Per
la valorizzazione del patrimonio culturale anarchico
Nei giorni 5, 6 e 7 dicembre 1969 a Torino, presso la Fondazione
Luigi Einaudi, si svolse il convegno “Anarchici e anarchia
nel mondo contemporaneo” a cui partecipò anche
lo storico Pier Carlo Masini, con una relazione intitolata:
“Una raccolta di pubblicazioni rare e non comuni per la
storia dell'anarchismo”. Tale relazione conserva anche
oggi una notevole importanza per il movimento anarchico e la
cultura storica in generale, soprattutto per quanto riguarda
la scoperta e la conservazione della documentazione relativa
a eventi storici, anche locali.
Le parole di Masini, anche se datate storicamente, mantengono
la loro attualità. Nel descrivere la Biblioteca Max Nettlau,
da lui creata all'interno della propria abitazione (prima a
Bergamo poi a Palazzago per la Secchia – Bg), scriveva:
“Abbiamo indicato come tema della biblioteca i 'movimenti
d'emancipazione': definizione che ci è sembrata più
larga di quella di 'movimenti libertari' e meno consunta di
quella dei 'diritti dell'uomo' anche se questo è pure
il senso della qualificazione e specializzazione della biblioteca:
raccogliere, conservare, ordinare, illustrare la documentazione
attinente ai diritti di libertà, di dignità, di
indipendenza dei lavoratori, delle donne, degli studenti, degli
artisti, degli discriminati per lingua, razza, religione, sesso,
età, istituzione, condizione sociale, fisica o psichica
(...).
Un ventaglio di movimenti e di interessi: libertà personale
e di gruppo, libero pensiero e libero amore, amicizia e riconciliazione
dei popoli, utopia e riforme, tolleranza di religione e antireligione,
revisione e dissenso, rivendicazione antiautoritaria e rivoluzione
libertaria, vecchie bandiere come pacifismo, antimilitarismo,
internazionalismo e nuove forme di contestazione, di eresia,
di rifiuto, la antica e moderna suggestione di esperienze comunitarie
autodirette, solidarietà e umanesimo, il discorso libertario
riportato al centro della famiglia, della scuola, del partito,
del sindacato, della chiesa. Tutto questo interessa alla Biblioteca”.
Per Masini la Biblioteca è contemporaneamente una centrale
di propaganda e un servizio tecnico, che vuole essere ampio
ed efficace, oltre che politicamente impegnato.
Nella relazione analizza le problematiche legate al lavoro di
catalogazione e archiviazione illustrando il catalogo della
Biblioteca di Bergamo. Descrive quali sono le direzioni che
intende seguire, come la ricostruzione editoriale dei periodici
di alcuni gruppi anarchici, tra cui Il Risveglio di Luigi Bertoni,
Il Pensiero di Camillo Di Sciullo, L'Adunata dei Refrattari;
ma anche pubblicazioni esterne al movimento anarchico, come
Critica Sociale e l'Avanti!.
Altro fattore innovativo di cui Masini si fa portavoce (non
dimentichiamo che la relazione in esame è del 1969) è
la ricostruzione micro-filmica delle collezioni dei più
rari periodici anarchici, socialisti e repubblicani. Tra gli
esempi citati, le registrazioni magnetofoniche di testimonianze
orali raccolte dall'Istituto Ernesto de Martino di Milano e
dal Museo degli Esuli di Bergamo.
Le considerazioni di Masini, attualizzate e contestualizzate
per la nostra epoca, sono da rileggere per una riflessione contemporanea
sullo stato di biblioteche, fondazioni e archivi legati al mondo
libertario, senza dimenticare il rapporto con gli studenti e
le nuove generazioni. Sempre Masini scriveva: “Il nostro
dramma, il dramma della nostra generazione delle o fra le due
guerre, è quello di poter trasmettere senza paternalismi
ma per naturale tradizione alla generazioni venienti ciò
che abbiamo vinto e vissuto, ivi compresi i miti che abbiamo
consumato con la nostra esperienza, gli errori che ci hanno
coinvolti”. Insegnamenti validi ancora oggi, stimoli per
rafforzare e proteggere dall'indifferenza e dall'usura i luoghi
culturali del movimento anarchico e libertario.
Domenico Letizia
Maddaloni (Ce)
Lettera aperta della comunità rom di Vaglio Lise (Cosenza)
Vi è mai successo di essere massacrati di botte mentre
andate al supermercato a comprare il pane per i vostri figli?
Siete mai stati accusati di una cosa che non avete fatto?
A noi tutto questo succede da ormai un mese. Ogni volta che
usciamo dal villaggio per andare a fare la spesa, su via Popilia
veniamo aggrediti, picchiati, insultati da persone che dicono
di volersi vendicare per aver subito dei furti.
Ci rivolgiamo proprio a queste persone, più che al resto
della cittadinanza e a quanti nel quartiere ci hanno sempre
dato affetto e ospitalità. Chiediamo a questi giovani
se secondo loro è giusto che a pagare debbano essere
padri di famiglia innocenti, uomini che si alzano all'alba ogni
giorno per andare a vendere aquiloni e collanine sulle spiagge.
Ai giovani che si aggirano intorno alle nostre baracche, armati
di pistole, benzina e mazze da baseball vorremmo chiedere se
a loro sia mai capitato di essere picchiati, perseguitati, incarcerati
ingiustamente.
Evidentemente no! È chiaro che questi giovani non hanno
mai provato questa esperienza terribile, altrimenti non si comporterebbero
come si stanno comportando. Perché non è giusto
né umano fare ad altri quel che non si vorrebbe mai subire
sulla propria pelle.
A noi invece sta capitando. Ogni giorno viviamo nel terrore.
E di notte non dormiamo, perché temiamo che qualcuno
possa incendiare le nostre baracche, far del male ai nostri
bambini. Una settimana fa, mentre passava davanti a una chiesa,
un abitante del campo rom, un uomo che vive a Cosenza da quasi
dieci anni e mai si è macchiato del minimo reato, è
stato investito da una macchina. Dalla macchina sono scesi due
giovani che, invece di soccorrerlo, si sono accaniti su di lui
a colpi di mazze, spaccandogli la testa. È umano tutto
ciò?
Alle istituzioni chiediamo sicurezza.
Ai parenti e agli amici di questi giovani che fanno le ronde,
chiediamo di parlare con loro, spiegare che l'uso della violenza
è sempre sbagliato, e che attaccare gli innocenti solo
in base alle loro origini etniche è un crimine contro
l'umanità.
Comunità rom del campo di Vaglio
Lise
Cosenza, 5 settembre 2013
Prosegue il dibattito
su
“Libertà senza Rivoluzione”
Prosegue il dibattito sul volume Libertà senza Rivoluzione
di Giampietro “Nico” Berti (Piero Lacaita Editore,
Bari 2012), di cui abbiamo ripreso qualche
stralcio in “A” 377 (febbraio). Sui numeri
successivi sono intervenuti Franco
Melandri e Domenico
Letizia (“A” 378, marzo), Luciano
Lanza e Andrea
Papi (“A” 379, aprile), Luigi
Corvaglia e Alberto Ciampi
(“A” 380, maggio), Marco
Cossutta e Salvo
Vaccaro (“A” 381, giugno), Persio
Tincani e Fabio
Massimo Nicosia (“A” 382, estate), Enrico
Ferri e Antonio
Cardella (“A” 383, ottobre) e ora Cosimo Scarinzi
e Francesco Codello.
Il dibattito è naturalmente aperto a chiunque intenda
intervenire, con il limite delle 6.000 battute spazi compresi.
Dibattito
Libertà senza Rivoluzione/13
Cosimo Scarinzi/La fortezza è occupata e noi siamo franchi tiratori
So che non si dovrebbe quando si tratta dell'opera di altri
fare cenno a se stessi, e che un simile comportamento può
sembrare autocelebrativo. Tuttavia, la lettura del ponderoso
libro di Giampiero Berti mi ha indotto a tornare con la mente
a vicende minori vecchie di decenni che paradossalmente sembrano
anticiparlo.
All'inizio degli anni '70 mi capitò, parlando in piazza
Firenze a Milano con Dada Maino – che scoprii anni dopo
essere una famosa pittrice ma che allora conoscevo solo come
militante del gruppo Azione libertaria – di rilevare che
l'anarchismo affondava le sue radici nel liberalismo mentre
il socialismo di stato era lo sviluppo della democrazia giacobina,
e di notare da parte sua uno sguardo fra l'irridente e il corrucciato,
non so se per la tesi in sé o per l'entusiasmo giovanile
che mostravo nel sostenerla.
Oltre vent'anni dopo, quando la stagione delle speranze rivoluzionarie
era ormai oggetto di memoria, Maurizio Marotta, un compagno
del gruppo Comidad di Napoli, mi fece rilevare, riferendosi
all'affermarsi in campo anarchico di posizioni che lui definiva
– anch'egli con qualche ragione – occidentaliste,
che la fortezza era occupata e che noi eravamo ormai dei franchi
tiratori. Immagine che trovai affascinante: dei rivoluzionari
non solo senza rivoluzione ma senza nemmeno un movimento, un
ambiente, un discorso condiviso rivoluzionario. Immagine, lo
ammetto, che suscitava una sorta di bizzarro orgoglio.
Tutti questi pensieri e altri mi sono passati per il capo mentre
leggevo il libro di Giampietro Berti, un libro di un genere
che di questi tempi capita raramente di leggere visto che si
propone, con ogni evidenza, il compito di fondare una teoria
politica, cosa che in campo anarchico, e non solo in campo anarchico,
non mi pare sia usuale.
Dato che si tratta di un testo che tocca molti argomenti, sceglierò,
in maniera inevitabilmente discutibile, due questioni che mi
sembrano meritevoli di interesse.
La prima è, ma solo in apparenza a mio avviso, stilistica.
Nico Berti scrive in uno stile riflessivo, analitico, disteso,
equanime tranne che in un caso, e cioè quando tratta
di coloro che si vogliono rivoluzionari.
Quando (p. 49) si parla di “delirio dell''uomo nuovo'”
o (p. 76) si fa riferimento alla “violenza criminale”,
quando (p. 153) si afferma “solo un anarchico cretino
e irresponsabile, succube della superstizione rivoluzionaria,
può ritenere che una qualsiasi dittatura sia equivalente
a una qualsiasi democrazia o a un qualsiasi liberalismo, solo
un anarchico cretino e irresponsabile, succube della superstizione
rivoluzionaria, può ritenere che Aldo Moro sia accomunabile
ai suoi assassini” è evidente uno scarto stilistico
che corrisponde, almeno a mio avviso, a un problema di teoria
politica.
Se, infatti, come Nico Berti sostiene, una rivoluzione è
impossibile e non desiderabile e, per sovrammercato, il movimento
anarchico realmente esistente conta da decenni come il due di
coppe a briscola quando briscola è bastoni, perché
adirarsi in tale misura contro i pochi sconsiderati che la vedono
diversamente?
Si noti bene: chi scrive, che sarà magari per altre ragioni
cretino e irresponsabile, non pensa affatto che il Cile di Pinochet
fosse equivalente a quello attuale e anzi ritiene che si debba
operare perché la libertà di espressione, azione,
organizzazione anche nel quadro della società statale
e capitalistica sia una conquista fondamentale al cui allargamento
si deve attivamente operare.
Nello stesso tempo crede, e faccio solo un esempio, che vicende
come quella della lotta armata in Italia non si possano spiegare
ricorrendo solo o principalmente a strumenti interpretativi
di tipo psicoanalitico o, peggio, a giudizi sul quoziente intellettuale
di chi ne fu attore e che, magari, una ricostruzione storica
puntuale che tenga conto, anche in questo caso faccio solo un
esempio, della stagione delle stragi di stato non guasterebbe.
La seconda è contenutistica e ci riconduce alla premessa:
per Nico Berti l'anarchismo non è pianta di ogni clima
ma prodotto di una e una sola civiltà, quella
occidentale.
Ora, sul piano della storia delle idee, questa tesi può
essere considerata elegante non fosse altro perché opera
una notevole semplificazione di una storia complessa e contraddittoria
anche sul piano dell'elaborazione teorica oltre che su quello,
che continuo a ritenere prioritario, dell'azione pratico sensibile.
Peccato però che crolli come un castello di carte di
fronte, ad esempio, al semplice fatto che tale Michail AleksandrovicĀ
Bakunin, che con l'anarchismo mi risulta qualche relazione l'abbia
pur avuta, ha formulato una teoria della rivoluzione che prevede
un ruolo centrale per le masse contadine, in particolare anche
se non solo russe, non dopo previo addestramento al capitalismo
alla civiltà occidentale ma contro questo processo
e di anarchismi meticci di questa sorta ve ne sono stati diversi,
si pensi alla rivoluzione messicana, al piano di Ayala e a Emiliano
Zapata e ritengo altri ve ne saranno.
Sia ben chiaro, non voglio opporre l'autorità di Bakunin
a quella di Berti, piuttosto vorrei far rilevare che o una teoria
politica ha un valore generale o qualche problema si pone.
Per stare sul terreno proposto dallo stesso Berti, la teoria
politica liberale che riserva il godimento della pienezza dei
diritti sociali solo a una classe sociale e, di quelli politici
solo a una parte della specie non è affatto andata in
crisi di fronte al fatto che la liberale Inghilterra possedesse
un gigantesco impero coloniale i cui abitanti erano esclusi
dalla libertà politica per la sua intrinseca natura di
classe e di élite.
Una teoria politica libertaria non gode dello stesso privilegio,
o si propone l'emancipazione della specie, di tutta la specie
o, non se ne abbia a male Berti, non è di alcuna utilità
e interesse.
Ovviamente quest'obiettivo, che di norma si chiama rivoluzione
ma io non mi appassiono ai termini, è una scommessa e,
se vogliamo, un criterio regolativo in mancanza del quale sarebbe
forse opportuno dichiararsi liberali, ma questa è una
scelta che non si può imporre a nessuno.
Cosimo Scarinzi
Dibattito
Libertà senza Rivoluzione/14
Francesco Codello/Criticare facile, confutare, invece...
L'anarchismo fra la sconfitta del comunismo e la vittoria del
capitalismo: questo l'oggetto principale dell'analisi di Giampietro
Berti in questo poderoso volume destinato a passare alla storia
del pensiero anarchico e a far discutere per molto tempo ancora.
Impossibile dar conto delle tante tesi contenute nel libro in
modo soddisfacente visto l'esiguo spazio a disposizione. Bisogna
premettere comunque che è necessario tenere separate
due opzioni: la critica (sempre legittima e utile) e la confutazione
(l'opporre cioè a una tesi un'altra tesi fondata su dati
di fatto e pragmatismo). Non sempre, cosa peraltro ben comprensibile,
ciò è avvenuto anche nei confronti di questa ricerca
così sostanziosa e documentata.
La conclusione di Nico Berti è un de profundis
irreversibile per l'anarchismo (così come storicamente
si è arenato il movimento) e uno spiraglio di possibilità
per l'anarchia (l'anima universale dell'idea). Con la sconfitta
(fallimento) del comunismo, il trionfo del capitalismo, anche
l'anarchismo si sente male, non è più dentro
ma contro la storia, ma semplicemente fuori dalla
storia. A condannare definitivamente l'anarchismo, secondo Berti,
è la sua essenza rivoluzionaria che, di fatto, impedirebbe
allo stesso di poter perseguire la libertà, per una varietà
di ragioni e di riflessioni che qui non è possibile riassumere
e per le quali non mi resta che rimandare alla lettura del testo.
L'anarchismo dunque dovrebbe abbandonare la sua dimensione apologetico-rivoluzionaria:
l'idea di edificare un uomo nuovo, distruggere definitivamente
la società illuministica e borghese, in sintesi annientare
quel percorso storico che si definisce come Modernità.
La sua unica possibilità di salvezza, sempre secondo
il nostro autore, starebbe nel partire da dove è arrivata
la democrazia occidentale, dalle sue conquiste, dalle sue inalienabili
libertà.
La critica che gli interventi precedenti hanno mosso al testo
bertiano è stata puntuale, chiara, decisa, variegata
e ricca di spunti di discussione. La critica appunto, non sempre
così, mi pare, la confutazione. Prima considerazione
che Berti sviluppa sulla quale occorre riflettere perché
da essa deriva gran parte dell'impianto argomentativo del libro:
il capitalismo, a differenza del comunismo (e dell'anarchismo)
è un evento e non un progetto. Ciò
significa che mentre il capitalismo si è imposto naturalmente,
sta dentro lo sviluppo naturale delle cose, il comunismo (e
quindi anche l'anarchismo) è il frutto di una deliberata
azione di progettazione e di realizzazione degli uomini e delle
donne. Questa affermazione, mi pare, non solo non è suffragata
da dati e da argomenti forti, ma è, secondo il mio punto
di vista, sostanzialmente errata. Essa trascura tutte le poderose
ricerche storiche, antropologiche, geo-politiche che, dati alla
mano, hanno analizzato quella che, da Marx in poi, è
stata definita la “cosiddetta accumulazione originaria”,
vale a dire quel processo di colonizzazione e di sfruttamento,
intriso di una violenza senza precedenti, che ha caratterizzato
la nascita del capitalismo. Sostenere che il capitalismo è
un evento, significa, di fatto, accreditarne una sua naturalità
e quindi giustificare la sua vittoria (giustificare è
ideologico; non negarla, fino a ora però, è incontrovertibile).
Attenzione però che le crisi, che sono intrinseche al
capitalismo e ricorrenti, permettono (non automaticamente ovviamente)
di liberare energie e immaginari alternativi e diversi.
Seconda considerazione: la democrazia è un prodotto dell'occidente
illuministico europeo e costituisce il massimo (e insuperabile,
Nico?) livello di libertà che la società ha prodotto
e, quindi, non solo va difesa e salvaguardata, ma anche assunta
come paradigma di civiltà nei confronti del resto del
pianeta. A parte il fatto che, anche qui, autorevoli e puntuali
studi, hanno dimostrato che la democrazia (intesa come pratica
di partecipazione e di esercizio delle decisioni) non è
stata, e non è neppure adesso, una esclusiva prerogativa
europea e occidentale (Clastres, Graeber, Sen, ecc.), come forma
di governo, sia nella sua versione roussoniana e giacobina e
socialista, che populista e demagogica ammantata di liberalismo,
ci ha proposto orrori altrettanto nefandi, perché, tutto
sommato, si fonda sull'accettazione della logica escludente
della maggioranza impedendo, di fatto, ogni diversità
e pluralità concreta di espressione. La democrazia non
può costituire l'orizzonte dell'anarchismo, perché
l'anarchia è un al di là, un qualcosa di più
e di diverso, della democrazia, anche se, e qui condivido pienamente
l'idea bertiana, democrazia e totalitarismo non solo non sono
la stessa cosa, ma solo da un ampliamento e uno spostamento
estremo delle libertà democratiche è possibile
intravedere una società più libertaria, alzare
cioè quel tasso di anarchismo che è già
presente (Colin Ward) dentro le maglie soffocanti della società
del dominio. In altre parole ciò che intendo sottolineare
è che la democrazia non è la soluzione
(casomai una soluzione) ma è un problema (nel
senso che la sua messa in pratica apre una infinità di
altri problemi).
Terza considerazione: se è definitivamente tramontata
l'illusione (non la possibilità) che la Rivoluzione possa
edificare una società più libera e più
giusta, è altrettanto vero che senza una rottura radicale,
che si traduca in comportamenti quotidiani coerenti, con l'immaginario
sociale dominante, nessun cambiamento degno di questo nome sarà
mai possibile. Premesso tutto questo a partire da qui si dovrebbe,
a mio avviso, discutere e verificare possibili confutazioni
al testo di Berti.
Lo spazio non mi permette di approfondire ulteriormente un ragionamento
pacato, non ideologico, su molti altre questioni che il libro
solleva. Un testo destinato a rappresentare un livello acuto
e alto di riflessioni che meritano tutta la nostra considerazione
e il nostro ringraziamento a chi lo ha scritto.
Francesco Codello
Meglio
libri
Editori Indipendenti in Scighera 2013. Cosa c'è
meglio di un libro?
A Milano, in Scighera, con la collaborazione di Edizioni
Elèuthera, si apre la prima edizione di una fiera
per incontrare il meglio degli editori indipendenti, case
editrici che si muovono fuori dalla logica dello stretto
guadagno commerciale e scelgono i titoli da pubblicare
rispettando quello in cui credono e che reputano bello
e importante. Sabato 30 novembre e domenica 1 dicembre,
dalle 14.00 in poi, vi sarà l'esposizione delle
case editrici insieme a presentazioni, reading e musica.
E naturalmente i vini della Scighera e le incursioni culinarie
della Locanda dell'Assurdo. Il programma è
in corso di elaborazione, ma hanno già aderito
le seguenti case editrici: Agenzia X, Ambiente, BFS, DeriveApprodi,
Due Punti, ek records, Elèuthera, La Fiaccola,
Galzerano, Milieu, Nautilus, Nova Delphi, Ortica, Quodlibet,
Sensibili alle foglie, Sicilia Libertaria, Stampa Alternativa,
Zero in Condotta, La Baronata, O barra O. E altre sono
in arrivo. Meglio libri insomma (che male accompagnati!).
Circolo Arci La Scighera, via Candiani 131, Milano,
(lascighera.org) |
I
nostri fondi neri
|
Sottoscrizioni. Alfredo Mazzucchelli (Carrara)
400,00; Massimo Teti (Roma) 10,00; Igor Cardella (Palermo)
10,00; a/m Musica per “A”, Enrico Bertelli
(Ponzano Veneto – Tv) 250,00; Claudio Paderni
(Bornato – Bs) 40,00; Gianandrea Blesio (Botticino
Sera – Bs) 20,00; Veronica Pacini (Osimo –
An) 10,00; Aurora e Paolo (Milano) ricordando Amelia
Pastorello e Alfonso Failla, 500,00; Giovanni Orru
(Nuoro) 20,00; Matthias Durchfeld (Reggio Emilia)
25,00; Sergio Pozzo (Arignano – To) 20,00; Pina
Mecozzi (Grottammare – Ap) 10,00; a/m Fausto
Saglia (Ghiare di Berceto – Pr) sottoscrizione
tra compagni e simpatizzanti della Val di Taro, 250,00;
Alberto Ciampi (San Casciano Val di Pesa – Fi)
ricordando Giampaolo Verdecchia, 10,00. Totale
€ 1.575,00.
Abbonamenti sostenitori. (quando non altrimenti
specificato, trattasi di euro 100,00). Patrizio
Quadernucci (Bobbio – Pc); Antonio Meloni (Fara
Gera d'Adda – Bg). Totale € 200,00.
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