sport e antifascismo
Le Olimpiadi che non si tennero
di Valeria Giacomoni
Ottant'anni fa dovevano tenersi a Barcellona delle Olimpiadi popolari. Che poi non si tennero in seguito al golpe dei militari guidati dal generalissimo Francisco Franco. In realtà quasi iniziarono e alcuni atleti rimasero a combattere.
Sono terminati da poco gli Europei
di calcio e le Olimpiadi di Rio e siamo così abituati
a vivere i grandi eventi sportivi in questo modo che non riusciamo
a immaginarli diversamente. La nostra partecipazione è
richiesta non a livello sportivo (tutti seduti davanti alla
tv) ma il coinvolgimento è emotivo: un carosello di bandiere
ed inni si appellano ai nostri sentimenti nazionalisti e puntano
a farci sentire identificati con la nostra squadra che si appresta
a combattere contro il resto del mondo. Il paese designato ad
accogliere eventi di questo genere normalmente subisce trasformazioni
urbanistiche importanti, con la relativa spesa pubblica, da
cui traggono beneficio solo le élites e che tendono ad
allontanare la popolazione più povera dall'obiettivo
delle telecamere. Mi ha sorpreso scoprire chi ha inventato questo
formato e come sia vigente ancora oggi... e allora ho approfondito
la storia delle Olimpiadi e le contro Olimpiadi del 1936.
Per capire di cosa stiamo parlando, bisogna tornare indietro,
all'aprile 1931 quando il Comitato Olimpico doveva riunirsi
a Barcellona per decidere che città si sarebbe aggiudicata
i Giochi del 1936: tra le candidate la stessa Barcellona, Roma,
Berlino, Budapest, ecc. La capitale catalana vantava un nuovissimo
stadio e altre strutture costruite per la recente Esposizione
Universale del 1929. Tuttavia, l'improvvisa proclamazione della
Repubblica in Spagna, nonostante si trattasse di un cambio di
regime assolutamente pacifico, spaventò molti membri
del Comitato Olimpico che preferirono non presentarsi (qualcosa
ci dice di chi lo formava...) evento che sicuramente contribuì
alla decisione di scartare la candidatura di Barcellona per
timore (questa volta giustamente) di cosa sarebbero stati capaci
nel 1936 se nel 1931 già si era proclamata la Repubblica...
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Il manifesto delle Olimpiadi popolari organizzate a Barcellona nel 1936 |
Boicottaggio contro le Olimpiadi del nazismo
La scelta ricadde su Berlino, che nel 1931 era ancora capitale
della Repubblica di Weimar, senza poter prevedere che nel 1933
sarebbe salito al potere Hitler. L'idea di dover organizzare
i Giochi Olimpici all'inizio non piaceva nemmeno al Führer,
ma presto capì l'occasione che gli si presentava per
esaltare il nazismo e sbandierare la sua potenza a livello mondiale.
Infatti le Olimpiadi di Berlino furono le prime trasmesse in
televisione e contarono su imponenti coreografie per dare un'idea
di grandezza che Hitler volle immortalare nel film Olympia,
un documentario di 4 ore che utilizza inoltre tecniche avanzate
come la telecamera in movimento vicino agli atleti. Questo film
contribuì alla presentazione dello sport come evento
di massa e all'aumento della competitività tra nazioni
che si scontravano in un conflitto senza armi, per dimostrare
la propria superiorità. Insisteva anche sul coinvolgimento
del pubblico perchè vivesse la vittoria o la sconfitta
del proprio paese come qualcosa di personale, rafforzando il
sentimento nazionalista. In Olympia tra il pubblico viene
inquadrato Hitler che esulta e soffre... è l'inizio dello
sport come oppio dei popoli, della sua politicizzazione, evidente
anche oggi.
Ma negli anni Trenta in Catalogna si respirava un'aria ben diversa
da quella del Terzo Reich e anche lo sport seguiva uno sviluppo
differente. I primi club sportivi nacquero a inizio secolo nel
seno di organizzazioni operaie, di centri culturali orientati
all'emancipazione della classe lavoratrice. Lo sport, da passatempo
per i ricchi, era diventato parte della rivendicazione per un'educazione
integrale da chi non aveva avuto diritto a una cultura. Così,
enti per la diffusione culturale popolare come l'Ateneu Enciclopèdic
Popular (1902) avevano anche una sezione sportiva mentre
il Club Femení i d'Esports gestiva anche una biblioteca
e si faceva portavoce di un certo femminismo. Il tessuto associativo
favorì lo sviluppo dello sport come slancio verso lo
spiegamento completo delle facoltà fisiche e mentali.
Questo substrato partecipativo fece di Barcellona il luogo adatto
per l'organizzazione di un evento contro le Olimpiadi di Berlino.
Con le Leggi di Norimberga (1935), che discriminavano chiaramente
gli ebrei, iniziarono a levarsi voci di boicot ai Giochi ufficiali,
da cui molti atleti sarebbero stati esclusi per questioni razziali.
In Francia si fondò una Federation Sportive de Gauche,
in Olanda si creò un collettivo di artisti De Olimpiade
onder Dictatuur e negli Stati Uniti un Comittee on Fair
Play in Sports che chiedeva il ritorno ai valori iniziali
delle Olimpiadi. Infatti, questa manifestazione sportiva, iniziata
nei tempi moderni dal Barone di Coubertin nel 1896, si proponeva
come un incontro tra popoli nel segno della fratellanza. “Con
queste gare, limitate a gli sportivi amateur, si voleva incitare
relazioni pacifiche e costruttive tra le nazioni, stimolando
uno spirito di superamento personale, gioco pulito e di sana
competizione («lo spirito olimpico»)”.
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Berlino (Germania), Stadio Olimpico, 1936 - Il tedoforo Siegfried Eifrig, atleta tedesco, porta la fiamma olimpica sino al braciere |
La novità delle formazioni non solo nazionali
Questo movimento di boicottaggio internazionale e l'attivismo
dello sport catalano confluirono nella proposta di organizzare
delle Olimpiadi Popolari, con carattere chiaramente antifascista,
da parte del Comité Català pro Esport Popular,
formato da enti come l'Ateneu Enciclopèdic Popular
e il Club Femení i d'Esports. L'assenza di finanziamenti
non preoccupava gli organizzatori che fecero appello alla solidarietà
dei catalani per offrire accoglienza gli atleti disposti a pagarsi
il viaggio: la risposta internazionale fu un gran successo,
con l'iscrizione di 6.000 atleti di 23 diverse delegazioni.
Una grande novità era la possibilità di partecipare
con formazioni non solo nazionali ma anche regionali e locali,
di modo che si iscrissero squadre della Catalogna, Paesi Baschi
e Galizia, oltre alla Spagna, e soprattutto delegazioni senza
una nazionalità riconosciuta, come l'Algeria, che non
era ancora indipendente, Palestina, Alsazia e una squadra di
Ebrei emigrati. Tra le partecipazioni di altri stati spiccava
la Francia, con 1.500 atleti, gli Stati Uniti, la Svizzera,
l'Inghilterra ecc. Si parla anche dell'adesione di atleti italiani
e tedeschi esiliati a causa dei regimi fascisti.
Le sovvenzioni ufficiali arrivarono solo grazie alla pressione
esercitata contro la partecipazione ai Giochi di Berlino. Sia
il governo spagnolo che quello francese stanziarono dei fondi
a favore delle Olimpiadi Popolari, non potendo negare la collaborazione
ad una manifestazione sportiva popolare che aveva ormai raggiunto
dimensioni internazionali, ma continuarono a finanziare la partecipazione
ai Giochi nazisti. Le istituzioni catalane stanziarono dei fondi
all'ultimo momento dopo aver riflettuto sul rischio di una brutta
figura internazionale...
Le discipline sportive erano 16, oltre alle classiche come atletica,
calcio e lotta, sono da sottolineare scacchi, ping pong e la
pelota vasca (gioco tipico dei Paesi Baschi) seguite
da esibizioni di aviazione non motorizzata e di ginnastica (sembra
che queste ultime fossero tipiche anche dei giochi ufficiali).
Anche per quanto riguarda le categorie si introdussero delle
novità, con la possibilità di partecipare alle
gare su tre livelli stimolando la partecipazione amatoriale
secondo il lemma olimpico “l'importante è partecipare”.
Erano previste anche manifestazioni folkloristiche: la forte
risposta catalana a questo appello arrivò a far cambiare
i cartelli definendo l'evento Settimana Popolare di Sport e
Folklore invece di Olimpiadi, per sottolineare la dimensione
culturale dell'incontro tra popoli. Anche le altre delegazioni
accolsero calorosamente la proposta visto che il programma prevedeva
tra le altre cose, balli scozzesi, teatro popolare svizzero,
un gruppo folkloristico marocchino ed esibizioni tirolesi dall'Austria.
Un altro aspetto che l'organizzazione di questi Giochi cercò
di incentivare è la partecipazione femminile, alla quale
era contrario il famoso fondatore dell'ideale olimpico Pierre
de Coubertin... Quest'interesse risulta evidente in uno dei
cartelli pubblicitari e trova riscontro nella partecipazione
del Club Femení i d'Esports nell'organizzazione.
Sembra che molte federazioni femminili avessero risposto all'appello
anche se è difficile fare una stima dato che in molti
casi si parla di atleti senza specificare il sesso. Per fare
degli esempi sappiamo che le atlete francesi erano 100 su 1.500,
ma allo stesso tempo dal Canada di sei partecipanti cinque erano
donne. Abbiamo notizie della presenza femminile anche nelle
squadre di Algeria, Palestina ed Ebrei emigrati, e sicuramente
anche in altre dato che per la Svizzera conosciamo la storia
di una nuotatrice nonostante non venga specificata la partecipazione
femminile.
La testimonianza di uno degli atleti della Federació
catalana de atletisme, Eduardo Vivancos, ricorda con entusiasmo
quel 18 luglio quando iniziarono ad arrivare gli atleti stranieri
nello stadio di Montjuïc, dove si stava allenando: “Il
pomeriggio del sabato 18 luglio, nello stadio di Montjuïc
c'era una grande attività. Erano arrivati molti atleti
stranieri per allenarsi e confraternizzare con gli altri partecipanti
ai Giochi. Erano presenti anche molti giovani barcellonesi membri
della sezione sportiva dell'Ateneu Enciclopèdic Popular,
della Scuola del Lavoro di Barcellona e di altri clubs locali.
Questi ragazzini dovevano fare le ultime prove degli esercizi
ginnici che si presentavano il giorno dopo. I contatti tra i
due gruppi furono molto interessanti ed istruttivi nonostante
gli evidenti problemi linguistici (...). Modi cordiali e calorose
strette di mano sostituivano le parole. L'ambiente era molto
fraterno. Per la prima volta nella vita ebbi l'occasione di
avere contatto diretto con persone di altri paesi. Quell'esperienza
rafforzò la mia convinzione di quanto importante fosse
promuovere il sentimento di amicizia tra persone di diversa
origine etnica e nazionale.”
Ma la data del 19 luglio 1936 passò alla storia per il
golpe militare che segnò l'inizio di tre anni di guerra
civile. La rapida risposta del popolo catalano all'insurrezione
militare sorprese molti atleti. Un atleta belga racconta: “Le
strade sono vuote sotto un sole cocente (...) nella Piazza del
Commercio ci imbattiamo nelle prime barricate (...) a centinaia
di metri vediamo dei sindicalisti armati (...) le barricate
appaiono ogni 100 metri. Tutte le vie laterali sono bloccate
(...) sgusciamo lungo le facciate delle case. Le pallottole
fischiano attraversando la piazza. (...) Istintivamente pieghiamo
la schiena e ci rifugiamo in un'entrata (...) Vediamo chiaramente
come dal campanile della chiesa, i cecchini sparano alla schiena
ai lavoratori che si trovano dietro le barricate”.
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Barcellona (Spagna), 21 luglio 1936 - La miliziana Marina Ginestà sulla terrazza dell'Hotel Colón |
Quelle atlete/i che rimasero per combattere il fascismo
Ci è giunta la testimonianza di altri sportivi che si stupirono del coraggio della gente che li scortò fino al porto perchè potessero andarsene. La maggior parte degli stranieri effettivamente tornò ai loro paesi d'origine. Tuttavia alcuni di loro (è impossibile stabilire il numero esatto però si parla di circa 200) rimasero in Spagna ed entrarono a formar parte delle milizie antifasciste. “Eravamo venuti a sfidare il fascismo in uno stadio e ci fu data invece l'opportunità di combatterlo”. Si tratta dei primi stranieri che volontariamente si unirono alla lotta contro il fascismo internazionale, come Clara Thalmann, nuotatrice anarchica svizzera, che entrò nella Colonna Durruti e raggiunse il fronte aragonese o il foto-giornalista tedesco Hans Gutmann che rimase a documentare tutto il conflitto (a tal punto che spagnolizzò il suo nome in Juan Guzmán!) e scattò una delle fotografie emblematiche della guerra civile spagnola: la 17enne Marina Ginestà con la tuta da lavoratore e il fucile in spalla sulla terrazza dell'Hotel Colón e sullo sfondo la Barcellona rivoluzionaria.
Valeria Giacomoni
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