Strane cose succedono di questi tempi.
In Germania, durante una campagna elettorale tirata allultimo
voto, un ministro, anzi, una ministra, la signora Herta Daeubler-Gmelin,
titolare socialdemocratica del dicastero della Giustizia, si
lascia sfuggire un paragone tra Hitler e il presidente Bush.
Comune a entrambi, sostiene, è una certa tendenza ad
agitare le questioni internazionali per distogliere lopinione
pubblica dai problemi interni. Largomento suscita un certo
scalpore, manda in bestia, oltre a Bush, i suoi numerosi estimatori
europei, viene debitamente smentita, ridimensionata, inquadrata
nel contesto e sottoposta, in genere, a tutte le operazioni
di devalorizzazione note alla moderna retorica delle comunicazioni
di massa, ma nel complesso non deve essere spiaciuta
ai cittadini tedeschi, tanto è vero che, contro ogni
ragionevole proiezione e ogni oculato sondaggio, la coalizione
al governo viene riconfermata dagli elettori. Il margine non
è esaltante, ma visto che poche settimane prima erano
clamorosamente in testa i democristiani, cè da
baciarsi i gomiti. E la prima cosa che fa il neoconfermato cancelliere
Schröder, oltre a esibire in ogni modo possibile la sua
stima, il suo rispetto e la sua deferenza per il presidente
Usa, è quella di assicurare che di tornare al governo
la signora Herta Daeubler-Gmelin non se lo deve sognare nemmeno.
Non sono particolarmente versato nelle minutiae della
politica tedesca, e non saprei proprio dirvi se lallontanamento
dellincauta paragonatrice sia stato motivato soltanto
da questa vicenda o non affondi le radici in qualche precedente
tensione, in qualche contrasto sul come gestire un ministero
importante. Ma diamo pure per scontato, come hanno fatto tutti,
che la ministra abbia perso il posto per aver pronunciato quelle
parole. È abbastanza evidente, allora, che lepisodio
si presta a un certo numero di considerazioni. Non si tratta
di un semplice esempio di ingratitudine, quali se ne vedono
spesso nel campo avvelenato della politica. È un fatto
esemplare, da cui è lecito e doveroso cercare di trarre
una morale di qualche tipo.
Spezzare le reni a Saddam
Mi spiego subito. Quello tra George W. Bush e Adolf Hitler
è un paragone certamente offensivo, dal quale sarebbe
opportuno astenersi, se non altro per motivi di buona educazione.
Ma ciò non esclude che il confronto, sotto molteplici
punti di vista, sia assolutamente lecito. In fondo Bush, come
a suo tempo Hitler, è al vertice, con ampi poteri, di
una potenza che pretende una certa posizione di predominio a
livello mondiale. È vero, che il livello di democrazia
e le forme di organizzazione del consenso nei due stati sono,
grazie al cielo, diverse, e che i due personaggi non sembrano
avere molto in comune sotto il profilo ideologico (e, presumibilmente,
morale), ma appunto per questo è lecito rimproverare
alluno ladozione di tattiche e comportamenti che
meglio si addirebbero allaltro. Per quanto riguarda il
punto sottolineato dalla Daeubler-Gmelin, in ogni caso, laccostamento
è assolutamente ovvio, tanto è vero che può
essere esteso senza difficoltà a gran parte degli statisti
noti alla storia. Quella di distogliere lattenzione dei
cittadini dai problemi quotidiani prospettandogli qualche difficoltà
internazionale è una pratica talmente comune che, a tutti
gli effetti, la si dà per scontata. Lo ha fatto Hitler,
lo fa Bush e lo hanno fatto e lo fanno quasi tutti gli altri,
compresi gli attuali governanti tedeschi, che non per niente
hanno impostato la loro campagna elettorale su un problema di
politica internazionale (la guerra), glissando alla grande su
quelle difficoltà economiche e sociali che, in passato,
non sono sempre sembrati capaci di dominare. In realtà,
la vera accusa in base alla quale la Daeubler-Gmelin avrebbe
dovuto essere rimossa dal suo ministero, era quella di aver
fatto ricorso a unargomentazione francamente troppo banale.
A Bush, però, certe banalità si addicono particolarmente.
Giunto alla Casa Bianca senza un vero sostegno popolare, grazie
a un pugno di contestatissimi voti della Florida (niente di
paragonabile con Hitler, che alle elezioni che lo avrebbero
portato alla cancelleria aveva raccolto una ben più solida
maggioranza), ha costruito la propria immagine pubblica e la
propria incerta popolarità, più che su quelle
doti politiche personali di cui è troppo evidentemente
privo, sulla necessità di combattere il terrorismo
internazionale, concretatasi, dopo il mezzo disastro afgano,
nellostinato proposito di spezzare le reni a Saddam Hussein.
Ora, è vero che lindividuazione di un nemico la
cui sconfitta possa essere indicata come preliminare alla realizzazione
di qualsiasi altra istanza politica è una delle pratiche
di costruzione del consenso più antiche del mondo (già
Catone il Censore, ogni volta che gli si parlava della necessità
di una riforma agraria, rispondeva che secondo lui bisognava
distruggere Cartagine), ma il fatto che il leader della
più grande potenza industriale e militare del pianeta
si ostini a far dipendere la pace nel mondo da un cambio di
regime in Mesopotamia non può che lasciare perplessi
gli osservatori raziocinanti. Tanto è vero che chi intende
appoggiare a tutti i costi la politica americana deve attribuire
al presidente irakeno tali e tante connotazioni negative da
sfiorare il grottesco, come ha fatto, tra gli altri, lottimo
Berlusconi quando in sede ufficiale ha ritorto
il paragone con il Führer del terzo Reich su Saddam,
che in fondo è solo un molesto despota mediorientale,
le cui capacità di far danno, per rilevanti che siano,
non sono poi superiori a quelle di una quantità di suoi
pari, che pure il governo americano in ogni modo vezzeggia e
porta in palmo di mano.
Per interposto Berlusconi
Daltronde, che altro si può rimproverare a Saddam
Hussein, dal punto di vista di Bush e di Berlusconi? Di infischiarsene
delle risoluzioni dellOnu, certo, ma senza insistere troppo,
visto il comportamento che, in tema di risoluzioni dellOnu,
adottano certi pilastri dellamicizia con gli Usa in Medio
Oriente. Di opprimere i Curdi, naturalmente, ma anche questa
predica suona male dal pulpito di chi, in quella parte del mondo,
fa conto soprattutto sullalleanza con la Turchia. Di aver
fatto provvista di ingenti quantità di armi di distruzione
di massa, certo, anche se è fin troppo evidente che quelle
armi non saranno mai pari a quelle stivate nei depositi della
Nato e di molti alleati di Washington (alcuni dei quali, vedi
il caso del Pakistan, che ostenta addirittura larmamento
nucleare, non si distinguono particolarmente per affidabilità
politica e garanzie democratiche). Perché Saddam è
un dittatore esecrabile, figuriamoci, ma non cè
aspetto della sua esecrabilità che non si rispecchi nelle
consuetudini politiche dei molti paesi del terzo mondo su cui
gli Stati Uniti hanno fatto conto e affidamento per i lunghi
anni della guerra fredda, tanto è vero che proprio sul
sostegno americano lattuale regime irakeno, a onta delle
sue origini rivoluzionarie, è stato costruito e rafforzato.
Oggi, certo, la guerra fredda è finita, ma visto che
si trovano sempre dei rompiscatole che insistono con gli equivalenti
moderni della riforma agraria, di nemici cè sempre
un grande bisogno. Quello di cui, evidentemente, bisogno non
cè è una accettabile motivazione ideologica
per definirli tali. Basterà dire, ed è già
cara grazia, che sono inaffidabili, pericolosi, minacciosi e
diversi. Che sono, appunto, paragonabili a Hitler, un personaggio
che, per essere al di là di ogni ipotesi di riabilitazione
storica, può ben essere utilizzato al negativo come pietra
di paragone assoluta. Il fatto che Hitler, a un certo punto
della sua carriera, abbia seriamente pensato di dominare il
pianeta, unipotesi che Saddam difficilmente potrebbe far
sua (diversamente da Bush, che infatti la dà per scontata,
tanto è vero che teorizza la guerra preventiva contro
chi si azzardi a minacciare la posizione egemonica del suo paese),
non deve, né può, interessare.
Ma se il paragone con Hitler mi può efficacemente servire
a caratterizzare il nemico, non posso certo accettare che qualcuno
se ne serva, più o meno brillantemente, per definire
me. Per questo Bush non può accettare per quello che
sono le banali allusioni delle Herta Daeubler-Gmelin di questo
mondo, ma deve fingere di prenderle sul serio, a costo di infliggere
allincolpevole Schröder una delle peggiori lavate
di capo diplomatiche che la storia recente dei rapporti internazionali
ricordi. Lui, in proprio o per interposto Berlusconi, può
dare dellHitler a chi vuole, ma nessuno può azzardarsi
a dare dellHitler a lui, perché il problema non
ha niente da fare con i paragoni storiografici (che sono sempre
arbitrari): è una questione di imputazioni ideologiche,
e per di più a livello assoluto, e unimputazione
ideologica negativa a livello assoluto ce se la si può
permettere solo ponendo se stessi come modello ideologico assoluto
al positivo. Insomma, se tu sei il Male io sono, di necessità,
il Bene e chiunque abbia qualcosa da eccepire dovrà vedersela
quanto prima con me. Nellera della globalizzazione, anche
i giudizi di valore sono globalizzati, nel senso che dipendono
strettamente dal punto di vista di chi detiene il potere globale.
La mazzolata diplomatica inflitta ai tedeschi, da questo punto
di vista, ha un valore paradigmatico generale. Significa che
non si accettano critiche e che ai loro alleati gli Stati Uniti
sono disposti soltanto a concedere il ruolo di servizievoli
berlusconi. Che mondo, ragazzi, che mondo
Carlo Oliva
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