Gli animalisti per i diritti umani
Vorremmo intervenire in merito alle dichiarazioni del regista
Pedro Almodovar, recentemente contestato al festival di Taormina
da alcuni animalisti per aver inserito le cruente immagini della
corrida nel suo film Parla con lei. Almodovar ha
difeso la sua scelta in quanto corrisponderebbe alla realtà
della Spagna che ha la sua storia, la sua civiltà, le
sue tradizioni. In una successiva dichiarazione ha aggiunto
che gli animalisti dovrebbero occuparsi delle devastazioni e
dei massacri che succedono nel mondo, citando in particolare
loppressione subita dai Curdi.
Noi non sappiamo quale sia stato finora limpegno di Almodovar
nei confronti del popolo curdo; conosciamo invece il nostro
e quello di tanti altri animalisti in difesa anche dei Diritti
Umani oltre che di quelli degli animali, nella profonda convinzione
che le due questioni siano complementari.
Nel nostro piccolo abbiamo cercato di attenerci a questo principio
organizzando incontri con esponenti dei popoli oppressi, pubblicando
articoli e testimonianze che denunciavano ogni forma di persecuzione,
di tortura, di oppressione. In questo contesto ci siamo occupati
dei Saharawi, dei pellerossa Shoshones, degli Uwa della Colombia,
dei Moseten della Bolivia
e, tra gli altri, anche dei
Curdi, appunto.
Contemporaneamente siamo intervenuti contro la vivisezione,
contro le feste sadiche, contro la caccia
in difesa dei
diritti degli animali.
Abbiamo sempre pensato che le ingiustizie perpetrate dai potenti
andassero combattute in quanto tali, chiunque fosse la vittima.
Siamo convinti che lindifferenza per le torture ( e per
noi la corrida resta una forma di tortura) subite da un animale
sia propedeutica allaccettazione di altre prevaricazioni
esercitate sugli umani.
Lo stretto legame tra la violenza nei confronti degli animali
e la violenza nei confronti degli individui e dei gruppi umani
più deboli, è colto in modo significativo dalle
parole di Edgar Kupfer-Koberwitz, prigioniero a Dachau: Penso
che gli uomini saranno uccisi e torturati fino a quando gli
animali saranno uccisi e torturati e che fino ad allora ci saranno
le guerre, perché laddestramento e il perfezionamento
delluccidere deve essere fatto moralmente e tecnicamente
su esseri più piccoli.
Un concetto analogo venne espresso da Margherite Yourcenar:Ci
sarebbero meno bambini martiri se ci fossero meno animali torturati,
meno vagoni piombati che trasportano alla morte le vittime di
qualsiasi dittatura se non avessimo fatto labitudine ai
furgoni dove le bestie agonizzano senza cibo e senzacqua
dirette al macello
.
Elena Barbieri e Gianni Sartori (Vicenza)
Movimento U.N.A. Uomo Natura-Animali
Lega per i Diritti e la Liberazione dei Popoli
Italiani brava gente?
Italiani brava gente?
Da qualche mese circola negli U.S.A. un mostra fotografica sui
crimini italiani in Africa, soprattutto in Etiopia, durante
lepoca coloniale. È assai improbabile che riusciremo
a vederla anche in Italia, dato che la rimozione delle innumerevoli
violazioni dei diritti umani compiute dalle truppe tricolori
in Libia, Etiopia, Yugoslavia, Albania
è una costante
della nostra classe politica. La recente proposta di area governativa
di realizzare gite scolastiche a El Alamein (allo scopo di far
conoscere ai giovani studenti le glorie del colonialismo italiano)
non è priva di precedenti illustri.
Un paio di anni fa toccò a Ciampi rievocare con orgoglio
la sua esperienza di giovane sottoufficiale in Albania. Risalgono
invece agli inizi del 1997 alcune incaute dichiarazioni di Scalfaro
(allepoca presidente della Repubblica) che cercava di
rivalutare il ruolo svolto dallItalia in Africa riproponendo
vecchi concetti già utilizzati da nazionalisti e militaristi
nostrani: in fondo il colonialismo italiano non sarebbe stato
troppo male, sostanzialmente bonario e quasi paterno nei confronti
degli indigeni; i nostri coloni e soldati avrebbero più
che altro costruito strade, ponti, scuole dove i piccoli arabi
e abissini potevano finalmente imparare litaliano!
Anche Scalfaro però si era dimenticato delle forche,
dei gas asfissianti e dei campi di concentramento. Solo in Libia
ne vennero costruiti una dozzina e vi furono rinchiusi decine
di migliaia di libici. Per gran parte dei reclusi le condizioni
di detenzione si rivelarono letali.
Purtroppo quando si parla della Libia si finisce quasi sempre
per parlare di Gheddafi, dimenticando che il contenzioso sulle
atrocità compiute dallItalia giolittiana e fascista
non era una questione da risolvere con lingombrante e
pittoresco colonnello, ma tra lItalia e il popolo libico.
Soprattutto non è mai stata una questione solo di risarcimenti:
si tratta di ristabilire la verità storica sul colonialismo
tricolore e sui molteplici crimini contro i diritti umani e
il diritto dei popoli.
Come ha ampiamente documentato Angelo Del Boca. Negli archivi
dellex Casa del Mutilato di Tripoli ci sono ancora circa
100 mila dossier: per ognuno la storia di unimpiccagione,
di un omicidio politico, di una mutilazione inflitta, di una
deportazione
documentano il calvario di un popolo aggredito,
massacrato, mai sottomesso, dal 1911 al 1943. La prima rivolta
di Sciara Sciat (ottobre 1911) venne repressa nel sangue con
migliaia di esecuzioni sommarie di cui esistono agghiaccianti
testimonianze fotografiche.Contro la resistenza libica nei ventanni
successivi vennero impiegati i mezzi più moderni: autoblindo,
aerei e perfino armi proibite come i gas a base di iprite e
fosgene. Si consiglia di consultare in proposito il volume di
Eric Salerno Genocidio in Libia in cui sono riprodotte
le relazioni stese dai piloti italiani.
Un altro documento (relazione della Divisione autonoma dei carabinieri
reali della Cirenaica) del novembre 1930 riporta la descrizione
circa gli effetti prodotti dal bombardamento a gas effettuato
a Tazerbe. Dallinterrogatorio di un ribelle
catturato si ricava che a parecchi giorni dal bombardamento
delloasi vide moltissimi infermi colpiti dai gas.
Egli ne vide diversi che presentavano il loro corpo ricoperto
da piaghe come provocate da forti bruciature. Il prigioniero
riesce a specificare che in un primo tempo il corpo dei
colpiti veniva ricoperto da vasti gonfiori, che dopo qualche
giorno si rompevano con fuoriuscita di liquido incolore. Rimaneva
così la carne viva priva di pelle, piagata
.
Grazie anche allimpiego di questi metodi crudeli, nel
1932 il governatore della Libia Pietro Badoglio poteva annunciare
che la ribellione era stata completamente e definitivamente
stroncata.
Circa 100 mila libici, tra partigiani e civili che in qualche
modo avevano cercato di opporsi ai conquistatori, erano stati
ammazzati.
Senza contare i morti provocati dai milioni di mine sepolti
dai vari eserciti (italiani, tedeschi e poi anche inglesi).
Decine di migliaia di libici vennero inoltre costretti allesilio.
Si ritiene che circa un ottavo della popolazione sia stato sterminato
e quindi si può legittimamente parlare di genocidio,
con buona pace di storici e politici revisionisti.
In Etiopia la conquista dellImpero ebbe inizio
nellottobre del 1935. Era ancora Pietro Badoglio a dirigere
le operazioni militari quando dagli aerei italiani venivano
scaricati sugli abissini i soliti gas a base di iprite e fosgene.
Le impiccagioni dei ribelli (veri o presunti), la
distruzione di interi villaggi e il massacro dei civili venivano
eufemisticamente definiti operazioni militari.
Allattentato del febbraio 1937 contro Rodolfo Graziani,
viceré dEtiopia, seguì un massacro indiscriminato.
Per tre giorni squadre di vendicatori percorsero
Addis Abeba. Alla fine occorsero molti camion per portare fuori
dalla città i cadaveri, per la maggior parte squartati
e decapitati, degli abissini uccisi. Il numero delle vittime
restò imprecisato, comunque compreso tra diecimila e
trentamila. Quanto al numero complessivo dei morti dovuti alloccupazione
italiana dellEtiopia, si calcola siano stati circa 730
mila dal 1935 al 1941.
Lo storico Michael Palumbo che con Ken Kirby ha potuto visionare
gran parte del materiale documentario sui crimini di guerra
italiani, ritrovato negli archivi americani e inglesi ha pubblicamente
affermato: I documenti che ho trovato dimostrano che gli
alleati britannici e americani si erano impegnati ad una politica
intesa a insabbiare e ingannare e a impedire lestradizione
di centinaia di criminali di guerra italiani che essi sapevano
essere colpevoli di enormi atrocità.
In un documento conservato al Public Record Office inglese,
Charles Noel, alto commissario inglese a Roma nel dopoguerra,
dichiarava molti dei criminali di guerra hanno reso esemplari
servizi agli Alleati e arrestarli avrebbe comportato uno
choc per il governo italiano. Analoghe considerazioni
si trovano in una lettera di Alcide De Gasperi inviata nellaprile
1946 allammiraglio Stone, alto commissario americano.
De Gasperi spiega che un arresto porterebbe alla nascita
di una pericolosa reazione nel Paese con gravi ripercussioni
politiche.
Ma forse più di tante parole basterebbe guardare le foto
che testimoniano la feroce repressione: i corpi ammonticchiati
dei fucilati dopo una rivolta mentre i soldati italiani in stivali
e caschi coloniali stanno scavando una grande fossa comune;
la composta dignità del capo della resistenza senussita
Sidi-Umar El Mukhtar (poi giustiziato) in abito tradizionale
e in catene tra i carabinieri e uno stuolo di ufficiali e funzionari
incravattati con in testa ridicoli chepì (a volte unimmagine
può rendere giustizia, al di là delle intenzioni
del fotografo); il cadavere di un guerrigliero impiccato con
un cartello in arabo che lo definisce bandito e ribelle;
la testa mozzata di Deggiac Hailù Chebbebè, capo
della resistenza etiopica ucciso nel settembre 1937, issata
su una lancia ed esposta nei mercati
Sono immagini che
inevitabilmente rievocano quelle delloccupazione tedesca
e delle repressioni nazi-fasciste che, come una nemesi, anche
il nostro popolo avrebbe conosciuto pochi anni dopo.
Gianni Sartori
(Lega per i diritti e la liberazione dei popoli)
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