società
Pluralismo e azioni positive
di Francesco Codello
Le idee libertarie non possono essere imposte, ma solo proposte e imitate. Per questo il nostro impegno andrebbe indirizzato verso azioni e pratiche quotidiane in grado di contaminare dapprima le nostre relazioni, e poi l'intera società.
Alla fine degli anni ottanta dell'Ottocento Lev Tolstoj scriveva un racconto, poco conosciuto e non sufficientemente considerato, dal titolo «La cedola falsa». In questo scritto il grande scrittore russo ci rappresenta una galleria di personaggi coinvolti in un processo di trasformazione interiore. Tutti, in qualche modo, sono accomunati da un unico motivo di riflessione: come, in che modo, con che forza, l'azione del male contagia gli esseri viventi e, allo stesso modo, come invece si propaga tra uomini e donne ogni atto di bene. In sostanza, Tolstoj ci propone una riflessione su come si propagano il male e il bene. La conclusione a cui il lettore viene condotto è una valutazione su come il bene (le buone azioni) può interrompere il dispiegarsi del male (cattive azioni).
Questo tema mi pare estremamente attuale. In un'epoca nella quale ogni sorta di azione, parola, concetto, appare sempre più legittimata, anche quando produce risultati di odio e rancore verso i diversi (in tutti i sensi), riflettere sul medesimo problema che si pose Tolstoj diventa, per noi anarchici, inevitabile e ineludibile.
Uno dei rischi per chi, come noi, desidera e opera concretamente per una trasformazione delle relazioni umane in una direzione decisamente libertaria ed egualitaria, è quello di trascurare le piccole azioni quotidiane che accompagnano la nostra vita e che spesso vengono ripetute automaticamente e per consuetudine. Ricordiamoci che già Étienne de La Boétie, nel suo straordinario libretto La servitù volontaria, ci ammoniva proprio sul potere devastante che le abitudini (intese in senso lato) hanno nel determinare la sottomissione degli esseri umani.
Sono convinto, come ben testimoniava Colin Ward (di cui l'11 febbraio ricorre il decennale della morte), riprendendo una illuminante frase di Alexander Herzen («Un fine infinitamente remoto non è affatto un fine, è un inganno») che la nostra attenzione e il nostro impegno vadano, in un momento storico come questo, indirizzati verso una pratica quotidiana che anticipi e contamini le relazioni diverse che peroriamo. E, riprendendo ancora Herzen, è opportuno essere consapevoli che «ogni epoca, ogni generazione, ogni esistenza ha avuto, e deve avere, la propria esperienza, e en route nuove richieste, nuovi metodi cresceranno».
Le imitazioni dei comportamenti altrui, soprattutto in una società che si nutre di apparenze e di egoismi come quella attuale, sono dei veicoli attraverso i quali si riproducono comportamenti negativi, che tendono cioè alla sopraffazione e al trionfo di quella “legge della giungla” fatta di competizioni e di egocentrismi esasperati. Tutto ciò concorre, in maniera decisiva, a formare un immaginario sociale che giustifica e sdogana ogni azione, che magari fino a poco tempo fa, se non altro per prudenza o perbenismo, veniva occultata, e determina una crescente fuga dalla responsabilità (così fan tutti, quindi...). Ma è altrettanto vero che questa tendenza così forte, presente nelle nostre relazioni sociali a vari livelli, può essere contrastata e interrotta dal mettere in atto azioni, relazioni, parole, atteggiamenti, concetti, che si muovano in direzione opposta e contraria.
Prove di fattibilità
Un semplice gesto, a torto ritenuto banale o poca cosa, che esalti un modo diverso di stare in una comunità, sprigiona una forza decisamente più forte e più profonda, magari non sempre in grado di contrastare la negatività, ma perlomeno di dimostrare una possibilità diversa che aumenta sia il benessere personale sia quello sociale. Esempi ce ne sono tantissimi, solo non vengono mai evidenziati, oppure sono ritenuti piccoli e insignificanti segni di diversità. Non dobbiamo commettere questo errore, abbiamo bisogno di valorizzare la positività seppur senza procedere con gli occhi bendati o offuscati da illusioni rassicuranti.
Innanzitutto richiamerei l'attenzione sul fatto che un'alternativa anarchica è una proposta e come tale non può imporsi con la forza ma può solo essere accettata liberamente e consapevolmente. Questo non significa, a mio parere, che le azioni di dissenso, di lotta, di contestazione non siano necessarie e che queste inevitabilmente non tendano a porre in atto forme diverse di relazione, di produzione, di organizzazione, ecc. Il fatto di considerare la nostra idea anarchica come una proposta, non ci deve in nessun caso impedire l'azione concreta (talvolta anche la forzatura) rivolta al cambiamento dello status quo. C'è dunque un bisogno di trovare un equilibrio tra necessità e inevitabilità delle alternative e condivisione delle stesse.
Appare chiaro che chi detiene dei privilegi illegittimi di dominio difficilmente rinuncia agli stessi senza difenderli, anche con la forza, e che, inevitabilmente, spesso una trasformazione radicale delle condizioni di vita deve essere imposta a una minoranza di privilegiati. Questo mi pare un legittimo e corretto equilibrio tra proposta e imposizione. Ma, al contempo, neanche alcune scorciatoie “rivoluzionarie” dettate da diversi fattori possono servire a una trasformazione consapevole e profonda della realtà attuale.
Tradurre l'idea di Colin Ward del privilegiare la frammentazione e la scissione al posto della fusione significa, in termini concreti e a mio modo di vedere, sostenere come modello di riferimento – e al contempo anche come metodologia coerentemente concreta – dapprima la scissione poi, conseguentemente, la frammentazione al posto di una fusione, punto terminale in cui tutto si scioglie e si conforma.
In altre parole, le azioni che mettiamo in campo per avviare la trasformazione sociale dovrebbero tendere a creare una varietà di esperienze, anche molto diverse tra loro, in ambiti variegati, attraverso dunque una continua secessione dalle logiche di dominio che governano la società umana attuale. Significa allora concepire la dinamica rivoluzione-evoluzione (così ben delineata da Elisée Reclus) come una condizione oggettiva del processo storico e inserirvi azioni ed esperienze che concorrano a segnare aree autonome dal dominio e che siano in grado, moltiplicandosi, di creare qui e ora, spazi e tempi dentro i quali uomini e donne di tutte le età vivono relazioni e condizioni nelle quali prevalgono pratiche di solidarietà, di libertà, di autonomia, seppur con la consapevolezza di inevitabili compromessi e quindi anche contraddizioni. Tutto questo contribuisce sia a delineare visibilmente a tutti che un altro modo di vivere le nostre esistenze è possibile, sia, soprattutto, a sconfiggere quell'idea (le cui possibili implicazioni possono essere totalitarie) secondo la quale un'alternativa a questa società possa delinearsi in termini strettamente unitari e definiti.
Progetti anti-autoritari
Una delle possibili derive autoritarie di un'idea utopica consiste proprio nel pensare a un altro mondo in termini astratti e cervellotici seguendo, a priori, uno schema mentale rigido e predefinito.
Il progettare «altro» in termini anti-autoritari penso voglia dire, soprattutto, pensare aperto, vario, diversificato, dentro una cornice molto ampia che esalti e garantisca il dissenso piuttosto che preoccuparsi di organizzare e controllare il consenso. Solo un pensiero anarchico di questo tipo, che rifugga da tentazioni egemonizzanti, può aiutarci a proporre e a realizzare, per continue e incessanti secessioni, modelli di vita (in tutti gli ambiti) in grado di prospettare a chi anarchico non è (vale a dire la stragrande maggioranza degli uomini e delle donne) possibili e appetibili soluzioni ai tanti problemi del vivere quotidiano.
Contemporaneamente questo atteggiamento e queste pratiche possono delineare anche la cornice di valori di riferimento libertari entro i quali può inserirsi agevolmente l'immaginario di ogni singolo essere vivente.
Abbiamo nel nostro orizzonte un'idea radicalmente pluralista e non assolutista. Se questo è vero, lo è anche perché nessuno di noi, figlio legittimo o illegittimo di questo mondo, portatore di una storia personale, culturale e sociale, membro di una specie animale e risultato provvisorio di un processo evolutivo, è in grado di sapere adesso come concretamente potrebbe essere in un mondo diverso, fondato su valori e relazioni molto dissimili da quelle dominanti oggi.
Francesco Codello
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