Rivista Anarchica Online


canzone d’autore

a cura di Alessio Lega

 

Un pass’a n’ante, un pass’indietro

Due parole su una storia, un concerto e una polemica in cui mi trovo in qualche modo coinvolto, ma su cui non ho una posizione precisa.
Ovviamente so che il secondo re d’Italia, il re “buono” (attenzione alle virgolette), subì tre attentati da parte di altrettanti anarchici e che il terzo andò a buon (questa volta senza virgolette) fine. Si conosce bene il nome di Gaetano Bresci, per sommi capi la sua storia, e – nella storia – è filtrato qualcosa anche della sua notevole personalità (recentemente ce ne siamo occupati su questa rivista anche per merito del fumetto di Santin e Riccomini da poco pubblicato).
Ma orrori e retroscena del primo sfortunato tentativo di arginare la “bontà” di re Umberto mi erano del tutto ignoti, finché qualche anno fa i compagni della FAI Milanese, non mi misero in mano un enorme tomo di Giuseppe Galzerano, Giovanni Passannante: la vita, l’attentato, il processo, la condanna a morte, la grazia “regale” e gli anni di galera del cuoco lucano che nel 1878 ruppe l’incantesimo monarchico (Galzerano Editore 1997).
Mi appassionai alla lettura del documentatissimo volume ed entrai col cuore e con la mente nel dramma di Passannante, di questo ragazzo mingherlino di 29 anni, nato poverissimo nella poverissima Salvia di Lucania.
La sua biografia la trovate per esteso, su questo numero della rivista, nell’articolo di Massimo Ortalli, il nostro grande ritrattista. Lì trovate tutta la sua nobiltà e il fallimento (ma provare è già riuscire): l’attentato a Umberto con un coltellino da pane, il cammino d’inferno, le torture, la carcerazione, la follia, la morte in manicomio. Poi quella sua testa che viene spiccata dal corpo, il cervello messo nella vaschetta ed esposto – ancora oggi! – a fianco del cranio al museo. Intanto anche il nome del suo paese, Salvia di Lucania, viene cambiato in Savoia di Lucania.

Il cervello di Giovanni Passannante

È da qualche anno ormai che, ogni volta che c’incontriamo, parliamo di questa vicenda con Andrea Satta, cantante dei Têtes de Bois, artista nella vita prima ancora che nell’arte e agitatore culturale dalla mille risorse. Per lui la memoria e l’orgoglio di Passannante sono diventate un commosso rovello: vuole in qualche modo accendere un faro, far conoscere il misfatto. Credo che, oltre all’indignazione per il destino crudele e ingiusto, si eserciti su di lui il fascino dello sfondo vagamente surrealista di questa storia; effettivamente fra paesi senza nome e cervelli esposti – sia detto con tutto il rispetto per Passannante – si sfiorano i confini dell’humor nero: i carnefici di Giovanni oggi ci appaiono più vicini a una macabra messinscena, a un Frankenstein Junior in versione tragica; nella loro trucidità non si riesce a prenderli sul serio, una risata li ha già seppelliti questi tagliatori di teste.

Il teschio di Giovanni Passannante

Andrea Satta si è molto attivato negli ultimi anni col doppio scopo di riportare Passannante a casa e nel contempo di restituire a Savoia di Lucania il suo vero nome. Finalmente un mesetto fa mi chiede l’adesione a un grande spettacolo a Roma per promuovere queste intenzioni.
Gino Paoli, gli Acustimantico, Carmen Consoli, Alessandro De Feo, Rocco De Rosa, Maria Pia De Vito, Francesco Di Giacomo & Rodolfo Maltese, Alessio Lega, Canio Loguercio, Mauro Macario, Pino Marino, Sara Modigliani & Sonia Maurer, Renato Nicolini, Massimo Pasquini, Ulderico Pesce, Sandro Portelli, Remo Remotti, Andrea Rivera, Stefano Tassinari, i Têtes de Bois – of course –, Paola Turci… tutti insieme venuti non per seppellire Passannante, ma per lodarlo (come ha giustamente parafrasato Portelli).
Lo spettacolo si svolge in pompa magna al teatro Palladium il 19 marzo scorso, in una Roma insolitamente funeraria: piovosa e fredda. Ma dentro il teatro qualcosa brucia. Ogni artista firma di suo pugno “Per Passannante”. Tutti sfilano – senza alcun trattamento privilegiato, tutti uguali in cartellone – star dello show business, giornalisti, poeti, persino qualche carica istituzionale (che dopo cinquant’anni di repubblica si siano finalmente accorti che il cranio di un aspirante tirannicida non è un’aberrazione di natura?).
Gino Paoli dà in apertura la zampata del leone cantando Gli anarchici di Ferré con Andrea e con tutti i Têtes de Bois, tanto bravi sul palco (ma questo si sa) quanto premurosi fuori (e questo va detto), c’è Ulderico Pesce, attore che ha dedicato un intero spettacolo a Passannante, c’è Enrico de Angelis, Gianni Mura, sornione come sempre nel domandarsi dov’è finita tutta quella carità cristiana che si profonde in merito a eutanasia e fecondazioni assistite, per poi permette l’esposizione di Passannante nel museo. Carmen Consoli canta con una furia sublime “Malarazza”

Ti lamenti? Di che ti lamenti?
Pigghia lu bastune e tira fora li dienti

 
Giovanni Passannante all’epoca dell’attentato e (a destra) durante la detenzione

Lo spettacolo intero è una kermesse che, nonostante la lunghezza, magnetizza il teatro stracolmo. Un trionfo. Il nome di Durruti, evocato da Mauro Macario, è accolto da un interminabile applauso… insomma, di che tornarsene a Milano soddisfatti.
E invece sulla posta elettronica mi aspetta un’amara sorpresa, l’ottimo Galzerano – l’autore della monografia a cui devo la conoscenza dell’intera vicenda – ha inviato una mail in questi toni: “Per motivi storici e politici è una follia seppellire i resti di Giovanni Passannante.” Un po’ mi sento colpito sul vivo, anche perché, con Galzerano ci stimiamo e ci vogliamo bene… e rispondo piccato. Giuseppe mi invia un lungo appassionato scritto che chiarisce il suo punto di vista di cui vi cito alcuni passi:

“Appello agli storici e agli uomini di cultura. È in atto un brutale e incivile tentativo di cancellare una pagina della storia sociale e politica del nostro paese. (…). È necessario ribadire ancora una volta che per motivi storici e politici sono totalmente contrario alla sepoltura dei resti di Giovanni Passannante (…). Mi sono interessato di Passannante, per passione politica e senza secondi fini, quando nessuno se ne occupava, consultando per le mie ricerche numerosi archivi in Italia e all’estero. (…). Attualmente il suo cervello e il suo cranio sono conservati al museo criminologico Altavista di Roma. Questi due reperti che ormai appartengono alla lunga e drammatica storia della repressione italiana testimoniano alle future generazioni la barbarie di quel tempo e della monarchia dei Savoia e di chi diede l’ordine di decapitare un morto. (…). A distanza di cent’anni non ha nessun senso seppellire i due piccoli resti del cadavere, che ormai svolgono un ruolo di testimonianza storica e la storia ha bisogno di essere portata alla luce e non di essere seppellita. Se qualcuno dovesse decidere – per fare un esempio – di seppellire i resti di Pompei, l’opinione pubblica giustamente si opporrebbe gridando ad un attentato alla storia e alla conoscenza. Quei resti devono rimanere per gli storici e per i cittadini come un’indistruttibile ed eloquente testimonianza della durissima repressione monarchica, dei difficili rapporti tra cittadini e istituzioni, testimoni muti eppure parlanti della tragedia di un uomo e allo stesso tempo della mancanza di rispetto per la vita umana ma anche per la stessa morte. (…). Seppellire Passannante nell’attuale Savoia di Lucania significherebbe recare nuove e inaccettabili persecuzioni alla memoria del cuoco lucano. (…). Perché seppellire solo i resti di Passannante quando le chiese del nostro bel paese sono piene di resti di santi e madonne? Dirò di più: finanche i resti di Cesare Lombroso – la sua testa è conservata in un recipiente di vetro – sono esposti a Torino nel Museo di Antropologia criminale. Allora seppellire solo i resti di Passannante è un’ulteriore ingiustizia nei suoi confronti e un’offesa alla sua memoria. (…). Si vuol fare – mi auguro senza volerlo – un favore ai Savoia, eliminando la prova della loro crudeltà politica ed umana: quei resti ci fanno capire chi erano… (…). Sono un monito politico e storico per il passato, per il presente e per il futuro affinché nessuno decapiti uomini e combattenti in nessuna parte del mondo. (…). Giuseppe Galzerano
Nel frattempo anche un messaggio su Venditor di sassi (il mio blog) mi rimanda a un’opinione piuttosto acida espressa da un altro blogger in merito allo spettacolo cui ho preso parte; in sostanza si stigmatizza tutto il movimento mediatico per “seppellire un sovversivo” e addirittura si sostiene che “uno come Passannante non avrà avuto un’opinione così alta di tutto questo apparato clericale della degna sepoltura”
Bah, ovviamente le critiche contenute in questi interventi mi muovono a pormi delle domande, a formulare degli interrogativi, ma non giungo a darmi una risposta definita.
Io ho partecipato a quello spettacolo, ma non credo di dover fare a mia discolpa l’elenco delle iniziative a sostegno dei compagni vivissimi, e in generale di tutte le iniziative contro la repressione cui io, e molti degli altri partecipanti, hanno aderito nella loro vita. Quanto a tutti coloro – Têtes de Bois in testa – che si sono mossi per portare la loro solidarietà in questa vicenda, direi che non possiamo proprio dire che per gli anarchici seppelliti vivi nelle prigioni non ci siano stati movimenti d’opinione: come si può scordare, per esempio, l’impegno onestamente profuso da molti non anarchici (Stajano, Cederna, ecc.…) alla causa della liberazione di Valpreda e della verità per Pinelli. Io a quelle persone porto stima e gratitudine, pur nell’eventuale differenza delle opinioni.
La cosa che maggiormente mi sfugge è soprattutto dove sia "tutto questo apparato clericale della degna sepoltura" nell’intenzione di togliere ciò che resta di Passannante da quel museo degli orrori. Forse che gli anarchici hanno mai aderito alla pratica dell’imbalsamazione e dei mausolei nella Piazza Rossa? Forse ho capito male leggendo le pagine stupende dedicate da Kaminski ai funerali di Durruti? Forse che serva spostare la bara di Pinelli dal cimitero di Carrara dove si trova, alla questura di Milano per continuare a provare tutta la propria rabbia? Forse hanno fatto male i compagni che portarono in corteo per tutta Pisa Franco Serantini al cimitero colle lacrime agli occhi?
O per volare alto ricorrendo a qualche reminiscenza liceale, Foscolo – che non era proprio un clericale modello – ha avuto qualcosa di importante da dire sul potere evocativo di rabbia e di passione dei sepolcri.
Per cui, cari compagni, discutiamo pure dell’opportunità dell’iniziativa in questione, ma tenendo ben presente che parlare di Passannante oggi corrisponde comunque al tentativo di riaccendere un lume su questa storia oscurata del nostro "belpaese", ben vengano allora spettacoli e concerti. A parte il libro di cui ho abbondantemente detto, cosa è stato fatto contro l’oblio di questa vicenda negli anni passati?
Non so dire se abbia ragione Galzerano o se abbia ragione chi sostiene che ciò che resta di Passannante andrebbe spostato dal museo criminologico e forse a questo punto nemmeno mi pare fondamentale.
Quello che so per certo è che l’unica degna dimora del compagno Passannante – al di là di ciò che resta del suo corpo – è nella sua memoria, viva nella nostra, nelle lotte contro le casate degli oppressori e dei loro degni eredi fascisti e postfascisti. Tutto ciò che conta è in questo cantare e gridare contro l’oblio e contro la barbarie.
L’iniziativa dei Têtes de Bois a questo è valsa: gli spettatori che uscivano dal teatro Palladium ne sapevano certo molto di più su Passannante di quando sono entrati, e per questo sono personalmente orgoglioso di avervi partecipato.

Un pass’a n’ante, un pass’indietro
Nell’aria lucida di vetro
Un passo ancora che poi riesci
E se non riesci finisce Bresci.

Alessio Lega
alessio.lega@fastwebnet.it