Stazione di Irun: scuoto un po
E. (che si era appisolato), ci carichiamo gli zaini in spalla
e saltiamo giù. Inaki ci viene incontro con le chiavi
di casa (sua) in mano. Sapendo del nostro arrivo ha rimandato
di un paio di giorni la partenza per le ferie. Arriviamo a Donosti
(San Sebastian) sotto una pioggerellina sottile.
Riprendo mentalmente possesso del territorio. Ci troviamo nei
pressi di Piazza Easo, in posizione strategica. La stazione
del Topo (metropolitana di superficie) è
a due passi; sedi di riviste e associazioni politiche sono nei
paraggi e anche la Cattedrale del Buen Pastor (usata spesso
per scioperi della fame e altre iniziative di protesta) si trova
nelle vicinanze.
Inoltre le spiagge e la città vecchia, con le sue ben
fornite librerie (Bilintx in particolare) e qualche Herria Taverna
(che svolgono adeguatamente le funzioni di centro sociale e
di documentazione) sono facilmente raggiungibili anche a piedi.
Nei giorni successivi avrò modo di pensare alla sensazione
di familiarità, di già visto e vissuto
che provo in casa di Inaki. Cè qualcosa che rispetto
a parametri convenzionali potrebbe apparire incongruente, contraddittorio:
appesi al muro foto dei figli e immagini del CHE, Ikurrina (bandiera
basca) e manifesto di Dragon Ball (personaggio di cartoni e
fumetti giapponesi); sulle scansie e sui tavoli, in disordine
sparso, libri per bambini (la raccolta completa di Asterix in
euskara!) e voluminosi dossier sulla tortura, libri sulla guerra
civile del 36 e depliant di Eurodisneyland, la biografia
dellanarchico basco Felix Likiniano, miliziano de
la utopia e altri fumetti a cura dellEusko Jaurlaritza
(Governo Basco) sui personaggi mitologici di Euskal Herria (Atzi,
Amilamia, Basajaun, Akerbetz, Sorgin, Mari
).
Inevitabilmente ripenso alle abitazioni di alcuni repubblicani
irlandesi (in particolare a quelle di Mary Nelis, consigliere
comunale di Derry e di Alex Maskey, noto esponente del Sinn
Fein diventato ora sindaco di Belfast), dove la sovrapposizione
tra quotidianità familiare e impegno politico salta immediatamente
agli occhi. Si parva licet, mi ricorda un po anche casa
mia, a parte la mancanza di cani e gatti.
Nella fornitissima libreria di Inaki (che sta scrivendo un ennesimo
libro sulla resistenza basca al franchismo, con particolare
attenzione al ruolo degli anarchici) individuo alcuni interessanti
volumi sui rapporti intercorsi tra anarchismo e lotta per lautodeterminazione:
Teoria politica e praxis social de un anarquista vasco.
Isaac Puente (1896-1936) di Jose Daniel Reboredo Olivenza
(ed. P&A); due libri di Manuel Chiapuso Los anarquistas
y la guerra en Euskadi. La Comuna de San Sebastian e El
Gobierno Vasco y los Anarquistas (Editorial Txertoa).
Non mancano alcuni classici di Antonio Tellez sugli anarchici
catalani Sabaté e Facerias (pubblicati anche in Italia
da La Fiaccola nel 1972 e nel 1984). Colgo loccasione
per ricordare che il breve saggio di J. Hobsbawm (I requisitori,
in I banditi, Piccola Biblioteca Einaudi n.153)
non è altro che un riassunto del libro di Tellez su Sabaté,
integrato con qualche commento (per lo più di cattivo
gusto) del noto cattedratico marxista inglese.
Scopro anche una biografia di Maurius Jacob, lanarchico
espropriatore a cui si ispirò Maurice Leblanc, il creatore
di Arsenio Lupin (e indirettamente anche Monkey Punch, il fumettaro
giapponese ben noto a E. come autore di Lupin III): Jacob,
recuerdos de un rebelde edizioni Txalaparta, la casa editrice
che prende il nome dallomonimo strumento tradizionale
basco.
E con questo chiudo la parentesi anarco-bibliografica.
Un inizio emblematico
Dopo una doverosa contemplazione dellAtlantico ci incamminiamo
per la prima ricognizione nella città vecchia. I ricordi
riaffiorano a ondate: Qui nell86 cera una
barricata; ecco, qui invece e dove, mentre cercavo di fotografare
le cariche, mi hanno sparato qualche lacrimogeno (ad altezza
di fotografo); qui hanno incendiato un autobus
finché
E. sbuffa e mi chiede di risparmiargli il seguito, almeno
per oggi. Per la sera davanti al municipio è previsto
un comizio della sinistra indipendentista a favore dei prigionieri
politici (euskal presoak euskal herrira!). Arriviamo verso
la fine, proprio quando dalla folla escono alcuni ragazzi con
il cappuccio della felpa tirato su e il volto coperto dalla
bandana. In pochi attimi srotolano una bandiera spagnola (rossa
e gialla, quella monarchica e franchista) e la bruciano tra
gli applausi di centinaia di persone. Un inizio emblematico.
In una viuzza ritrovo una scritta (evidentemente sfuggita allopera
sistematica di pulizia muraria) che ricorda la polemica di qualche
anno fa sui nastri azul. Nel 1995 erano diventati
il segno più evidente di lacerazione e contrapposizione
tra gli stessi cittadini baschi. Allepoca lETA (Euskadi
Ta Askatasuna) aveva sequestrato un industriale richiedendo
alla famiglia un riscatto. Il fatto aveva provocato lindignazione
di una parte della popolazione, anche tra coloro che si sentono
euskaldun, baschi. Nel contempo, forse non del tutto
casualmente, era esplosa una campagna di stampa tesa a dimostrare
che la crisi economica di Euskadi, con relativo paro
di massa, era dovuta ai metodi adottati da ETA per autofinanziarsi:
tassa rivoluzionaria e sequestri ai danni degli
industriali.
Lipotesi era poi stata ridimensionata anche da illustri
economisti dato che la crisi industriale di tutta la costa (non
solo Euskadi, ma anche le Asturie, la Galizia
) sarebbe
strutturale, in gran parte dovuta agli accordi CEE. È
cosa nota che per entrare nellUnità Europea, la
Spagna ha dovuto pagare un prezzo salato: lo smantellamento
dei cantieri navali e la chiusura di molte fonderie. Nel Paese
Basco in particolare si è poi assistito ad un vero e
proprio accanimento, quasi punitivo nei confronti della costante
insubordinazione popolare, sia da parte di Gonzales che di Aznar.
Nel 1995, mentre il sequestro era ancora in corso, gruppi di
cittadini baschi con un nastro azzurro attaccato al bavero,
cominciarono a riunirsi nelle piazze per chiedere limmediato
rilascio dellindustriale ed esprimere viva contrarietà
alloperato di ETA.
Spesso si accendevano vivaci discussioni con i gruppi di sostegno
ai prigionieri politici come Senideak (associazione dei familiari
dei prigionieri politici), Gestoras pro amnistia, Jarrai (associazione
dei giovani indipendentisti di sinistra, antropologicamente
imparentati con i nostri autonomi)
tutte organizzazioni
finite poi nel mirino del giudice Baltazar Garzon che le considera
fiancheggiatrici del terrorismo. Particolarmente complesse le
traversie del movimento Jarrai (Continuare) ripetutamente
sciolto e rifondato, prima come Haika (Rimettere
in piedi) e poi come Segi (Continua).
Fino ad un certo punto le due fazioni si erano limitate agli
scontri verbali, ma le cose cominciarono a degenerare quando
(nel marzo del 1995) i resti di due cadaveri immagazzinati
da anni in un deposito di Alicante, vennero identificati come
quelli di Josè Ignacio Zabala (Joxi) e Josè
Antonio Lasa (Joxean). Lasa e Zabala erano due rifugiati
baschi sequestrati il 16 ottobre del 1983 da una squadra della
morte (i parastatali del G.A.L.) in Iparralde (Euskadi Nord,
Paese basco francese). Uninchiesta ha poi accertato che
i due vennero trasportati ad Alicante, tenuti segregati in una
caserma della Guardia Civil, torturati ripetutamente per mesi,
assassinati e poi scaraventati in una fossa di calce viva per
far sparire ogni traccia, impronte digitali comprese. Basti
dire che tutte le unghie erano state strappate, meno una. Come
aveva dichiarato un comunicato del GAL e come ha confermato
una Guardia Civil pentita i due chiesero di poter
vedere un prete prima di morire ma anche questo gli venne negato
perché non se lo meritavano.
Manifestazione
(Huelga de hombre) dei parenti dei prigionieri politici.
Chiesa del Buon Pastore, Donosti (San Sebastian)
Cresceva lindignazione
Va ricordato che casi del genere, esempi drammatici della guerra
sporca in atto da anni nel Paese Basco, sono tuttaltro
che rari. Nel 1993 venne sequestrato da un misterioso commando
(pare composto da uomini dellErtzaintza, la polizia autonoma
basca) Xabier Kalparsoro, Anuk, ritenuto un etarra
(militante di ETA). Venne segregato in una località sconosciuta
sui monti di Laudio (Alava), torturato e ripetutamente sottoposto
a iniezioni di pentotal (come ha rivelato lautopsia) per
poterlo manipolare e usare come inconsapevole elemento provocatore.
A distanza di un mese Anuk riapparve cadavere nel cortile di
un commissariato di Bilbao dopo essere precipitato da una finestra.
Più recentemente è stato confermato che lautopsia
fatta a suo tempo sul cadavere di Mikel Zabalza (arrestato dalla
polizia durante un rastrellamento e poi ritrovato, con le mani
ammanettate, dentro un fiume) aveva confermato che Mikel non
era morto per annegamento dopo essere sfuggito alla Guardia
Civil (come avevano sempre sostenuto polizia e stampa) ma a
causa delle torture subite.
Man mano che le notizie sulla morte atroce di Lasa e Zabala
si diffondevano, cresceva lindignazione e scoppiavano
discussioni (a questo punto non soltanto verbali) tra gli abertzale
(sinistra indipendentista) e i portatori del laccio azul. Qualcuno,
non del tutto a sproposito, parlò di una mobilitazione
reazionaria delle masse da manuale.
Oggi cerco di parlarne con la bella signora dallaria intellettuale
che, a distanza di anni, ostenta ancora quel simbolo mentre
osserva le vetrine nei dintorni Piazza Costi (Costituzione).
Niente da fare; glissa e vengo trascinato invece in una discussione
su Calvino, Pavese e Bevilacqua, argomenti su cui, con mia vergogna,
la signora (amica personale dello scrittore-filosofo Savater)
si dimostra molto più ferrata del sottoscritto. Mentre
rimedio una brutta figura, E. si è infilato in una libreria
dove legge a scrocco qualche storia di Corto Maltese e di Tintin
in castigliano.
Per la cronaca va ricordato che la situazione degenerò
completamente nel 1997, quando lETA sequestrò e
assassinò Blanco, consigliere comunale del partito di
Aznar. A quel punto alcuni esponenti di Herri Batasuna (Unità
Popolare, divenuta in seguito Euskal Herritarok e poi Batasuna)
dovettero momentaneamente lasciare le loro abitazioni dato che
in giro si respirava aria da linciaggio.
Donosti,
i militanti in sciopero della fame allinterno della simbolica
cella costruita con bottiglie vuote
Alla ricerca del murale perduto
Passiamo un paio di giorni esplorando i quartieri popolari
di Donosti alla ricerca di murales che qui ricordavo numerosi
e fotogenici. Scopro con disappunto che la politica
del decoro urbano a tutti i costi del PNV (Partito Nazionalista
Basco) ha fatto pulizia totale, con grave danno per la memoria
storica. Quasi quotidianamente vengono cancellate anche le scritte
che comunque riappaiono spesso la mattina seguente. Dato che
la maggior parte sono in basco, mi decido a procurarmi un dizionario.
Resto a lungo incerto tra il Gaztelania-Euskera Euskera-Gaztelania
Hiztegia di J. L. Arringa pubblicato da Mensajero e Elhuyar
argitalpen berritua, hiztegi txikia. Nel dubbio, alla
fine prenderò entrambi.
Ribadisco comunque che la cancellazione dei policromi murales
rappresenta una perdita irreparabile: bene o male erano espressione
di una variopinta creatività popolare ed esprimevano
una forma di riappropriazione, sia spaziale che culturale.
Per consolarci ci dedichiamo ai libri delle numerose bancarelle
dove non mancano i piccoli editori militanti come Ediciones
Vanguardia Obrera di cui acquisto un volume sulla storia del
FRAP (Frente Revolucionario Antifascista y Patriota) e le fucilazioni
del 27 settembre 1975, le ultime ordinate da Franco quando ormai
stava già con un piede nella fossa. Da parte sua E. ne
approfitta per completare la sua collezione delle opere di Carlos
Gimenez: Espana Una, Espana Grande, Espana Libre, Hom, Paracuelos
oltre
al mitico Barrio.
Improvvisamente dal fondo del viale, insieme al familiare rimbombare
degli slogan, udiamo alzarsi i lamenti profondi dei corni.
Il gruppo che avanza con tanto clamore è scortato da
vari reparti dellErtzaintza in tenuta antisommossa, con
scudi, caschi, visiere, fucili per sparare lacrimogeni e proiettili
di gomma. Sotto ai caschi i poliziotti portano il passamontagna.
La manifestazione, alquanto pittoresca, appare nel complesso
pacifica, sottolineando la sproporzionata presenza della polizia.
Sono i soliti ambientalisti che protestano contro la costruzione
della diga che provocherebbe lallagamento di una valle
incontaminata tra i monti. Molti manifestanti hanno il volto
dipinto di verde, sono avvolti in tralci di vite, edere, ciuffi
di erba, paglia e portano strani copricapo tradizionali, evocando
mitici abitanti primordiali dei boschi. Alcuni camminano sui
trampoli, altri sono ricoperti da enormi pupazzi che rappresentano
i protagonisti di antichissimi cicli mitologici. Molti soffiano
con forza nei corni traendone lunghi e profondi suoni ancestrali.
Il tutto ha un sapore vagamente barbarico, protostorico, ma
nel contempo anche familiare come di ricordi che improvvisamente
riemergono dallinconscio collettivo. Immancabile la presenza
dellIkurrina, la bandiera basca. Tra gli slogan in euskera
riconosco, scandite ripetutamente le parole EZ (no) e BAI (si).
Giunti in una piazzetta dominata da un antico palazzo, vari
esponenti dei gruppi ambientalisti e dei comitati sorti contro
il progetto si alternano al microfono, alcuni in euskara, altri
in castigliano. Tra un intervento e laltro vengono cantati
in coro vari inni di lotta tradizionali.
I
militanti che hanno concluso lo sciopero della fame salutano
gli andalusi che li sostituiscono
Sciopero della fame alla cattedrale
Per alcuni giorni di seguito incrociamo i familiari dei prigionieri
che con i loro cartelli stazionano davanti e intorno alla cattedrale
del Buon Pastore per uno sciopero della fame a staffetta che
dura ormai da diversi mesi e che non sembra ancora destinato
ad interrompersi. Sul sagrato della chiesa è stata appesa
una enorme pankarta con il ritratto di tutti i prigionieri politici
baschi (circa 500) attualmente dispersi in varie prigioni spagnole
(definite dai manifestanti di sterminio per lalto
numero di decessi), alcuni perfino alle Canarie. Altri striscioni
appesi lungo le strade circostanti richiedono il loro avvicinamento,
in modo che le famiglie possano visitarli con regolarità.
Mi fermo a parlare con gli huelguistas de hambre,
prendo appunti, chiedo di poter scattare qualche foto. Vengo
invitato a visitare il loro quartier generale dove
ormai da mesi gruppi di una quindicina di persone si alternano
settimanalmente in sciopero della fame. Alcune stanze sotto
la chiesa sono state trasformate in dormitorio e sala riunioni.
Dietro un lungo tavolo coperto di microfoni (dove si svolgono
le conferenze stampa) sono appesi centinaia di telegrammi e
lettere di solidarietà. Ai muri foto dei prigionieri
e manifesti di Senideak. Quella di mettere a disposizione dei
manifestanti, soprattutto dei familiari dei prigionieri, i locali
di chiese e conventi è una consolidata tradizione del
Paese basco.
Anche durante le manifestazioni, come ho potuto verificare varie
volte nel corso degli anni, capita che gruppi di persone inseguite
dalla Policia Nacional vi trovino rifugio. Di solito, ma naturalmente
non mancano le eccezioni, la polizia in chiesa non entra. Nellagosto
del 1986 fu proprio davanti al Buon Pastore che alcuni esponenti
della Policia Nacional, appena scesi da un furgone ed evidentemente
alquanto suscettibili, spararono i loro lacrimogeni direttamente
addosso al sottoscritto (almeno due mi sfiorarono, un terzo
mi arrivò tra i piedi) che si era permesso di scattare
qualche fotografia. Insieme alla piccola folla radunata sul
sagrato corsi immediatamente dentro alla chiesa. Qui venni energicamente
redarguito per aver fatto correre dei rischi a quelle persone,
anche se del tutto involontariamente. È ben noto infatti
che un candelotto sparato ad altezza duomo può
essere molto pericoloso.
Al termine della visita vengo invitato dagli huelguistas a partecipare,
il sabato successivo, alla cerimonia con cui verranno passate
le consegne ad un altro gruppo.
I
"momotxorros" e i parenti dei prigionieri politici
a Donosti
Los momotxorros
Il nuovo gruppo (il trentesimo) che per una settimana starà
in sciopero della fame è costituito da una quindicina
di andalusi. Intendono ricambiare la solidarietà dimostrata
tanto spesso dai baschi nei confronti delle lotte sociali (soprattutto
quelle dei braccianti) in Andalusia. Il gruppo si presenta con
queste parole: Un abrazo solidario desde Andalucia a todos
vosotros, a un pueblo, el pueblo vasco, que sabe expresar como
ninguno la solidaridad para con otros pueblos en lucha.
Liniziativa si svolge sempre sul sagrato della chiesa,
davanti a centinaia di persone di ogni età. La manifestazione
era stata introdotta dal suono ancestrale della txalaparta,
antico strumento tradizionale basco diventato ormai un simbolo
di identità, suonato da alcuni giovanissimi. Accompagnati
da una fisarmonica, alcuni huelguistas avevano quindi intonato
KALERA BORROKALARI!, un canto di lotta che invita
a scendere nelle strade, immediatamente seguiti dal coro della
folla. Subito dopo tre giovani in abito tradizionale eseguono
una antica danza.
Alla fine i due gruppi si schierano luno di fronte allaltro
e avviene lo scambio delle consegne. Ogni nuovo huelguistas
riceve dal suo predecessore il fazzoletto da portare al collo
e una bottiglia di acqua. Passa al nuovo gruppo anche una lampada
ad olio, simbolo di Senideak (è quella raffigurata in
Guernika di Picasso). Infine vengono consegnate anche unikurrina
e una Gwenn ha Du (bianca e nera, la bandiera bretone). Infatti
uno dei militanti che hanno concluso lo sciopero della fame
è un esponente di Emgann (Lotta in bretone),
venuto per ricordare i numerosi bretoni in galera per aver ospitato
rifugiati baschi.
Con le bottiglie di plastica vuote utilizzate nel corso della
settimana di sciopero, i militanti avevano costruito una sorta
di cella o gabbia. Improvvisamente da dietro alla chiesa, urlando
e agitando dei forconi in legno, balzano fuori tre momotxorros,
mitici personaggi del folclore basco. Ricoperti da una specie
di pelliccia, il volto da maschere con le corna e provvisti
di una eterogenea serie di campanacci appesi alla cintola, in
passato avevano la funzione di scacciare i malefici. Ma evidentemente
si sono adeguati alle circostanze e distruggono a calci e bastonate
la simbolica cella in bottiglie di plastica (che poi saranno
diligentemente raccolte e infilate nellapposito contenitore).
Alla fine, dopo una settimana di digiuno, gli huelguistas si
concedono il primo cibo, una zuppa vegetale calda e nutriente.
Viene versata nei bicchieri e la manifestazione si conclude
con un brindisi in piedi, tra saluti e abbracci
Trascorriamo una domenica inerpicandoci sugli scogli nei dintorni
del Peine de los Vientos, famosa opera di scultura in ferro
posta di fronte allOceano (realizzata nel 1977 dallo scultore
Eduardo Chillida e dallarchitetto Luis Pena Ganchegui)
che ha affascinato E. Alla sera, prima di rientrare, ci ascoltiamo
una messa in euskara in una chiesa gotica vicino al porto. Anche
stavolta riaffiorano ricordi: in occasione di una Salve
(festa tradizionale) di qualche anno fa, allepoca delle
prime estradizioni di massa dei rifugiati dalla Francia, la
stessa chiesa era letteralmente circondata dalla polizia autonoma
(Ertzaintza) che, con gli scudi, proteggeva i notabili, per
lo più esponenti del PSOE e del PNV, dal lancio di monetine
di una folla piuttosto incavolata. Appena sul lungomare si formò
il corteo non autorizzato degli abertzale, entrò in scena
la Policia Nacional che caricò la folla sparando lacrimogeni,
proiettili di gomma e, ricordo bene, anche qualche colpo di
fuego real. Poi gli scontri (la solita kalle borroka)
si protrassero fino a tarda notte.
La
scrittrice Eva Forest
A colloquio con Eva Forest
Ma più che ai miei racconti da reduce E. appare interessato
a librerie ed affini. Quando, dopo lennesimo sopraluogo
a Bilintx, torniamo alle bancherelle della feira
del libro di Donosti mi sembra di riconoscere, dietro lo stand
delle edizioni IRU, la nota scrittrice Eva Forest. Come qualche
vecchio militante ricorderà, il caso di Eva Forest, moglie
del drammaturgo Alfonso Sastre, divenne un vero affaire
internazionale. Arbitrariamente arrestata dalla polizia franchista
nel 1974, in un periodo di recrudescenza della repressione,
Eva venne ripetutamente torturata (leggersi Diario y cartas
desde la carcel) e rimessa in libertà solo nel
1977.
Ci presentiamo e la scrittrice ci parla della sua attività
di editrice in quel di Hondarribia. Il suo pluridecennale impegno
in difesa dei Diritti Umani non le ha impedito di scrivere e
pubblicare opere di narrativa, per es. No son cuentos
dove lapparente banalità del quotidiano appare
attraversata da segni inquietanti e premonitori. Notevole anche
la sua attività di traduttrice, anche di autori italiani.
Tra laltro ha tradotto, sia in castigliano che in euskara,
diverse opere di Dario Fo ( tra cui Morte accidentale
di un anarchico) e di Pasolini.
Eva ci racconta di quando è tornata in Italia per ritirare
il premio vinto dal marito (Premio Feronia a Fiano) rivedendo
per loccasione la sua vecchia amica Rossana Rossanda che
ha fatto pubblicare dalle edizioni del Manifesto Operazione
Ogro, il suo libro più famoso. È la drammatica
storia dellattentato, opera dellETA, contro lammiraglio
Carrero Blanco, delfino designato del caudillo. Le ricordo che
con lo stesso titolo Gillo Pontecorvo realizzò un film,
ispirato dal libro ma molto critico sulloperato di ETA
dopo la fine del franchismo. In proposito Eva ricorda un aspro
litigio con il noto regista per aver, secondo lei, travisato
il significato della secolare lotta per lautodeterminazione
del popolo basco, azzerandola sul terrorismo.
La conversazione prosegue al bar davanti al solito cappuccino
(E. opta per un gelato) e scopro che Eva Forest non è
basca ma catalana. Il padre, un vecchio anarchico autodidatta,
non laveva mai mandata a scuola e si era occupato personalmente
della sua educazione, con ottimi risultati evidentemente. La
matrice libertaria di Eva rispunta parlando del movimento basco,
alquanto composito e talvolta forse contraddittorio (vi convivono
obiettori totali e seguaci della lotta armata, oltre a femministe,
ecologisti, punks
) ma di cui Eva apprezza lo spirito di
autorganizzazione e una concezione orizzontale del potere.
Alla fine ci regala alcuni suoi libri con relativa dedica e
disegnino (Eva illustra abitualmente le copertine delle edizioni
IRU) che E., aspirante fumettaro, ricambia disegnando alcuni
dei suoi personaggi.
Cimitero
di Cerdanyola: punto dove venne fucilato Juan Paredes Manot
"Txiki" il 27 settembre 1975
E quelli di Askatasuna?
Verso sera ritorniamo di fronte al Buon Pastore dove abbiamo
appuntamento con Takolo, negli anni ottanta responsabile dellufficio
esteri di Herri Batasuna (Kampoko Harremanetarako Batzordea).
Gli chiedo che fine abbia fatto un gruppo di ispirazione libertaria
di cui si parlava negli anni settanta, denominato ASKATASUNA
(Libertà). Naturalmente non esiste più da tempo
ma ricorda che alcuni militanti si erano poi integrati in Herri
Batasuna.
Visto il mio interesse per le componenti libertarie il buon
Takolo, vecchio marxista impenitente e militante del disciolto
partito socialista-rivoluzionario H.A.S.I. (Herrico Alderdi
Socialista Iraultzailea), ci accompagna fino ad un vicino incrocio
dominato dalla severa mole di un palazzo in pietra scura (attualmente
utilizzato come scuola). Sui muri sono ancora visibilissimi
i segni lasciati da numerosi colpi di arma da fuoco. Qui, spiega
Takolo, avvennero i primi scontri tra le truppe golpiste, appena
uscite dalle caserme e limmediata resistenza popolare.
Questa era organizzata dagli anarchici che si erano procurati
le armi attaccando una gendarmeria di Loiola. Tra loro un giovanissimo
Felix Likiniano, in seguito prolifico scultore oltre che ideatore
del Bietan Jarrai, il simbolo di ETA (Lascia
con il serpente).
Quel giorno del 1936 venne eretta una barricata che impedì
ai militari franchisti di impadronirsi della città. I
rinforzi, soprattutto militanti socialisti, arrivarono soltanto
dopo molte ore, quando ormai almeno una cinquantina di anarchici
erano già caduti combattendo. Commento di Takolo: Tipico
dei socialisti del PSOE. Alla fine comunque i fascisti
vennero sbaragliati.
Juan
Paredes Manot "Txiki"
Un uomo chiamato El Txiki
Finiva malinconicamente lestate del 75. Lanno
prima avevamo manifestato invano decine di volte davanti ad
ambasciate e consolati spagnoli per fermare la condanna a morte
decretata da Franco contro Salvador Puigh Antich,Metge,
un anarchico catalano del M.I.L. Nemmeno lappello di Paolo
VI servì a far desistere il dittatore e S.P.Antich, con
la sua faccia da ragazzino travolto da un destino più
grande di lui, divenne insieme allapolide di origine polacca
Heinz Chez lultima vittima dellinfame garrote (2
marzo 1974). Ora la storia stava per ripetersi come un tragico
copione già scritto, alimentando quel senso di impotenza
che tanti di noi erano destinati a riprovare in svariate occasioni:
dalla morte annunciata di Bobby Sands allimpiccagione,
prima rinviata poi riconfermata, di Benjamin Moloise; da Edoardo
Massari a Barry Horne
In quel settembre del 75 niente ormai poteva fermare lesecuzione
di Juan Paredes Manot Yon, militante di ETA, destinato
a diventare il CHE Guevara dei baschi, soprannominato el Txiki
(piccolo, in basco) per la sua statura e il suo aspetto esile.
Inutili gli innumerevoli appelli e le manifestazioni che si
svolgevano in ogni angolo del pianeta, dallEuropa al Sudamerica.
Nello stesso giorno vennero fucilati un altro etarra basco,
Otaegi, e tre militanti del F.R.A.P. (Frente Revolucionario
Antifascista Y Patriota): Baena, Sanchez Bravo e Garcia
Sanz.
Unica concessione di Franco fu di non sottoporli
alla morte, dolorosissima e infame, per garrote ma appunto di
farli fucilare. La cosa venne presentata come una risposta umanitaria
del cattolicissimo Franco ai nuovi appelli del papa. Quello
stesso giorno, il 27 settembre 1975, promisi a me stesso che
prima o poi avrei portato un fiore e un saluto sulla tomba del
Txiki.
Sapevo che era stato catturato nei pressi di Barcellona e che
la fucilazione era stata eseguita davanti al cimitero di un
paesino non lontano dalla metropoli catalana. Solo nel 1987,
durante un viaggio in bicicletta nei Paisos Catalans, venni
finalmente a conoscenza del nome della località: Sardanyola,
a circa 20 km. da Barcellona. Avevo avuto lopportunità
di parlarne con Marc Palmes, lavvocato catalano che insieme
a Magda Oranich difese il Txiki.
Marc
Palmes, l'avvocato difensore del "Txiki"
Condanna già emessa
Il processo mi spiegò Palmes era
cominciato il 19 settembre e una settimana dopo Juan veniva
già fucilato. Come quello contro Puigh Antich anche questo
processo si svolse nella Sala datti del Governo Militare
di Barcellona, presidiata da polizia e esercito. Inutile dire
che non ci venne lasciato neanche il tempo di prepararci adeguatamente:
del resto la sentenza era già stata decisa
Laccusa sosteneva che Juan Paredes Manot era uno dei componenti
del commando che il 16 giugno 1975 aveva assaltato a Barcellona
una filiale del banco di Santander; nel corso della rapina era
rimasto ucciso un caporale della Policia armada.
Continuava Palmes: Txiki rivendicò la sua appartenenza
a ETA ma, per quanto riguardava la rapina, sostenne sempre di
essersi trovato in quel momento a Perpignan, in Francia. I testimoni
apparvero quantomeno reticenti, condizionati o manipolati. Molti
caddero in pesanti contraddizioni con le deposizioni rese in
un primo tempo. Nuovi sedicenti 'testimoni' (in realtà
poliziotti in borghese, come venne poi accertato) che non erano
mai stati nemmeno nominati in istruttoria apparvero a deporre
in aula.
Il PM, come previsto, richiese la pena di morte tramite garrotamento
(poi mutata in fucilazione) per il giovanissimo militante di
ETA.
Come dichiarò limputato e come sostenne Palmes
nellarringa, la prima deposizione era stata estorta con
la tortura. Lavvocato denunciò anche la mancata
trascrizione agli atti di alcune dichiarazioni del Txiki, oltre
a numerose altre irregolarità quali lomissione
di prove a favore durante listruttoria e il processo.
Per esempio non erano state eseguite né lautopsia,
né la perizia balistica e non erano state rilevate le
impronte digitali. Daltra parte ribadiva
Palmes la condanna era già stata emessa molto
prima della sentenza.
Txiki venne condotto sul luogo dellesecuzione in un furgone
scortato da centinaia di poliziotti. Lavvocato, al quale
fu concesso di assistere alla fucilazione, non potrà
mai dimenticare gli ultimi momenti della breve vita di Yon.
Prima di venir legato (ma forse sarebbe meglio dire appeso)
ad un albero, il giovane etarra gli consegnò un biglietto
scritto a mano:
Manana cuando yo muere,
no me vengais a llorar
nunca estarè bajo tierra,
soy viento de libertad.
La
tomba del "Txiki" a Zarautz (Paesi Baschi)
Qualche segno, qualche traccia
Durante tutto il macabro rituale si comportò con dignità
e coraggio. Prima della scarica di fucileria trovò la
forza per urlare: IRAULTZA ALA HILL! GORA EUSKADI ASKATUTA!
(Rivoluzione o morte, viva Euskadi libera). Cominciò
quindi a cantare EUSKO GUDARIAK, linno dei gudaris,
i combattenti baschi antifranchisti durante la guerra civile.
Ed è a questo punto che il giovane basco entra di diritto
nella leggenda. Sembra che prima del colpo di grazia alcuni
componenti del plotone di esecuzione (composto da volontari)
abbiano praticato una sorta di tiro a segno su quel corpo crocefisso
ancora vivo. Non era passata che qualche ora quando ETA emise
un lapidario comunicato: Di fronte a questi assassini
abbiamo una sola strada: combattere per la nostra liberazione
nazionale e di classe usando le stesse armi del nemico. Ripetiamo:
le stesse armi.
Nel 1987 avevo affrontato in bici le inquinatissime plaghe del
Valles districandomi tra autopistas, fabbriche chimiche, greggi
erranti e traffico demenziale. Osservo per inciso che allepoca
potevo ancora fare dei confronti con la campagna veneta, non
ancora completamente devastata dalla miriade di capannoni e
piccole industrie altamente inquinanti. Attualmente non saprei
dire chi se la passa peggio.
Già allora speravo di ritrovare qualche segno, qualche
traccia della nostra storia (quella rimossa e falsificata dalle
accademie e dai media di stato), oltre quei fiumi divenuti fogne
a cielo aperto e quelle aride distese disseminate di aziende
a capitale giapponese dove si innalzavano allucinanti monoliti
di argilla prodotti dallerosione di terreni sfruttati
e desertificati. Cerdanyola sorge poco lontano dal più
conosciuto San Cugat, famoso per il suo chiostro romanico dai
capitelli scolpiti con figure di animali in rapporto simbolico
con le varie note musicali: un canto gregoriano, dedicato al
santo patrono del paese, zoomorfo e inciso nella pietra.
Lungo le strade e le piazze (una è dedicata a Ernesto
Guevara de la Serna) di Cerdanyola stazionavano, seduti sui
muretti, folti gruppi di giovani disoccupati e anziani lavoratori.
Molti di questi ultimi avevano fatto parte delle consistenti
ondate migratorie degli anni cinquanta e sessanta dalla Murcia
e dallEstremadura, seguite in anni più recenti
da quelle dellAndalusia.
Quasi tutti si ricordavano del giovane etarra basco fucilato
in quel lontano mattino di settembre. Per alcuni anni era rimasto
sepolto nel cimitero del paese, poi, come mi raccontarono, i
baschi erano venuti a riprenderselo.
Dalla spianata posta davanti al muro (di un bianco accecante)
del cimitero si potevano vedere i residui pini della Floresta,
ormai degradata da incendi, speculazioni e piogge acide. Quella
volta avevo creduto di aver individuato la pianta a cui era
stato legato Txiki; invece Mikel, suo fratello, mi ha spiegato
che con una ruspa hanno tolto anche quella residua testimonianza.
Lalbero come simbolo ancestrale, elemento integratore
delle diverse fasi e stagioni della vita è
ricorrente sia nella cultura tradizionale basca che in quella
catalana, spesso legato alla storia delle lotte per lautodeterminazione.
Basti pensare ai gelsi (ormai vivi soltanto nella memoria collettiva)
del Fossar de les moreres dove vennero sepolte le
donne cadute combattendo durante lassedio di Barcellona
nel 1714 e onorate l11 settembre nella Diada; al Pi
de les tre brancas (che simboleggia lunità
dei paesi catalani); allAlbero di Guernica
Anche vicino alla tomba del Txiki, come avrò modo di
vedere a conclusione della mia ricerca, cresce un albero sempreverde
che Mikel ha piantato in onore del fratello.
Mikel
(fratello del "Txiki") con Takolo nel cimitero di
Zarautz
Franco boia
Grazie a Takolo prendiamo appuntamento con Mikel (che arriva
in vespa) davanti alla stazione di Zarautz. Il cimitero si trova
sopra una collina, di fronte allOceano. Camminando tra
le tombe Mikel ci indica quelle dei Gudaris caduti durante la
guerra civile. Da parte mia lo informo che nei giorni immediatamente
successivi alle cinque fucilazioni del settembre 75, anche
in Italia vi furono manifestazioni di protesta, compreso qualche
assalto a consolati e ambasciate spagnoli. A Venezia in particolare
resistono ancora alcune scritte in catramina in memoria di Txiki,
di Otaegi e di quelli del FRAP; oltre naturalmente allimmancabile
FRANCO BOIA. Gli racconto anche di aver cercato la tomba di
suo fratello in Catalunya ma di essere arrivato troppo tardi.
Intanto penso che dalle lontane manifestazioni del 75, al viaggio
da ciclista in Catalunya dell87 fino ad oggi in qualche
modo, di tanto in tanto, la figura del Txiki si è sovrapposta
alla mia vita, quanto basta per non dimenticarlo. Takolo chiede
a Mikel come mai lui e suo fratello, figli di immigrati dellEstremadura,
si fossero integrati in modo tanto radicale nel movimento basco
di liberazione. Risponde che la cosa era stata del tutto spontanea
dato che tutti i loro amici e coetanei, durante il franchismo,
in qualche modo collaboravano con ETA. In proposito Takolo si
rammarica che negli anni passati Herri Batasuna (divenuta nel
frattempo Euskal Herritarok e poi Batasuna) non si sia sempre
adeguatamente impegnata nelle lotte comuni (sociali, ambientali,
antimilitariste
) con i lavoratori immigrati, coerentemente
con il principio per cui chiunque sia costretto a vendere
la sua forza lavoro in Euskal Herria ha diritto di considerarsi
a pieno titolo parte integrante del popolo basco. Da parte
sua Mikel (che ha appena comprato unenciclopedia in basco
per il figlio) dichiara di sentirsi sia basco che extremeno.
La tomba del Txiki è stata realizzata dallo scultore
J. Zumata di Usurbil, noto anche come eccellente pittore di
murales e ricorda i caratteristici monumenti funebri degli antichi
abitanti di Euskal Herria. Accanto allIkurrina, i versi
scolpiti dal poeta basco Joxean Artze. Mikel ci racconta che
ancora adesso lanziano poeta quando visita la tomba del
Txiki si commuove e piange. Tenuta ferma con alcune pietre (il
vento soffia forte qui sulla collina in faccia allAtlantico)
cè una bandiera catalana. È lomaggio
di un anonimo compagno che ha lasciato un messaggio: Txiki,
anche dopo tanti anni i catalani continuano a ricordarti. Visca
Catalunya Lliure! Gora Euskadi Askatuta!.
Il sole picchia forte e di tanto in tanto un colpo di vento
fa ondeggiare le cime dei cipressi. Con E., Mikel e Takolo prendiamo
commiato da Txiki. Dalla foto della lapide ci risponde lo sguardo
sorridente, leggermente ironico, di un ragazzo che era mio coetaneo
e che non invecchierà mai, non tradirà mai, non
si venderà mai
piccolo, eterno custode della coerenza,
del coraggio e della dignità umana; lo stesso volto apparso
sui giornali del settembre 75 e poi riprodotto sugli striscioni
delle manifestazioni. Accanto, inciso nella pietra, lestremo
messaggio:
SOY VIENTO DE LIBERTAD.
Per sempre.
Gianni Sartori
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