Più contadino che cantautore
Intervista a Raffaella Saba di Renzo Sabatini
Sarda, autrice di Hotel Supramonte, la scrittrice si è messa sulle tracce
di Fabrizio e della sua relazione con la gente e le caratteristiche dell'isola.
Il rapporto con il circostante.
Dopo aver parlato
con Carla Corso, Porpora Marcasciano, Franco Grillini, Amara
Lakhous e tutti gli altri, mi pareva di aver messo assieme le
tessere di un piccolo mosaico. Il quadro era più o meno
completo e si approssimava il tempo di tirare le somme. Ma non
avevo voglia di farlo da solo, così, forse anche per
non perdere il gusto di queste chiacchierate interessanti e
coinvolgenti, ho pensato di far ascoltare alcune delle interviste
a qualcuno che nutrisse un interesse profondo e amorevole per
l'argomento.
Così sono arrivato a realizzare due interviste di
cui propongo, in questo e nel prossimo numero, le parti più
significative. Raffaella Saba aveva, anche lei, svolto un'indagine
molto interessante sul cantautore, a partire dall'episodio del
rapimento. Quanto a Paolo Maddonni (l'intervista che sarà
pubblicata sul prossimo numero), sembrava che nella sua vita
non avesse fatto altro che ritrovarsi a lavorare con i personaggi
delle canzoni di De André. Entrambi hanno ascoltato,
con grande pazienza, una parte notevole del materiale. Lo hanno
meditato e sedimentato e, quando si sono dichiarati pronti,
li ho intervistati.
Nelle mie intenzioni le due interviste dovevano essere soprattutto
un momento di valutazione del lavoro fatto ma, in effetti, le
testimonianze di Raffaella e Paolo hanno finito per andare ben
oltre i limitati confini di quell'intento e offrono spaccati
di vita, riflessioni e intuizioni che, riascoltate dopo alcuni
anni, mi sono apparse stimolanti ed emozionanti come quando
ci siamo sentiti per telefono dagli antipodi.
Nel 2007 hai pubblicato Hotel Supramonte,
libro in cui analizzi le caratteristiche del banditismo sardo
esaminando alcuni celebri sequestri di persona, fra cui quello
di Fabrizio De André e Dori Ghezzi. Perché, fra
i tanti, hai scelto di parlare proprio di quel sequestro?
Sono sarda e ho sempre avuto particolare attenzione per la passione,
l'impegno che Fabrizio De André ha dedicato alla mia
isola. Mi sono laureata con una tesi sui movimenti indipendentisti
sardi nella quale ho analizzato la storia del movimento Sardinia
e Libertade a cui, nel 1982, aveva aderito anche Fabrizio De
André. Da questa connessione è nato tutto il resto
e il libro è una sorta di compendio di quel percorso.
Ho conosciuto l'opera di De André negli anni novanta,
grazie al gruppo folcloristico del mio paese, in cui militavo
all'epoca. Quando poi ho saputo che De André era stato
rapito nella mia isola, quando ho ascoltato quelle parole che
aveva pronunciato subito dopo la liberazione: “i veri
sequestrati sono stati i miei sequestratori”, ne sono
stata irretita. Perché in quel periodo c'erano tante
persone nelle mani dei sequestratori e alcuni erano stati maltrattati
e picchiati. Quando una persona, dopo essere stata privata della
propria libertà per quattro mesi, usa parole di questo
genere nei confronti dei propri sequestratori, be', io credo
che mostri di avere un'umanità senza confini. Questa
è stata la miccia che ha acceso in me la passione nei
confronti di quest'uomo che, dalla Liguria, aveva deciso di
trasferirsi a vivere in Sardegna inseguendo il sogno di diventare
agricoltore, perché in effetti lui più che un
cantautore si considerava un contadino e a me, che sono figlia
di contadini, questa cosa non poteva lasciarmi indifferente.
Come dice Luca Nulchis, degli Andhira1,
avrebbe potuto comprarsi una villa sulla costa e venire qua
quindici giorni all'anno, come fanno i turisti facoltosi. Invece
si è comprato uno stazzo2
in Gallura per farci un'azienda agricola che era più
un sogno che un affare, visto che come azienda era sempre in
perdita.
Mi risulta che per documentarti, per il tuo libro, ti
sei trasferita per un po' di tempo a vivere a Tempio Pausania,
in Gallura.
Sì, volevo proprio vedere, conoscere quei posti che aveva
frequentato De André, per capire a fondo. Volevo capire
quel rapporto fra uomo e natura, sentire anche gli odori. Siccome
i miei genitori contadini non potevano certo permettersi di
mantenermi, ho trovato da lavorare in un albergo di Tempio,
in cambio di vitto e alloggio, ed è stato il periodo
più bello della mia vita. Al mattino servivo le colazioni
e poi partivo alla scoperta di Tempio. Così sono entrata
in contatto con tanta gente che aveva conosciuto De André,
fra cui anche Sandro Fresi, che so che è molto conosciuto
dalle vostre parti3. Queste persone
me le sono dovute conquistare ad una ad una e sono state molto
importanti per me.
Racconta di qualcuno di questi incontri a Tempio.
Devo dire che molti di questi incontri nel libro non li ho neanche
raccontati, perché sono stati molto intensi e anche molto
privati e non mi è sembrato giusto parlarne in un libro.
Ricordo fra tanti Paola Scano, un'insegnante di Tempio che è
stata molto amica di Fabrizio De André e mi ha un po'
indirizzato nella ricerca, dicendomi quanto per lei fosse molto
più importante ricordare, piuttosto che commemorare.
Guidata da queste parole, nel libro ho cercato più che
altro di lasciar parlare De André, senza assumere un
tono commemorativo. Per questo ho cercato di recuperare dai
quotidiani, dalle riviste, dalle varie biografie, tutto ciò
che De André aveva detto sulla Sardegna. In questo modo
ho intercalato la storia del banditismo sardo con quanto diceva
De André.
Altri amici di De André sono stati altrettanto teneri
e gentili, facendomi per esempio vedere fotografie private,
documenti... insomma a Tempio sono riuscita a trovare l'uomo,
molto più del cantautore. Così ho compreso meglio
la sua cangiante personalità; ho conosciuto l'uomo che
viveva in solitudine, in quello stazzo a dodici chilometri da
Tempio.
È stato importante anche incontrare Agostino e Tonina
Zizzi, i due fattori dell'Agnata,4
che mi hanno raccontato la condizione che sentiva De André,
di essere un “genoardo”, cioè metà
genovese e metà sardo, perché lui diceva sempre
che in Sardegna ci viveva proprio con amore e lo ha dimostrato
continuando a viverci anche dopo il sequestro, mentre altri
sequestrati hanno abbandonato l'isola dopo la liberazione. E
di questo è stato anche accusato. Ma lui replicava che
i sequestratori l'avevano trattato bene e che chi non aveva
subìto un sequestro non poteva capire quanto è
importante, in certi momenti, essere trattati bene.
Ho anche appreso che De André aveva approfondito la storia
dei luoghi e aveva studiato i maggiori storici sardi. Così
ha potuto capire le radici storiche del banditismo e non si
è mai sognato di accusare, di puntare il dito contro,
ma ha cercato semmai di comprendere.
Sono tutti elementi emersi dagli incontri che ho fatto a Tempio.
De André è rimasto affascinato dalla Gallura.
Secondo te, che ci sei stata, si può dire anche che Tempio
Pausania sia rimasta irretita da De André?
Assolutamente sì. A Tempio lo consideravano ormai come
uno di loro. Mi raccontavano tra l'altro che ogni tanto lo si
incontrava a Tempio in jeans e camicia a quadri, ovvero il tipico
abbigliamento dei contadini della zona. Nel periodo in cui ho
vissuto a Tempio un po' tutti ci tenevano a dire che erano stati
amici di De André, anche quelli che non lo avevano davvero
conosciuto o frequentato e questa era una testimonianza dell'amore
dei tempiesi nei confronti del cantautore.
Sull'amore per la Sardegna di De André e Dori Ghezzi,
testimoniato dal fatto che non hanno abbandonato l'isola dopo
il sequestro, non vi sono dubbi. Ma circa l'analisi della cultura
sarda che faceva De André tu cosa ne pensi? Lui ha espresso
con una certa precisione quali aspetti della cultura sarda lo
affascinassero di più; per esempio il rispetto per gli
anziani e per i bambini. Ti ci ritrovi?
Sì. C'è una sua frase famosa in cui afferma che
in Sardegna le tensioni sociali non mancano ma sono temperate
dal contatto diretto con la natura e da una profonda moralità
che si estrinseca nel rispetto di alcuni valori fondamentali,
come l'ospitalità. Ecco io in questa frase mi ritrovo
completamente. La Sardegna è stata dilaniata dalle faide,
che tuttora esistono e che lui ha descritto benissimo in Disamistade5,
cantando questi scoppi di guerra tra le famiglie. È una
canzone in cui si capisce che De André ha compreso perfettamente
certi aspetti della cultura sarda e mi colpisce tantissimo il
verso che descrive: “Un'assenza apparecchiata per cena”.
Queste cose esistono ancora e colpiscono anche a distanza di
anni, basti ricordare l'assassinio del poeta Marotto6,
vittima di faida all'età di 82 anni.
Il disco conosciuto come L'indiano
nasce da riflessioni maturate nel corso della prigionia e dalle
conversazioni con i carcerieri. Tu come hai vissuto quest'album?
C'è molta Sardegna in quell'album. Quello che non
ho esprime proprio la psicologia dei sequestratori. È
come se quei pastori dicessero a chi viene da fuori: “Io
non avevo bisogno di nulla, ma tu mi hai sbattuto sotto gli
occhi la villa con piscina, l'elicottero e lo yacht e mi hai
creato il bisogno”. Hotel Supramonte, bellissima,
è l'unico riferimento diretto al sequestro e Franziska
è una storia vera, perché è la storia di
tutte le ragazze che si trovano a essere fidanzate o promesse
a dei banditi. Ma a me colpisce molto anche la sua versione
dell'Ave Maria sarda. Nei mesi del sequestro De André
trascorse lunghe ore, giornate intere, incappucciato, legato,
in un angolo. Ebbe molto tempo per riflettere e in quel periodo
riscoprì la sua spiritualità, il pensiero di Dio.
Mi piace pensare che quell'Ave Maria, messa nel primo album
scritto dopo il sequestro, sia una sorta di ringraziamento.
Quindi potremmo concludere che in tutte le canzoni dedicate
alla Sardegna, da Quello che non ho a Disamistade,
anche se viene utilizzato un linguaggio molto poetico la Sardegna
rappresentata è comunque una Sardegna reale?
Assolutamente sì. Pensiamo a una canzone come Monti
di Mola, che nel titolo riprende l'antico nome della Costa
Smeralda: sembra un omaggio alle storie che venivano raccontate
anticamente, quando non c'era la tv e negli stazzi della Gallura
ci si riuniva ancora davanti al focolare, con un pezzo di pane
e formaggio.
Siamo alle battute finali di una trasmissione che va avanti
ormai da tempo, direi che siamo un po' agli esami finali. Tu
hai avuto occasione di ascoltare alcune delle nostre interviste.
Che idea te ne sei fatta?
Mi sono piaciute perché sono come dei piccoli ricordi
che fanno venir fuori l'intensa umanità di Fabrizio De
André. Proprio come dicevo prima parlando dell'insegnante
di Tempio che preferiva i ricordi alle commemorazioni. Direi
che questo è quello che avete fatto voi, avete raccolto
dei ricordi. Da Carla Corso7 a
Porpora Marcasciano8 alla ragazza
palestinese a Stefano Benni, che racconta il rapporto particolare
che De André aveva con l'amicizia. Questa testimonianza
di Stefano Benni9, tra l'altro,
mi ricorda l'intenso legame che De André aveva con Ugo
Dessy10, un intellettuale sardo.
Dessy mi ha raccontato che il loro rapporto era più improntato
sulla qualità che sulla quantità. Si vedevano
poco ma quando si incontravano o si sentivano erano momenti
molto intensi. Nel 1997, quando De André ha fatto uno
degli ultimi concerti a Cagliari, erano anni che non avevano
occasione di incontrarsi, ma dal palco De Andrè non perse
l'occasione di definire Dessy un maestro di pensiero e di idee.
Mi ha colpito anche l'intervista di Armando Xifai, l'albanese
che è stato in carcere a Milano.11
È una testimonianza che mi ha fatto ripensare all'appello
che De André aveva sottoscritto in favore di un carcerato
sardo, Salvatore Meloni,12 sottolineando
la situazione esplosiva delle carceri.
Quindi, insomma, la sufficienza ce la dai per queste interviste...
ma fra quelle che hai avuto modo di ascoltare qual è
quella che ti ha colpito di più?
Mi ha colpito molto Carla Corso, che si è ritrovata così
tanto nelle parole di Via del Campo. È una donna
che porta avanti la lotta per i diritti delle prostitute ed
è una battaglia che mi sento di appoggiare pienamente.
Sono molto belle anche le testimonianze di Porpora Marcasciano,
Alfredo Franchini,13 Luca Nulchis...
tutti insomma hanno dei ricordi che ci aiutano a delineare questa
personalità cangiante e l'umanità intensa di De
André, rivolta a quelli che gli altri considerano la
feccia della società. Lui ha cercato di rivestire queste
persone che per la maggioranza di noi sono sporche.
Da molte di queste interviste è emerso anche un
altro dato, che noi non andavamo cercando, cioè che Fabrizio
De André, discretamente ma generosamente, donava somme
di denaro, finanziando iniziative disparate: la comunità
di don Gallo, la stampa anarchica, Emergency e così via.
Quando lo chiamavano (mi sembra che lo hai ricordato anche tu
nel tuo libro) andava a incontrare i detenuti nelle carceri
o i tossicodipendenti nelle comunità. Tutto questo però
sempre lontano dai riflettori. Tu che ne pensi di questo De
André un po' solitario, nascosto, che preferiva non farsi
conoscere e riconoscere, anche a costo di alimentare dicerie
(ce ne sono state tante) sulla sua ruvidezza e persino su una
sua supposta avidità.
Dopo essere stata a Tempio e all'Agnata mi sono convinta che
questo stile di vita fosse alimentato anche dal rapporto che
l'uomo aveva instaurato con la natura e con questa solitudine
che la natura ricrea. In quel contatto con la natura sembra
quasi che De André ritrovasse la sua forza. Lo vedo come
un tratto caratteristico dell'uomo che ha ritrovato il contatto
con la natura e non ha bisogno di alcun apparato strutturale
esterno ma basa la sua vita sul verde dei monti, il sole, la
terra, gli odori che ha attorno a sé. De André
ha portato avanti i suoi progetti fra quei monti, lontano da
tutti i riflettori, magari alimentando quelle dicerie. Direi
che si rigenerava nel rapporto col circostante.
Tornando al tuo libro, come è stato accolto in
mezzo a quella selva di pubblicazioni di ogni genere apparse
come funghi dalla scomparsa di De André?
In effetti il libro è nato per far parte di una collana
che si chiama “Italia criminale”, una serie in cui
si cerca di analizzare gli aspetti criminali delle varie regioni
italiane. La mia isola purtroppo è nota per il triste
fenomeno del banditismo e dei sequestri di persona, soprattutto
in un periodo caldo che è quello degli anni settanta
e ottanta. Nel libro ho descritto la genesi di questo fenomeno
e di come si sono strutturate le bande e ho preso ad esempio
alcuni sequestri eccellenti. Dunque non potevo non parlare del
sequestro di De André. Mi interessava molto sottolineare
il perdono offerto, è bene ricordarlo, ai sequestratori
e non ai mandanti. Le persone implicate nel sequestro erano
undici ma due soli i mandanti: un veterinario toscano e un assessore
comunista di un paese del nuorese. La manovalanza, cui è
diretto quel perdono, era stata tutta reclutata fra i pastori
della zona, di cui lui aveva compreso la situazione storica,
sociale, anche economica.
Mi pare che il libro sia stato accolto bene. Ogni tanto mi chiamano
per delle presentazioni o delle interviste. Anche se alcuni
elementi relativi al sequestro erano presenti nelle biografie
già pubblicate, con questa ricerca ho approfondito un
tema di cui si sapeva poco, quindi l'argomento suscita un certo
interesse.
Qui abbiamo ascoltato il racconto commosso di Sandro Fresi
di quando andò all'Agnata a prendere la prefazione del
suo primo disco. Ora lavoriamo un po' di fantasia e diciamo
che Raffaella Saba sta andando all'Agnata per andare a prendere
la prefazione al suo libro scritta da De André. Come
immagini questo incontro impossibile?
Sono certa che sarei molto emozionata ma lo considererei comunque
come uno di noi. Dunque, come si usa fare dalle mie parti, gli
porterei del pane fatto in casa e un bel bottiglione di vino,
di quello che mio padre tiene da parte per gli ospiti (mio padre,
vecchio contadino, fa una malvasia buonissima). Una volta da
lui cercherei di stare un po' anche in silenzio. Un boccone
di pane fresco e una tazza di vino davanti al fuoco, con lui
accanto: ecco, questa sarebbe la mia situazione ideale, il mio
incontro impossibile con Fabrizio De André.
Be', se mai dovessi venire in Australia a presentare il
tuo libro non dimenticarti a casa la malvasia! Come la vuoi
chiudere questa intervista?
Visto che abbiamo accennato ai contadini, vorrei dire che mi
piace ricordare Fabrizio De André più come contadino
che come musicista. Lui aveva detto che la Sardegna era il suo
punto di arrivo, il suo porto. In Sardegna avrebbe voluto invecchiare.
Si era innamorato della natura e della gente e mi piace pensare
che quel “mal di Sardegna”, di cui ogni tanto si
parla, sia in realtà un “mal dei sardi”,
un desiderio di entrare veramente in contatto con la gente del
posto.
Renzo Sabatini
Note
- Vedi “A”
n. 380, maggio 2013.
- Così si chiamano le antiche case rurali dei contadini
della Gallura, nel nordest della Sardegna.
- Vedi “A”
n. 379, aprile 2013.
- La località della Gallura, a 12 Km da Tempio Pausania,
dove De André e Dori Ghezzi hanno fondato la loro azienda
agricola, oggi agriturismo.
- Nell'album “Anime salve”, 1996.
- Giuseppe Marotto (1926-2007), poeta e cantore del mondo
contadino sardo, assassinato a Orgosolo il 29 dicembre 2007.
- Vedi “A”
n. 371, maggio 2012.
- Vedi “A”
n. 372, giugno 2012.
- Di prossima pubblicazione.
- Ugo Dessy (1926-2009) insegnante, giornalista, saggista;
protagonista di un incessante impegno militante contro l'occupazione
militare dell'isola, per i diritti civili, a fianco di minatori,
contadini, pastori e pescatori.
- Vedi “A”
n. 377, febbraio 2013.
- Noto indipendentista sardo, protagonista di molte e clamorose
vicende, giudiziarie e non.
- Vedi “A” n. 377,
febbraio 2013.
(intervista realizzata via telefono nel marzo 2008. Registrata
presso gli studi di Rete Italia – Melbourne. Andata in onda
nell'ambito della trasmissione radiofonica settimanale: “In
direzione ostinata e contraria”, dedicata ai personaggi
delle canzoni di Fabrizio De André).
In
direzione ostinata e contraria
Con
questa intervista, prosegue la pubblicazione su “A”
di una parte significativa delle 27 interviste radiofoniche
realizzate da Renzo Sabatini e andate
in onda in Australia nel programma “In direzione
ostinata e contraria” sulle frequenze di Rete Italia
fra il maggio 2007 e l’agosto 2008. In tutto si
è trattato di sessanta puntate (ciascuna della
durata di circa quaranta minuti, per un totale di quasi
40 ore di trasmissioni), nel corso delle quali sono state
trasmesse le 27 interviste e messe in onda tutte le canzoni
di Fabrizio De André. Si tratta dunque della più
lunga e dettagliata serie radiofonica mai dedicata al
cantautore genovese.
Se proponiamo questi testi,
è innanzitutto per dare ancora una vlta spazio
e voce a quelle tematiche e a quelle persone che di spazio
e voce ne hanno poco o niente nella “cultura”
ufficiale. E che invece anche grazie all’opera del
cantautore genovese sono state sottratte dal dimenticatoio
e poste alla base di una riflessione critica sul mondo
e sulla società, con quello sguardo profondo e
illuminante che Fabrizio ha voluto e saputo avere. Con
una profonda sensibilità libertaria e – scusate
la rima – sempre in direzione ostinata e contraria.
Precedenti interviste
pubblicate: a Piero
Milesi (“A” 370, aprile 2012), a Carla
Corso (“A” 371, maggio 2012), Porpora
Marcasciano (“A” 372, maggio 2012), Franco
Grillini (“A” 373, estate 2012), Massimo
(“A” 374, ottobre 2012), Santino
“Alexian” Spinelli (“A” 375,
novembre 2012)); Paolo
Solari (“A” 376, dicembre-gennaio 2012-2013);
Gianni Mungiello,
Armando Xifai, Alfredo Franchini (“A”
377, febbraio 2013); Giulio
Marcon e Gianni Novelli (“A” 378, marzo
2013); Sandro
Fresi e Paola Giua (“A” 379, aprile 2013);
Luca Nulchis
(“A” 380, maggio 2013); don
Andrea Gallo (“A“ 381, giugno 2013; Paolo
Finzi (“A” 382, estate 2013); Gabriella
Gagliardo (“A” 383, ottobre 2013); Amara
Lakhous (“A“ 384, novembre 2013).
la redazione di “A” |
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