritucci (San Giovanni in Persiceto –
Bo) 10,00; Roberto Salati (Chirignago – Ve)
40,00; Lorenzo Partesana (Sondalo – So) 10,00;
Antonello Cossi (Sondalo – So) 100,00; Giuseppe
Loche (Cortemaggiore – Pc) 10,00; Libreria San
Benedetto (Genova) 9,90; Roberto Ceruti (Albisola
Marina – Sv) 10,00; Valerio Strano (Cosenza)
5,00; Luciano Collina (Sala Bolognese – Bo)
10,00; Giuseppe Anello (Roma) 100,00; Giovanni Battista
Albani (Ravenna) 10,00; Giancarlo Nocini (San Giovanni
Valdarno – Ar) 10,00; Antonino Pennisi (Acireale
– Ct) 20,00; Ugo Fortini (Signa – Fi)
ricordando Milena e Gasperina, 30,00; Enrico Moroni
(Settimo Milanese – Mi) 10,00; Gianfranco Cutillo
(Bari) 40,00; Settimio Pretelli (Rimini) 20,00; Rino
Quartieri (Zorlesco – Lo) 50,00; Leonardo Muggeo
(Canosa di Puglia – Ba) 10,00; Laura Cipolla
(Casalmaiocco – Lo) 20,00; Gianni Forlano e
Marisa Giazzi (Milano) ricordando Errico Malatesta
il 22 luglio, 100,00; Giulio Abram (Trento) 30,00.
Totale € 1.234,90.
Abbonamenti sostenitori. (quando non altrimenti
specificato, trattasi di euro 100,00). Paolo
Trezzi (Lecco); Mauro Reghellin (Cassola – Vi);
Rrodolfo Altobelli (Canale Monterano – Rm);
Claudia Pinelli (Milano); Alessandro Marutti (Cologno
Monzese – Mi); Giancarlo Tecchio (Vicenza) 200,00;
Nuccia Pelazza (Milano); Agostino Perrini (Brescia);
Marco Breschi (Capostrada – Pt) 200,00; Roberto
Di Giovannantonio (Roseto degli Abrizzi – Te);
Collettivo d'Agraria (Firenze); Giovanni Baccaro (Padova);
Andrea Morigi (Savignano sul Rubicone – Fc);
Alfonso Amendola (Salerno); Battista Saiu (Biella);
Marco Galliari (Milano) ricordando Franco Pasello.
Totale € 1.800,00.
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