Giubileo 1825
L'anno santo della ghigliottina
di Marvi Maggio
Durante il giubileo proclamato nel 1825 da Leone XII la chiesa detiene ancora il potere temporale. E lo esercita contro gli oppositori al regime del papa. La storia di Angelo Targhini e Leonida Montanari, i due carbonari repubblicani condannati a morte dal papa senza prove e senza difesa.
Dico solo ch'è una barbarie a far morire due giovani
per opinione e che conosceranno i preti un giorno il loro sbaglio.
Angelo Targhini
Ben a ragione si chiamano essi pastori poiché dai
sudditi che sono le loro pecorelle traggono e lana e latte e
formaggio e tutto ciò che fa loro di bisogno.
Angelo Targhini
Il risorgimento è stato contro il papa, malgrado la storia ufficiale lo abbia sempre negato. Walter Benjamin nelle sue tesi sulla storia, sostiene che ci sono momenti in cui specifici fatti della storia appaiono in una luce nuova, assumono nuovi significati, illuminano il presente.
È l'anno santo quando il papa Leone XII (1823-1829) fa assassinare sulla ghigliottina due carbonari che lottano per instaurare una repubblica e abolire l'odioso e reazionario governo temporale territoriale dei papi e della chiesa. È uno stato che oltre a praticare la pena di morte per gli oppositori e la tortura, difende il privilegio di nobili e clero, discrimina pesantemente gli ebrei ed è contro qualsiasi innovazione scientifica.
Il papa nel 1825 proclama l'anno santo. L'opposizione politica repubblicana si esprime attraverso le sette segrete e a Ravenna il capo della polizia del papa viene ucciso. Il 31 agosto dello stesso anno il cardinal legato Rivarola in qualità di giudice commina 514 condanne a varie pene. I carbonari coinvolti appartengono a tutte le fasce sociali. L'onda della rivoluzione non è lontana. Nelle carte processuali compare il nome di Leonida Montanari.
La chiesa che ha il potere temporale, in altri termini detiene il potere sul territorio e i suoi sudditi, non vuole perdere terreno. Vuole pene esemplari che facciano da deterrente alla diffusione dell'opposizione repubblicana. E usa il reato di lesa maestà: non c'è bisogno di prove che vadano oltre la delazione.
La polizia pontificia ha una rete di spie e di infiltrati da fare invidia alle peggiori dittature. Ci sono oppositori al regime del papa segnalati più volte e in più luoghi per la loro attività e la loro capacità propositiva. Non basta, la chiesa con i suoi processi portati avanti da cardinali e monsignori che sono contemporaneamente capi della polizia, utilizza quelli che oggi chiamiamo pentiti: persone coinvolte nei presunti reati che accusano altri per farsi ridurre la pena.
Due giovani carbonari Angelo Targhini e Leonida Montanari vengono accusati di lesa maestà e del lieve ferimento di Giuseppe Pontini, una spia, e condannati alla pena di morte. Hanno 26 e 25 anni.
Fanno parte di una setta segreta carbonara che raccoglie persone di vari strati sociali, popolari e borghesi, e anche delle donne. Dal processo conosciamo i nomi dei condannati che ne facevano parte: Sebastiano Ricci di Cesena, cameriere disoccupato; Ludovico Gasperoni, di Fusignano nel revennate, studente di legge; Pompeo Garofolini legale romano; Luigi Spadoni di Forlì ex soldato nelle truppe napoleoniche, successivamente cameriere e al tempo dell'attentato raffinatore di panni. Ma anche il Cav. Don Luigi Spada, amico di Massimo D'Azeglio e Giuseppe Pontini, abate e legale disoccupato, che l'accusa vuole ferito dai condannati e che è uno dei principali accusatori del processo: non si sa se fosse un infiltrato incaricato della polizia pontificia o se fosse un carbonaro che aveva deciso di collaborare con il governo.
Il processo della commissione speciale
Il governo pontificio dispone che a occuparsi del tentato omicidio di Giuseppe Pontini sia una commissione speciale composta da dieci membri e presieduta da monsignor Tommaso Bernetti, governatore di Roma e direttore generale di polizia. È istruito un processo di lesa maestà e ferita qualificata contro Montanari, Targhini, Spadoni, Garofolini, Gasperoni e Ricci. Il decreto istitutivo della commissione del 31 ottobre 1825 indica che “All'effetto della pena prescritta dalle leggi, anche per la sola pertinenza ad alcuna delle indicate società segrete, non sarà necessaria la prova strettamente legale, che con gran detrimento di giustizia non potrebbe ottenersi in tali delitti, trattati sempre e commessi clandestinamente [...] ma bastar debba quella morale certezza che rimuova dall'animo ogni ragionevole esitazione sul delitto e sul reo». La sentenza è dichiarata inappellabile e viene ordinato il segreto per i verbali delle discussioni, i voti e risultati, per evitare le “indebite pretenzioni degli inquisiti”. Non c'è nessuna possibilità di difesa, nè furono raccolte prove. Si trattava di un tribunale speciale. La condanna è basata solo sulle delazioni per ottenere sconti di pena.
Targhini nato nel 1799 è figlio di Sante Targhini di Brescia, cuoco del papa Pio VII e di Anna di Cesena. Ha studiato presso il Collegio Romano dei Gesuiti ma conosce Bonnet, Rousseau, Voltaire, Mirabeau, Volney, Dupuy. È ateo e afferma che la religione è una mera politica degli stati. È massone da quando era in Romagna nei primi anni 20 dell'800, dove asserisce che ce ne sono moltissimi: qualche ventina di migliaia. È entrato nelle sette segrete quando scontava, nell'area dei condannati politici, una pena a Castel Sant'Angelo per un omocidio avvenuto in una rissa nel 1819. Aveva due impieghi pubblici che ha perso per la condanna. A Castel Sant'Angelo stringe amicizia con Vincenzo Fattiboni condannato per lesa maestà: sarà lui a introdurlo nelle sette. La sentenza recita: “che Angelo Targhini durante la sua restrizione per l'omicidio commesso nel 1819 in persona di Alessandro Corsi si istruì delle materie spettanti alle proscritte segrete società, quivi si aggregò alla setta carbonica ed infine fu l'istitutore di questa nella capitale non appena potè restituirvisi”.
Leonida Montanari nato a Cesena il 26 arile 1800, studia medicina e chirurgia a Bologna e poi a Roma, malgrado il padre sia un commerciante fallito. All'epoca dei fatti è medico condotto a Rocca di Papa dove cura malati molto poveri ed è molto apprezzato per la sua umanità e disponibilità. Nel suo libro intitolato “I Miei ricordi”, Massimo D'Azieglio ricorda di essere passato a trovarlo e di averlo trovato intento a leggere il capitolo sulle congiure del Principe del Machiavelli e che pur non avendone la certezza aveva intuito che fosse un rivoluzionario.
Il ferimento di Giuseppe Pontini è del 4 giugno e Angelo Targhini viene arrestato subito, il 9 giugno, in base all'accusa del ferito. Montanari riesce a scappare, è ospite di un amico medico a Norma, ma si ammala di malaria e viene catturato a Velletri il 17 agosto.
Sia Targhini che Montanari sono in isolamento per tutta la loro detenzione. Tanto che solo la sera prima dell'esecuzione quando i carcerieri lo consegnano ai confortatori, Targhini domanda se vi è qualcun altro condannato a morte, e non ricevendo risposta, continua “sì, vi deve essere ancora Montanari”, e siccome nessuno lo nega, chiede di rivederlo e di parlargli, ma i preti gli rispondono che non è quello il tempo e che gli sarebbe stato concesso la seguente mattina dell'esecuzione (dalla relazione conservata nell'Archivio di San Giovanni Decollato).
Durante il processo Angelo Targhini si dirà disponibile alla dissimulazione: è disposto ad ammettere l'appartenenza alle sette segrete (ha appartenuto a ben 8 di esse) e a fare un'abiura, ma è tassativamente deciso a non accusare nessuno, come invece negli interrogatori gli viene chiesto ripetutamente prospettandogli in caso contrario la pena di morte. Targhini afferma: “la mano del signore non abbisogna della mia per far conoscere le altrui colpe”. Quando apprende che se non parla (accusando altri) sarà condannato a morte si chiude nel silenzio. Altri suoi compagni cederanno: alcuni avranno una riduzione di pena, altri non sono neppure nominati nelle carte del processo, il loro nome scompare.
L'ultimo interrogatorio
Questo è uno stralcio dell'ultimo interrogatorio di Targhini: “...ripeto che credo inutile di rispondere sopra quanto riguarda le Segrete Società perché intendo di non fare il delatore a carico di veruno, tale essendo la mia massima religiosa e morale, e non volendo a norma di essa nuocere a veruno. Quanto poi al fatto seguito a Pontini ripeto pure che credo inutile dire più di quello che ho detto nei passati esami poichè lo credo sufficiente a provare la mia innocenza nel fatto stesso, e del più credo ancora di non dire altro sopra tal fatto [...] le ragioni che ho accennato nel foglio diretto a Monsignor governatore il 15 agosto passato e da me qui sopra ricordate, alle quali ragioni interamente mi riporto intorno ad ambedue i fatti della presente causa.
D. (Nella quale si discutono le sue scelte e gli si fa presente che sta rischiando la pena di morte).
R. Non è questo né il luogo, né il tempo da trattenersi in accademia. Basta a me l'intima persuasione di essere innocente per non curare ogni contraria opinione, ed ogni conseguenza a mio carico di questo mio contegno, o per meglio dire, per essere sommesso a qualunque conseguenza a mio carico di questo mio contegno, conseguenza ch'ora mi ha superiormente spiegato.
D. (Seguono molte e circostanziate domande su fatti emersi negli altri interrogatori).
R. Ho detto di non voler rispondere.
D...
R. Nulla rispose.
D. (Seguono molte e circostanziate domande su fatti emersi negli altri interrogatori alle quali).
R. Nulla rispose.
R. Ripeto quanto ho detto di sopra intorno a questo mio silenzioso contegno. Nel resto non intendo rispondere.
D...
R. Non ho che opporre alla pretenzione della giustizia per la mia pertinenza alla Società Carbonica e per essa sarò rassegnato come ho detto, alla giusta pena. Per il fatto però seguito al Pontini protesto di nuovo la mia innocenza ed intendo di non meritare pena veruna. Nel resto credo di continuare nel mio silenzio.
E prima di partire disse quanto appresso:
Vorrei che ora mi si leggesse da principio fino alla prima interrogazione cui ho cominciato a non rispondere, l'esame fatto questa mattina fino a questo momento.
(non gli viene concesso)
R. Dopo aver io fatto l'istanza qui sopra registrata e dopo avermi replicato nel modo qui sopra esposto, io le ho richiesto che questa mia istanza e questa sua replica fossero qui registrate, al che ha potuto corrispondere. Dopo ciò null'altro mi occorre di dire” (pag. 2400 9 settembre, tomo 6°, busta 64, Archivio di Stato di Roma).
Ma non si pentirà neppure Leonida Montanari che pagherà con la morte la sua umanità. Chiederà durante gli interrogatori di potersi difendere, di parlare ai suoi giudici, ma la difesa non è prevista nei tribunali del papa. Chiederà l'appello, ma la chiesa era troppo preoccupata di conservare il suo potere per permettere che le persone avessero dei diritti. Le prove sono le accuse dei pentiti e delle spie.
Sentenza e assassinio nell'anno santo
Il 21 novembre 1825 viene emanata la sentenza della commissione speciale deputata “da nostro signore” papa Leone XII, presieduta da monsignor Bernetti, governatore di Roma e direttore generale di polizia. Due condanne a morte, due condanne alla galera a vita, due condanne a 10 anni. Il 22 novembre dalle 10,30 di sera i due condannati a morte vengono consegnati dal custode delle Carceri Nuove in via Giulia dove si trovano, al capo agente di polizia che li porta nella conforteria dove numerosi preti cercheranno di farli pentire, senza nessun risultato. Abbiamo una relazione dettagliata dei “confortatori” conservata nell'Archivio dell'Arciconfraternita di San Giovanni Decollato, che assisteva i condannati a morte, sulle ultime ore dei due carbonari e sull'esecuzione: una lunga notte. A un certo punto chiedono a Targhini se fosse disposto ad ascoltare una messa: e lui: “che ci devo io fare adesso alla messa? Se nel passato io mi portava in chiesa per ascoltarla, ciò era politica, ma ora questa politica per me non esiste più”. Montanari risponde che per lui era indifferente, ma che non avrebbe cambiato i suoi propositi.
La mattina seguente, 23 novembre 1825, non essendoci alcun segno di conversione, uno dei confortatori chiede al papa cosa si dovesse fare e lui dispone che a mezzogiorno si esegua la sentenza. Il luogo dell'esecuzione è piazza del Popolo.
I due carbonari si rivedono alla porta delle carceri nuove dove Targhini sale per primo sul carretto che lo avrebbe portato sul luogo dell'esecuzione, e poi Montanari sale sul suo e sorridendo gli si rivolge dicendo: “Angiolino, allegramente”. Targhini gli risponde con un sorriso.
“Voglio morire carbonaro”
Così viene raccontato il supplizio dal vice provveditore dell'arciconfraternita di San Giovanni Decollato: il boia apre le manette a Targhini e lui stesso si toglie la giacchetta, il corpetto e la camiciola dicendo “ancor questa può impedire” e si accomoda la camicia non sapendo che sarebbe stata tagliata e pone le mani dietro le spalle per essere legato. Il boia gli taglia la camicia e gli rade i capelli intorno al collo. Senza voler essere bendato, mentre sta andando verso il palco della ghigliottina i preti gli chiedono ancora una volta di pentirsi e lui risponde: “A che servono tante preghiere? Sono uomo ancor io, e ben mi sento commosso da queste, ma nulla altro però operano su di me che sono risoluto a morire”. Angelo Targhini si rivolge al suo amico Montanari e gli dice: “Coraggio, è un momento. Addio”. Addio dice pure ai confratri. Incamminandosi verso il palco della ghighiottina dichiara: “Voglio morire carbonaro” e salendo sul palco con voce alta e sonora grida “Popolo, io muoio senza delitti, ma muoio massone e carbonaro”. Voleva proseguire, ma gli viene impedito dal fragore dei tamburi, che con un cenno il vice provveditore fa battere all'aiutante del comandante delle truppe. Targhini “pone da se stesso con intrepidezza il collo sotto la mannaia” e muore. Un prete fa un discorso incominciando dal verso di Virgilio “imparate a coltivare la giustizia e a non disprezzare gli dei”.
Continua la relazione del vice provveditore: “Montanari [...] dimostra piacere per l'intrepidezza di lui, gridando perfino: “bravo, bravo” e ridendo domanda di essere condotto ancor egli alla morte [...] l'abate Materassi fa un nuovo tentativo, ed avvicinandosegli grida: “Montanari ancora siamo in tempo. Rivolgiamoci alla misericordia divina e noi saremo ascoltati, invochiamola”. Ma egli, colla maggior petulanza e sfacciataggine risponde “mi ha rotto i coglioni... non voglio veder più preti [...] che vadano a [...] quanti ne esistono”. Così egli ascende le scale del patibolo, ed il suo irremovibile animo una tal pertinacia mantiene fin quando il collo sta piegato per ricevere il fatal colpo, poichè gli viene miserabilmente troncato nel punto stesso che egli rispondeva no no al Padre Passionista, che lo esortava a ravvedersi”. Segue un discorso di uno dei preti rivolto ai padri e alle madri per l'educazione dei loro figli.
L'impressione per la morte senza delitti e senza difesa dei due carbonari è enorme. Il mattino dopo e poi per lungo tempo presso il luogo della sepoltura, al muro torto, fuori da porta del popolo furono posti fiori e corone d'alloro da inglesi, francesi, tedeschi e romagnoli. Delle vendite di carbonari presero i loro nomi.
L'anno santo, fra processioni, laudi e preghiere la chiesa aveva mostrato il suo vero volto: quello del potere, della tirannia, del crimine.
Dal 1909 c'è una lapide in piazza del popolo che li ricorda: “Alla memoria dei carbonari Angelo Targhini e Leonida Montanari che la condanna di morte ordinata dal papa senza prove e senza difesa, in questa piazza serenamente affrontarono il 23 novembre 1825” (posta dall'Associazione democratica Giuditta Tavani Arquati, laica ed anticlericale).
Il 23 novembre ricordiamo quei compagni a cui ci lega un filo rosso. Certo, sono passati 190 anni, era un altro mondo. Ma mentre tutto cambia, il nostro desiderio di libertà per gli oppressi e gli sfruttati si accresce, come quello di una vera giustizia sociale. Mentre misuriamo la distanza ci rendiamo conto della vicinanza. Quello che ci lega è la lotta per un mondo più giusto.
Che dire? Viva la libertà! Viva tutti i compagni che abbiamo sparsi fra le onde della storia, con infinito affetto per chi con il suo attivismo politico e il suo coraggio ha fatto vivere, nel suo tempo e nelle sue forme, la lotta per un mondo più libero e più equo.
Marvi Maggio
Bibliografia
Trovanelli, Nazareno, “La decapitazione dei carbonari
Montanari e Targhini”, 1890, in Il contemporaneo,
dicembre 1960 – gennaio 1961, Editore Parenti, anno III,
n.32, edizione 1960.
Processo Montanari e Targhini, Tribunale della Sacra Consulta,
Archivio di Stato di Roma, buste 62-63-64.
Libro del provveditore della Venerabile Arciconfraternita di
San Giovanni Decollato per le giustizie dal 1810 al 1827, Registri
dei giustiziati 1810-1827, libro III, reg.23, busta 12, Archivio
di Stato di Roma.
continua
la lettura del dossier
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