Accade, a volte, che la fortuita
realizzazione di un desiderio per lungo tempo gelosamente nutrito
possa a prima vista rivelarsi una iattura. Crediamo che la recente
decisione del sinistro Governo D'Alema di passare da un esercito
di leva ad un esercito professionale costituisca un esempio
calzante di un desiderio trasformatosi in apparente iattura.
Intendiamoci, l'abolizione dell'esercito di leva è un
fatto positivo. L'ansia stracciona di una normalizzazione modernizzatrice,
che costituisce il vero tratto politico-culturale distintivo
dell'attuale Governo, ha in questo caso quanto meno contribuito
a delegittimare la retorica nazional-democratica che
vede nel servizio militare un passaggio fondamentale nella produzione
di cittadini (maschi) responsabili.
Se la motivazione per costituire un esercito professionale è
quella di renderlo più efficace a fronte del nuovo ruolo
di media potenza dell'Italia, è evidente che nel futuro
il suo impiego al di fuori dei confini nazionali verrà
deciso in base a criteri di pura opportunità geopolitica
e solo marginalmente dovrà ottenere il consenso della
cittadinanza e del Parlamento. Il velo ideologico del "sacro
dovere" patriottico è irrimediabilmente squarciato.
Ma qui veniamo alla iattura; non ci si può nascondere
che l'abolizione della leva a medio termine è in fin
dei conti una magra consolazione non solo perché sottrae
l'esercito ai pur limitatati controlli democratici, ma soprattutto
perché rischia di costringere l'antimilitarismo a mero
movimento d'opinione e il pacifismo a pura testimonianza. Anzi,
come abbiamo visto durante la recente guerra contro la Yugoslavia,
il pacifismo umanitario è stato utilizzato come copertura
all'intervento militare, ovvero: difesa integrata + missione
Arcobaleno = l'Italia in Europa.
Per quanto riguarda l'Italia, forse sarebbe da sfatare la retorica
dell'efficacia che legittimerebbe l'istituzione di un esercito
professionale, nel senso che almeno per il medio-lungo periodo
un sistema di "difesa" europeo rimarrà sussidiario
a quello Usa. Eccetto che per la Francia e per la Gran Bretagna,
gli eserciti europei non hanno alle spalle una struttura logistica
di supporto autonoma che gli permetta di proiettare la propria
forza al di là della regione ma soprattutto non esiste
ancora in Europa un complesso militare-industriale comparabile
a quello statunitense. Questo significa, almeno per l'Italia,
che un esercito professionale sia (principalmente) un biglietto
da visita che attesti la disponibilità dell'Italia a
"giocare con i più grandi".
Nuovo modello di difesa/offesa
Il Nuovo Modello di Difesa/Offesa, lungi dall'essere
nuovo, è forse l'ultimo degli adeguamenti delle nazioni
ai processi di globalizzazione. Anzi, se definiamo efficiente
l'organismo in grado di adattarsi contestualmente alle mutate
condizioni ambientali, o parlando di organismi sociali, la capacità
di anticiparle, il nuovo esercito nasce in ritardo: se la violenza
sulla scala degli individui è sempre stata un fenomeno
correggibile della natura umana, nella forma più organizzata
degli eserciti e della guerra come proprio esercizio essa sta
alla storia come l'interruttore al lampadario. Tranne alcune
eccezioni storicamente ben delimitate (es. l'India di Ghandi),
l'umanità è stata in grado di sostituire la sicurezza
militare solo con la costruzione di alleanze e interdipendenze
tra nazioni "avversarie".
Gli eserciti di leva sono stati quindi la risposta alla insicurezza
storicamente possibile fino a quando il problema della difesa
era limitato allo scoraggiare chi, con l'uso della forza o della
coercizione, volesse sottrarre sviluppo o prosperità
attraverso la rapina colonialista. Andava bene cioè finche
gli interessi nazionali erano ben delimitati nella sfera geografica
(difesa). Oggi la mutazione dell'economia globale ha portato
alla internazionalizzazione del capitalismo, trasformando gli
interessi nazionali dei paesi a capitalismo avanzato in dipendenza
dalle risorse altrui: la ricchezza è possibile solo col
proseguimento della rapina.
Avevamo ragione ad affermare che nella trasformazione post-industriale
era possibile una difesa degli interessi nazionali con mezzi
nonviolenti: finita l'era del saccheggio era cominciata quella
dello sviluppo industriale che rendeva sconveniente di per sé
l'occupazione di un territorio ostile (rimanendo comunque irrisolta
l'eventualità di invasione a fini strategico militari).
L'esercito professionale, invece, riconfigura l'interesse nazionale
come interesse geopolitico: non è il territorio che si
deve difendere ma l'accesso alle risorse materiali e umane che
permettono il mantenimento dello standard di vita occidentale.
Che oggi è sempre più il principale, se non l'unico,
collante del legame sociale.
L'antimilitarismo possibile
La guerra del Kossovo è l'ultimo episodio
di un ciclo apertosi con l'implosione del blocco sovietico e
la successiva guerra del Golfo (come regolamento di conti interno
al blocco occidentale che sanciva il dominio incontrastato degli
Stati Uniti). In fin dei conti, la guerra del Golfo venne legittimata
come una guerra dell'Onu ma era ancora dentro la logica territoriale
che riconosceva la sovranità dei singoli Stati nazionali,
ovvero la salvaguardia dei loro confini. Il crollo dei regimi
dell'Est si è rivelato una vittoria di Pirro. Ha sancito
sì la superiorità economica del capitalismo, ma
ha anche rivelato l'assenza di un progetto di sviluppo complessivo,
ovvero l'assenza di una progettualità politica delle
"democrazie occidentali".
L'antimilitarismo non può dare risposte immediate ad
emergenze "umanitarie" o a crisi internazionali. Il
problema è che la logica attuale della "geopolitica
del caos" è incapace a risolvere problemi che essa
ha prodotto, li può solo affrontare in maniera più
o meno efficace solo come emergenze, in effetti la capacità
di intervento rapido, il criterio di efficacia, per fronteggiare
situazioni di emergenza sembra essere il criterio principe di
qualsiasi intervento militare. Tra l'altro si osserva una crescente
militarizzazione della politica interna: più polizia,
più leggi restrittive, più carcere.
Alla crescente militarizzazione dei rapporti internazionali
corrisponde una crescente militarizzazione del controllo sociale
interno e un'ulteriore trasformazione in senso autoritario delle
democrazie occidentali. Si pensi alle scelte restrittive in
materia di ordine pubblico per contrastare una criminalità
sempre più effetto della globalizzazione (armi-droga-prostituzione).
A questo punto, una strada per l'adeguamento dell'antimilitarismo
ai nuovi scenari che si delineano è di immettersi in
un'ottica transnazionale, mettendo in evidenza il collegamento
tra l'emergere dei conflitti e i processi di globalizzazione
da un lato, e il predominio tecnologico-militare e dell'informazione
occidentali dall'altro.
Al di là di un intervento di contro-informazione (che
comporta anche uno sforzo di approfondimento e di analisi di
lungo periodo) sulle dinamiche che producono conflitti, sarebbe
anche doveroso tentare di contrastare la restrizione del diritto
di asilo e della libera circolazione delle persone.
Continueremo ad avere ragione continuando ad usare il buonsenso.
L'unico modo di difendere i nostri interessi nazionali è
di trasformarli, con una politica di guida dei bisogni e dei
consumi tale da disintossicare le nostre economie dal bisogno
dello sfruttamento altrui. E questo va fatto con gli strumenti
del realismo e con uno spirito sincero di soluzione del problema
della sicurezza, problema reale ed importante: o cominciamo
noi gradualmente a sviluppare rapporti onesti con i paesi del
sud del mondo, o ce lo imporranno loro, prima o poi, tutto in
una volta, portandoci il conto di ciò che abbiamo saccheggiato.
L'obiezione è morta
Tutto si può criticare all'attuale Governo
di destra-centro-centro-sinistra, tranne la mancanza di realismo.
Ci voleva D'Alema e la sua guerra per farci notare l'assenza
del mezzo milione di rappresentanti della punta più avanzata
e radicale del movimento pacifista alle manifestazioni contro
la guerra: gli Obiettori di Coscienza. Quelli che per intenderci
sono contrari in ogni circostanza all'uso individuale e collettivo
delle armi.
Poi, dato che le rivelazioni spesso arrivano a coppia, l'attesa
rivoluzione nonviolenta programmata per il giorno in cui il
"colpo di stato" avrebbe fatto sparire con il "colpo
di spugna" il più grande movimento mondiale degli
Obiettori di Coscienza, è stata barattata con la indubbia
possibilità di poter ottenere il congedo.
Grazie D'Alema, per aver disvelato alla sclerosi pacifista,
che il Servizio Civile è un chiodo e l'Obiezione di Coscienza
un cacciavite. Chi temeva l'estinzione dell'Obiezione di Coscienza
riuscendo a dormire malgrado la preoccupazione, può continuare
a dormire, senza preoccupazione, perché oramai il caro
estinto è bello che decomposto.
Cioè è da tempo che, malgrado noi, con il passaggio
dall'Obiezione di Coscienza al Servizio Civile si è operata
una sana divisione dei compiti sulla questione difesa.
Agli eserciti il primato indiscusso della difesa degli interessi
nazionali di fronte agli altri paesi, a garanzia dell'uso dell'unico
strumento possibile di definizione tra gli interessi nazionali
moderni: la guerra.
Agli Obiettori il compito altrettanto gravoso di difendere la
patria "dall'interno": una forza di interposizione
di pace, e soprattutto non armata, tra marginalità (immigrati,
zingari, barboni, malati) che ben hanno da chiedere "svuotate
gli arsenali, riempite i granai" ed i monopolisti della
violenza i cui progetti erano ben chiari fin da allora.
Gli Obiettori non hanno saputo reagire in maniera chiara a questa
divisione: i più bravi hanno continuato a provare a sperimentare
forme di difesa non armata, i più impegnati hanno enfatizzato
il valore di questo tipo di difesa, la maggior parte ha subito
supinamente le evoluzioni regressive del Servizio Civile.
Il servizio civile è più vivo che mai
Non abbiamo certo la presunzione della preveggenza,
ma un po' di raziocinio ci porta alla conclusione che il Governo
prima, l'opposizione poi, le lobby del terzo settore dopo, non
intendano di certo rinunciare al Servizio Civile. Dice bene
il rappresentate della Consulta Nazionale Enti di Servizio Civile:
possibile che non si trovino 250 miliardi?
Di sicuro non se ne troveranno 2.500: tanti ne servirebbero
per sostituire i voloncoatti di oggi con Lavoratori Socialmente
Utili, con la certezza di un ulteriore deteriorarsi della qualità
dei servizi.
Se non si riesce a pulire un giardino pubblico con il Lavoro
Socialmente Utile, a voi la risposta di che ne sarebbe della
scolarizzazione dei bambini Rom affidata a serviziocivilisti
e Lavoratori Socialmente Utili vari.
È compito dello stato rispondere ai bisogni
Di questo siamo tutti convinti. Quello di cui
noi non siamo convinti è che l'assistenzialismo comunque
necessario per garantire il diritto, non al benessere, ma alla
dignità, sia esigibile nel quadro convenzionale dell'acquisto
e consumo di forza lavoro. Chi è in grado di far di conto
dimostrando, anche volendo prevedere un diverso modo di produzione
o una equa ridistribuzione del reddito, la possibilità,
con lo Stato o in assenza di esso, di spendere 3.000.000 al
mese per tenere compagnia ad un bambino portatore di handicap,
lo faccia. (3.000.000 al mese e non una lira di meno, perchè
tali mansioni o vengono pagate in soddisfazione personale o
in moneta sonante. La terza via, quella usata fino ad ieri,
è quella del ricatto: o caserma o galera).
C'è pronto però un'altra ricetta, basata sulla
solidarietà, condita con il fondamento della famiglia
e applicata con il fondamentalismo dell'educazione. Peccato
che il risultato, forse buono rispetto il dettaglio del problema,
sarebbe una moderna versione del "Dio-Patria-Famiglia"
che sicuramente non fa parte della migliore tradizione pacifista.
Servizio Civile Volontario, a Carico della Collettività
e a Favore di Essa
Basta lavorare sulle pregiudiziali per uscirne con un progetto
coerente. Il Servizio Civile deve poggiare su una base esclusivamente
volontaria, garantire un periodo di formazione qualificante,
non essere rinnovabile, non prevedere forme di retribuzione.
Prendiamo in esame punto per punto le pregiudiziali:
Su base esclusivamente volontaria - L'unico elemento
che può qualificare l'esperienza del Servizio Civile
sostitutivo è il vincolo dell'accordo ente-obiettore
per l'assegnazione. Dubitiamo che quelli che abbiamo definito
come enti da chiudere riuscirebbero a trovare dei volontari.
Non solo, la volontarietà implica sicuramente la scelta
dell'area vocazionale, col risultato di prestazioni di alto
profilo quantomeno nell'ambito dell'impegno;
Il vincolo della formazione professionale attestata -
Una delle ricette per l'arruolamento di soldati su base volontaria
sarà la creazione di corsie preferenziali per l'inserimento
lavorativo nel settore pubblico. Sarebbe sicuramente utile contrapporre
alla tangente militarista, delle professionalità consolidate
negli ambiti "tradizionalmente" coperti dal Servizio
Civile. Soprattutto parlando di servizi sociali e culturali,
in cui il possibile ingresso in massa degli "educati alla
guerra" rischia di portare alla militarizzazione della
società;
La premessa della non rinnovabilità - Escluderebbe
la creazione per inerzia di sacche di precarizzazione: la condizione
di non occupazione, non crea esclusivamente un problema di non
reddito, ma anche esclusione e marginalizzazione. La necessità
di sentirsi inclusi tra i "produttivi" non può
e non deve essere soddisfatta da un "meglio questo che
starmene a casa";
30 buoni pasto e le sigarette. - Uno stipendio farebbe
leva sul ricatto del bisogno ed il Servizio Civile volontario
non sarebbe più volontario. Sarebbe una ennesima edizione
di precarizzazione peggiore delle precedenti. Non solo, facendo
leva sul bisogno di occupazione finirebbe per non garantire
la pregiudiziale della forte motivazione, col risultato di servizi
non scadenti ma addirittura dannosi alla persona, con elevati
rischi di corruzione nel controllo ambientale, col decadimento
alla compiaciuta ignoranza supercafona dei servizi culturali.
Che fare?
Nell'immediato, però, non possiamo cedere
al ricatto di chi agita lo spettro di massacri sociali proponendo
l'istituzione di un Servizio Civile obbligatorio (per ragazzi
e ragazze), né di chi più subdolamente rilancia
l'ipotesi di assegnare al Servizio Civile sostitutivo tutti
i militari in esubero fino al 2005.
Se intendiamo recuperare una reale capacità di contrattazione,
dobbiamo alzare la posta in gioco, spostare l'asse dell'attuale
dibattito dalle questioni di bottega e riprendere campagne di
opinione che superino la dicotomia "leva obbliga-toria/leva
volontaria", per mettere in discussione la stessa legittimità,
le ragioni d'essere dello strumento Forze Armate in qualunque
forma esso venga realizzato.
Solo in questa prospettiva più radicale è possibile
rilanciare il dibattito sui modelli di difesa e le modalità
della creazione di corpi di pace.
Si tratta di identificare un percorso fatto di campagne e di
obiettivi credibili che ci permetta di rendere visibile la nostra
critica radicale e contemporaneamente restare in pista sulla
questione decisiva del Servizio Civile.
Indichiamo perciò in queste quattro campagne le priorità
del nostro lavoro politico nei prossimi anni avendo come scenario
di riferimento la sospensione del servizio di leva e la realizzazione
completa del Nuovo Modello di Difesa/Offesa:
1. Campagna contro il Nuovo Modello di Difesa/Offesa in ogni
sua espressione (quindi anche contro i processi di professionalizzazione
delle Forze Armate, ma senza difendere per questo l'attuale
sistema basato sulla leva obbligatoria);
2. Campagna per liberarsi dalla necessità delle Forze
Armate (corpi civili di pace, Difesa Popolare Nonviolenta,
protezione civile, ecc.);
3. Campagna per ascrivere nella Costituzione il diritto
all'Obiezione di Coscienza (dopo la sospensione della leva
obbligatoria, bisogna garantire il diritto ai soldati volontari
di obiettare in qualunque momento la loro coscienza metta in
discussione scelte pregresse);
4. Campagna per il Servizio Civile volontario (con le caratteristiche
indicate
nel paragrafo precedente e con un ruolo attivo della Lega Obiettori
di Coscienza o di associazioni simili sulle questioni informazione,
formazione, vigilanza).
In attesa dell'approvazione della legge di riforma della leva,
il nostro impegno sul fronte Servizio Civile continuerà
a essere mirato alla realizzazione di quanto previsto dalla
Legge 230/98, a partire dall'effettiva smilitarizzazione della
gestione del servizio, con un ruolo attivo sulle questioni informazione,
formazione, vigilanza e caschi bianchi, rifiutando fin d'ora
l'ipotesi di un utilizzo nel Servizio Civile di obbligati alla
leva militare eccedenti alle esigenze delle Forze Armate.
E se per ragioni di bottega lo Stato esonererà ogni anno
migliaia di giovani obiettori/militari la Lega Obiettori di
Coscienza non verserà nessuna lacrima. Anzi, il nostro
impegno sarà ancora una volta quello di diffondere informazioni
e saperi che permettano al maggior numero di giovani di far
valere il loro diritto a sottrarsi a coazioni che continuiamo
a considerare ingiustificate e illegittime.
A noi è sempre stato chiaro e lo è ancora oggi
che la partecipazione popolare a forme alternative di difesa
non si può ottenere con la coscrizione obbligatoria.
Nessun Servizio Civile obbligatorio per quanto ben organizzato
e onestamente gestito potrà trovare il nostro consenso.
Lega Obiettori di Coscienza
Per la campagna n° 1 Contro il Nuovo Modello di Difesa/Offesa
contattare:
Ass. SignorNò!
Loc Roma
Via della Guglia 69/a
00186 Roma
Tel. 06/6780808
Fax 06/6793968
e-mail: disarmo@tiscalinet.it
Per le altre campagne contattare:
Loc Sede Nazionale
Via Mario Pichi 1
20143 Milano
Tel. 02/8378817 e 02/58101226
Fax 02/58101220
e-mail: locosm@tin.it |
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