Déghegnene di nummi, dategliene
di nomi, dicevano i miei nonni, in dialetto, e neppure
completavano la frase. Era inteso che, sotto i nomi nuovi, si
celavano le vecchie fregature. Era inteso che al mondo a pagare
erano sempre quelli, ma chi riscuoteva se non altro per
salvare la faccia faceva ricorso a maschere sempre nuove.
Così, la calcistica Coppa dei Campioni è
diventata Champions League e produce più
danaro, che esce dalle solite tasche di qualcuno ed entra nelle
solite tasche di qualcun altro , e così il Presidente
del Consiglio è diventato il Premier
e produce più potere, esercitato dal solito potente
e subìto dal solito suddito.
Che dietro i mutamenti linguistici si annidino spesso sordidi
interessi è persino ovvio. Se no, perché cambiare?
Se no, perché non esplicitare chiaramente i motivi che
consiglierebbero il mutamento? Che, a volte, in questi giochi
di prestigio chi comanda sia particolarmente maldestro è
meno ovvio.
Un esempio. Dopo qualche tentennamento, Berlusconi va a Johannesburg,
al cosiddetto Summit della Terra, e vien colto da
perplessità apparentemente semantiche. Lespressione
sviluppo sostenibile non gli piace, dice che è
poco comprensibile, che la gente non
la capisce, e suggerisce di correggerla in sviluppo duraturo.
Robetta di aggettivi, beninteso, perché nessuno si prova
nemmeno a discutere il nome sviluppo, guai,
a destra come a sinistra, a interrogarsi sul suo significato.
Ma dal sostenibile al duraturo ce ne
corre. Non si tratta di sfumature diverse del medesimo concetto,
ma di due concetti molto diversi: il primo mette laccento
sui costi (umani, culturali, ambientali), mette condizioni;
il secondo mette laccento sulla sua temporalità
e costituisce una resa incondizionata nei confronti di chi governa
lo sviluppo in questione. La proposta è stata
così sfacciata che, per buona pace di Berlusconi, il
documento conclusivo dellAssemblea è stato titolato
Dichiarazione politica di Johannesburg sullo Sviluppo
Sostenibile.
Giorno più giorno meno, la vicenda si è svolta
parallelamente ad unaltra retromarcia semantica. La Siemens
aveva battezzato con il marchio Zyklon la sua nuova
linea di elettrodomestici. Tempo prima anche la Umbro aveva
chiamato Zyklon B un paio di scarpe da football.
Il nome, però, aveva già un suo posto nella Storia,
perché era il nome del gas usato dai nazisti ad Auschwitz
per uccidere gli ebrei. Ce nè stato basta perché
scarpe ed elettrodomestici cambiassero nome, ma il caso rimane
sintomatico non tanto di stupidità quanto di memoria
rimossa o, a scelta, di impulsi nefandi.
Giorno più giorno meno, erano anche i giorni in cui qualcuno,
in America, stava per guadagnarsi diecimila dollari senza fare
apparentemente granché. Unazienda di videogiochi,
infatti, aveva offerto questa cifra, in premio, alla famiglia
che avesse battezzato Turok il proprio figlio, nato
nello stesso giorno in cui veniva distribuito nei negozi Turok,
il suo videogioco ultimo nato. Diecimila dollari
per la certificazione di una subordinazione totale alle leggi
del mercato: un argomento dal quale un Turok cresciuto potrebbe,
un giorno, sviluppare la sua critica della famiglia e del suo
ruolo nella società. Il linguaggio non è mai semplice
forma, non è flatus vocis e neppure mero involucro vuoto.
Che lo sappia o no chi lo usa, il linguaggio designa pensiero.
Ed è della responsabilità di questo che, prima
o poi, sarà chiamato a rispondere.
Felice Accame
|