Rivista Anarchica Online


La chiesa e lo stato etico
di Patrizia Nesti

La chiesa cattolica, procedendo alla valorizzazione etica del ruolo dello stato, si candida a rivestire una funzione politica sovranazionale.

Il Pio XII
di Francesco Messina
(foto di Uliano Lucas)

Illustrazione di Natale Galli

 

Che la chiesa cattolica si intrattenga con accanimento sul terreno politico utilizzando la giustificazione spirituale non è certo cosa inconsueta. Può avere un qualche interesse, tuttavia, osservare, alcuni degli “snodi” più attuali dell’esercizio dell’egemonia vaticana; un esempio importante e relativamente nuovo è costituito, in questo senso, dalla valorizzazione dello stato e, segnatamente, dalla attribuzione al medesimo di una funzione etica, basata su una curiosa visione “cesarista” dello stato come difensore del diritto dei popoli contro lo strapotere dell’economia di mercato.
Siamo, dunque, nell’ambito della campagna di antiglobalizzazione che il Vaticano sta, a suo modo, conducendo, sul terreno politico, servendosi efficacemente dell’ecumenismo come passe partout spirituale.

La Chiesa è fortemente impegnata sul fronte ecumenico per affermare il proprio primato sulle altre religioni monoteiste. Questa riaffermazione teologica, etica e culturale è fondamentale in un momento in cui anche i paesi di tradizione cattolica tendono ad assumere caratteristiche multietniche e multireligiose, con la conseguente moltiplicazione di culti ed il rischio che ne deriva per l’egemonia della chiesa di Roma. Da qui una posizione critica della chiesa nei confronti dei processi di globalizzazione culturale, a cui si accompagna, in parallelo, la critica contro la globalizzazione economica e le degenerazioni del capitalismo che ha preso le mosse dall’enciclica “centesimus annus” del ‘91 e che è venuta a strutturarsi radicalmente in quest’ultimo periodo.
Vanno segnalate, dunque, a questo proposito, le recenti prese di posizione sul ruolo dello stato e sul ruolo del potere economico finanziario, che vedono la Chiesa impegnata nell’affermare con forza il primato etico del potere politico sul potere economico.
La posizione della chiesa è, in sintesi questa : il potere finanziario sta riducendo il potere politico degli stati nazionali, che sono per definizione preposti al bene comune.
Si tratta di un assunto stridente con la tradizionale posizione della chiesa cattolica, che storicamente ha sempre opposto il proprio carattere universale a quello dello stato nazionale sovrano.
Il progetto di fondo, che del resto si esplicita chiaramente, è il seguente: promuovere la costituzione di un forte controllo politico su scala mondiale genericamente finalizzato a correggere le degenerazioni del capitalismo e della globalizzazione economica; affermare, come requisito ideologico del progetto, il primato spirituale della politica e dei poteri degli stati sulle attività economiche.
La Chiesa dunque, procedendo alla valorizzazione etica del ruolo dello stato, si candida a rivestire una funzione politica sovranazionale, per aprire frontiere di dominio non solo religioso e teologico, ma anche più diffusamente culturale all’interno delle ideologie di massa.
Lo scenario politico che può consentire un’operazione di questo genere è quello venuto a configurarsi in questi ultimi anni, anche con il contributo fondamentale di Wojtila, e, parallelamente, con il pervasivo dilagare della mitologia ideologica corrente (crollo delle ideologie, affermazione del pensiero unico etc.)
Dopo la condanna alla teologia della liberazione in America Latina nell’84, dopo le operazioni politiche concertate che hanno determinato il crollo dei regimi comunisti d’Europa nel ‘91, la Chiesa denuncia il vuoto ideologico venuto a crearsi e afferma la volontà di ricoprire questo spazio. A fronte di un lungo e non facile lavoro di evangelizzazione in zone con radicata tradizione islamica e ortodossa, che viene sostenuto dalla politica ecumenica con interventi talora maldestri (si veda la polemica della scorsa estate con il patriarca di Mosca che denunciava la eccessiva ingerenza della chiesa cattolica), il pragmatismo e la realpolitik della santa sede trovano irresistibile la scorciatoia rappresentata dalla possibilità di occupare uno spazio più genericamente (ma anche più diffusamente) ideologico. Oltretutto, questa operazione ha il vantaggio di poter essere esportata su larga scala e divenire, con le opportune modifiche, un’operazione complessiva.
Ecco dunque che, ormai esaurita la crociata anticomunista, si aprono, per la chiesa cattolica, le possibilità offerte dalla crociata contro le degenerazioni del capitalismo, ovvero la capacità di porsi come caposaldo ideologico nel polo occidentale, accelerando anche in questo caso un percorso che sotto il profilo religioso-ecumenico si configura lungo e difficoltoso, soprattutto per il confronto con le chiese protestanti e riformate.
Da qui la necessità, per la Chiesa, di affermare la funzione etica dello stato, in previsione della propria autocandidatura a stato sovranazionale, garante dei valori morali in quanto depositario dei valori dell’antropologia cristiana, nonché regolatore (etico, equo, solidale etc...) del mercato e dei traffici internazionali.

Rilancio clericale

Secondo gli orientamenti del Concilio Vaticano II, ormai risalente a una trentina di anni fa, la Chiesa avrebbe dovuto progressivamente ridurre il proprio ruolo politico, in favore di un’azione diplomatica “deconfessionalizzata”, vale a dire meno “missionaria” in senso classico, ma molto più presente e determinante in ambito sociale. Venivano così fondati i presupposti per quella specializzazione di ruolo, nell’ambito della dottrina sociale, che l’intervento vaticano ha via via assunto negli anni successivi, culminata nelle prese di posizione in occasione delle grandi conferenze delle Nazioni Unite (Conferenze di Rio sull’ambiente, del Cairo sulla popolazione, di Pechino sulle donne) e nella costruzione, appunto, della campagna contro la globalizzazione.
Attualmente, dunque, la chiesa cattolica, con la pretesa di compensare una situazione di vuoto ideologico e morale, si propone come punto di riferimento privilegiato per le società esposte alle leggi del profitto e del mercato, alle degenerazioni del liberalismo e del capitalismo.
L’azione della Chiesa nel campo della dottrina sociale presenta un quadro sapientemente articolato. Gli interventi, normalmente affidati al sinodo, ma anche all’episcopato locale, vengono talora svolti da altre istituzioni vaticane, come ad esempio il pontificio Consiglio Iustitia et Pax, recentemente insediato anche a Cuba. In altre occasioni l’intervento viene addirittura affidato ad associazioni , come nel caso della Caritas, del Movimento dei Focolari o della Comunità di S. Egidio, un’associazione canonica laicale, a cui sono stati affidati ruoli di mediazione politica e diplomatica importantissimi, evitando al Vaticano un coinvolgimento troppo evidente in questioni che di pastorale avevano ben poco. E’ il caso, ad esempio, dell’operazione Hipc (acronimo che sta per Paesi Poveri Fortemente Indebitati), che ha visto una concertazione tra Banca Mondiale e Vaticano sul problema del debito del terzo mondo; esclusa l’ipotesi di una cancellazione del debito, il programma stabilito prevede di permettere a 21 dei 41 paesi totali, di raggiungere la sostenibilità del debito attraverso complesse operazioni finanziarie (tra cui l’accesso a un fondo fiduciario di creditori multilaterali) finalizzate , in sostanza, alla perpetuazione del debito, e a larghissime speculazioni di ordine politico oltre che economico.
È solo un esempio di quel ruolo sociale ed umanitario che la Chiesa, quale depositaria dell’ordine etico,vuole rivestire per divenire l’interlocutore di maggioranza di fronte al nuovo ordine economico.
Ovviamente, per condurre questa operazione, è necessario un grosso rilancio clericale da condurre all’insegna dell’ecumenismo, cioè di quella volontà egemonica, all’interno delle varie religioni monoteiste, che trova il cardine nell’ affermazione storica del primato della Chiesa di Roma, fondato sul dogma della infallibilità del Papa, tratto distintivo della religione cattolica.
Gli interventi “etici” in difesa del diritto dei popoli non si fermano, del resto, a dichiarazioni di principio. La volontà egemonica della Chiesa si esplicita, in ambito internazionale, con l’intervento nel settore sociale-umanitario, su tematiche quali i diritti umani, l’ecologia, il disarmo nucleare, la produzione di armi, la fame, l’immigrazione, senza trascurare punti-cardine come la sessualità, la famiglia, la scuola.
Le pressioni esercitate dai settori vaticani per la revoca dell’embargo a Cuba, all’Iraq, alla Libia e persino alla Serbia sono servite per evidenziare la capacità della Chiesa di forzare le regole del diritto internazionale e di assumere le funzioni di stato etico sovranazionale.
E’ evidente, del resto, che la campagna vaticana contro la globalizzazione, oltre la facciata umanitaria, presenti ben altre motivazioni. Non si può non considerare, infatti, la necessità, per la Chiesa cattolica, di affermarsi in Europa in un momento in cui l’Europa si appresta a conquistare un’identità economica e politica tale da situarla tra i blocchi mondiali. La posizione della Chiesa cattolica in Europa è debole, infatti, soprattutto nel settore settentrionale, economicamente più significativo, dove deve fare i conti con le chiese protestanti e riformate, oltre che con il colosso Germania. Per consolidare la propria posizione sullo scenario europeo la Chiesa ha dunque la necessità di mettere in discussione il modello economico americano, con cui il modello tedesco è in competizione.
La critica al modello di sviluppo capitalistico, espressa per la prima volta, dal punto di vista dottrinario, nell’enciclica del ‘91 sopra richiamata, è in realtà assai blanda. Mentre il socialismo era sempre stato condannato dal punto di vista ideologico e strutturale, l’enciclica si limita infatti a condannare le degenerazioni e gli abusi del capitalismo.
La costruzione della “nuova” identità della Chiesa come stato etico sovranazionale passa necessariamente da una riaffermazione dello stato e della sua funzione.
Il cesarismo della politica vaticana è, del resto, ben riconoscibile nella rete delle relazioni internazionali con gli stati, soprattutto in quei settori che presentano maggiore problematicità anche dal punto di vista religioso.
Un esempio, in questo senso, ci viene offerto dalle relazioni intercorse tra santa Sede e Islam. Da qualche tempo la Chiesa sta cercando di compensare con l’intervento diplomatico e i rapporti istituzionali la scarsa presenza cattolica negli stati islamici. Col pretesto di favorire il dialogo interreligioso tra islam e cristianesimo, sono state avviate relazioni con stati musulmani asiatici (Pakistan, Indonesia), africani (Sudan; Nigeria..), mediterranei e mediorientali(Turchia, Egitto, Marocco, Iran, Iraq, Algeria), arrivando, nel ‘97, anche a relazioni con la Libia. E’ interessante segnalare che, paradossalmente, l’insediamento diplomatico vaticano ha significato l’avvio della costruzione di un modello sociale di separazione tra religione e stato che potremmo definire “laico”, in quanto contrapposto ai modelli confessionali e integralisti propri dell’Islam. La chiesa cattolica cerca di conquistare nell’Islam uno spazio che non le appartiene storicamente attraverso la rivendicazione di una sorta di “par condicio”, ibrido tra pluralismo e di ecumenismo,che prevede, in quella sede geografica, l’abiura di un principio fondamentale come quello della religione di stato, che altrove, basti pensare all’Italia, è regolatore fondamentale dell’ordine politico.

Illustrazione di Natale Galli

La filibusta vaticana

Significative, a questo proposito, appaiono anche le relazioni tra Vaticano e Chiesa Ortodossa, altro fronte nevralgico per un cattolicesimo alla ricerca di egemonia su scala internazionale.
Dopo il crollo dei regimi comunisti, l’azione del Vaticano si è rivolta alla espansione delle rappresentanze diplomatiche nelle regioni della ex Unione Sovietica, aprendosi la strada ad interventi estremamente disinvolti nelle relazioni con le istituzioni statali.
In alcuni stati, infatti, il Vati-cano ha condotto una politica sistematica di recupero dei beni ecclesiastici che erano stati confiscati dai regimi comunisti, riuscendo, tra l’altro, ad ottenere condizioni vantaggiose per l’assistenza religiosa nelle carceri, negli ospedali e nelle caserme, corsi di religione nelle scuole, nonché programmi religiosi nei palinsesti dei media. Per rendere permanenti e durature queste acquisizioni il Vaticano ha stipulato dei veri e propri concordati con alcuni stati , guadagnandosi un ruolo istituzionale essenziale per il proprio rilancio in questa zona.
Dure critiche sono arrivate, ovviamente, dal clero ortodosso, la cui denuncia nei confronti del proselitismo sfrenato della chiesa cattolica romana in Russia è culminata, nell’estate ‘97, nella crisi delle relazioni tra Vaticano e patriarcato di Mosca che ha indotto la Duma ad approvare una legge fortemente restrittiva delle libertà religiose al di fuori della religione ortodossa.
D’altra parte, le contestazioni al pesante intervento politico del Vaticano sono arrivate anche dall’interno, se si considera la posizione dissidente del vescovo cattolico di Kiev, il quale ha sostenuto che la Chiesa , sotto il comunismo, aveva avuto il grande vantaggio di trovare una dimensione di purificante spiritualismo, identificandosi, nella sua alterità al potere, come chiesa delle origini.
Relativamente incurante di un versante religioso ancora problematico, il Vaticano interviene dunque, per ora, sul piano della propria affermazione istituzionale e statuale.
Sullo scenario internazionale assitiamo così alle duplici strategie di arrembaggio della filibusta vaticana: da una parte l’ingerenza umanitaria e la presunta assunzione dei diritti dei popoli; dall’altra l’accordo con gli stati e la stipula di concordati che riproducono, quando fa comodo, il principio di Westfalia: “cuius regio ius religio”.
In altri settori, anch’essi di difficile dominio per la chiesa cattolica, come quello di Israele, l’azione di ingerenza vaticana ha assunto ancora altre caratteristiche.
Nel ‘93 è stato firmato un accordo tra S.Sede e Israele che ha portato alla costituzione di uno statuto tale da poter consentire, ad ogni cittadino che lo voglia, una sorta di “doppia tessera”: poter essere, cioè, a pieno titolo, cattolico e israeliano.
La questione è stata perfezionata giuridicamente nel novembre ‘97: lo stato di Israele ha riconosciuto l’esistenza, sul proprio territorio, di uno spazio istituzionale derivante da una fonte di legittimità diversa dalla propria, costituita dal diritto canonico della Chiesa cattolica. Affermando un potere giuridico originario, è stato così ricavato uno spazio istituzionale. Per le ambizioni statuali del Vaticano, impegnato contemporaneamente anche sul fronte delle relazioni palestinesi, si è trattato di una conquista determinante, che ha già prodotto alcuni passaggi politici di rilievo, come la rivendicazione di uno statuto internazionale per Gerusalemme; ne’ va trascurato che il riconoscimento diplomatico di Israele da parte del Vaticano è avvenuto su basi “laiche”, escludendo l’accettazione del valore religioso del legame tra popolo e territorio. Un’operazione diplomatica abilissima, che, giustificandosi con l’affermazione ecumenica della libertà religiosa, ricava uno spazio istituzionale importante in un distretto di fondamentale valore strategico, fino a poco tempo fa interdetto all’ingerenza vaticana.
La fregola egemonica della Santa sede, come si vede, risponde ad una esigenza di affermazione che rivela, sullo scenario internazionale, la presenza di ampie zone che si sottraggono, proprio per la tradizione dei popoli, al dominio cattolico. Come dire che la diffusione su scala mondiale della religione cattolica apostolica romana è in larga parte millantata ed è comunque inferiore a quel che serve, in termini di requisiti d’accesso, ad una religione che afferma il primato di Pietro e coltiva ambizioni di stato etico sovranazionale, regolatore, su scala mondiale, di traffici economici, oltre che di coscienze.
Oltre ai settori cui abbiamo accennato sopra, la Chiesa cattolica si trova in difficoltà anche in Asia, dove, se si escludone le Filippine, ha una presenza irrisoria, proprio in una zona che presenta la massima concentrazione demografica mondiale. Da qui l’impegno concentrato, soprattutto, nel settore cinese, particolarmente problematico anche per le tensioni interne alla stessa chiesa cattolica, visti i contrasti che spesso hanno opposto la santa sede alla chiesa patriottica cinese (missionari che hanno cercato di conciliare cristianesimo e confucianesimo), adesso in via di ecumenico quanto opportunistico superamento. Altri problemi sono rappresentati, inoltre, da alcuni spunti di posizioni riconducibili alla teologia della liberazione, che per ora sono stati decisamente repressi a colpi di scomunica.
E difficoltà di rilievo si riscontrano anche in Africa, un settore di fondamentale importanza, se si considerano, con l’incremento demografico previsto per i prossimi 25 anni, le tensioni di ordine sociale e politico che si avranno su questo fronte e la necessità, per la Chiesa cattolica, di difendere una posizione di prestigio conquistata nel continente, ma pressoché limitata, in termini egemonici, alla sola Nigeria. Proprio per prepararsi a fronteggiare il colosso dell’Islam, la Chiesa, con modalità che abbiamo già visto altrove, sta appoggiando con forza, contro le opposte pressioni musulmane, il mantenimento della costituzione “laica” della Federazione musulmana, la cui clausola d’indipendenza prevede che il governo della federazione e dello stato che ne fa parte non adottino alcuna religione di stato.

Con Castro, per esempio

Concludiamo con il caso Cuba, recentemente balzato all’attenzione per la visita-evento di Woytila, che costituisce un “exemplum” della ricerca di reciproci vantaggi per Chiesa e Stato, sapientemente costruita nel tempo, dando ragione del legame di necessità che lega due apparati di dominio, aldilà della loro presunta conformazione ideologica.
Nel ‘59 il PEC, Partito comunista cubano, si proclamava ateo. L’ateismo, comunque, più che come dichiarazione di principio, veniva affermato per motivi politico congiunturali dovuti al legame tra Chiesa cattolica e oppositori del regime esiliati. Sta di fatto che, in quel periodo, la posizione della chiesa locale si era indebolita, soprattutto c’era stato un abbattimento del numero del clero e delle scuole cattoliche. Sono sempre stati tenuti, tuttavia, rapporti con la santa sede, sia pure a vario livello.
Nel’69 avviene la prima “svolta” di rilievo nelle relazioni Chiesa-Stato: l’episcopato locale prende le distanze dal radicalismo degli esiliati. Castro, conseguentemente, procede verso una revisione dell’ateismo, affermando che non esiste contraddizione tra adesione alla rivoluzione e fede religiosa. Ha inizio a partire da questi anni il dialogo con il teologo brasiliano della liberazione Frei Betto (autore del libro Fidel y religion) e, successivamente, l’apertura verso i settori cattolici più coinvolti nella rivoluzione sandinista in Nicaragua e Salvador.
Nell’ 85 il Partito comunista cubano ridefinisce ufficialmente la propria linea, affermando che la discriminante non è quella antireligiosa, ma quella rigorosamente marxista -leninista. L’abbandono ufficiale dell’ateismo imprime un’accelerazione alla evoluzione dei rapporti Stato-Chiesa.
Nell’ ‘86 la Chiesa cattolica organizza l’incontro nazionale ecclesiale cubano. In questa occasione viene riconosciuto il “contributo che anche il socialismo può dare alla fede” , individuando alcuni valori comuni: l’apprezzamento del lavoro, la solidarietà, la percezione dell’esigenza di cambiamenti strutturali (solo la percezione); infine, elemento assai interessante, la coscienza della dimensione sociale del peccato.
Nel ‘91 Castro abolisce ufficialmente la discriminante religiosa dall’adesione al partito.
Nel ‘92 alcune modifiche costituzionali iniziano ad attribuire alla Chiesa un ruolo istituzionale che l’ episcopato locale non esita ad assumere, prendendo posizione contro l’embargo e, contemporaneamente, facendo un appello al dialogo con gli esiliati. La Chiesa dunque, valorizzando immediatamente la propria funzione istituzionale, che rappresenta l’essenza del clericalismo, si propone come agente del processo di riconciliazione.
Il potere istituzionale della Chiesa è enormemente aumentato con la visita del papa a Cuba, in occasione della quale il vescovo Ortega è stato nominato cardinale e sono stati fondati il movimento degli universitari cattolici, l’Unione della stampa e una sezione della Commissione Iustitia et pax.
D’altra parte lo stato cubano riceve da tutto questo la propria dose di utile. Vista la posizione isolata su uno scenario internazionale che ha assitito alla progressiva scomparsa dei regimi comunisti, è evidente la necessità di consensi e di rilegittimazione. Che ciò provenga proprio dal Papa, da questo papa, non rappresenta, evidentemente, per Castro, un problema: Woytila ha ormai portato a termine la crociata anticomunista degli anni’ 80, così come quella contro la teologia della liberazione; anzi, l’inizio della “opposta” campagna di critica al capitalismo e la presa di posizione contro l’embargo rendono il Vaticano molto rispettabile agli occhi della rivoluzione, nonostante le posizioni oscurantiste costantemente ribadite in tutti i campi, dalla morale sessuale, alla famiglia, fino alla rinnovata condanna del darwinismo. D’altra parte ogni imperatore che si rispetti, sia pure in disarmo, ha sempre ricercato l’investitura papale e il novello medioevo che viviamo non fa che riproporre il ruolo pervasivo del clericalismo.
Già è stato osservato da alcuni politologi che la Chiesa “umanitaria” potrebbe addirittura essere la candidata più probabile per offrire al regime castrista una transizione che possa incorporare alcune conquiste rivoluzionarie. Ovviamente, questo presuppone che quel che resta del comunismo cubano debba assumere necessariamente alcuni valori religiosi cattolici apostolici e romani; poco importa se questo contrasta con le esigenze e le tradizioni di una popolazione di origine prevalentemente africana, per la quale la religione cattolica è stata storicamente solo uno strumento del potere coloniale spagnolo. L’importante è, comunque, che la campagna rottamazione sia benedetta da uno sponsor d’eccezione.

Patrizia Nesti