That Bay ha ottant'anni, Kong Ban ne ha diciotto, Chum Bunty
35, Choung Phong 10.
Cos'hanno in comune queste persone? Che sono cambogiani, che
hanno calpestato inavvertitamente una delle 10 milioni di mine
sparse nel loro Paese, che hanno perso un arto, e che ora sono
nell'ospedale di Emergency a Battambang.
Con loro, a riempire i posti letto delle corsie, a chiacchierare
nella pagoda in giardino, a giocare con i bambini ci sono altre
decine di pazienti. Facce diverse ma una storia analoga: una
mina, il dolore, e poi la consapevolezza di aver perso una gamba,
o una mano...
La Cambogia è uno dei paesi tra i più minati del
mondo, un sistema economico, sociale e sanitario distrutto da
25 anni di guerre, un regime, quello di Pol Pot, che ha fatto
due milioni di morti, e poi malaria, Hiv, bambini senza vaccinazioni
per anni e anni; uno dei paesi più poveri del mondo.
Oggi la Cambogia conta 1 medico ogni 8.000 abitanti (in Italia
1 ogni 190 abitanti).
Un paese dove incontrare una mina antiuomo è quasi un
destino inevitabile, e dove avere adeguate cure mediche è
quasi un'utopia.
Qui, nel 1997, Emergency ha costruito, grazie al contributo
di migliaia di cittadini italiani, il Centro chirurgico per
vittime di guerra di Battambang, intitolato a Ilaria Alpi, lei
stessa vittima civile di guerra, di un'altra guerra. Ma in questo
tutte le guerre di oggi si assomigliano: oltre il 90% delle
vittime sono civili.
E la Cambogia non sfugge a questa drammatica regola: donne che
coltivavano l'orto, bambini che giocavano nel campo davanti
a casa, uomini che pascolavano le pecore_ si ritrovano poi in
questo Centro Chirurgico, l'unico nel paese a fornire assistenza
medica gratuita. L'unico a prendersi cura, con passione e professionalità,
delle vittime di questa guerra che a parole è finita
da tempo, ma che continua a mietere le sue vittime, al ritmo
inesorabile di decine di persone ogni giorno.
Quest'anno duemila persone hanno trovato cure e assistenza nel
Centro Chirurgico di Emergency: quasi 400 sono amputati da mina
e 180 sono bambini poliomielitici o con altre gravi malformazioni
agli arti; 1200 sono stati i trattamenti ambulatoriali, 1000
gli interventi chirurgici. I casi meno gravi vengono trattati
nei 4 posti di primo soccorso che Emergency gestisce nella provincia:
si offre assistenza medica a oltre 4000 persone al mese.
Questi sono i numeri delle vittime di guerra in un paese ufficialmente
in pace.
Anche nel 2000 l'ospedale e i posti di primo soccorso di Emergency
rappresenteranno l'unico riferimento per la popolazione cambogiana,
per quei milioni di persone che vivono su un territorio che
è un enorme campo minato.
Nella foto: lo staff del Centro Chirurgico
"Ilaria Alpi" Emergency,
Battambang - Cambogia
I fratelli Kok
Kok Phann non ce l'ha fatta. Il giorno dopo l'operazione,
quando tutto sembrava filare liscio, ha smesso di respirare.
Rianimato, il suo respiro è diventato irregolare e
con il passare delle ore sempre più convulso. Kok Phann
è morto a otto anni il 15 marzo 1999 intorno alla mezzanotte,
all'ospedale di Emergency di Battambang, Cambogia.
Il giorno prima la mamma, una donna minuta di carnagione scura,
si era presentata al Pronto soccorso con due dei suoi quattro
figli: Kok Phann e Kok Phal. Stavano pascolando la mucca della
famiglia nel campicello di casa, dalle parti di Tasanh, nel
distretto di Samlot, quando Phann è incappato in una
mina.
L'incidente è avvenuto all'una, ma solo alle sette
sono riusciti a raggiungere l'ospedale di Emergency, situato
a una cinquantina di chilometri di distanza.
Sdraiati su due lettini affiancati, i due bambini si presentavano
in condizioni molto diverse. Phal, il maggiore (10 anni, nella
foto), aveva schegge un po' in tutto il corpo, ma le ferite
erano superficiali.
Phann stava molto peggio: il piede destro non c'era più,
al suo posto un grappolo di carne nera; schegge ovunque, ma
soprattutto le mani e gli avambracci martoriati: uno squarcio
sul petto, proprio all'altezza del cuore; il viso e gli occhi
traforati e tre buchi grossi come monete nel cranio.
Una volta somministrati antibiotici e antidolorifici e ripulite
le ferite, Kok Phann è stato portato in sala operatoria,
dove è riamsto per due ore e mezza.
Mentre Fahrid gli somministrava l'anestesia e Yassin (l'uno
e l'altro medici curdi di Emergency) si disponeva all'amputazione
e alla pulizia delle ferite, l'infermiere khmer addetto alla
ventilazione si è girato verso di noi per dirci che
era contento che noi fossimo lì, in quel momento.
"Finalmente - ci ha detto - capite che cosa vuol dire
saltare su una mina, capite come un bambino che gioca e che
ride intorno a casa può trasformarsi in un brandello
di carne. E' giusto che siate qui questa sera, a undicimila
chilometri da casa, per presenziare all'agonia del bambino
Kok Phann, ricoverato numero 298 dell'ospedale di Emergency".
La famiglia Kok era felice perché era tornata in Cambogia
da non più di una decina di giorni. Per due anni avevano
vissuto nel campo profughi thailandese di Chung Khao Phlu,
a pochi chilometri dal confine cambogiano.
La famiglia Kok era fortunata perché, oltre che sugli
aiuti internazionali, poteva contare su una mucca che quel
giorno Phann e Phal, i due maggiori, avevano portato a pascolare
nelle vicinanze.
Naturalmente sapevano delle mine.
Nessuno tra i rimpatriati ignora che a ridosso del confine
thailandese mille fazioni (dai Khmer rossi ai vietnamiti,
dai governativi ai lealisti di Sianouk, dalla polizia alla
stessa popolazione locale) hanno seminato milioni di mine.
La famiglia Kok sapeva di certo che avrebbe ricostruito casa
su un campo minato, ma, come tutti, aveva accettato la scommessa.
Anzi, a giudicare dal viso sfinito e asciutto di lacrime della
mamma di Phann, la famiglia Kok quella scommessa aveva già
messo in conto di perderla.
All'ospedale di Emergency ora resta Phal, operato dopo il
fratellino.
EMERGENCY n. 13
Kok Phal
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