Bolivia
“Non abbiamo linea, siamo tutte curve”
intervista al collettivo Mujeres Creando di Michele Bertelli
Così rispondono, a chi le accusa di essere delle “anarchiche selvagge” e di non aver una linea politica precisa, le militanti del collettivo femminista con sede a La Paz. E qui spiegano come la pensano e che cosa fanno.
Arrampicandosi sulle ripide strade
che collegano il centro di La Paz al distretto indigeno de El
Alto è impossibile non notare come la Bolivia si prepari
alle elezioni del prossimo anno. Dall'alto dei cartelli che
annunciano la creazione di una compagnia municipale per la gestione
idrica, Evo Morales sorride ai passanti, ricordando ai suoi
elettori i passi verso il progresso compiuti negli ultimi dieci
anni.
Eppure improvvisamente, dietro un angolo, o tra due edifici
scalcinati, si può incappare nel fugace slogan “Yo
apoyo al Tipnis, ¡y qué!” Il Tipnis è
un territorio naturale protetto e abitato principalmente da
comunità indigene che nel 2011 si sollevò contro
la decisione governativa di costruire una superstrada per collegare
i dipartimenti di Cochabamba e Beni. La scritta invece è
a nome di Mujeres Creando, collettivo libertario femminista
formatosi negli anni '80, a ricordare che quell'idea di progresso
è tutt'altro che condivisa nel paese.
“Era come nuotare contro corrente”, dice Mayra Rojas
Castro raccontando della sua lunga esperienza nel Mas (Movimento
per il socialismo) e in parlamento insieme ai dirigenti di Morales.
“Eravamo io, il senatore che aiutavo, Filemon Escobar,
e altre due compagne a spingere avanti la nostra commissione,
ma tutto il resto era fermo.” Oggi Mayra si occupa dello
sportello legale di Mujeres Creando, “dove posso operare
meglio, dando un servizio che sia reale.”
Indipendentemente dalle posizioni individuali e collettive,
Mujeres Creando non considera il governo come un ambito di reale
azione collettiva. Il loro obiettivo è “creare
uno spazio dove fare una politica concreta per le donne, che
risponda in modo immediato alle loro necessità”,
spiega Julieta Ojeada, da anni integrante del collettivo. Spazio
teorico che si è concretizzato fisicamente a La Paz e
Santa Cruz nella casa della Virgen de los Deseos, protettrice
di indigene, puttane, lesbiche, lavoratrici casalinghe e donne
indebitate. Perché il femminismo che interessa al collettivo
è fuori dalle accademie, e deve saper dialogare e confrontarsi
con donne diverse tra loro. “Non possiamo parlare di donna,
perché siamo le donne, un universo complesso, composto
da signore anziane, giovani, adulte, universitarie, lesbiche,
eterosessuali, donne indigene aymara o donne cittadine.”
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Virgen
de los Deseos,
casa di Mujeres Creando, nel quartiere
di Sopocachi, La Paz |
La
Virgen ospita un caffetteria, una mensa e un asilo nido |
Eterogenee per scelta
Assumere questa complessità come dato fondante è
uno dei punti fermi del movimento, attraversato da persone con
una formazione e una storia anche molto diverse tra loro. Borghesi
rapite da idee libertarie, militanti del sindacato per i diritti
delle lavoratrici domestiche, membri di associazioni per i diritti
civili ed ex collaboratori del governo: tutte hanno trovato
un loro punto di partenza in Mujeres Creando. “Quello
che abbiamo in comune è che ci siamo ribellate all'ambiente
da cui proveniamo: chi alla sua classe sociale, chi al primo
mondo, chi alla sua comunità indigena,” mi spiega
Idoia Romano, che è approdata alla Virgen dopo un lungo
peregrinare dalle terre basche di Oñati.
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Radio Deseo trasmette dalla Virgen tutti giorni. In “Acera
de en frente” Maria Galidno porta la radio fuori,
trasmettendo in diretta dalla strada |
Anche se viene da molto più vicino, il viaggio che
ha portato Emiliana alla Virgen dalla sua comunità aymara
è stato forse altrettanto lungo: “la mia famiglia
conosce le mie scelte e le ha accettate, però la maggior
parte del mio villaggio non lo sa, è una società
molto chiusa.” Oggi è la responsabile della cooperativa
che gestisce i pranzi della Virgen.
Quello che le componenti del movimento chiedono ai loro collaboratori
è di attenersi ad alcuni principi di base: autonomia
dai partiti politici e dalle ong, orizzontalità, autogestione,
rispetto delle scelte sessuali. “Allo stesso tempo noi
gli riserviamo lo stesso rispetto,” spiega Julieta, “abbiamo
compagne cattoliche che si sono confrontate con il tema dell'aborto
(che in Bolivia è illegale), del matrimonio e del patriarcato,
si sono aperte, cercando nuove possibilità di relazioni
più libere, e sono rimaste con noi.”
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Tra
le attività di Mujeres Creando, le più riconoscibili
sono i graffiti che ricoprono la capitale |
L'accento posto sulla praticità della convivenza quotidiana
ha sicuramente aiutato il progetto a integrare le sue diverse
componenti. Dai locali della Virgen si diffondono infatti le
frequenze di Radio Deseo, le colonne del settimanale La Malhablada,
la rivista di pensiero femminista Mujer Publica, ma arrivano
anche continue visite dall'esterno per l'asilo nido autogestito,
la mensa popolare, la foresteria e gli sportelli contro la violenza
e di tutela legale. Ognuno di questi progetti è gestito
da componenti del collettivo in collaborazione con altri simpatizzanti
in totale autonomia. “Per partire con un'iniziativa non
abbiamo bisogno necessariamente di una assemblea,” spiega
Julieta, “crediamo che ci sia un'etica femminista e certi
principi di base condivisi. E se poi ci sbagliamo, abbiamo creato
spazi per metterci in discussione.”
All'accusa di essere solo delle “anarchiche selvagge”,
Mujeres Creando ha risposto già da anni con una chiara
ed evidente dichiarazione di principio, in contrasto con l'ortodossia
dei gruppi della nuova e vecchia sinistra: “Non abbiamo
linea, siamo tutte curve.” Un percorso sinuoso che difficilmente
trova spazio nella rigidità istituzionale, ma che, sull'onda
della “guerra del gas” che nel 2003 aprì
la crisi di governo che portò alla destituzione del presidente
Gonzalo Sánchez de Lozada, aveva saputo accettare anche
il compromesso istituzionale, pur di imprimere una svolta duratura
al paese.
Diverse esponenti cercarono infatti di partecipare all'assemblea
costituente indetta nel 2006. “Sapevamo che non era il
nostro spazio di lavoro politico, ma ci sono momenti in cui
la realtà ti sollecita a lavorare in situazioni diverse,
e questo non significa che stai rinunciando ai tuoi principi,”
spiega Julieta, che rivendica l'apporto che come femministe
avrebbero voluto dare alla nuova carta: uno stato laico, l'educazione
sessuale e il tema della violenza contro le donne.
Diverse di loro videro l'assemblea come una occasione per mettere
in discussione il modello di democrazia rappresentativa neoliberale,
dato che la richiesta di una nuova costituzione veniva proprio
da gruppi sociali mobilitati nel 2003 in difesa delle nazionalizzazioni
del gas. Di fatto l'assemblea però fini per replicare
una organizzazione basata sui partiti, aprendo a gruppi indigeni
e cittadini, ma non ai rappresentanti dei movimenti sociali.
Gli attivisti che vollero partecipare dovettero quindi accodarsi
a formazioni o gruppi già esistenti, con un risultato,
secondo Julieta, quanto meno deludente: nella nuova costituzione
“non si discute il servizio militare, né l'accumulazione
irregolare di terre per mano dei grandi proprietari terrieri
che hanno accumulato ettari duranti gli anni dei governi dittatoriali.”
Mayra lavora però con le nuove leggi promulgate dal governo,
e secondo lei qualcosa di buono è stato fatto: “se
sai maneggiare puoi ottenere cose positive, come con la Legge
su discriminazione e razzismo”, dice, “il problema
è che emettono le leggi ma non le comunicano, non le
socializzano!” A bloccare il paese sarebbe l'inamovibile
apparato burocratico, che sotto Morales è stato a malapena
scalfito. “Nei ministeri sono rimaste diverse persone
dei precedenti partiti, perché già conoscevano
i regolamenti, le procedure”, racconta Mayra, “i
nuovi assunti sono di solito indigeni provenienti da diversi
luoghi della Bolivia, ma spesso sono andati a occupare ruoli
subordinati di assistenza.” Frugando negli archivi delle
commissioni, lei e i suoi colleghi sono incappati in progetti
che venivano posticipati fin dagli anni settanta e ottanta,
ancora immobili.
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Protesta per la depenalizzazione dell'aborto nella
piazza centrale di Santa Cruz, dove Mujeres Creando ha appena
aperto una seconda casa |
Né Morales né ong internazionali
A seconda di quale campana si voglia ascoltare, il presidente
Boliviano Evo Morales viene solitamente ritratto come nemico
giurato del libero mercato e despota populista o araldo del
nuovo socialismo in salsa latino americana. Mujeres Creando
invece non si è mai tirata indietro nel criticare il
presidente da posizioni ben più radicali.
Sonia Flores Luna, che ha lavorato a lungo in organizzazioni
di diritti civili a sostegno delle vittime della dittatura,
non è mai stata convinta delle posizioni del presidente:
“non vedo avanzamenti che favoriscano le donne, l'aborto
non viene preso in considerazione, c'è un'alleanza nefasta
con i militari, e anche alla polizia sono stati dati tanti privilegi
e doti economiche, mentre sono state tralasciate l'educazione
dei giovani e la cultura, folklorizzando la società.”
Una delle critiche più aspre è infatti quella
di promuovere un progetto di egemonia culturale dell'etnia indigena
aymara, finora tradizionalmente repressa e senza alcuna voce
a livello nazionale. Sospetto che ha guadagnato consistenza
soprattutto dopo il conflitto con le comunità indigene
del Tipnis, appartenenti principalmente all'etnia guaranì.
“Nel momento in cui devono prendere decisioni concrete
si svela la loro logica,” accusa Julieta, “che è
puramente estrattivista, si basa sullo sfruttamento delle materia
prime, sul petrolio e le miniere, e non sono disposti a rinunciarvi
per rispetto a nessuna riserva naturale.”
All'interno del collettivo c'è però anche chi
conserva una opinione positiva del primo presidente indio della
Bolivia. Per Emiliana, che viene da una comunità contadina
del distretto di La Paz, gli aiuti ai villaggi stanno finalmente
arrivando e le comunità possono esprimere la loro voce
per la prima volta nella storia del paese.
Nemmeno la recente Ley contra la violencia (Legge contro la
violenza), promulgata in un paese in cui, secondo un recente
studio del Difensore del Popolo Rolando Villena, 7 donne su
10 soffrono nel corso della loro vita un qualche tipo di abuso,
è stata accolta senza critiche. “Questa legge non
protegge integralmente le donne, in quanto nel testo non ci
sono menzioni specifiche, puoi essere uomo o donna,” spiega
Mayra, “e inoltre dà troppo potere alla polizia,
ti devi recare da loro e raccontargli tutto quello che hai passato,
c'è una psicologa ma non può certo ricevere tanta
gente!”
Prima del luglio 2001 pochi conoscevano l'organizzazione al
di fuori della Bolivia. A diffondere il nome di Mujeres Creando
fu soprattutto la lunga campagna dei piccoli debitori contro
il microcredito e le organizzazioni internazionali, a conclusione
della quale il collettivo si trovò a mediare con la polizia
durante l'occupazione della Bolivian Banking Supervisory Agency
da parte di un gruppo di piccoli debitori armati di dinamite.
“Il denaro che arriva dall'Europa a fondo perduto viene
capitalizzato da istituzioni che si occupano del microcredito”,
mi spiega Mayra, “ma non vi è alcun tipo di controllo
sul credito concesso, e così spesso un prestito viene
utilizzato per ripianare un debito con un'altra banca, dando
origine a un super-indebitamento.” Secondo Julieta, vi
erano persone il cui debito era ormai vecchio di dieci anni,
e le somme si erano andate duplicando e triplicando a causa
degli alti interessi e delle irregolarità nel calcolo.
Da allora, Mayra continua a occuparsi non solo dello sportello
contro l'usura bancaria, ma anche di donne in situazione di
prostituzione, ragazze incinte che vengono licenziate e ogni
altro tipo di abuso lavorativo. “Mi sembra che la sfida
sia ogni giorno: viviamo in uno stato di diritto, ma ogni giorno
bisogna strigliare i burocrati statali, municipali e bancari,”
dice con determinazione. Non sembra avere nostalgia dei suoi
giorni nel Mas: “la verità è che preferisco
rimanere qui, lontana da quel mondo, dove la gente sa di trovare
un appoggio, un referente che li possa aiutare”.
Michele Bertelli
Un'altra intervista con Mujeres Creando, realizzata dalla giornalista
boliviana Helen Alvarez Virreira (e tradotta da Attilio Angelo
Aleotti), era apparsa in “A”
335 (maggio 2008).
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