| Per i tipi di Piero Lacaita 
                  Editore, Giampietro (Nico) Berti ha recentemente pubblicato 
                  Il pensiero anarchico dal Settecento al Novecento, unopera 
                  che, consapevolmente, si pone come inevitabile punto fermo con 
                  cui chiunque voglia occuparsi dellanarchismo non può 
                  non confrontarsi. Nelle sue mille densissime pagine, infatti, 
                  non solo viene ripercorso e analizzato, attraverso i suoi pensatori 
                  più rappresentativi, il farsi del pensiero anarchico, 
                  ma vengono anche tematizzati ed evidenziati i nodi problematici 
                  e le questioni aporetiche che le teorizzazione anarchiche non 
                  hanno saputo, o potuto, risolvere.Proprio tenendo sullo sfondo tali questioni si è svolta 
                  la conversazione di cui quanto segue è poco più 
                  che un frammento.
  											F.M. Il tuo libro è sicuramente lopera analitica più 
                  profonda e completa che sia mai stata dedicata al complesso 
                  del pensiero anarchico. Proprio la sua completezza, però, 
                  fa nascere un problema, poiché la storia analitica di 
                  una data questione è possibile solo quando quella stessa 
                  questione ci si presenta come compiuta, per cui la tua storia 
                  è, o rischia di essere, anche un epitaffio per il pensiero 
                  che esamina... Lanarchismo che ho analizzato e storicizzato è quellanarchismo 
                  che conclude il suo ciclo al più tardi con la rivoluzione 
                  spagnola, anche se fra gli autori che ho esaminato ci sono Caffi, 
                  Rizzi, Rocker, che hanno prodotto alcune delle loro cose migliori 
                  dopo quel punto di frattura. Questo, però, non vuol dire 
                  che il mio libro voglia essere un epitaffio, non ho detto "Questo, 
                  e solo questo, è il pensiero anarchico", semplicemente 
                  ho analizzato quel pensiero anarchico che normalmente chiamiamo 
                  "classico", il quale si è indubbiamente chiuso 
                  con la rivoluzione spagnola e la seconda guerra mondiale. Anche 
                  se non cè una vera e propria soluzione di continuità, 
                  è infatti indubbio che dopo la seconda guerra mondiale 
                  lanarchismo sia una cosa molto diversa da quello precedente. 
                  Fra lanarchismo postbellico e quello precedente cè 
                  lo stesso rapporto che cè fra padre e figlio: senza 
                  quel padre non ci sarebbe quel figlio, ma il figlio è 
                  altro rispetto al padre. Lanarchismo del secondo dopoguerra 
                  è sempre anarchismo, certamente, ma non è più 
                  quellanarchismo, non è più lanarchismo 
                  "classico".Il quale, fra laltro, forse ha concluso il suo ciclo storico 
                  ancor prima della rivoluzione spagnola, cioè con la prima 
                  guerra mondiale e soprattutto con la rivoluzione russa, che 
                  mise in moto un ciclo rivoluzionario enorme, il quale, però, 
                  non era quello sperato dallanarchismo perché, nonostante 
                  le tante speranze che alimentò fra gli anarchici, poco 
                  aveva a che fare con le possibilità reali di una rivoluzione 
                  anarchica.
 Quindi, anche se dopo la seconda guerra mondiale si continua 
                  a parlare di Bakunin e Malatesta, quello di cui anche noi siamo 
                  partecipi è un anarchismo "altro" rispetto 
                  a quello di Bakunin e Malatesta, è unaltra cosa ed è 
                  impossibile non tenerne conto. Questo è uno dei tanti 
                  problemi che il mio libro pone e non risolve perché, 
                  come tutte le opere che non vogliono essere dogmatiche, non 
                  pretende di rispondere a tutti i problemi che apre.
 
    Insuperabile 
                  	contraddizione
  Lintroduzione - esplicativamente intitolata Sulla natura 
                  storica e ideologica dellanarchismo. (nella storia, ma contro 
                  la storia) - è certamente la parte più densa 
                  dal punto di vista teorico, ed in essa tu evidenzi come la genesi 
                  dellanarchismo si dia, contemporaneamente, come punta estrema 
                  della secolarizzazione e come risposta alla stessa secolarizzazione, 
                  come "fuoriuscita" da essa. Ma, come tu dici, qualsiasi 
                  uscita dalla secolarizzazione non può che essere in qualche 
                  modo religiosa. Questo, indubbiamente, è un dato profondamente 
                  contraddittorio, anche se è una contraddittorietà 
                  che gli anarchici hanno raramente riconosciuto e tematizzato... Che lanarchismo sia, almeno in un certo senso, contraddittorio 
                  è sicuramente vero, ma è una contraddittorietà 
                  che si potrebbe quasi spiegare con una banalità: tutto 
                  quel che è vivo è contraddittorio e lanarchismo 
                  non può non esserlo proprio perché è un 
                  pensiero vivo.Il pensiero anarchico non si è costituito a tavolino, 
                  quasi sempre, anzi, è stato lespressione di un movimento 
                  storico sociale forte, almeno in alcuni paesi, e quindi ha dovuto 
                  mediarsi con le istanze di quegli stessi movimenti.
 Non dimentichiamoci che se, dal lato prettamente teorico, 
                  lanarchismo è equidistante dal liberalismo e dal socialismo, 
                  dallaltro lato, cioè da quello storico, esso è 
                  stato profondamente partecipe del movimento socialista, cioè 
                  del movimento che si costituisce soprattutto sulla richiesta 
                  di uguaglianza. Questa contraddittorietà costitutiva 
                  si manifesta nel fatto che lanarchismo si sostanzia attraverso 
                  unanalisi critica estremamente razionale e disincantata, è 
                  cioè la punta estrema della secolarizzazione, che, però, 
                  è motivata dallesigenza, eminentemente a - razionale, 
                  di dare senso a ciò che critica e discute. Lesigenza 
                  di senso è per sua natura a - razionale perché 
                  ogni senso, se vuole avere una valenza forte, al suo fondo è 
                  religioso, anche se la religiosità non necessariamente 
                  è quella dottrinaria e teologica delle religioni rivelate. 
                  La religiosità che lanarchismo esprime è perciò 
                  una religiosità che, fedele alletimo della parola - 
                  religione deriva da relegere, che vuol dire "raccogliere, 
                  mettere insieme" -, ricerca soprattutto un afflato, un 
                  sentire forte, che accomuni.
 Costituendosi attorno a questi nodi concettuali contraddittori, 
                  lanarchismo non può che presentarsi, anche nel suo "nocciolo 
                  duro", duplice ed è sempre per questo che esso è, 
                  come dico da tempo, "nella storia, ma contro la storia".
 La consapevolezza della contraddittorietà esistente 
                  fra lessere disincantati e contemporaneamente partecipi di 
                  un ethos forte è, secondo me, molto visibile in 
                  Malatesta, che è stato un pensatore di eccezionale statura 
                  teoretica, per vari aspetti molto superiore a Kropotkin, ed 
                  è il teorico che più di tutti ha portato lanarchismo 
                  allestrema sintesi. In Malatesta, soprattutto nel Malatesta 
                  della maturità, è sempre ben visibile quel "pessimismo 
                  della ragione e ottimismo della volontà" che bene 
                  rispecchia la contraddizione che sta alla base dellanarchismo, 
                  così come è visibile la volontà di non 
                  risolvere tale contraddizione, ma di renderla positivamente 
                  agente. Malatesta si rende conto che, come già aveva 
                  detto Proudhon, questa contraddizione è insuperabile, 
                  perché lesperienza umana è sempre contraddittoria, 
                  non si dà mai in modo univoco, ma proprio lassumere 
                  consapevolmente questa impossibilità come fondante è 
                  fonte di ricchezza. Questa contraddittorietà, infatti, 
                  fa sì che lanarchismo non sia mai racchiudibile in una 
                  dottrina codificata e questo sicuramente è più 
                  un bene che un male, perché non esiste una società, 
                  neanche quella anarchica, che sia fondata semplicemente sulla 
                  critica distruttiva di un principio, nello specifico il principio 
                  di autorità. Le società hanno bisogno di principi 
                  a - razionali per vivere, come dirà anche Castoriadis 
                  settantanni dopo Malatesta. L"immaginario sociale" 
                  di cui parla Castoriadis non vuol certo dire il credere alla 
                  befana, semplicemente vuol dire partecipare a un sentire comune 
                  e credere a dei valori comuni che sono a - razionali perché 
                  non sono fondabili razionalmente.
 La secolarizzazione è però anche quel processo 
                  che, mostrando come ogni concettualizzazione metafisica sia 
                  insostenibile alla luce della ragione, fa sì che anche 
                  la politica - cioè lambito, determinato e definito dal 
                  potere, in cui la società viene ordinata - si liberi 
                  da tutte le pastoie di ordine etico e religioso che fino ad 
                  allora lavevano, almeno formalmente, determinata. In questo 
                  modo, tuttavia, la politica non solo si rivela irriducibile 
                  a qualsiasi altro ambito, ma diventa anche lo spazio in cui, 
                  ineludibilmente, chiunque voglia occuparsi del vivere sociale 
                  deve scendere. Ancora una volta, però, questo evidenzia 
                  una contraddizione dellanarchismo: essendo figlio della modernità 
                  non può che porsi come movimento politico, ma negando, 
                  - in un afflato di tipo religioso -, ogni potere il modo in 
                  cui lo fa è quello di negare in toto la politica, che 
                  vede principalmente come ambito del potere inteso come dominio. 
                  Così facendo, però, lanarchismo si autopreclude 
                  ogni sorta di altra comprensione della politica, non cerca cioè 
                  di capire se essa sia solo lambito del potere/dominio, o possa 
                  essere anche lambito di modi libertari di gestione delle relazioni 
                  umane... Io credo che la concezione più calzante della politica 
                  sia quella espressa dalla tradizione machiavellica e, in parte, 
                  dalla tradizione liberale. Per questa tradizione la politica 
                  è quellambito in cui interessi di tutti i tipi -politici, 
                  economici, sociali, estetici, etici, sessuali, ideologici, religiosi- 
                  si scontrano nella lotta per il potere. Contrariamente a quanto 
                  dice il marxismo, pertanto, la politica non è solo lo 
                  specchio della lotta di classe, della lotta sul terreno economico, 
                  ma è il luogo del conflitto come tale che, proprio per 
                  quel che dicevo prima, non è mai compiutamente eliminabile. 
                  Considerando tutto questo, è indubbio che nella modernità 
                  la politica si ponga come il luogo privilegiato in cui, attraverso 
                  le istituzioni, questi conflitti interumani possono trovare 
                  una composizione lasciando, contemporaneamente, che le teorie 
                  che interpretano e rappresentano questi conflitti continuino 
                  a misurasi fra loro.Se questa, in generale, è la politica, lanarchismo 
                  si rapporta ad essa da un lato come unennesima teoria su questi 
                  conflitti, ma, contemporaneamente, anche come quel movimento 
                  che ritiene di avere la risposta che farebbe scomparire i conflitti 
                  più laceranti. Per lanarchismo, infatti, in una società 
                  anarchica non scompariranno i conflitti intesi come dinamica 
                  vitale, ma scompariranno i conflitti che fanno nascere la politica 
                  come ambito separato, come ambito del potere.
 
  In 
                  Spagna 	per esempio
  Questa visione, però, pone fra parentesi la questione 
                  della sovranità. Il Principe di Machiavelli, certo già 
                  libero da giustificazioni di tipo etico e religioso, rimane 
                  tuttavia lincarnazione della sovranità; ed è 
                  questa sovranità esibita, riconoscibile, che la modernità 
                  mette in discussione. Non a caso, con le democrazie moderne, 
                  la sovranità viene astrattamente posta "nel popolo", 
                  che in tal modo formalmente la detiene, mentre praticamente 
                  si ritrova sottomesso ad una sovranità senza nome, che 
                  si cela e quasi si nega come sovranità, così diventando, 
                  di fatto, puro arbitrio.Considerando tutto questo, lanarchismo vive una condizione 
                  paradossale: essendo un movimento politico con una sua visione 
                  del mondo non può che cercare di attuare la sovranità 
                  di cui, allatto pratico, è portatore, contemporaneamente, 
                  però, nega questo suo essere portatore di una sovranità 
                  specifica, col risultato o di attribuirla meccanicamente allinsieme 
                  degli esseri umani, con ciò finendo o nello stesso paradosso 
                  delle democrazie o nella negazione tout court della sovranità, 
                  la qual cosa renderebbe impossibile anche il reggersi di una 
                  futura società anarchica...
  	Indubbiamente la questione della politica è 
                  la questione della sovranità, la qual cosa permette di 
                  cogliere bene le differenze che intercorrono tra liberalismo, 
                  anarchismo e democrazia.La domanda fondamentale della politica, che sicuramente 
                  la modernità contribuisce a chiarire, è "Chi 
                  decide e come?", una domanda alla quale il democratico 
                  risponde che a decidere deve essere la maggioranza del popolo, 
                  mentre il liberale "bypassa" tale domanda, in quanto 
                  la questione fondamentale che si pone è "Come dobbiamo 
                  controllare chi decide?", senza preoccuparsi più 
                  di tanto chi sia poi a decidere. Pur nella notevole diversità 
                  - il democratico è sicuramente più incline al 
                  repubblicanesimo parlamentare, mentre ci sono società 
                  liberali che sono monarchiche o in cui il presidente della repubblica 
                  ha poteri enormi -, sia la concezione democratica che quella 
                  liberale implicano quindi che comunque ci debba essere qualcuno 
                  di specifico che decide, mentre la domanda che lanarchico si 
                  pone è "Come dobbiamo fare perché tutti gli 
                  uomini possano decidere?" e "tutti" in questo 
                  caso non significa "il popolo", cioè i cittadini 
                  maggiorenni, significa proprio "tutti". Alla domanda 
                  che lui stesso pone, perciò, lanarchismo risponde che 
                  tutti potranno decidere solo quando sarà abolito il potere 
                  come sovranità separata, quindi quando sarà abolita 
                  la politica.
 È considerando tutto questo che la rivoluzione spagnola 
                  diventa veramente un caso paradigmatico dellanarchismo "classico", 
                  perché è lì che lanarchismo si trova a 
                  dover fare i conti con se stesso.
 In Spagna, grazie alla loro forza e alla prontezza della 
                  loro risposta al golpe franchista, gli anarchici si sono 
                  trovati nella condizione di poter determinare le cose, cioè 
                  di, non bisogna spaventarsi per la parola, "prendere il 
                  potere", ma non lhanno fatto perché vi erano impediti 
                  dalle loro stesse concezioni. Quello che gli anarchici non hanno 
                  capito è che "prendere il potere" non significa 
                  solo prendere il Palazzo dinverno, cioè impadronirsi 
                  delle istituzioni e usarle, e neanche significa che devi costringere 
                  la gente a fare quello che vuoi tu. "Prendere il potere" 
                  semplicemente significa esercitare tutta la forza che si è 
                  capaci di esercitare, quindi esplicitare al massimo i rapporti 
                  di forza, la qual cosa in Spagna avrebbe significato che gli 
                  anarchici non impedivano a nessuno di fare una certa cosa, ma 
                  impedivano ad altri di esercitare un potere su di loro.
 Per spiegare quello che voglio dire mettiamo che, come si 
                  vede anche nel film Terra e libertà, ci fosse 
                  un villaggio in cui erano stati cacciati i padroni e i rappresentanti 
                  del governo. Ovviamente, subito comunisti, collettivisti ed 
                  individualisti, avrebbero dovuto confrontarsi per decidere che 
                  fare ed è in tale confronto che gli anarchici dovevano 
                  far sì che nessuno impedisse allindividualista di fare 
                  quello che voleva, così come lindividualista non poteva 
                  impedire ai comunisti anarchici di fare il comunismo. Agendo 
                  in questo modo non ci sarebbe stata una maggioranza che si impone 
                  ad una minoranza, come accade con la democrazia, ma un inizio 
                  di anarchia, ed in unanarchia gli anarchici perseguono il loro 
                  ideale, gli altri che facciano quello che vogliono, quello che 
                  conta è che nessuno si imponga agli altri. In Spagna, 
                  però, gli anarchici non hanno tentato di agire in questo 
                  modo, non hanno veramente tentato di fare lanarchia, neanche 
                  laddove cerano le collettività anarchiche. A Barcellona 
                  la maggioranza dei rivoluzionari era anarchica e doveva imporre 
                  la sua forza, non sedersi, in una logica suicida, allo stesso 
                  tavolo con le altre forze repubblicane, che di forza ne avevano 
                  molta meno, e decidere che ogni organizzazione contava un voto 
                  e la maggioranza dei voti vinceva. Quella fu una decisone demenziale: 
                  ai comunisti marxisti, ai repubblicani, bisognava solo riconoscere 
                  il potere che realmente detenevano e regolare i rapporti sulla 
                  base di esso, non dargli, in omaggio alluguaglianza democratica, 
                  un potere che non avevano. Prendere una strada simile a quella 
                  che sto cercando di delineare avrebbe significato che non si 
                  impediva loro di fare quanto ritenevano giusto, ma certo si 
                  sarebbe impedito loro di obbligare, come poi è successo, 
                  gli anarchici a fare quello che volevano loro. Fare in questo 
                  modo probabilmente significa praticare un potere, ma un potere 
                  che permette di fare, non un potere che impedisce di fare o 
                  obbliga a fare. Se infatti, ritornando allesempio del villaggio, 
                  la minoranza, pur potendolo, non fosse stata in grado di fare 
                  quello che desiderava, non era un problema della maggioranza. 
                  Questo almeno in teoria, perché nella pratica cerano 
                  altri diecimila problemi: nel 1936 Barcellona aveva un milione 
                  di abitanti che necessitavano di derrate alimentari, trasporti, 
                  abiti, eccetera...
 Il dramma dellanarchismo spagnolo, comunque, è stato 
                  innanzitutto quello di non avere una teoria politica, la qual 
                  cosa ha permesso ai comunisti di giocare tutto sul loro terreno.
 Se gli anarchici spagnoli avessero fatto come dici tu avrebbero 
                  comunque esercitato una sovranità, avrebbero cioè 
                  creato e delimitato uno spazio in cui certe cose erano permesse 
                  e altre no. Anche permettere alla minoranza individualista di 
                  non collettivizzare la terra, per rimanere al tuo esempio, ha 
                  comunque come condizione di possibilità sia che padroni 
                  e governanti se ne siano andati - cioè che si crei una 
                  mancanza di sovranità -, sia che venga impedita limposizione 
                  di un sistema diverso, cioè che una nuova sovranità 
                  venga esercitata. Qui sta, a mio parere, una delle aporie delle 
                  teorie anarchiche classiche: il mancato riconoscimento della 
                  inevitabilità della sovranità come atto in un 
                  certo modo arbitrario. Anche creare una società il più 
                  possibile libera, infatti, altro non è che la creazione 
                  di una sovranità, di uno spazio in cui certe regole e 
                  fini sono ammessi ed altri no... 	Quel che dici è vero, ma rendere possibile che ci 
                  si organizzi come meglio si crede non è imporre un potere/dominio: 
                  come diceva Malatesta, una volta fatta la rivoluzione noi non 
                  imponiamo niente a nessuno, basta che nessuno imponga niente 
                  a noi. In Spagna non si poteva fare lanarchia, non tutti erano 
                  anarchici, si poteva però avviare una rivoluzione anarchica, 
                  cioè avviare un processo entro il quale la stragrande 
                  parte dellopinione pubblica della Catalogna fosse orientata, 
                  almeno a grandi linee, verso le idealità anarchiche.Detto questo rimane vero il fatto che nella tradizione anarchica 
                  classica una riflessione sulla sovranità manca...
 Ma una tale riflessione - che implica necessariamente, per 
                  quel che si diceva sopra, anche una riflessione sulla politica 
                  - può essere compatibile con il senso che lanarchismo 
                  esprime? 	Io penso di sì, o meglio: sono convinto della necessità 
                  che lanarchismo "post seconda guerra mondiale", lanarchismo 
                  contemporaneo, si interroghi su questo punto, ma questo è 
                  un compito che deve essere affrontato dai teorici.   Giampietro Berti in una caricatura
 del figlio Francesco
     Ma 
                  quale 	rivoluzione?
  Prima hai detto una delle parole - cardine dellanarchismo: 
                  rivoluzione. È attraverso lidea della rivoluzione che, 
                  come sottolinei nel libro, lanarchismo ha cercato di eliminare 
                  la contraddizione che cercavo di mettere in luce prima. Lanarchismo, 
                  infatti, pensa la rivoluzione come levento che permette il 
                  ritorno di tutti gli esseri umani ad una naturalità sostanzialmente 
                  armoniosa che la storia e la società avrebbero traviato. 
                  Anche il Malatesta che critica il meccanicismo armonicista di 
                  Kropotkin non riesce a cogliere che, se la "natura" 
                  umana non esiste o, ed è praticamente la stessa cosa, 
                  è tutto e il contrario di tutto, la rivoluzione altro 
                  non è, e non può che essere, un atto di sovranità 
                  politica che va come tale riconosciuto e agito...  	Questa è sicuramente una questione aperta.Certamente, come diceva Malatesta, lanarchia si fa dove 
                  ci sono gli anarchici, ma se si intende la libertà come 
                  spontaneità sociale, come lanarchismo ha spesso fatto, 
                  una volta che la rivoluzione viene messa in atto occorre che 
                  essa lasci libero corso a questa stessa spontaneità, 
                  la quale, però, va dove vuole, non si può pretendere 
                  che vada là dove desiderano gli anarchici.
 Il problema che sta al fondo di tale questione è 
                  che non è possibile avere nessuna idea di società 
                  se, contemporaneamente, non si ha anche unidea della natura 
                  umana. Ogni idea di società, infatti, per sua stessa 
                  natura implica una proiezione di valori e una configurazione 
                  di che cosa devessere luomo. Senza questa operazione non è 
                  possibile immaginare, neanche in modo embrionale, nessuna società, 
                  e finché, sulla scorta dellilluminismo e del positivismo, 
                  lanarchismo ha potuto pensare che lessere umano fosse non 
                  solo un essere sociale, ma soprattutto un essere la cui socialità 
                  tenderebbe ad una solidarietà di fondo, è stato 
                  possibile pensare rivoluzione e anarchismo come momenti di uno 
                  stesso processo.
 Questo è lanarchismo cui Kropotkin, con tante ingenuità 
                  ma anche con intuizioni geniali, ha dato la veste teoricamente 
                  più articolata che, fra laltro, ha influenzato tutta 
                  una parte della sociologia e dellurbanistica odierne. Per Kropotkin, 
                  semplificando, natura - uomo - società sono tre elementi 
                  diversi di una stessa configurazione, nella quale, come recita 
                  uno dei suoi libri più famosi, lelemento cardine è 
                  il mutuo appoggio, la solidarietà, anche se, nel caso 
                  delluomo, la naturale tendenza alla solidarietà, per 
                  essere operativa, deve essere riconosciuta come tale e fatta 
                  oggetto della volontà.
 Oggi certo questa concezione armonicistica e positivistica 
                  non può più essere sostenuta, ed è qui 
                  che si evidenzia la frattura fra la rivoluzione e lanarchismo. 
                  Se infatti non è più possibile pensare la rivoluzione 
                  come rottura delle costruzioni sociali che impedivano lesplicarsi 
                  della solidarietà umana, la questione della sovranità 
                  diventa centrale, come diventa centrale la questione della politica, 
                  che non può più, come in passato, essere risolta 
                  nelletica. Per lanarchismo, perciò, è oggi importante 
                  ritornare a interrogarsi su cosa è lessere umano. Su 
                  questo terreno, come dicevo, gran parte delle idee di Kropotkin 
                  sicuramente non sono più sostenibili, ma io penso non 
                  si possa neanche accettare in pieno quanto, per esempio, sosteneva 
                  Foucault, per il quale non si può tanto parlare di "uomini", 
                  ma di "strutture dellumano", del tutto storiche e 
                  plasmabili a piacere. Non sono uno specialista di Foucault, 
                  ma mi pare che, per dirla in termini filosofici, in delle concezioni 
                  ontologiche indefinite non sia possibile trovare delle valenze 
                  libertarie che, invece, necessitano al loro fondo di unidea 
                  libertaria della persona, delluomo.
 Oltre a questo, poi, mi pare che nella paura di dare delle 
                  chiare definizioni delluomo si nasconda una sorta di "fondamentalismo 
                  neo ideologico" perché, rifiutandosi di dire quello 
                  che luomo deve essere, si finisce, in una sorta di gnosi rovesciata, 
                  per darne una definizione ontologica negativa che non rispecchia 
                  certo quel che tanti esseri umani sono. È per tutto questo 
                  che continuo a pensare che lanarchismo non debba spaventarsi 
                  di avere delle idee precise, anche perché avere delle 
                  idee chiare, definite, non significa meccanicamente essere dogmatici 
                  e rifiutare il confronto e la ricerca.
 Dicendo questo, però, tu ti stai conformando alla 
                  classica concezione anarchica per cui la storia sarebbe di fatto 
                  sempre aperta al "farsi della libertà", per 
                  dirla con le tue parole.Nel libro, però, sottolinei come lanarchismo, ponendosi 
                  nella luce di questo "farsi", di fatto elimini il 
                  portato determinante cui la storia ci costringe, cioè 
                  la politica, che infatti, come dicevamo prima, non viene come 
                  tale agita dagli anarchici...
 	Io penso che la storia, come diceva anche Tolstoj, non 
                  solo non sia razionale, ma neanche spiegabile, perché 
                  se fosse razionale e spiegabile tutti potrebbero dire che cosa 
                  capiterà domani mattina, fra un mese o fra dieci anni. 
                  Il fatto che la storia non sia razionalmente prevedibile non 
                  vuole però dire che, a posteriori, noi non possiamo cercare 
                  di spiegare in modo razionale quello che è capitato ieri 
                  o un anno fa.Compiendo questa operazione non è certo storicistico, 
                  non è teleologico, mostrare che non poteva che andare 
                  così come è andata, perché guardando allindietro 
                  diventiamo consapevoli di elementi che, nel vivo della situazione, 
                  non erano visibili o non sembravano avere il peso che, invece, 
                  hanno poi assunto. Noi non abbiamo strumenti sufficienti per 
                  spiegare completamente come è stata selezionata la combinazione 
                  che ha portato al fascismo, così come non potremo mai 
                  veramente sapere perché quelli che allora sembravano 
                  dei possibili esiti alternativi al fascismo siano andati persi, 
                  possiamo solo studiare e interrogarci continuamente. Però 
                  attenzione: dire che non possiamo mai veramente sapere come 
                  e perché funziona la storia non significa dire che tutto 
                  è possibile, non dobbiamo cadere in una forma di possibilismo 
                  rivoluzionario: se, da un lato, nella storia continuamente si 
                  danno delle possibilità di mutarne il corso, dallaltro 
                  queste possibilità non sono infinite, sono anchesse 
                  determinate. È in questo sapere che ci sono delle determinate 
                  possibilità e non altre che la storia mostra, se così 
                  si può dire, la sua "dimensione libera".
 Nellanalisi che fai del "nocciolo duro" dellanarchismo, 
                  cioè nellanalisi dellidea di "anarchia", 
                  tu sottolinei che al centro della configurazione dei valori 
                  anarchici non solo cè, ovviamente, la libertà, 
                  ma evidenzi anche che essa, alla fin fine, risulta impensabile 
                  come tale, indefinibile... La libertà è il detto e non detto di Stirner, 
                  e come universale è, in effetti, indefinibile. Ogni definizione 
                  della libertà, infatti, non può che riferirsi 
                  alla libertà in un dato contesto, ma non può mai 
                  cogliere luniversale della libertà, la libertà 
                  in sé, perché la libertà in sé è 
                  quella definizione che sfugge a ogni definizione. Questo non 
                  è un gioco di parole, perché se io dico: "Questa 
                  è la libertà" tu puoi sempre ribattere che 
                  non posso negarti la libertà di definire in modo diverso 
                  cosa è per te la libertà. Conseguentemente gli 
                  anarchici possono dire cosa loro intendono per libertà 
                  - e la loro è forse la definizione più completa, 
                  più esaustiva, quella più vicina allessenza della 
                  libertà -, ma questo non può far dimenticare che, 
                  proprio perché stiamo parlando della libertà, 
                  anche la loro definizione non è universale, valida per 
                  tutti, e quindi occorre accettare anche le altre definizioni 
                  della libertà. Certamente queste altre definizioni, per 
                  poter essere considerate "libertà", sono accettabili 
                  solamente se sono compatibili con una definizione neutra e formale 
                  della libertà, cioè con una definizione in grado 
                  di poterle comprendere tutte. È per questo che, ad esempio, 
                  la libertà non può mai essere quella di chi vuole 
                  distruggere la libertà perché, anche ammettendo 
                  concettualmente che questa sia una libertà, è 
                  una libertà che non può essere inscritta nella 
                  definizione neutra e formale della libertà stessa. In 
                  questo senso lanarchismo partecipa dellaccezione liberale 
                  della libertà, cioè partecipa della libertà 
                  in senso kantiano, ma anche la supera perché, mentre 
                  i liberali non vanno oltre alla concezione neutro - formale 
                  della libertà, lanarchismo cerca di tenerla sempre aperta 
                  a quanto non è formale. Questo, fra laltro, è 
                  uno degli elementi che distingue lanarchismo dal marxismo, 
                  che ha una concezione "sostanzialistica" della libertà 
                  in quanto la fa coincidere con luguaglianza economica. Diversamente 
                  dal liberalismo e dal marxismo, e proprio perché sa che 
                  la libertà non è in sé definibile, lanarchismo 
                  ritiene che ci sia libertà solo là dove tutti 
                  gli esseri umani sono ugualmente liberi, cioè dove possono 
                  esprimere la loro personalità, in una situazione in cui 
                  non vi è una definizione che a priori stabilisce cosè 
                  la libertà in pratica, perché sono gli individui 
                  che, sbarazzatisi di ogni principio dautorità, costantemente 
                  concorrono a determinare l"esserci" della libertà 
                  stessa.  
  Totalitarismi 
                  	e libertà
  Quello che tu delinei, e che certo descrive la concezione 
                  della libertà condivisa dagli anarchici, mette però 
                  in luce il paradosso di un principio informatore che non si 
                  dà mai in quanto nasce dal tentativo di applicarlo. In 
                  questo senso, perciò, la libertà resta sempre 
                  altra anche rispetto alla libertà di uneventuale anarchia. 
                  A me pare, però, che una concezione di questo genere 
                  non solo svilisca le "esperienze della libertà" 
                  possibili, ma soprattutto resti sul classico terreno della metafisica, 
                  per cui ci sarebbe un "qualcosa" che, per quanto sia 
                  indefinibile, comunque necessita che ad esso ci si conformi...  	Certamente la libertà è unidea letteralmente 
                  meta - fisica, cioè al di là della concreta realtà 
                  e della possibilità di concettualizzazione. Il platonismo, 
                  che sta alla base della metafisica, dice che, per esempio, esiste 
                  unidea della "caninità" in sé data, 
                  definibile, ma noi, per i motivi che dicevo sommariamente prima, 
                  non possiamo avere unidea compiuta di cosa sia la libertà. 
                  È per questo che, alla fin fine, la libertà è 
                  soprattutto una tensione metafisica, non unidea data, perché, 
                  se fosse possibile avere unidea completa della libertà, 
                  vorrebbe dire che ci sarebbe un archetipo della libertà 
                  stessa che ti permetterebbe poi di dire: "Questa, e solo 
                  questa, è la libertà".Questa dinamica della libertà è quel che ha 
                  fatto del pensiero anarchico una micidiale bomba teorica (della 
                  quale, fra laltro, gli anarchici raramente sono stati veramente 
                  consapevoli), perché il nocciolo della libertà 
                  anarchica è di essere quella libertà che riesce 
                  a criticare se stessa.
 Da questa dinamica della libertà, però, derivano 
                  anche due elementi non poco problematici. Una libertà 
                  che rimane sempre indefinibile, infatti, comporta che nessuna 
                  esperienza possa in fondo essere definita come realmente "libera", 
                  la qual cosa a sua volta rimanda al fatto che, alla luce di 
                  questa libertà sempre "ulteriore", nessuna 
                  creazione, nessuna esperienza, sia poi valutata per come si 
                  dà. Questa, fra laltro, mi sembra la dinamica che si 
                  è impostata nel movimento anarchico - che non a caso 
                  tu definisci come "un soggetto etico che si muove in senso 
                  politico allinterno di un corpo sociale" - per il quale, 
                  poiché la libertà è sempre "altra", 
                  le concrete libertà vengono di fatto svilite e scarsamente 
                  agite. Questa tensione è certo accettabile dal punto 
                  di vista delletica individuale, mentre, dal punto di vista 
                  dei rapporti sociali, il muoversi "politico" che vuole 
                  risolvere la politica nelletica non solo è la negazione 
                  della politica, cioè della sua stessa concreta condizione 
                  di possibilità, ma soprattutto è la negazione 
                  della pluralità che gli esseri umani esibiscono nel loro 
                  vivere quotidiano, la qual cosa porta al fondamentalismo e al 
                  totalitarismo. Sono infatti i totalitarismi che vogliono risolvere 
                  la politica/pluralità dell"essere" nellunicità 
                  delletica, cioè nellunicità del "dover 
                  essere"... 	Il totalitarismo è quella modalità del pensiero 
                  e dellazione che vuole fondere etica e politica in istituti 
                  che rappresentino e racchiudano totalmente la vita degli individui, 
                  la qual cosa significa la costruzione di un potere totale. Anche 
                  lanarchismo, se interpretato in un certo modo, può indubbiamente 
                  assumere una valenza integralistica proprio perché si 
                  pone come soggetto etico e il suo agire politico è determinato 
                  e finalizzato da unetica. Se si finisce in una interpretazione 
                  integralistica dellanarchismo, però, si tradisce lanarchismo 
                  stesso perché non si tiene in conto che, come dico proprio 
                  in apertura del libro, letica dellanarchismo, quindi lanarchismo 
                  stesso, si risolve nellanarchia, cioè in una società 
                  (o nella tensione ad una società) in cui, non essendoci 
                  un potere, un arché, a cui tutti devono conformarsi, 
                  il rapporto tra lindividuo e la società - che altro 
                  non è se non il rapporto tra libertà e morale 
                  - rimane costantemente aperto e provvisorio. In mancanza di 
                  un potere/arché che definisca a priori un "dovere 
                  essere", infatti, il rapporto fra libertà e morale 
                  non può che articolarsi nella dialettica fra letica 
                  della libertà e la libertà delletica. È 
                  per questo che lanarchismo, se concepito conseguentemente coi 
                  suoi contenuti e con le dinamiche che ad essi afferiscono, ha 
                  unautocorrezione intrinseca e non può avere un esito 
                  totalitario.Tutto questo, però, come dicevo prima, non vuol dire 
                  che degli anarchici militanti non abbiano potuto vivere il loro 
                  anarchismo in modo, più che fondamentalistico, integralistico. 
                  Molti anarchici (per certi aspetti i migliori) hanno infatti 
                  vissuto la loro fede politica in senso completo, in modo totalizzante, 
                  ma questo, più che uno spirito fondamentalistico o totalitario, 
                  sta a testimoniare semplicemente lesigenza di una estrema coerenza 
                  fra la loro vita individuale e la loro visione del mondo.
 Tornando alla ricostruzione della storia del pensiero anarchico 
                  che fai nel libro, mi ha colpito che tu sostenga che né 
                  Bakunin né Proudhon sarebbero da soli bastati a costituire 
                  lanarchismo, perché in tale costituzione il pensiero 
                  cardinale è quello di Stirner, fondamentale al punto 
                  che lo scontro profondo che passa nella 1° Internazionale non 
                  è tanto quello fra Bakunin e Marx, ma quello fra Marx 
                  e Stirner...  	Nella 1° Internazionale il dibattito politico fu 
                  fra Bakunin e Marx, ma quello teorico fu indubbiamente fra Marx 
                  e Stirner. Il dibattito politico è sicuramente altrettanto 
                  importante di quello teorico, ci mancherebbe altro, ma il dibattito 
                  teorico vero, forte, fra marxismo e anarchismo è quello 
                  tra Marx, cioè il marxismo puro, e Stirner, cioè 
                  lanarchismo puro. Senza Stirner lanarchismo non sarebbe stato 
                  possibile e la storia dellanarchismo e del marxismo sono già 
                  tutte contenute rispettivamente nellUnico e nellIdeologia 
                  tedesca perché la critica che Stirner fa al comunismo 
                  è una critica cui Marx e i marxisti sono stati incapaci 
                  di rispondere seriamente. Non a caso Lideologia tedesca, 
                  scritta da Marx ed Engels soprattutto per replicare a Stirner, 
                  non venne pubblicata dagli stessi Marx ed Engels e fu pubblicata 
                  postuma. Stirner era lossessione di Marx, perché la 
                  critica stirneriana al comunismo è talmente radicale, 
                  ficcante e centrata che non è possibile né ribattervi, 
                  né superarla. Sulla critica al comunismo nessuno è 
                  riuscito ad andare oltre Stirner: non cè riuscito Marx, 
                  non cè riuscito Weber, non cè riuscito il pensiero 
                  liberale, perché Stirner, con una genialità stupefacente, 
                  intuisce quello che poi il comunismo realizzato sarà 
                  e non potrà non essere. Non a caso Stirner, quasi ottantanni 
                  prima della rivoluzione russa, scrive che nel comunismo i dissidenti 
                  dovranno finire nei manicomi o nei gulag perché 
                  il comunismo è lestrema espressione della forma religiosa 
                  del pensiero umano. Stirner non critica la dittatura del proletariato 
                  perché Marx non ne ha ancora parlato, ed infatti sarà 
                  Proudhon a farlo per primo, ma nei fondamenti teorici è 
                  impossibile andare oltre Stirner che, come è stato riconosciuto 
                  in un convegno filosofico napoletano a lui dedicato due anni 
                  fa, è sicuramente uno dei maggiori pensatori degli ultimi 
                  due secoli. Nel solo libro che Stirner ha scritto cè 
                  unintera enciclopedia filosofica: oltre alla critica allidealismo 
                  e al comunismo cè lanalisi critica del linguaggio, 
                  viene anticipato Freud...Lunico rimane un testo seminale, che per quanto 
                  esplorato non finisce mai di dare delle nuove aperture...
 											 Franco Melandri 
                  
                     
                      | Sul prossimo numero pubblicheremo due interventi - rispettivamente di
 Massimo La Torre e Salvo Vaccaro -
 sul libro di Berti.
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