Ho conosciuto Lamberto Borghi a fine
maggio del 1979, in occasione di un convegno internazionale
sul tema: "L'educazione attiva oggi: un bilancio critico"
svoltosi a Rimini presso quella scuola straordinariamente attiva
che è il C.E.I.S.
Naturalmente lo conoscevo già, o meglio conoscevo alcuni
dei suoi scritti, a cominciare da quel classico e fondamentale
testo che è Educazione e autorità nell'Italia
moderna (1951), nel quale egli rileggeva la storia dell'educazione
e dell'istruzione italiana privilegiando i contributi delle
correnti di pensiero laico e libertario, rispetto ad una storiografia
tradizionalmente più legata alla storia del potere politico
ed economico.
Lamberto Borghi nasce a Livorno nel 1907 e, giovanissimo, si
laurea a Pisa nel 1929. A partire dagli anni trenta stringe
un'importante amicizia con Aldo Capitini considerato poi come
una delle personalità più significative del nostro
tempo: "Capitini fu per noi il portatore di doni, il partecipe
delle gioie, il consolatore degli affanni, il suscitatore delle
tensioni, l'amico sorridente di ogni ora, eppure altresì
il severo cultore dei valori, spronante all'impegnata attività"
(Maestri e problemi dell'educazione, Firenze, 1987, p.
229).
Nel 1940 viene costretto all'esilio negli USA, perché
ebreo e quindi colpito dalle leggi razziali fasciste, dove diviene
Fellow of Philosophy all'Università di Yale e collabora
con Ernst Cassirer.
Questi anni statunitensi sono ricchi di scambi e confronti con
Cassirer, Kilpatrick, Dewey, De Santillana, e con i fuoriusciti
italiani come Salvemini, Caffi, Chiaromonte.
Tornato in Italia, nel 1949 ottiene la libera docenza in Pedagogia
e insegna nelle Università di Pisa, Palermo, Torino,
finché nel 1955 è chiamato a ricoprire la cattedra
di Pedagogia presso la Facoltà di Magistero dell'Università
di Firenze, nella quale rimarrà fino al raggiungimento
dei limiti di età nel 1982 per diventare poi professore
emerito.
L'itinerario culturale di Lamberto Borghi parte dal suo personale
e profondo approccio con la realtà sociale che stimolerà
le riflessioni pedagogiche di tutta la sua ricerca conducendolo
da posizioni progressiste e pacifiste fino ad abbracciare un
anarchismo etico sempre più convinto e solido.
Egli è generalmente noto per essere stato il principale
interprete e diffusore del pensiero di John Dewey e dell'attivismo
pedagogico in Italia.
Società aperta
Risale infatti ai primi anni cinquanta la pubblicazione di
testi che segnano marcatamente la discussione pedagogica e l'intero
panorama culturale. Libri come John Dewey e il pensiero pedagogico
contemporaneo negli Stati Uniti (Firenze, 1951), Saggi
di psicologia dell'educazione (Firenze, 1951), Il fondamento
dell'educazione attiva (Firenze, 1952), Il metodo dei
progetti (Firenze, 1953), L'educazione e i suoi problemi
(Firenze, 1953), Educazione e scuola nell'Italia di oggi
(Firenze, 1958) portano al centro della discussione le teorie
dell'attivismo pedagogico, preludio alla pedagogia libertaria.
Siamo in un'epoca nella quale la cultura, anche quella pedagogica
e psicologica, è dominata dall'attualismo cattolico e
dalla filosofia marxista della terza internazionale, pertanto
sostenere un pensiero laico, libertario e pragmatico all'interno
delle accademie universitarie e nelle riviste culturali non
è certo cosa semplice e tantomeno facile. Si tratta di
inserirsi con convinzioni e proposte innovative nello scontro
e la complementarità delle due "chiese" che
hanno segnato e ancora condizionano lo sviluppo di questo nostro
paese.
Egli per primo, nella storiografia dell'educazione e della scuola
così pesantemente indirizzata in senso cattolico e comunista,
coglie ed evidenzia le contraddizioni mortali della ideologia
marxista e socialista, sia nella sua versione rivoluzionaria
che riformista, laddove non tiene conto del rapporto tra mezzi
e fini, anche nell'ambito dell'educazione: "Essi non si
proposero mai con serietà il problema che scaturiva dal
loro intento contraddittorio di volere allo stesso tempo un'educazione
all'autogoverno e alla società comunitaria in armonia
colle finalità ultime del socialismo e un'educazione
al potere proletario nel periodo di transizione rivoluzionaria
del sistema capitalistico in quello comunistico. Essi non seppero
indicare una via la quale superasse questa contraddizione fra
fine e mezzi, contraddizione che traeva alimento dalla loro
interpretazione dialettica della storia" (Educazione
e autorità nell'Italia moderna, Firenze, 1951, p.
103).
Con questa convinzione egli propone le teorie di John Dewey
come alternative al dogmatismo catto-comunista. Ciò che
di Dewey viene valorizzato è il suo pragmatismo fortemente
ancorato a valori forti e chiari, il nesso che egli stabilisce
tra scuola e società, tra l'autogoverno scolastico e
quello sociale, tra individualità e comunità,
la critica decisa all'autoritarismo nelle sue varie forme e
nelle molteplici ideologie dominanti. Questa concezione così
aperta della società e il valore profondo della democrazia
vera, la coerenza tra mezzi e fini, la ricerca etica di una
nuova società fondata sull'autogoverno e la democrazia
diretta, rappresentano per Lamberto Borghi l'essenza vera e
attuale del pensiero di John Dewey, la sua natura essenzialmente
libertaria che poi egli stesso svilupperà e amplierà.
Democrazia educativa
Non solo egli contrappone dunque la democrazia educativa e
scolastica alle ideologie di Chiesa e Stato ma con straordinaria
lungimiranza anticipa di oltre quarant'anni la discussione su
statale e privato e pubblico, in riferimento alla gestione della
scuola: "La scuola pubblica si distingue dalla scuola di
Stato perché questa ha storicamente assunto caratteri
accentrati, perché lo Stato è stato finora uno
Stato nazionale e ha perseguito finalità sezionali, divisive
degli uomini, finalità di potenza e quindi ha promosso
nelle sue scuole l'inculcazione della fedeltà alle istituzioni,
il culto dei governanti, l'indottrinamento nei principi stabiliti
dall'alto e nei programmi fissati dal centro, l'incondizionata
approvazione delle ideologie e delle direttive dei poteri politici.
L'influenza politica sulla scuola deve cessare se questa deve
assumere un carattere educativo, il carattere che per definizione
le compete" (L'educazione e i suoi problemi, Firenze,
1953, p. 123).
L'alternativa è una scuola fondata su un processo di
autoistituzione all'interno della comunità, una vera
scuola dell'autonomia, in un contesto di relazioni sociali libertarie
e federaliste. Non a caso tra i suoi maestri egli annovera Carlo
Cattaneo piuttosto che Mazzini, Salvemini piuttosto che Turati
o Labriola, Kropotkin al posto degli epigoni del socialismo
autoritario (Maestri e problemi dell'educazione, Firenze,
1987).
L'attenzione e le riflessioni intorno ad una pedagogia che esca
dalle secche e dai limiti imposti dalla cultura dominante portano
Lamberto Borghi ad impegnarsi attentamente a tessere relazioni
internazionali contribuendo in maniera decisa ad introdurre
in Italia il pensiero di autori ed esperienze assolutamente
innovative e rivoluzionarie che contribuiranno ad accendere
una fiaccola di libertà e di antiautoritarismo nello
stagnante dibattito pedagogico nostrano. Assieme ad altri autori
come Tina Tomasi, Antonio Santoni Rugiu, Aldo Visalberghi, Francesco
De Bartolomeis e altri, egli caratterizzerà e guiderà
un processo di rinnovamento della pedagogia non solo italiana,
nel segno della cultura laica e libertaria, che coniughi dimensione
scolastica e civile della libertà.
Non è un caso che egli assuma la direzione di quella
prestigiosa rivista della Nuova Italia, Scuola e città,
subentrando ad uno dei suoi maestri, quell'Ernesto Codignola
che perviene alle istanze democratiche della scuola attraverso
un percorso diverso da quello di Borghi, muovendo da una cultura
etico-religiosa, ma che non gli impedisce di creare quell'esperienza
straordinaria di Scuola-Città Pestalozzi a Firenze nel
1945 e poi, dal 1950, la rivista Scuola e città.
Scuola e società
Numerosi sono gli articoli e i saggi che Lamberto Borghi scrive
in questa rivista negli anni cinquanta e sessanta, alcuni ripresi
in opere diverse e ora contenuti in quella bella antologia curata
da Goffredo Fofi ed edita dalla nostra Elèuthera (La
città e la scuola, Elèuthera, 2000), che egli
ha appena avuto il tempo di sfogliare prima di morire.
Ma, come abbiamo sopra affermato, il suo impegno è stato
anche sempre rivolto ad introdurre in Italia il pensiero e l'opera
di straordinari, e spesso misconosciuti o boicottati, autori
che muovendosi nel solco e nella tradizione democratico-libertaria,
hanno contribuito in modo decisivo al rinnovamento della pedagogia
internazionale. Basta scorrere il catalogo della collana "Educatori
antichi e moderni" dell'editrice La Nuova Italia di Firenze,
per trovare tracce evidenti del suo lavoro per questa storica
casa editrice. Dobbiamo a Lamberto Borghi e alla sua influenza
diretta o indiretta la traduzione italiana di opere, oltre che
di Dewey, anche di Kilpatrick, Neill, Lane, Krishnamurti, Cattaneo,
Kallen, Suchodolski, Capitini e altri.
Gli anni sessanta sono anni di sviluppo delle concezioni di
John Dewey e di insistenti sottolineature sul rapporto esistente
tra scuola e società, sul nesso imprescindibile che lega
l'educazione allo sviluppo sociale, sulla necessità che
la scuola non sia altro rispetto alla comunità, ma che
si immerga profondamente nella vita sociale per portarvi un
originale apporto nel senso della modernizzazione e nell'ampliamento
degli spazi di libertà e autonomia.
Opere come Educazione e sviluppo sociale (Firenze, 1962),
Scuola e comunità (Firenze, 1964), Scuola e
ambiente (Firenze, 1964) ribadiscono il ruolo attivo dei
processi educativi nell'opera di democratizzazione dell'intera
società e segnano la necessità di un impegno militante
da parte degli insegnanti e dei pedagogisti in genere a favore
del profondo rinnovamento dell'intera società senza però
trasformare questo impegno in uno sterile attivismo senza ideali,
ma al contrario, egli ribadisce costantemente la necessità
di saldare il suo pragmatismo filosofico con valori ed ideali
molto precisi e forti.
Insomma Lamberto Borghi rappresenta emblematicamente la figura
di intellettuale "disorganico" opposto a quei chierici
catto-comunisti che tanto hanno contribuito a sfasciare e distruggere
ogni istanza libertaria nell'Italia di questi ultimi cinquant'anni.
Non ci si deve stupire quindi che egli si appelli al pensiero
di un anarchico come Paul Goodman per denunciare il falso mito
di quell'educazione progressiva che sfocia nel permissivismo
della società dell'opulenza snaturando ogni vera tensione
autenticamente libertaria e che faccia sue le considerazioni
di Carl Rogers quando denuncia una formazione tutt'altro che
integrale della personalità così come si configura
l'educazione dell'uomo a una dimensione, conformista, rigido,
docile (L'educazione attiva oggi: un bilancio critico.
Introduzione, Firenze, 1984, pp. IX-XIII).
Negli anni ottanta cura, assieme ad Aldo Visalberghi un'altra
significativa collana della Nuova Italia, "Scuola e educazione
nel mondo", che contribuisce non poco a sollecitare il
confronto a livello internazionale sulle problematiche scolastiche
ed educative di attualità pubblicando, tra gli altri,
contributi di autorevoli studiosi stranieri come Arnould Clausse,
Torsten Husen, Bogdan Suchodolski, Carleton W. Washburne, Edmund
J. King, Robert Dottrens, Abdou Moumouni, Alfred Sauvy, Alain
Girard, e altri.
Maestro, nel senso socratico
La pedagogia di Borghi si configura sempre come ricerca infinita
della natura sociale della condizione umana e l'educazione,
a suo avviso, è sempre creazione del nuovo e mai riproduzione
dell'esistente. La dimensione libertaria del suo pensiero si
può trovare compiutamente espressa in un'intervista del
1987 (L'educazione permanente, Volontà,
n° 1/87) nella quale si può leggere: "Secondo
me, non c'è educazione che non sia auto-educazione. Educare
significa soprattutto apprendere. Per me vale più l'apprendimento,
che la trasmissione da una persona ad un'altra, da un'istituzione
ad una persona. Voglio dire che l'importante è quello
che uno riesce a sviluppare da se stesso, sia da un punto di
vista psicologico, sia da un punto di vista sociologico. Non
vi può essere formazione che non sia autoformazione.
In questo senso educazione e libertà coincidono. Educare
significa essenzialmente educarsi."
Quando l'educazione avviene attraverso il tentativo di formare
un individuo dall'esterno abbiamo la coincidenza tra educazione
e autorità. Proprio quello che la pedagogia libertaria
sostiene da sempre, da Godwin a Neill, Lamberto Borghi lo assume
come fondamento della sua concezione educativa e come perno
centrale della critica all'autorità.
Borghi è stato un maestro nel senso socratico: mite ma
fermo e deciso nelle sue convinzioni, ha saputo risvegliare
in più di una generazione di studiosi, di insegnanti,
di uomini e donne alla ricerca della propria verità,
gli aspetti più autentici del proprio essere liberi.
Al contempo ha spinto a desiderare altrettanta libertà
per i propri simili.
Noi siamo convinti che Lamberto Borghi possa stare di diritto
in quell'ideale galleria di maestri di verità e di libertà,
che ognuno di noi custodisce gelosamente in un proprio angolo
e spazio personale.
Gli ultimi anni della sua vita, condivisi assieme alla sua compagna
Angela lo hanno portato a stringere sempre più stretti
rapporti con quella parte del movimento anarchico rappresentata
dalla rivista "A", dalla rivista Volontà
(e successivamente dalla rivista Libertaria), dal Centro
studi libertari/Archivio Pinelli di Milano, e con individualità
che hanno condiviso con lui quella ricerca di un anarchismo
che, pur fortemente ancorato ai valori di sempre, non ha mai
rinunciato alla ricerca di un significato attuale delle sue
proposizioni, senza dogmi né certezze chiesastiche.
Francesco Codello
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Bologna,
21 aprile 1991 - Lamberto Borghi
e (a destra) Carlo Daglio nel corso di un
convegno su Pietro Kropotkin (foto
Biblioteca Libertaria "A. Borghi" di Castel
Bolognese) |
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