Vale anche per la pubblicità
ciò che per una parte della pubblica opinione progressista vale
per il progresso scientifico, per i mezzi di comunicazione di
massa e altri simili concetti più o meno ideologizzati; e cioè
che, in sé e per sé, certi oggetti o fatti o istituzioni non
sono dannosi o negativi se non per luso che di essi fanno gli
uomini o la società. Fatte salve, naturalmente, le dovute eccezioni
relative a quei casi particolari in cui lopinione di cui sopra
si è stratificata su un paradigma decisamente negativo, o in
cui la situazione paradigmatica è ancora fluida, la discussione
è in corso e non si è ancora stabilizzata una precisa tendenza.
Oltretutto, un vero e proprio Oppenheimer del Villaggio Globale
non si è ancora fatto vivo, per quel che ne so io. Per cui non
sarò io a esprimere un giudizio di valore sul dato di fatto
che, da sempre, la pubblicità non è stata veicolo di convincimento
di esclusiva applicazione al campo commerciale, ma sia stata
abbinata anche a quello religioso, politico, artistico, ecc.
Un marxista potrebbe obbiettare il maggiore peso, se non addirittura
la più profonda realtà della struttura economica rispetto
alle altre, considerate sovrastrutture, e ricondurre con abile
mossa riduzionistica queste a quella. Non voglio addentrarmi
in questa polemica. Mi accontento di mettere a dimora qualche
piantina nata dal seme del dubbio, sostenendo la mia opinione
del tutto personale che il riduzionismo, soprattutto applicato
al campo dellattività umana e dellinterazione sociale, porti
con sé lodore sulfureo di unoperazione da occamista pazzo,
sia pure animato dalle migliori intenzioni, delle quali, si
sa, è lastricata la via dellinferno. Per qualcuno questa via
parte da Parmenide ed Eraclito e arriva a Marx e Freud. E ancora
non se ne accorge la fine.
Ciò premesso, vorrei sottoporvi un caso in cui nellambito applicativo
del messaggio pubblicitario sembra essere indistinguibile la
natura politica_ da quella commerciale. La mia idea progressista
è che la politica e il commercio, nonostante a qualcuno (come
me) possano stare più o meno cordialmente antipatici, di per
sé non sono né buoni né cattivi. Il male sta nelluso ideologico
che se ne fa.
Si tratta di un manifesto murale contenente uno slogan a firma
della Confcommercio: UN MERCATO SENZA REGOLE NON HA FUTURO.
DIFENDIAMOLO INSIEME.
Ma come? - si dirà - per lustri non hanno fatto altro che plaudire
a ogni vittoria della deregulation, al neoliberismo (veteroliberalismo)
trionfante, al nuovo che avanza, al mercato libero (è quasi
un segno divino, questa metànoia degli ultimi trentanni dal
libero amore al libero mercato. Nessuna meraviglia che sascoltasse
nel prossimo futuro qualche Gott mit Uns da parte di qualche
riapertore di case chiuse. Forse cè sotto qualche marxiana
struttura economica). E ora sentono il loro territorio di caccia,
il mercato, affamato di regole e minacciato da chi apre un negozio
senza licenza solo perché il locale è di 300 mq, e sono pronti
a far serrate (larmi, qua larmi. Io solo combatterò. Procomberò
sol io) e a insorgere contro il Feroce DAlema e il Malvagio
Veltroni che nellombra manovrano il Tortellino Prodi? Alla
faccia del liberismo: pronta a ritrattar la dottrina del Cardinal
Berlusca senza neanche un eppur si muove, pronta a far ciompi
al primo attentato a un po di miliarducci in tessere e iscrizioni,
la corporazione della bresaola e della griffe! Gli alfieri del
gorgonzola e della scarpa, vessati e tartas sati dalla minimum
tax, piangenti miseria agli sportelli postali versan do la tassa
sullinsegna, casistici sottili, volevano in realtà la deregu
lation del mercato finanziario, non di quello commerciale, per
poter liberamente investire lI.V.A. evasa nel primo, e liberamente
mantene re i propri privilegi nel secondo. Quel governo di comunisti
e allocchi non aveva capito niente, facendo proposte irresponsabili
basate sullingenua ipotesi che il termine libertà avesse
al massimo due o tre significati differenti, non i reali 16.715
che, volendo, gli si pos sono attribuire a seconda degli interessi
dei panciuti borghesi! Senza volerlo, sono loro i primi a dare
ragione a Marx, con la loro stessa esistenza. È subito chiara
la natura del messaggio: ancora una volta economica, commerciale,
ma camuffata da politica. Dichiarano di servire Dio e intanto
servono Mammona.
Che strana razza, che strane pretese: vogliono un mercato libe
ro e regole per un futuro; vogliono continuare a mangiare
ananas e masticare fagiani e pretendono altresì di avere comunque
un domani; vogliono la botte piena e la moglie ubriaca;
essere grassi senza essere lerci. Poveri bottegai, amabili
salsamentieri, piccoli borghesi ... !
Carlo E. Menga
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