Australia e Nuvole
intervista a Nadia Piave di Renzo
Sabatini
Una cantante lirica di origine italiana, nata e cresciuta a Sydney, oltre vent'anni fa ebbe modo di partecipare alla realizzazione del lp Le Nuvole. E da tempo è impegnata a far conoscere Fabrizio in quell'isola-continente dall'altra parte del mondo.
Figlia di migranti
italiani, nata e cresciuta a Sydney, dove vive e lavora a un
passo dal prestigioso conservatorio insediato nelle vecchie
scuderie reali che si affacciano sulla splendida baia, Nadia
Piave è una cantante dalla bella voce classica, con l'animo
diviso fra la musica barocca, il rock, i canti dei trovatori
d'oltralpe, la canzone d'autore e chissà quanti altri
generi e stili.
Per me è anche e soprattutto l'artista australiana
che sta tentando di diffondere la poesia di De André
in quel lontano Paese, che per me ha l'aria inconfondibile di
casa. I suoi gorgheggi nelle battute finali di Ottocento,
la voce calda e piena quando intona Marinella, la sua
splendida versione di Bocca di Rosa, sono
come altrettante promesse che fanno ben sperare per il futuro.
Negli anni in cui andava in onda la trasmissione radiofonica
su De André, però, non la conoscevo, ed è
stato quasi per caso se ho saputo che molti anni prima aveva
cantato nelle Nuvole. Realizzammo allora solo una brevissima
intervista, andata perduta nel caotico computer della radio.
In seguito ho avuto modo di conoscere e apprezzare le doti
artistiche e umane di Nadia, ed è proprio perché
lei, oggi, ha in cantiere un progetto artistico per far conoscere
De André al pubblico variegato e multiculturale delle
grandi metropoli australiane, che ho pensato, ora che siamo
giunti quasi alla conclusione, di inserire in questa rubrica
un'intrusa. Infatti, l'intervista che segue è stata realizzata
solo recentemente e non fa parte quindi del lavoro andato in
onda ormai parecchi anni fa. Ma mi sembra che questa testimonianza
sia il “link” ideale fra passato e futuro, che in
qualche modo faccia parte comunque di quell'esperienza, perché
Nadia è un po' il punto di passaggio fra un lavoro ormai
concluso e quello che si può ancora fare per far conoscere
De André in Australia. Perché abbiamo capito,
anche da alcune delle testimonianze di persone di altre lingue
e culture pubblicate su questa rivista, che la poesia di De
André veramente non ha confini.
E così per me Nadia oggi rappresenta la speranza di
riuscire a diffondere la poesia del cantautore genovese in quella
terra lontana, magari anche solo per ricordare ai tanti smemorati
che anche gli aborigeni australiani hanno avuto, nella tragica
storia della colonia, le loro terribili Sand Creek.
Nata in Australia da immigrati italiani, vivi a Sydney,
porti i tuoi spettacoli in giro per il Paese e insegni canto1.
Come sei approdata alla carriera artistica? La tua famiglia
ti ha incoraggiato o ostacolato?
Direi che la carriera di cantante e d'insegnante di canto mi
ha, in un certo senso, un po' inseguita per tutta la vita, anche
se alla fine sono stata proprio io a sceglierla. Sono cresciuta
in una famiglia di albergatori e sicuramente non è stato
per nulla facile, per i miei genitori, capire una figlia dall'animo
artistico, anche se poi hanno fatto di tutto per appoggiarmi.
Direi che sì, mi hanno incoraggiato, ma c'era anche,
ogni tanto, qualche ostacolo. Ostacoli che nascevano più
che altro dalla difficoltà, per i miei genitori, di comprendere
una figlia che voleva azzardare una carriera che, in effetti,
è una lotteria, piuttosto che prendere una strada che
porta un po' più di sicurezza, se non altro economica.
Ma penso che in fondo si tratti di una storia abbastanza comune
fra gli artisti. Devo dire però che senza il loro appoggio
finanziario, durante il periodo di studio in Italia, negli anni
ottanta, non sarei diventata l'artista che sono oggi... e sicuramente
non avrei incontrato De André!
Le radici italiane hanno influito nelle scelte artistiche
o la tua è un'espressione totalmente legata alla matrice
culturale della terra dove sei nata e cresciuta?
Io mi ritengo molto fortunata proprio per il fatto di appartenere
a due culture, quella italiana e quella australiana: questo
mi ha consentito di avere uno sguardo più ampio, sia
sulla musica che sul mondo. Ho avuto la bellissima possibilità
di fare delle scelte sia con gli occhi di una cultura come quella
italiana ed europea, che ha le sue radici agli albori dell'arte,
sia con gli occhi di una cultura nuovissima e freschissima,
come quella australiana.
Tempo fa mi hai raccontato di aver conosciuto De André
attraverso Rimini, trovato su una bancarella.
Perché quel disco ti è piaciuto?
Per rispondere è necessario che ti spieghi come sono
finita in Italia verso la fine degli anni settanta, cioè
il periodo in cui ho incontrato la musica di De André.
Avevo 16 anni e, a Sydney, seguivo la strada della musica folk
e blues. Cantavo nei locali, accompagnata alla chitarra da una
ragazza conosciuta tramite un annuncio che avevo messo nel “Rolling
Stone magazine”2. Il problema
è che, oltre a seguire quel genere di musica, andavo
dietro anche ai musicisti... e questo non piaceva certo ai miei!
Figurati che mi avevano mandata a scuola in un convento! E così
sono stata spedita in Italia, per andare a vivere con una zia
zitella. Questo è, per l'appunto, uno di quei famosi
ostacoli alla carriera artistica di cui parlavo prima. Come
potevano pensare, i miei, che la cara zia potesse nutrire la
mia anima di cantante non lo so... ma comunque era una donna
di gran gusto e mi ha fatto conoscere il mondo della moda italiana,
una cosa che non mi è affatto dispiaciuta. Oggi, guardando
le cose in retrospettiva, tutto questo mi fa ridere, ma a quei
tempi mi fece piangere tantissimo!
Comunque è proprio in quel periodo che mi è capitato
di ascoltare la canzone Rimini3
alla radio e mi hanno subito colpito le armonie e la soavità
della voce di De André e la voce sottile, quasi fosse
quella di uno spettro, di Dori Ghezzi, che cantava il ritornello.
E poi mi hanno colpito le parole: non avevo mai sentito cosi
tante parole in una sola canzone trasmessa da una radio
popolare. De André mi è sembrato subito diverso
da tutti gli altri cantautori che conoscevo. Certo, all'epoca
conoscevo solo quelli che cantavano in inglese: a Sydney cantavo
le canzoni di cantanti folk tipo Gordon Lightfoot e Woody Guthrie;
qualcosa di Jackson Brown e poi di un certo Bob Dylan e di Leonard
Cohen. Ma trovavo proprio la voce di De André cosi dolce
ed accogliente; qualità che non avevo mai sentito prima
nelle voci dei cantautori che conoscevo. Purtroppo a quei tempi
non avevo i mezzi per approfondire di più la comprensione
dei testi delle sue canzoni. È vero che poi ho trovato
l'LP su una bancarella a Roma e non ho potuto fare a meno di
comprarlo e tutt'oggi lo conservo. Anche la copertina del disco
mi ha colpita: anche dal packaging avevo capito di aver
conosciuto un grande artista!
Come donna e come artista cosa ti colpisce maggiormente
della poetica e della musica di De André?
Prima di tutto penso che si senta che De André ama l'umanità,
con tutti i suoi pregi e con tutti i suoi difetti, e presenta
questi pregi e questi difetti come ingredienti dell'animo umano.
Per De André non penso che abbia importanza essere donna
o uomo; penso che lui osservi le persone, che siano donne o
uomini. Per questo è facile cantare le sue canzoni. Ricordo
che una volta ho fatto un concerto in cui cantavo brani di Pino
Daniele e sono rimasta un po' stupita quando il presentatore
ha sottolineato il fatto che ero una donna che cantava canzoni
scritte da un uomo, definendolo addirittura “un bell'esperimento”.
Eppure non mancano gli esempi, anche storici, basterebbe anche
solo pensare alle troubairitz del medioevo, le donne
che cantavano poesie d'amore e davano voce ai sentimenti del
cuore, alle parole scritte dal “cavaliere” alla
sua “signora”. Penso che lo stesso De André
conoscesse bene quella tradizione dell'amor cortese e che ne
sia stato un sostenitore. Anzi, se fosse nato a quei tempi sicuramente
sarebbe stato lui stesso un trovatore.
Un giorno sei stata chiamata a far parte del team che
ha registrato Le Nuvole, un lavoro molto
raffinato del De André maturo. Puoi raccontarci com'è
andata? Perché hanno chiamato proprio te dall'Australia
per andare a registrare a Milano? Quale parte hai avuto? E che
ricordo hai delle sedute in sala di registrazione?
Be', quanto ad essere stata chiamata dall'Australia, devo chiarire
che in realtà in quel periodo mi trovavo già a
Milano. Conclusi gli studi al conservatorio di Sydney, nel 1986,
andai subito in Italia, a Siena, per fare un corso di perfezionamento
sulla musica barocca. Dopo il corso, grande avventuriera, sono
andata a vivere a Milano dove, per potermi pagare le lezioni
di canto, avevo trovato un lavoro come guardarobiera in un bel
ristorante a San Babila (poteva andarmi peggio...). Poi, dopo
un'audizione, sono stata chiamata per un periodo a Firenze,
per lavorare nel Coro del Maggio Musicale. Quella è stata
un'esperienza fantastica: ero una delle poche coriste disposte
a cantare la musica d'arte contemporanea e questo mi ha dato
l'occasione di partecipare ad un'opera di Sylvano Bussotti,
diretta dal grande Derek Jarman4,
che aveva come interprete principale l'attrice Tilda Swinton5
(che però recitava, non cantava!). Quando si è
conclusa l'esperienza fiorentina sono tornata a Milano, città
che oramai amavo e dove sono rimasta fino al 1991. Lì
sono riuscita a trovare vari lavori, come cantante freelance,
ma anche con il Coro della Rai di Milano. È accaduto
così che, nel 1989, sono stata chiamata, con altre quattro
ragazze dalla Fonit Cetra, a fare una registrazione in studio.
Mi dissero che si trattava di registrare un coretto per un artista
italiano, senza precisare chi fosse. Penso che se avessi saputo
che in realtà si trattava di De André sarei potuta
svenire!
La parte che dovevamo interpretare era il coretto rustico in
Ottocento6. A quei tempi
usavo ancora il mio nome di nascita, Nadia Pellicciari, e appaio
con questo nome sul disco7.
A questo punto devo parlare del grande Piero Milesi, che aveva
scritto gli arrangiamenti e dirigeva il coro. Dopo l'esperienza
di Ottocento, per tutti gli anni novanta e per i primi
anni del duemila, ho avuto il grande piacere di restare in contatto
con lui. Ci siamo scritti molto e mi mandò anche una
copia del suo ultimo lavoro con De André, Anime salve8.
È stato lui a suggerirmi di realizzare un bellissimo
progetto per voce e liuto: un ottimo consiglio, un'idea che
resta nella lista dei progetti da realizzare. Ad ogni modo,
Milesi dirigeva il coro e De André, sì, era molto
perfezionista. Sapeva esattamente quale timbro di voce voleva
da noi. Noi, del coro della Rai, inizialmente cantavamo con
queste voci belle impostate, ma lui, con molta gentilezza, ci
fece capire che il suono non andava bene, che doveva essere
il più rustico possibile, senza però essere stonati!
Quella session è durata qualche ora e, da quello che
mi ricordo, siamo poi andati in studio solo due volte, la prima
con De André presente e la seconda solo con Milesi. È
stato davvero divertente.
Come cantante mi sono stupita della facilità che aveva
De André di spostarsi da una voce più impostata
a una voce quasi recitante. Non so se abbia mai registrato delle
poesie, sue o di altri, ma penso che avrebbe potuto benissimo
fare anche l'attore, con quella voce. Questa sua capacità
di usare la voce mi ha davvero colpita, ed è quello che,
anni dopo, mi ha spinto a dare un taglio un po' teatrale a certe
sue canzoni.
Dicono che non fosse facile lavorare con Fabrizio De André,
che era notoriamente molto esigente. Cosa ti resta, dal punto
di vista umano, di quell'esperienza? Com'era Fabrizio fuori
dallo studio di registrazione?
Personalmente, per quel poco che ho potuto conoscerlo, l'ho
trovato un gran gentiluomo. In un momento di pausa ho avuto
anche il coraggio di avvicinarmi per dirgli che il suo era stato
il primo disco di un artista italiano che avessi mai ascoltato,
addirittura prima di Battisti! Lui sorrise: penso che fosse
davvero contento di sapere che qualcuno lo conosceva anche in
Australia.
Il momento umano bellissimo che mi ricordo è stato verso
la fine delle prove, quando telefonò a Dori Ghezzi, chiamandola
affettuosamente Dora. Una telefonata semplice, in cui
diceva cose del tipo: “Sarò a casa fra poco”.
Ricordo con precisione che poi disse: “Sì, butta
la pasta”. Abbiamo tutti sorriso, per essere stati testimoni
di questo momento di semplice intimità domestica di uno
che, in fondo, era un grande divo.
Oggi nel tuo repertorio ci sono alcune canzoni di De André.
Canto spesso Rimini e Bocca di Rosa, quest'ultima
in una versione un po' teatrale. Ovviamente ho cantato anche
Ottocento e poi La Canzone di Marinella. Ho in
programma di preparare Don Raffaè, La Guerra
di Piero e la bellissima Volta la Carta, nello stesso
modo teatrale che uso per Bocca di Rosa. Troverei difficile
dire che c'è una canzone di De André che non amo.
Tutto ciò fa parte di un progetto più ampio, che
è quello di mettere in scena un intero spettacolo per
far conoscere la sua musica qui in Australia. È un progetto
che mi impegnerà per qualche anno.
La tua versione teatrale di Bocca di Rosa, oltre
che molto bella, è anche molto interessante: hai mantenuto
il testo cantato in italiano ma introduci ogni strofa con un
parlato in inglese, una spiegazione ironica e divertente che
fa entrare il pubblico nello spirito della canzone e ne svela
i significati, mentre sullo sfondo il pianoforte continua sommessamente
la melodia. Come nasce la tua Bocca di Rosa che, in inglese,
è diventata “Red Rose”?
Sono molto fiera di questa versione e non vedo l'ora d'inciderla!
Fortunatamente Bocca di Rosa, come tanti altri “racconti”
di De André, è molto divertente e piacevole da
tradurre: c'è una storia, con un inizio, un apice ed
una conclusione, e mi diverte molto rendere questo tipo di storie
in modo quasi teatrale. Faccio una cosa simile con una bellissima
canzone di Dylan, Tangled Up in Blue, che è una
specie di “road song”, dove si segue la storia d'amore
del protagonista, dal primo incontro con l'amante fino alla
fine della relazione. Riguardo a De André, penso che
questo tipo di rappresentazione sarà un po' quello che
caratterizzerà il lavoro che intendo fare sulle sue canzoni,
il mio biglietto da visita.
Il pubblico australiano come le accoglie e come le capisce
quelle canzoni? Non sarebbe meglio tradurle?
Per me è sempre importantissimo rendere le canzoni in
lingua originale. Questa è la mia scuola, sia che debba
interpretare i lieder dei grandi compositori dell'800, sia che
si tratti delle canzoni di Poulence o di Satie in francese.
Detto questo, però, mi rendo conto che non è facile
far vivere davvero, far comprendere nel profondo, testi tanto
impegnativi quali sono quelli di De André. Per arrivare
a una comprensione che le faccia davvero apprezzare c'è
bisogno che il pubblico abbia comunque una traduzione che tenga
conto di tante sfumature. Proprio per questo ho scelto di inserire
dei passaggi in inglese tra i versi in italiano: per spiegare
agli ascoltatori gli avvenimenti e far loro capire cosa sta
accadendo nella canzone che stanno ascoltando. È un po'
come quando guardiamo un quadro, un dipinto di Picasso, di Kandinsky,
di Warhol, o anche dei grandi maestri del '500 e fino al '900:
certe volte abbiamo bisogno di un piccolo aiuto, una breve spiegazione
che ci aiuti ad avere la giusta percezione del dipinto, altrimenti
rischiamo di perdere qualche particolare, qualche aspetto che
non avremmo notato se non ci fosse stata quella spiegazione
ad aiutarci. Questo è il mio modo di presentare De André
al pubblico australiano. Perché le parole di De André
meritano di essere capite, ma mi piace anche che il pubblico
possa ascoltare e apprezzare quelle canzoni in lingua originale.
Insomma, hai buoni propositi per il futuro: vorresti diventare
la cantante che avrà fatto conoscere De André
al grande pubblico australiano?
Sarebbe un sogno, ma è un sogno che si può realizzare
e ci sto lavorando. C'è davvero la possibilità
di portare le canzoni di De André al grande pubblico
australiano, anche perché, fortunatamente, in Australia
non mancano i canali per far conoscere ad un pubblico di varia
provenienza le canzoni di De André, ad esempio tramite
la radio nazionale e la nostra rete di mass media multiculturali9.
Penso che sia anche interessante il fatto che quelle canzoni
siano cantate da una donna, con una voce che non assomiglia
per nulla a quella di De André! La mia intenzione, comunque,
non è di fare delle cover, ma piuttosto di rendere omaggio
ad un grande maestro, con interpretazioni che mi vengono di
volta in volta suggerite dagli stessi testi. È ora che
il mondo fuori dall'Italia conosca De André, almeno quanto
conosce quello che, a sua volta, fu il suo grande maestro, Georges
Brassens.
E gli altri progetti in campo artistico?
Continuo a propormi con il mio trio di voce, chitarra e fisarmonica,
con canzoni italiane e francesi e ho molti altri impegni artistici,
specie con la musica barocca. Poi aleggia sempre nell'aria quel
bellissimo progetto per voce e liuto, per portare in scena le
canzoni di due artisti molto lontani fra loro ma che curiosamente
hanno in comune anzitutto il nome: entrambi si chiamavano Robert
Johnson. Il primo era un liutista della corte di Giacomo I nell'Inghilterra
del '600, e l'altro è il grande bluesman del Mississippi
degli anni '30 del ventesimo secolo. Questo è, per l'appunto,
il progetto che aveva incoraggiato Piero Milesi. Lui aveva una
particolare simpatia per questo progetto, perché tutti
e due si chiamavano Robert Johnson e in qualche modo tutti e
due facevano il blues, solo che uno faceva il blues vero e proprio
mentre l'altro, vissuto secoli prima, faceva i “blues”
del culto della melancholia, cioè della malinconia,
un culto molto popolare nella letteratura, nell'arte e nella
musica del tardo '500, e dei primi del '600. Il liutista Robert
Johnson scriveva canzoni per le commedie della compagnia di
Shakespeare, i King's Men... ed è interessante notare
quest'altra coincidenza: il secondo nome del Robert Johnson
del Missisippi era Leroy, per l'appunto, The King!
So che ti piace molto anche Joni Mitchell10.
C'è in Australia un cantautore o una cantautrice che,
in qualche modo, fa pensare a De André e alla sua poetica?
Joni Mitchell è davvero una poetessa. Mi fai venire in
mente una storiella del tempo in cui vivevo a Firenze: eravamo
nel 1987 e un giorno, mentre stavo andando al lavoro, camminando
verso il Teatro Comunale, mi sono fermata a guardare una delle
bellissime vetrine di via della Vigna Nuova. C'era pochissima
gente in giro a quell'ora ed ecco che mi trovo accanto a una
signora che si ferma anche lei a guardare la stessa vetrina:
era proprio lei, la Mitchell, in Italia per una tournée!
Sono rimasta colpita, ma non ho avuto il coraggio di parlarle,
perché sembrava così tranquilla, in quel momento
di anonimato, in giro per la città a guardare le vetrine...
mi piacciono molto questi piccoli momenti, quando si ha l'occasione
di vedere i grandi divi nella loro vita normale.
Per quanto riguarda il panorama australiano devo dire che un
cantautore che, nei testi, viva nell'ambito della poesia, come
De André, non lo conosco. Abbiamo certamente il grande
Paul Kelly11, poi Jessy Younan
che purtroppo ci ha lasciati prematuramente12;
ci sono le canzoni deliziose di Steve Kilbey13.
Ma non siamo a livello della poetica di De André. A parte
questi autori, comunque, devo dire che la mia conoscenza della
canzone australiana è più sul versante della canzone
d'arte, con compositori come Dan Walker, Sally Whitwell, Margaret
Sutherland e la grande Peggy Glanville-Hicks14.
Un sogno che coltivo è quello di riuscire un giorno a
rendere queste canzoni in modo cosiddetto “popolare”,
non per sottrarle al posto che spetta loro nell'ambito della
canzone d'arte ma perché hanno melodie stupende, abbinate
a liriche bellissime, ricche di poesia, e mi piacerebbe farle
conoscere al grande pubblico. Questo in fondo è il criterio
che mi ha avvicinato alle canzoni di De André e, in fin
dei conti, penso che una canzone debba parlare ugualmente alla
mente ed al cuore.
Renzo Sabatini
Note
- Informazioni sulla carriera artistica di Nadia Piave sono
disponibili su nadiapiave.com.
- Rollingstone.com.
- Dall'omonimo album pubblicato nel 1978.
- Sylvano Bussotti (Firenze, 1931), compositore, interprete,
pittore, letterato, regista, scenografo e attore, ha al suo
attivo spettacoli di teatro musicale realizzati nell'ambito
della “BussottiOperaBallet” da lui fondata nel 1984.
Derek Jarman (1942-1994) regista e sceneggiatore britannico,
protagonista di una filmografia sperimentale e precursore nella
lotta per i diritti degli omosessuali.
- Tilda Swinton (Londra, 1960), attrice britannica, ha al suo
attivo molti film e opere teatrali. Per il regista Derek Jarman
è stata un vero punto di riferimento, attrice protagonista
di molti suoi film.
- Nel disco Le Nuvole, pubblicato nel 1990.
- La normativa australiana consente di cambiare con una certa
facilità sia il nome che il cognome. Sebbene non obbligatoria,
è ancora largamente diffusa la consuetudine, da parte
delle donne, di assumere il cognome del marito dopo il matrimonio.
- Pubblicato nel 1996.
- Le grandi metropoli australiane sono ormai caratterizzate
per la presenza di tante comunità linguistiche ed è
in voga, da alcuni decenni, una politica di promozione attiva
del multiculturalismo, intesa come valorizzazione delle tante
culture presenti nel Paese. Per chi volesse approfondire si
consiglia di visitare i siti della SBS (sbs.com.au), broadcast
radio-televisivo che trasmette in oltre quaranta lingue, e
della radio nazionale ABC (abc.net.au).
- Joni Mitchell (1943), grande cantautrice e pittrice canadese.
L'artista, ora settantenne, ha più volte annunciato
il ritiro dalla scena ma continua ad essere saltuariamente
presente a vari eventi. Per approfondimenti: jonimitchell.com.
- Nato nel 1955, Paul Kelly è probabilmente il cantautore
più conosciuto nel panorama musicale australiano contemporaneo,
con un sound decisamente rock e frequenti incursioni nel folk.
Per approfondimenti: paulkelly.com.au.
- Jessy Younan, cantautore e promettente chitarrista, deceduto
nel 2008 a soli 35 anni, di leucemia.
- Nato in Inghilterra nel 1954 ma cresciuto artisticamente
in Australia, è stato fra i protagonisti di numerosi
progetti musicali fra cui la rock band “The Church”
(thechurchband.net).
- Si intende qui per canzone d'arte (Art Song) il genere che
si ispira a un repertorio vocale classico, generalmente con
accompagnamento del pianoforte.
(intervista realizzata nel gennaio 2014)
In
direzione ostinata e contraria
Con
questa intervista, prosegue la pubblicazione su “A”
di una parte significativa delle 27 interviste radiofoniche
realizzate da Renzo Sabatini e andate
in onda in Australia nel programma “In direzione
ostinata e contraria” sulle frequenze di Rete Italia
fra il maggio 2007 e l’agosto 2008. In tutto si
è trattato di sessanta puntate (ciascuna della
durata di circa quaranta minuti, per un totale di quasi
40 ore di trasmissioni), nel corso delle quali sono state
trasmesse le 27 interviste e messe in onda tutte le canzoni
di Fabrizio De André. Si tratta dunque della più
lunga e dettagliata serie radiofonica mai dedicata al
cantautore genovese.
Se proponiamo questi testi,
è innanzitutto per dare ancora una vlta spazio
e voce a quelle tematiche e a quelle persone che di spazio
e voce ne hanno poco o niente nella “cultura”
ufficiale. E che invece anche grazie all’opera del
cantautore genovese sono state sottratte dal dimenticatoio
e poste alla base di una riflessione critica sul mondo
e sulla società, con quello sguardo profondo e
illuminante che Fabrizio ha voluto e saputo avere. Con
una profonda sensibilità libertaria e – scusate
la rima – sempre in direzione ostinata e contraria.
Precedenti interviste
pubblicate: a Piero
Milesi (“A” 370, aprile 2012), a Carla
Corso (“A” 371, maggio 2012), Porpora
Marcasciano (“A” 372, maggio 2012), Franco
Grillini (“A” 373, estate 2012), Massimo
(“A” 374, ottobre 2012), Santino
“Alexian” Spinelli (“A” 375,
novembre 2012)); Paolo
Solari (“A” 376, dicembre-gennaio 2012-2013);
Gianni Mungiello,
Armando Xifai, Alfredo Franchini (“A”
377, febbraio 2013); Giulio
Marcon e Gianni Novelli (“A” 378, marzo
2013); Sandro
Fresi e Paola Giua (“A” 379, aprile 2013);
Luca Nulchis
(“A” 380, maggio 2013); don
Andrea Gallo (“A“ 381, giugno 2013; Paolo
Finzi (“A” 382, estate 2013); Gabriella
Gagliardo (“A” 383, ottobre 2013); Amara
Lakhous (“A” 384, novembre 2013); Raffaella
Saba (“A” 385, dicembre 2013-gennaio 2014);
Paolo Maddonni
(“A“ 386, febbraio 2014); Stefano
Benni (“A” 387, marzo 2014).
la redazione di “A” |
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