Qualsiasi cosa si analizzi, lo si fa
in base ad un criterio. Analizzare, etimologia alla mano, significa
"sciogliere" e, in pratica, sta per "scomporre",
"dividere". Scomporre, per l'appunto, tramite un criterio,
a meno che, per scelta, non si scomponga a casaccio. L'analisi
del corpo umano, già a livello dell'anatomia, implica
da sempre assunzioni ideologiche solitamente tenute ben nascoste.
È Fleck, in Genesi e sviluppo di un fatto scientifico
(1935, edizione italiana Il Mulino, Bologna 1983), a far notare
che, nell'Epitome del Vesalio (1514-1564), gli organi
genitali maschili e femminili sono disegnati in modo da adattarsi
alla teoria - molto diffusa nel sedicesimo secolo - che li voleva
strutturalmente analoghi. Nell'illustrazione degli organi genitali
femminili, viene addirittura segnato e indicato un ductus
(un canalicolo) che, se era indispensabile alla teoria, in compenso
è rimasto solennemente ignoto all'anatomia moderna. Fleck
racconta di aver sfogliato numerosi atlanti di anatomia, nonché
numerosi manuali di ginecologia, e di aver constatato che tutte
le illustrazioni sono "innegabilmente frutto di una rielaborazione
del dato naturale, tutte schematiche, quasi simboliche, fedeli
alla teoria, ma non alla natura". Perfino le fotografie,
insiste Fleck, per la scelta del punto di vista, per il trattamento
esplicativo cui sono sottoposte, rispondono alle esigenze della
teoria.
Qualcosa di simile, secondo Stephen Jay Gould (in Gli alberi
non crescono fino in cielo, Mondadori Milano 1997 e, in
economica, 1999), è accaduto in paleontologia, dove tutte
le rappresentazioni visive della storia della vita tradiscono
il pregiudizio antievoluzionistico.
Due pagine pubblicitarie (nel mercato del momento, quello delle
telecomunicazioni) con la pretesa della propria correttezza
politica o, più banalmente, con la pretesa di moltiplicare
i propri clienti, offrono un loro quadro anatomo-funzionale
del corpo umano. È così, allora, che apprendiamo
come il corpo maschile si suddivida, dall'alto in basso, in
mani, cervello, spalle, addominali e gambe; mentre quello femminile
in cervello, seno, fianchi e gambe.
L'intento essendo quello di disegnare l'uomo e la donna ideale,
si comprende come ad ogni segmento anatomico si attribuisca
il massimo paradigmatico. Così il maschio dovrà
possedere le mani di un pianista, il cervello di uno scienziato,
le spalle di un nuotatore, gli addominali di un pugile e le
gambe di un centometrista. E così la femmina dovrà
possedere il cervello di un Nobel, il seno di un'italiana, i
fianchi di una brasiliana e le gambe di una scandinava. Dal
che si apprende abbastanza di come sono andate le cose al mondo.
Sono diversi i pezzi, sono diversi i paradigmi cui riferirsi
per definirne l'idealità. Il maschio attinge agli sport,
la femmina a presunte etnie che mascherano altrettante ideologie
sessuali. In queste ideologie il ruolo della femmina è
chiaramente subordinato al piacere del maschio. Fuori dallo
schema rimane il cervello, che per il maschio deve essere quello
di uno scienziato, mentre per la femmina, mirando apparentemente
più in alto, deve essere quello di un premio Nobel. Come
se la nostra storia non annoverasse scienziati premiati con
il Nobel e scienziati niente affatto premiati perfettamente
cretini e pericolosissimi. Ma tant'è una bugia caritatevole
sulle quotazioni sociali del cervello non la si nega a nessuno:
fa progresso e parità, due idee che meno trovano pratica
realizzazione e più sono spacciate per pane quotidiano.
Mi viene in mente la povera Moana Pozzi quando le domandarono
se avrebbe preferito stare su un'isola deserta con Arnold Schwarzenegger
o con Francesco Alberoni. La sciagurata rispose "con Alberoni,
perché in questo periodo preferisco nutrire la testa
piuttosto che altre parti del corpo". Vittima delle metafore
e della propaganda di regime, è morta senza sapere quanto
si sbagliava. In realtà, per lei - nella posizione in
cui era - l'alternativa non c'era affatto, perché sarebbe
stata la stessa "cosa" e per l'uno e per l'altro.
Felice Accame
P.s.: Si sarà notato che, se nell'uomo
ideale sono di rigore le mani di un pianista (non quelle del
contadino e neppure quelle del muratore), nella donna ideale
il particolare è diventato tanto trascurabile da non
dover essere neppure più nominato. Con l'imposizione
delle gambe da scandinava, d'altronde, si ottempera al modello
vigente della lungagnona da sfilata - paradigma totalitario
dell'estetica femminile in questi pochi anni che ci restano
prima dell'ingegneria genetica su vasta scala. Difficile, dunque,
chiedere a questi corpi "mani di fata" o "gelide
manine" da riscaldare.
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