Non credo che abbia molto senso stupirsi
di quella che molti considerano unimpressionante escalation
di violenza che si sta verificando in tutto il mondo. Lumanità
attuale ha alle sue spalle una storia che non giustifica nessuno
stupore. Non dimentichiamo lOlocausto degli ebrei nella
seconda guerra mondiale e le bombe atomiche lanciate su Hiroshima
e Nagasaki. Non dimentichiamo i secoli della spietata espansione
coloniale europea. E se poi vogliamo prendere in considerazione
gli esempi più spirituali della nostra storia
non dimentichiamo le persecuzioni, le torture e i roghi della
Santa Inquisizione. Tutto sommato, oggi siamo semplicemente
allaltezza del nostro passato.
Interpretazioni biologiche della violenza
La nostra storia è così intrisa di violenza che
certi studiosi hanno ritenuto opportuno arrivare alla conclusione
che la violenza labbiamo nel sangue o, come si dice oggi,
labbiamo nel nostro patrimonio genetico. La psicologia
è stata dominata per molto tempo da questa idea, che
si è basata, oltre che sulla comune osservazione dei
fatti, su due concetti fondamentali: quello di istinto e quello,
in un certo senso complementare, di energia psichica.
Come è noto, per istinto si intende tradizionalmente
un comportamento fisso, rigido, non modificabile da parte dellesperienza,
geneticamente determinato e quindi ereditario, caratteristico
di una determinata specie. Allistinto viene tradizionalmente
contrapposto lapprendimento, cioè quel processo
per cui il comportamento viene modificato dallesperienza.
In realtà, oggi il concetto di istinto è in crisi
per quel che riguarda gli esseri umani e gli animali superiori
ed è soprattutto in crisi la contrapposizione netta fra
istinto e apprendimento. Da un lato viene sempre più
messa in evidenza la dipendenza di tutti i comportamenti dalle
condizioni ambientali, in particolare durante lo sviluppo dellindividuo
(Hinde, 1959). Dallaltro si analizzano sempre più
i condizionamenti biologici dei processi di apprendimento (Hinde
e Stevenson-Hinde, 1973; Seligman e Hager, 1972). Oggi, cioè,
la tendenza fondamentale è quella di negare il dualismo
istinto-apprendimento e di considerare istinto e
apprendimento come i due estremi di un continuum. Nel
considerare il significato concreto di questo continuum
per quel che riguarda la specie umana, inoltre, non bisogna
dimenticare che nel corso dellevoluzione biologica si
ha una progressiva diminuzione dei meccanismi tradizionalmente
definiti istintivi e un progressivo aumento delle capacità
di apprendimento. Nel corso dellevoluzione biologica,
quindi, cambia il tipo di rapporto che lanimale ha col
suo ambiente. Da comportamenti più o meno fissi, rigidi,
geneticamente determinati, si passa a comportamenti sempre più
plastici, acquisiti con lapprendimento.
Molto importanti, nella psicologia, sono state anche le concezioni
energetiche dellistinto, che ipotizzano lesistenza
di unenergia psichica di produzione endogena senza di
cui nessun comportamento istintivo sarebbe possibile. Si tratta
di concezioni sorte sul terreno positivistico della fine dellottocento,
che hanno chiaramente mutuato i loro elementi fondamentali dalla
fisica. Da vari decenni queste concezioni sono state invalidate
dalla ricerca psicologica, etologica e neurobiologica e sono
state sostituite da concezioni di tipo informazionale (cfr.:
Hinde, 1960; 1982; Robustelli, 1986).
Bisogna rendersi chiaramente conto di quello che hanno significato,
e continuano a significare, nella nostra cultura sia il concetto
di istinto sia le concezioni energetiche dellistinto.
Linnatismo implicito nel concetto tradizionale di istinto
ha favorito in politica le posizioni conservatrici, con la tesi
secondo la quale la struttura delle società umane è
fondamentalmente determinata da meccanismi istintivi e scarse
sono le possibilità di trasformazione di questa struttura,
in quanto appunto essa corrisponde ad un programma biologico
della specie umana. Linnatismo, cioè, tende ad
analizzare lo sviluppo culturale delle società umane
con categorie biologistiche che snaturano tale sviluppo destoricizzandolo
(Robustelli, 1982).
I modelli energetici, daltronde, hanno contribuito pesantemente
a far considerare luomo come un meccanismo che continuamente
si carica e, di conseguenza, continuamente si deve scaricare.
La potenza dellistinto è stata metafisicizzata.
Laccumulo di energia psichica è stato presentato
come un fenomeno apocalittico. Ma oggi, come ho già detto,
i risultati di molte ricerche indicano che non esiste negli
esseri umani unaggressività istintiva che deve
assolutamente essere in qualche modo scaricata.
E le nostre misere townships?
La tradizionale concezione istintivistica dellaggressività
umana è molto pericolosa, perché ciò che
la gente pensa di sé stessa è uno dei principali
fattori che determinano il suo comportamento. E se la gente
pensa che laggressività sia inevitabile è
improbabile che si sforzi concretamente di ottenere un mondo
meno aggressivo. Per questo un gruppo internazionale di specialisti
(psicologi, etologi, neurobiologi, psichiatri, sociologi e antropologi)
si è riunito nel maggio del 1986 allUniversità
di Siviglia ed ha stilato un documento per eliminare il
mito secondo cui la guerra e la violenza fanno parte della natura
umana e perciò sono inevitabili (Adams, 1991).
Il documento, che ha preso il nome di Dichiarazione di
Siviglia sulla Violenza, sostiene che la violenza umana
è prodotta fondamentalmente da fattori socioculturali
ed è stato sottoscritto da molte associazioni scientifiche,
fra cui lAmerican Psychological Association, lAmerican
Sociological Association, lAmerican Anthropological
Association e lInternational Society for Research
on Aggression. Nel 1989 la Dichiarazione di Siviglia
è stata patrocinata dallUnesco, che ha creato una
rete internazionale per la sua diffusione; io sono il rappresentante
italiano di questa rete (1).
Nel 1993 ho partecipato al congresso internazionale Violence
and its Alternatives, tenutosi a Città del Capo.
Nei dieci giorni trascorsi in Sud Africa ho avuto incontri con
docenti e studenti di varie università come pure con
membri di parecchie associazioni di Città del Capo e
di Johannesburg che si battono per i diritti umani. A Città
del Capo, in una interessante riunione pubblica a cui hanno
partecipato alcune centinaia di persone, dopo che ho parlato
della Dichiarazione di Siviglia un uomo mi ha chiesto:
A che ci serve la Dichiarazione di Siviglia se vogliamo
affrontare il problema della violenza che ha prodotto le nostre
miserabili townships (2) negre?
Gli ho risposto che capivo benissimo il suo tono polemico e
che di fatto la critica delle posizioni biologistiche ha un
significato solo se costituisce un punto di partenza per una
discussione globale sullaggressività e sulla violenza
e soprattutto se costituisce un punto di partenza per un concreto
programma di educazione contro la violenza per le giovani generazioni.
Cause socioculturali della violenza
Dunque la violenza umana è prodotta fondamentalmente
da fattori socioculturali e credo che questi possano riassumersi
in quella tendenza alla sopraffazione che si è venuta
strutturando nel corso della storia e che ha portato alla disuguaglianza,
allingiustizia, alloppressione, allo sfruttamento.
Queste condizioni sociali esprimono lessenza della violenza
che da millenni luomo esercita sulluomo. Unanalisi
della tendenza alla sopraffazione porta poi, secondo me, ad
individuare facilmente ciò che determina questa tendenza:
lirrazionalità. È razionale cooperare con
gli altri per raggiungere uno scopo comune, invece di sfruttarli.
È razionale instaurare con gli altri un rapporto di libertà
reciproca, invece di dominarli. Il periodo storico in cui viviamo
mostra molto chiaramente, e molto brutalmente, lirrazionalità
della violenza. La violenza contro gli esseri umani, come pure
la violenza contro la natura, ci sta portando progressivamente
ed inesorabilmente verso lautodistruzione totale.
In questa prospettiva la lotta contro la violenza si presenta
come un tentativo di superare certi schemi negativi di pensiero
e di comportamento che hanno profonde radici nelle culture umane.
Il problema da affrontare è quindi: come ottenere questo
superamento? La risposta è semplice: aumentando il livello
di razionalità degli esseri umani. Mi rendo perfettamente
conto che una proposta formulata in questi termini ha il sapore
della banalità. Educare gli esseri umani alla razionalità:
che idea originale! Ma, in realtà, quando mai si è
cercato veramente di farlo?
Oggi abbiamo delle scadenze che non abbiamo mai avuto nel corso
della nostra storia. Non ho nessuna intenzione di idealizzare
il passato. La storia dellumanità è stata
un susseguirsi ininterrotto di errori ed orrori. Ma ora ci troviamo
in una fase cruciale. Come specie biologica ci stiamo disintegrando.
Ora può accadere da un momento allaltro qualcosa
che non è mai potuto accadere prima nel corso della nostra
storia. Da un momento allaltro possiamo scomparire. Si,
né più né meno che scomparire. Forse la
cosa in sé e per sé non è così tragica
per luniverso. Ma come esseri umani non vogliamo cercare
di impedirlo? La passività è intollerabile. È
intollerabile lidea che dobbiamo scomparire così,
con disinvoltura, mentre siamo ottusamente immersi nella palude
dei nostri stupidi miti consumistici, mentre stiamo al volante
della nostra automobile, per esempio, o davanti al televisore,
magari godendoci leccitante spettacolo dei nostri simili
che muoiono di fame o si scannano in qualche regione del globo.
Leducazione contro la violenza
Non dobbiamo stupirci dellirrazionalità dellessere
umano medio in ogni parte del mondo. In questo senso le differenze
culturali sono spesso, essenzialmente, differenze di irrazionalità.
Ogni cultura umana ha il suo proprio modello di irrazionalità,
elaborato accuratamente ed ostinatamente in tutto il corso della
sua storia.
Noi cerchiamo di educare i bambini e gli adolescenti in modo
da farne degli esseri fondamentalmente irrazionali. E le nostre
tecniche pedagogiche sono così efficaci che quasi sempre
i nostri sforzi sono coronati da successo. Non dobbiamo stupirci,
poi, che la maggioranza degli esseri umani rimanga fondamentalmente
irrazionale per il resto della vita, mentre alcuni, i più
intelligenti, passano buona parte della vita a liberarsi dallirrazionalità
che gli è stata ficcata in testa nellinfanzia e
nelladolescenza, in modo da essere capaci di usare bene,
o almeno abbastanza bene, il proprio cervello (Robustelli e
Pagani, 1996).
Noi ci preoccupiamo di costruire bene le automobili, le autostrade,
i calcolatori, i missili, i satelliti artificiali, ma non ci
preoccupiamo di costruire bene gli esseri umani. Leducazione
contro la violenza è, dunque, uneducazione alla
razionalità, un impegno concreto e responsabile a costruire
esseri umani di buona qualità. La scienza ci fornisce
innumerevoli indicazioni su come raggiungere questo scopo, ma
esse vengono quasi sempre ignorate nella realtà.
E a questo punto occorre aprire una parentesi sulla scienza,
o meglio sugli scienziati.
Chi sono esattamente gli scienziati? Nellambito dellattuale
divisione del lavoro dellumanità li si potrebbe
forse definire i professionisti della razionalità.
Essi cercano di capire la realtà, usando la logica ed
una metodologia che gli permette di verificare le ipotesi esplicative
che formulano. Fanno in fondo quello che dovrebbe fare ogni
essere umano in una società più matura di quella
in cui viviamo, più costruttiva, più consapevole
della propria condizione esistenziale.
Con questo non voglio sostenere che gli scienziati siano dei
superuomini, selezionati fra i rappresentanti migliori della
specie umana. No, niente del genere. Si diventa scienziati,
come si diventa agricoltori, operai, artigiani, impiegati o
poeti, per un concorso di circostanze che si verificano nella
vita, soprattutto nella prima parte della vita, di certi individui.
In molti casi queste circostanze possono riassumersi nel fatto
che le loro famiglie avevano un reddito sufficiente per farli
studiare alluniversità.
Non voglio neanche sostenere che, comunque ci siano diventati,
una volta scienziati essi costituiscano la parte migliore della
società. Molti scienziati si preoccupano solamente, o
quasi solamente, della loro carriera, cioè del loro prestigio
o del denaro o di entrambi. Sono professionisti dellarrivismo,
quindi, piuttosto che della razionalità. La ricerca scientifica
è per loro solo un pretesto per cercare di emergere,
di prevalere, di dominare, come succede in qualsiasi altra categoria
di lavoratori in questa società basata sulle regole della
competizione. Altri scienziati sono affetti da un attaccamento
troppo individualistico, egocentrico, introverso, al loro lavoro.
Si chiudono nelle loro stanze o nei loro laboratori, ignorando
quello che succede al di fuori. Osservano al microscopio con
estremo interesse lala di una farfalla del tutto insensibili
al fatto che fuori, nella strada, un gruppo di nazisti sta pestando
un ebreo. In termini scientifici si potrebbe dire che cercano
di capire una realtà troppo piccola, troppo circoscritta,
troppo limitata, e questo di fatto significa, sempre in termini
scientifici, che non possono capire niente perché la
realtà è tutta la realtà. Le inevitabili
specializzazioni, per essere proficue, devono in qualche modo
conservare i contatti con la realtà globale. Altrimenti
si hanno scienziati mutilati, ed esseri umani mutilati, spesso
molto dannosi nonostante la loro infantile e nevrotica buona
fede. Ma, infine, ci sono anche gli scienziati che cercano di
influire col loro lavoro sulla qualità della vita di
tutta lumanità, scienziati per cui capire la realtà
significa combattere la sofferenza, migliorare i rapporti fra
gli individui, realizzare tutti quei valori che, a mio parere,
sono inscindibilmente legati alla razionalità, e cioè:
la giustizia, la tolleranza, la solidarietà, la libertà.
Quanti siano questi scienziati non saprei dire, ma senza dubbio
esistono.
Questa categoria di scienziati è costantemente frustrata
dal senso della propria impotenza. Lo scandalo della scienza
contemporanea, o forse si dovrebbe dire la farsa della scienza
contemporanea, sta proprio in questo: la si considera ufficialmente
la massima espressione della razionalità umana, ma di
fatto, sistematicamente e accuratamente, non si tiene conto
di una parte considerevole di ciò che essa sostiene.
La nostra epoca si distingue da altre epoche per lassai
maggiore patrimonio di conoscenze scientifiche e per la conseguente
assai maggiore tecnologia. Ma è proprio questo che rende
più assurda la nostra situazione. Noi abbiamo tante più
conoscenze delle generazioni precedenti e, spesso, facciamo
di tutto per non applicarle. Noi siamo capaci di andare sulla
luna e tanti esseri umani muoiono ancora di fame esattamente
come nel medioevo.
Questo, appunto, fa sentire alcuni scienziati impotenti ed inutili.
Essi si chiedono perfino, a volte, a che possono servire ulteriori
ricerche. Sappiamo già molte cose, abbiamo già
molte conoscenze, ma spesso non le traduciamo in azione. In
tale situazione lunico argomento di ricerca opportuno
sarebbe questo: perché non traduciamo in azione quello
che già sappiamo?
Violenza e potere
Il pensiero politico ha dato varie risposte a questa domanda.
Personalmente ritengo che si possa riassumere il meglio di queste
risposte nel modo seguente. Nel corso della storia si sono venuti
costituendo a poco a poco complessi di idee che avrebbero potuto
trasformare radicalmente la condizione umana, per esempio mettendo
fine alle guerre, allingiustizia sociale, allignoranza,
alla miseria, ma nello stesso tempo nel corso della storia si
sono venuti costituendo a poco a poco anche gruppi di potere
politico ed economico che hanno avuto interesse a che queste
trasformazioni non avvenissero, che hanno avuto interesse a
che le varie forme della distruttività umana non venissero
superate ed eliminate, e che quindi si sono sistematicamente
opposti a questi complessi di idee. In tale prospettiva leducazione
alla razionalità e contro la violenza va vista come un
processo liberatorio. Essa deve spazzare via tutte le proposte
di modelli di vita antisociali, funzionali solo agli interessi
di chi detiene il potere politico ed economico.
Se si vuole veramente educare la gente, di qualsiasi età,
alla razionalità e contro la violenza bisogna eliminare
dallambiente tutti gli agenti dinquinamento mentale,
così come, se si vuole che la gente cresca e viva sana
fisicamente, bisogna eliminare dallambiente tutti gli
agenti dinquinamento fisico. Chi ha il potere ha spesso
interesse a convincere la gente che la violenza è il
solo modo di risolvere i conflitti tra gli individui, come pure
tra gli stati. Lalternativa alla violenza, difatti, è
in genere la discussione, cioè il confronto delle diverse
opinioni, la riflessione, il ragionamento. Ma la discussione,
la riflessione, il ragionamento, sono abitudini pericolose per
chi detiene il potere. Se gli esseri umani imparassero a ragionare
ogni sistema di potere crollerebbe. La razionalità porta
inevitabilmente alla libertà.
Mi si potrebbe obiettare che i gruppi che detengono il potere
non hanno alcun interesse a predicare la violenza perché
questa potrebbe ritorcersi contro di loro. Ma in generale lindividuo
medio non è in grado di usare la violenza contro il potere.
Difatti, sapendo ragionare poco, non è in grado di individuare
le vere fonti del potere. E poi, soprattutto, per eliminare
i gruppi di potere che dominano una società occorre una
ribellione collettiva, che presuppone la solidarietà
fra gli oppressi, solidarietà molto difficile da ottenere
se la mentalità degli oppressi è stata abilmente
manipolata dai gruppi che detengono il potere con limposizione
di modelli antisociali di rapporti interpersonali.
I sistemi di potere vanno sostituiti da comunità veramente
democratiche e questo si può ottenere solo costruendo
esseri umani che sappiano usare bene il proprio cervello, maturi,
responsabili, capaci di partecipare concretamente alla cosa
pubblica e capaci di difendere i propri diritti e la propria
libertà contro tutti e contro tutto, se necessario
anche con la violenza. Perché questo deve essere
ben chiaro: leducazione contro la violenza non deve in
nessun caso essere castrazione degli oppressi, rinuncia alle
giuste ribellioni. Cioè, non deve esserci un uso ideologico
delleducazione contro la violenza, ciò che è
già avvenuto nel corso della storia umana. A volte, infatti,
indubbiamente il modello della non violenza, se utilizzato adeguatamente,
può essere altrettanto utile per chi detiene il potere
quanto il modello della violenza. Questo, come ho già
detto, impedisce la solidarietà fra gli oppressi. Il
modello della non violenza, nella sua versione che potremmo
definire dogmatica, cioè tale da favorire unaccettazione
passiva del modello stesso senza le implicazioni che riguardano
lo sviluppo della razionalità, impedisce comunque la
ribellione contro il potere, nei casi appunto in cui questa
ribellione può essere attuata solo con la violenza.
Un programma di educazione contro la violenza deve basarsi su
un confronto sistematico fra la razionalità scientifica
e il potere politico ed economico. Sulla carta sembrerebbe inevitabile
la sconfitta della razionalità scientifica. Ma se un
numero sufficiente di scienziati in tutto il mondo si unisse
e si mobilitasse, forse questa sconfitta potrebbe non essere
così scontata.
La situazione mondiale sta peggiorando rapidamente di giorno
in giorno. Guerre, massacri, terrorismo, miseria, razzismo,
disoccupazione, degrado ambientale: queste sono le strutture
portanti delle attuali società umane. Non aspettiamo
passivamente che accada qualcosa di irreparabile. Non aspettiamo
che gli storici del futuro dicano della nostra epoca che cerano
innumerevoli segni chiari ed evidenti di ciò che stava
per succedere e che noi siamo stati così miopi da non
vederli. Daltronde credo che, se continueremo ad essere
miopi, non ci saranno storici del futuro...
Violenza, razionalità, libertà ed educazione
La situazione generale dellumanità potrà
essere veramente cambiata solo con un intervento radicale, che
non può che essere un intervento educativo nel senso
più profondo del termine. Bisogna tentare di sradicare
alla base tutte le tendenze irrazionali e distruttive che le
attuali società umane alimentano copiosamente negli esseri
umani fin dai primi anni di vita.
Dobbiamo renderci conto che, attualmente, lo sviluppo mentale
dellessere umano medio non viene plasmato che in piccola
parte dalla scienza, dalla filosofia, dallarte, non viene
plasmato che in piccola parte dagli individui che hanno dato
in passato e danno tuttora un contributo costruttivo alla civiltà
umana. Lo sviluppo mentale dellessere umano medio è
plasmato fondamentalmente dallideologia del consumismo
e dallindottrinamento politico e religioso (che è
in fondo una forma di indottrinamento politico) e il risultato
è, in generale, un essere umano che lavora (quando ha
un lavoro), consuma, cerca spesso di calpestare il prossimo
e soprattutto pensa entro limiti assai ristretti, in
modo appena abbozzato e in ogni caso estremamente ridotto rispetto
alle sue reali possibilità. La civiltà nel senso
più alto è uneredità presente solo
in una irrilevante minoranza di individui. È così
da millenni. Allessere umano medio viene trasmesso, di
generazione in generazione, solo un piccolo quantitativo di
civiltà, il cui effetto è in buona parte annullato
dallenorme diluizione con il liquido del conformismo,
della passività, dellevasione, della deresponsabilizzazione.
La trasmissione della civiltà umana di generazione in
generazione, cioè, è un mito, o meglio un imbroglio.
La maggior parte degli esseri umani non ha mai letto Dante o
Shakespeare, Dostoyevskiy o Kafka, Omar Kayyàm o Lu-Hsün,
non ha mai sentito la musica di Mozart o di Monteverdi, non
ha mai visto un quadro di Van Gogh o di Leonardo, non sa nulla
del pensiero filosofico e della scienza conosce solo gli aspetti
più banali. La maggior parte degli esseri umani è
costituita da individui incompleti, da aborti che non sono mai
riusciti a svilupparsi. Avrebbero potuto essere querce e, invece,
non sono altro che bonsai.
Il giovane essere umano medio è il protagonista di una
tragedia in un contesto sociale che non è altro che la
fabbrica della stupidità. Nella nostra società
occidentale, per esempio, egli impara a due anni a credere alle
fate e agli orchi. A quattro anni impara ad accendere il televisore.
Quindi, in una società ancora fondamentalmente maschilista
come la nostra, è soprattutto lesemplare di sesso
maschile a percorrere alcune tappe tipiche. A sette anni impara
a giocare a calcio o a baseball. A quattordici anni è
pronto a vendersi lanima per un motorino. A diciotto anni
è pronto a vendersi lanima per unautomobile.
E a questo punto, più o meno, il sacrificio è
consumato, limbecille è completo. Per il resto
della vita potrà solo arricchire la sua imbecillità.
Farà un lavoro da imbecille (3) (anche lei, cioè
lesemplare di sesso femminile). Si sposerà (anche
lei) e metterà al mondo altri futuri imbecilli come lui
(come lei). Farà la guerra (lui di solito), ammazzando
gli altri e facendosi ammazzare, pensando di difendere la patria,
la libertà e soprattutto la pace.
Quando penso ai bambini penso ai Prigioni di Michelangelo.
Forme stupende che stanno per liberarsi dal marmo. Purtroppo
i bambini sono scolpiti non da Michelangelo ma dalla società.
Invece delle forme stupende che potrebbero uscir fuori dalla
materia amorfa la società produce miserabili aborti infarciti
di stupidità. Sempre più spesso mi chiedo che
cosa potrebbe diventare un essere umano in condizioni diverse,
e soprattutto che cosa potrebbe diventare lumanità.
E questi aborti, naturalmente, sono spesso violenti perché
il complesso macchinario che li ha prodotti è programmato
per produrre violenza. Abbiamo già visto a chi giova
la violenza.
Dobbiamo realisticamente renderci conto che ciò che caratterizza
una società non è mai casuale. Soprattutto i fenomeni
sociali più importanti sono lespressione di bisogni,
di interessi, di volontà ben definiti, spesso invisibili
o mascherati per lindividuo medio, ma sempre operanti
in modo sistematico e inesorabile. Se la violenza è il
contrario della cooperazione e se la cooperazione è un
modo razionale, costruttivo, utile, di regolare i rapporti umani,
allora vuol dire che deve esserci qualcosa nelle società
umane che non vuole che gli individui cooperino fra di loro,
che non vuole che i loro rapporti siano regolati in modo razionale,
costruttivo, utile (utile per tutti, naturalmente), qualcosa
che ha bisogno del disaccordo degli individui, della loro ostilità
reciproca, della loro divisione, per conservarsi, per sopravvivere.
Divide et impera. Questo qualcosa, lho già
detto, è evidentemente il potere, in tutte le sue forme,
il vertice marcio di tutte le marce piramidi sociali, il fiore
venefico che prospera sul letamaio della disuguaglianza, dellingiustizia,
dellignoranza, delloppressione, dello sfruttamento.
Il millenario conflitto che, in forme più o meno indirette
e più o meno manifeste, caratterizza buona parte della
storia umana, è fra un tipo di società strutturata
secondo rapporti di potere, in cui chi detiene il potere pensa
prevalentemente ai propri interessi, e un tipo di società
composta da individui liberi, maturi, responsabili, che si organizzano
secondo criteri che essi stessi scelgono e che sono utili per
tutti. In questa prospettiva le democrazie storiche non
sono altro che abili tentativi di perpetuare il primo tipo di
società dando limpressione che si tratti del secondo
tipo.
Solo individui liberi, maturi, responsabili, possono costruire
una società senza rapporti di potere. Il problema naturalmente
è: come formare individui liberi, maturi, responsabili,
in una società in cui il potere condiziona inesorabilmente
tutto il processo di formazione dellindividuo? Nessuna
concezione politica, finora, ha saputo risolvere questo problema.
Il condizionamento sociale impone schemi culturali che influenzano
i processi di socializzazione e lo sviluppo della personalità.
Il condizionamento sociale abitua gli individui a seguire certe
strade ed essi spesso le percorrono senza spirito critico, senza
chiedersi chi le ha tracciate e perché, e dove portano.
Le percorrono passivamente come treni sulle rotaie.
Il condizionamento sociale è pesante con gli adulti.
Con i bambini, per ovvie ragioni, è pesantissimo, quasi
senza possibilità di salvezza. I sentieri che vengono
percorsi sistematicamente fin dalla prima infanzia si scavano
profondamente nel terreno, diventano col tempo fossati con pareti
sempre più alte dai quali è sempre più
difficile uscire.
Bisogna affermare fino in fondo il principio che i bambini
non sono una proprietà di nessuno (né dei loro
genitori, né degli stati, né delle chiese, né
dei gruppi industriali e commerciali) ma esseri umani che fin
dalla loro nascita hanno certi diritti di cui nessuno può
privarli. E il loro primo diritto è quello di ricevere
uneducazione che sviluppi al massimo la loro razionalità.
Niente precoci indottrinamenti politici o religiosi, quindi,
che creino nei loro cervelli schemi rigidi che non potranno
in seguito non condizionare lelaborazione cognitiva della
maggior parte dei loro rapporti con la realtà. I dogmatismi
politici e religiosi sono agenti fortemente patogeni per lo
sviluppo della razionalità. E, naturalmente, niente precoci
indottrinamenti commerciali tesi solo ad ottenere meschini,
ottusi, disumani, consumatori ideali. Ad ogni bambino, insomma,
deve assolutamente essere garantita la libertà di imparare
a pensare. Tutto il resto viene di conseguenza.
La responsabilità degli scienziati
E, per concludere, torniamo a quello che ho prima definito
lo scandalo, o la farsa, della scienza contemporanea. La scienza
continua ad accumulare risultati che non vengono utilizzati.
Per esempio, è stato dimostrato che i gas di scarico
delle automobili nuocciono alla salute ed è stata spiegata
la dinamica dellinduzione dei bisogni da parte della pubblicità
commerciale. Ma a che è servito? Laria delle città
continua ad essere inquinata e la gente continua ad essere in
balìa dei bisogni indotti dalla pubblicità commerciale.
Lindustria deve vendere i suoi prodotti e gli esseri umani
vengono allevati in modo da sentire prima che sia possibile
e con la massima intensità possibile il bisogno di questi
prodotti.
Cè qualche psicologo nel mondo che pensi che lesposizione
quotidiana di un bambino ad ore di stupidi spot pubblicitari
televisivi possa facilitare il suo sviluppo intellettuale? Cè
qualche psicologo nel mondo che pensi che lesposizione
quotidiana di un bambino ai pugni, ai calci, agli spari, al
sangue, alla prepotenza, al sadismo di tanti film possa facilitare
lo sviluppo della sua tendenza alla cooperazione, alla solidarietà,
alla comprensione, alla tolleranza? Eppure i bambini dei paesi
industrializzati continuano a passare molte ore ogni giorno
davanti al televisore nutrendosi di stupidità e di violenza.
A che sono servite tante ricerche, tanti risultati? Viene sistematicamente
neutralizzato quasi tutto il potenziale di trasformazione sociale
che è implicito in ogni aumento delle conoscenze.
Se vogliamo che la razionalità scientifica possa efficacemente
svolgere la sua funzione nella società dobbiamo come
scienziati cercare di superare la nostra tradizionale astrattezza,
la nostra tradizionale inconcludenza. Dobbiamo fare in modo
che le nostre proposte non rimangano limitate alle situazioni
accademiche, cioè ai congressi, alle riviste specializzate,
alle conferenze e ai seminari nelle università. Dobbiamo
mettere al centro della nostra attività un impegno politico
concreto, realistico, deciso. Dobbiamo renderci conto che lanalisi
scientifica deve compenetrarsi con lanalisi politica o
meglio che il momento politico dellanalisi deve costituire
un nucleo centrale di aggregazione di vari tipi di analisi scientifica,
di volta in volta individuabili sulla base delle caratteristiche
dello specifico problema che si intende affrontare.
Credo che andrebbe promosso un movimento internazionale di mobilitazione
di tutti gli scienziati che siano disposti a mettere le loro
conoscenze e la loro esperienza al servizio di un tipo di intervento
che potrebbe dare un contributo determinante alla soluzione
di molti fondamentali problemi delle attuali società
umane. Questo intervento deve consistere, come ho già
detto, in un sistematico confronto fra il potere e la razionalità
scientifica. Bisogna trovare il modo di istituzionalizzare il
trasferimento delle conoscenze scientifiche nella realtà
sociale, soprattutto nel campo delleducazione.
Non pretendo che questa sia unidea rivoluzionaria. Non
pretendo, naturalmente, che in questo modo si possano radicalmente
cambiare le società umane. Ma, nella situazione tragica
in cui ci troviamo, dobbiamo tentare di utilizzare tutti gli
spazi disponibili. E questo è uno degli spazi disponibili.
In questa direzione si possono forse fare dei passi avanti.
Lirrazionalità del potere lo condanna inesorabilmente
a porre le sue radici su un terreno di contraddizioni. Su queste
contraddizioni si può fare leva per tentare di trasformare
le strutture sociali.
Daltronde gli scienziati non sono soli. Possono contare
sulla collaborazione di una parte dellumanità che
è certamente minoritaria ma che altrettanto certamente
è la parte migliore. La fabbrica della stupidità
non è infallibile. Di tanto in tanto la catena di montaggio
non funziona e il prodotto finale è fornito di una mente
libera che non era assolutamente prevista nel piano di produzione.
Lo sviluppo della personalità umana è il processo
più complesso che conosciamo e il condizionamento sociale,
per quanto preciso, rigoroso, spietato, non riesce sempre a
controllare tutti gli elementi di questo processo. Nel mondo
ci sono anche esseri umani ben riusciti, che in qualche modo
si sono sottratti alle pressioni fondamentali del condizionamento
sociale. Di solito vagano come ombre in un mondo che sentono
estraneo ma che è comunque il loro mondo ed essi saranno
ben lieti di mobilitarsi per salvarlo dalla catastrofe e per
viverci senza sentirsi alienati. Inoltre, per quanto scarse
siano le capacità cognitive dellessere umano medio
cè spesso in lui un qualche elemento positivo,
negli strati profondi della sua personalità, su cui si
può intervenire per cercare di dare lavvio ad un
processo, inevitabilmente lento e faticoso, che in alcuni casi
porta ad un superamento, almeno parziale, della sua stupidità.
Qualche volta si può persino verificare un miracolo.
Per quanto negativo sia il punto di partenza, a qualsiasi età,
un essere umano può trasformarsi in qualcosa di diverso
da quello che era, se riceve le stimolazioni adatte.
Educazione e politica
Non dobbiamo, quindi, dimenticare che il processo educativo
non si svolge nel vuoto. Esso si svolge allinterno della
trama concreta di tutti i rapporti sociali e politici che caratterizzano
la vita delle società umane. Non possiamo parlare di
educazione se non nel contesto più vasto di tutti questi
rapporti.
Leducazione contro la violenza non deve essere considerata
un compito isolato nellambito di organizzazioni sociali
che di fatto la ignorano. Per questo non ci si può limitare
ad interventi di tipo psicoterapeutico, soprattutto quando si
tratta di violenza giovanile. Degli interventi di tipo psicoterapeutico
può beneficiare solo un numero ristretto di soggetti
che peraltro, qualunque sia il risultato di questi interventi,
continuano a vivere in un ambiente sociale immutato, lo stesso
che ha prodotto la loro violenza e che presumibilmente ha buone
possibilità di riprodurla. Non si può per leternità
intervenire su una percentuale minima dei soggetti violenti
che lambiente sociale sistematicamente produce. È
una battaglia persa in partenza. Bisogna cambiare le basi dellambiente
sociale, adottando quindi soluzioni politiche e non psicoterapeutiche.
Insomma, leducazione contro la violenza può essere
efficace solo se si esplica allinterno di una situazione
sociale generale dinamica che si muova tutta intera nella direzione
di una socialità che si basi su rapporti umani non violenti.
Il circoscrivere in qualsiasi modo leducazione contro
la violenza, facendone unattività isolata e lasciando
tutto il resto intatto, è un ottimo sistema per neutralizzarne
lefficacia.
La violenza, e la violenza giovanile in particolare, non è
una malattia. È la logica conseguenza, la conseguenza
più probabile, dellambiente culturale in cui la
gente vive e cresce. O, se proprio in ogni caso la si vuole
considerare una malattia, è lambiente culturale
che ininterrottamente produce i germi patogeni di questa malattia.
Questa tesi è tuttaltro che nuova. Anzi, è
tanto vecchia ed è stata riproposta tante volte che è
diventata una specie di ossessione. Rimane il fatto che lumanità
continua a non muoversi nella direzione suggerita da questa
tesi.
Ci piacciano o meno le ossessioni, quindi, dobbiamo avere ben
chiaro questo punto: un processo educativo concreto implica
la modificazione del contesto sociale in cui gli individui vivono
e sono educati. In questa prospettiva leducazione è
indissolubilmente legata allazione politica intesa nel
senso più vasto e più profondo.
Francesco Robustelli
Bibliografia
Adams,
D. (ed.) (1991). The Seville Statement on Violence.
Paris: UNESCO.
Hinde, R.A. (1959). Behaviour and speciation in birds
and lower vertebrates. Biological Review, 34,
85-128.
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Symposia of the Society for Experimental Biology,
Cambridge: Cambridge University Press, 4, 199-213.
Hinde, R.A. (1982). Ethology. Fontana Paperbacks.
(trad. it.: Etologia. Milano: Rizzoli, 1984).
Hinde, R.A. & Stevenson-Hinde, J. (eds.) (1973).
Constraints on learning: limitations and predispositions.
London: Academic Press.
Robustelli, F. (1982). La polemica su Sociobiologia
di Wilson. In: V. Parisi e F. Robustelli (a cura di)
Il dibattito sulla sociobiologia. Roma: Istituto
di Psicologia del CNR, 13-28.
Robustelli, F. (1986). Modelli energetici e informazionali
del sistema nervoso. Psicologia contemporanea,
75, 40-46.
Robustelli, F. e Pagani, C. (1996). Leducazione
contro la violenza. Psicologia contemporanea,
136, 4-10.
Seligman, M.E.P. & Hager, J.L. (eds.) (1972).
Biological boundaries of learning. New York:
Appleton Century Crofts.
Note
1.
Ho anche realizzato con alcuni collaboratori un sito
web per illustrare un progetto di ricerca e di formazione,
di cui sono il responsabile, sulleducazione
contro la violenza secondo gli orientamenti della
Dichiarazione di Siviglia. Lindirizzo
del sito è: http://wwwistc.ip.rm.cnr.it/seville.
2. Le townships sono agglomerati urbani dove vive
una parte della popolazione negra sudafricana, spesso
in condizioni di miseria difficilmente immaginabili.
3. Con lattuale divisione del lavoro quasi tutti
i lavori sono alienanti.
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Francesco
Robustelli è Incaricato di Ricerca presso
lIstituto di Scienze e Tecnologie della Cognizione
del CNR. È Libero Docente in Psicologia.
È stato Research Associate presso lAlbert
Einstein College of Medicine della Yeshiva University
di New York, docente di Psicologia comparata presso
lUniversità La Sapienza
di Roma e Dirigente di Ricerca presso lIstituto
di Psicologia del CNR. Ha condotto ricerche nel
campo della psicologia comparata, della memoria,
dellapprendimento, dei rapporti fra evoluzione
biologica ed evoluzione culturale, degli atteggiamenti
nei riguardi della morte, del disagio psicologico
dei pazienti nel servizio sanitario pubblico e dellaggressività.
È il rappresentante per lItalia di
una rete internazionale dellUNESCO per leducazione
contro la violenza.
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