La bicicletta è sempre stato
uno strumento primario di iniziazione e di libertà. Innanzi
tutto è un'esperienza che viene trasmessa in maniera
amorevole (avete mai visto qualcuno che insegni a pedalare a
un bambino in malo modo?). È un'iniziazione in piena
regola: c'è la perdita di sangue e la ferita che segna
il distacco da una condizione precedente (le ginocchia sbucciate).
C'è la meraviglia di sentire il corpo entrare in automatica,
dopo aver superato la goffaggine iniziale. La realizzazione
che, come nuotare e fare l'amore, pedalare è un atto
programmato nel nostro DNA, un atto che ci rende coscienti del
fatto che il vero equilibrio è nel movimento e non nella
staticità.
La bicicletta è a tutt'oggi un modello insuperato di
veicolo socialmente responsabile, romantico (mai portato nessuno
in canna?), silenzioso, non stressante e che si muove grazie
ad una fonte di energia rinnovabile e non inquinante (in culo
alle multinazionali degli idrocarburi!). Andare in bicicletta
non implica alcuna stupida esibizione di potenza, richiede solo
ottimismo e coraggio (dare le spalle alle automobili è
un vero atto di fede affrontato dal nostro guerriero interiore).
I popoli precolombiani usavano la ruota per i giocattoli dei
bambini ma non per il trasporto; i tibetani la usavano come
mezzo di propulsione per le loro preghiere ma non per il trasporto,
la bicicletta è la splendida sintesi dei possibili usi
della ruota: gioco, trasporto e preghiera.
È sintomatico che la due ruote sia sempre stata, sin
dalla sua comparsa, intimamente legata al concetto di libertà.
Pochi se ne redono conto ma la bicicletta è stata anche
il volano dell'emancipazione femminile a cavallo del secolo
scorso. Per la moralità e per la scienza medica del periodo
pedalare era un'attività "disdicevole" per
signore e signorine; il sellino era accusato di incoraggiare
l'onanismo femminile e le distoglieva dal loro ruolo di madri
e mogli. Senza considerare il fatto che l'abbigliamento muliebre
era quanto mai inadatto alla faccenda. Per pedalare si dovevano
mostrare le caviglie (orrore!) e ci si doveva sbarazzare dei
vari busti e corsetti che costringevano le povere spine dorsali
a posizioni innaturali e che rendevano impossibile quel genere
di attività fisica. L'abbandono delle stecche e l'accorciamento
delle gonne (e persino l'uso delle gonne pantalone) nascono
proprio dal boom della bicicletta. I primi movimenti femmisti
europei avevano nella bicicletta un simbolo irrinunciabile.
Da Jarry
ai provos
La patafisica, il movimento anticipatore del surrealismo creato
dallo scatenato Alfred Jarry è indissolubilmente legato
alla sua fiammante bicicletta da corsa. La scoperta dell'LSD
da parte dello scienziato svizzero Albert Hofmann nel 1943 è
tutt'uno con la sua mitica pedalata fatata per le vie di Basilea.
Difficile pensare alla lotta di popolo dei vietnamiti senza
lo strabiliante sistema di rifornimento condotto da sgangherate
biciclette che attraversavano i sentieri nella giungla portandosi
in groppa persino gli obici. Uno degli strumenti infallibili
per misurare la civiltà di un paese è lo spazio
che esso offre ai propri ciclisti (paesi scandinavi in testa,
paesi mediterranei in coda).
In Olanda agli inizi degli anni '60 in pieno boom automobilistico,
proprio quando tutti, ma proprio tutti, sognavano la loro bella
quattroruote, si fanno notare degli strani personaggi che vanno
totalmente controcorrente.
Sono i Provos, un gruppo di anarchici dadaisti e zuzzurelloni,
a cui spetta la palma di avanguardia di quella contestazione
giovanile che verso la fine del decennio infiammerà l'intero
occidente. I Provos nutrivano un senso di frustrazione e di
rigetto nei confronti della società consumista e alienante,
per usare le loro parole, si sentivano in questo mondo "come
ciclisti su un'autostrada". Scelsero la bicicletta come
santo strumento tribale, arma comunitaria contro i comportamenti
antisociali degli automobilisti che agivano (e agiscono) indisturbati
contro l'ambiente coperti dalla grande industria e dalla polizia.
Gli automobilisti amorevolmente coccolati dagli spacciatori
di petrolio e dai cementificatori, erano (e sono) il "braccio
armato" di uno stile di vita che ormai andava inesorabilmente
modellando la geografia del pianeta. Il piano era (ed è)
distruggere il tessuto umano dei quartieri storici creando un
mondo in cui fosse impossibile andare a scuola, al lavoro, a
far la spesa, a curarsi e a divertirsi senza poggiare il culo
su un autoveicolo, senza pagare il balzello all'industria e
allo stato e senza devastare il territorio).
I Provos osano sbeffeggiare il simbolo della crescita economica,
il dogma della modernità, rivendicando il diritto di
camminare per la città senza venir minacciati fisicamente
da bande di psicopatici aggressivi rinchiusi dentro una scoreggiante
scatola di ferro. I Provos soprattutto rivendicano il diritto
e il piacere di non seguire i modelli di consumo e di non consumare.
Dotati di una formidabile capacità di spiazzare le autorità
e di dar vita a fantasiose pratiche di disobbedienza civile,
restano vivi nella memoria dei più per il famoso "piano
delle biciclette bianche", la messa a disposizione della
cittadinanza di Amsterdam di un certo numero di biciclette collettivizzate.
Biciclette sempre aperte a disposizione di chiunque se ne volesse
servire, un mezzo di trasporto gratuito, una provocazione contro
la proprietà privata capitalista. "La bicicletta
bianca è anarchica e simboleggia semplicità e
igiene di fronte alla cafonaggine e alla zozzeria dell'automobile.
Una bicicletta non è nulla ma è già qualcosa".
Un atto ecologico (anche se allora la parola ecologia non era
esisteva ancora).
I Provos scelsero di dipingere le bici di bianco - dopo aver
scartato l'idea di farle rosse e nere, come la bandiera anarchica
- per il semplice fatto che le loro azioni avvenivano prevalentemente
di notte. Un bel numero di cittadini, rispondendo ai loro appelli,
si reca nel luogo di raccolta, offre le proprie biciclette e
le dipinge di bianco, mettendole a disposizione del provotariato.
Il successo è immediato e l'operazione accende l'immaginazione
di altri gruppi consimili da Stoccolma a Berkeley, da Praga
a Oxford (motto dell'iniziativa "Il bianco annulla tutto,
soprattutto la proprietà). Un famoso gruppo psichedelico
inglese i Tomorrow lancia un brano delizioso, My White Bicycle,
che diffonde il messaggio libertario persino nella hit parade.
(Anche in Italia Caterina Caselli incide un brano dedicato alla
provocazione provo).
Ma il segnale più evidente del successo del piano biciclette
bianche è la risposta della polizia. Le autorità
reagiscono immediatamente e in modo ridicolo: vengono sequestrate
una cinquantina di bici in giro per la città. La giustificazione
è che non essendo chiuse col lucchetto rappresentano
un istigazione al furto. In pratica è la polizia a rubarle,
visto che non le restituirà più ai legittimi proprietari,
i cittadini di Amsterdam. In una società in cui vige
la proprietà privata, ciò che è gratis
è illegale e pericoloso.
I ladri di biciclette in divisa non fanno altro che promuovere
il piano provo, attirando attirando nelle loro file un numero
crescente di sostenitori e spingendo l'opinione pubblica a solidalizzare
con loro.
Matteo Guarnaccia
Matteo
Guarnaccia (Milano, 1954) è uno dei maestri della
psichedelia italiana. Studioso di arte visionaria e culture
tribali, ha iniziato a farsi conoscere con il multiplo d'arte
nomade Insekten Sekte prodotto tra Goa e Amsterdam (1969-1975).
Pittore, art director, performer, saggista, organizzatore
di eventi e workshop. Tra le sue opere ricordiamo: Arte
psichedelica & controcultura in Italia (1988), Skate
(1989), Beat & Mondo Beat (1996), Almanacco
psichedelico (1996), Provos (1997), Summer
of love (1997), Paradiso psichedelico (1998),
Magical Mystery Book (1998). |
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