La guerra globale, la prima guerra del
secolo, va avanti. Migliaia di persone, per lo più civili,
sono morte sotto le bombe in Afganistan. Ad un anno di distanza
la guerra non è finita: tra i monti afgani si continua
a morire. A Kabul un governo feroce e dispotico è stato
sostituito da un governo altrettanto feroce e dispotico ma disponibile
a far partire loleodotto che gli amici ed alleati di ieri,
i talebani, non volevano più costruire. Lelegante
premier Hamid Karzai in passato di mestiere faceva il consulente
per la Unocal, la compagnia americana che costruirà loleodotto.
Karzai è lunico leader afgano che non dispone di
una milizia propria: alla sua sicurezza badano le truppe speciali
dellesercito statunitense. I crimini statunitensi contro
prigionieri di guerra massacrati e poi seppelliti in fosse comuni
sono stati pubblicamente denunciati persino al parlamento europeo.
La popolazione afgana è sempre più spossata dalla
fame e dalla violenza, i cattivi di turno, Bin Laden ed il mullah
Omar sono scomparsi dai media e gli americani sono sul punto
di concludere un affare che sfuggiva loro da una decina danni.
Niente male per una guerra che pretende di essere combattuta
in nome della libertà e della giustizia «durature».
Bush un anno fa annunciava una campagna bellica infinita. Il
pretesto della «guerra al terrorismo» è divenuto
la chiave di volta di una politica guerrafondaia volta a rimettere
in piedi la dolente economia americana a suon di bombe.
La guerra in Iraq forse sarà già scoppiata quando
leggerete queste righe. O, magari, vi sarà stato un ulteriore
rinvio. Pare di trovarsi di fronte ad un condannato a morte
in attesa di esecuzione che, grazie allabilità
del suo legale riesce ad ottenere qualche giorno in più
di vita. Ma, e lui lo sa, la sua vita è appesa un filo
assai esile. Che lIraq fosse nel mirino di Bush lo si
sapeva da mesi. Addirittura il toto guerra dava per scontata
la data di novembre. La straordinaria emozione suscitata dagli
spettacolari attentati dell11 settembre del 2001 aveva
spalancato le porte alloffensiva guerrafondaia della lobby
affaristico-militare che aveva sostenuto la candidatura di George
II. La promulgazione, quasi senza dissenso, del Patriot Act,
che di fatto rendeva possibili detenzioni extragiudiziali di
semplici sospetti, nonché una sostanziale, ulteriore
militarizzazione della vita sociale americana, era il segno
inequivocabile che una politica di guerra infinita aveva di
fronte a se ben pochi ostacoli.
Seppelliti i morti delle Twin Towers, il governo Usa ha capitalizzato
lindignazione popolare, tentando di trasformare la tragedia
in business. Poco importava che Bin Laden in tempi non lontani
fosse stato al servizio della Cia. Poco importa che oggi, dopo
due decenni di guerre foraggiate dagli Usa, lAfganistan
sia un paese allo stremo. Poco importa che i feroci talebani
fossero meno di un lustro fa fedeli e buoni alleati: con buona
pace dei «diritti umani» che, notoriamente non riguardano
né le donne né gli oppositori politici.
A seconda delle necessità
In verità lavventura irachena del presidente Bush
pare meno facile da far digerire sia allopinione pubblica
americana sia ai recalcitranti alleati europei. Lampiezza
delle manifestazioni contro lintervento in Iraq dimostra
che qualcosa si comincia a muovere nel ventre molle degli Stati
Uniti. La soffocante propaganda di questi ultimi mesi non è
riuscita ad impedire un dissenso che, diversamente dallo scorso
anno, oltre alle aree più radicali, vede scendere in
campo contro lintervento ampi strati di popolazione. Lo
slogan «Not in my name» attraversa gli Stati Uniti
coinvolgendo, oltre alle grandi città, anche piccoli
centri più tradizionalmente conservatori.
Se a ciò si aggiunge che la smania bellica di Bush II
vede, al di là del fratellino siamese britannico, solo
lentusiastica adesione del pecorile Berlusconi, mentre
il resto dellEuropa e gli alleati arabi si mostrano alquanto
freddini, appare chiaro che la partita che si sta giocando sullIraq
va ben al di là della solita guerra per il petrolio che
i militari americani combattono a seconda delle necessità.
Daltro canto la posta in gioco è molto alta perché
sul tappeto vi è la cancellazione definitiva del pur
residuale ruolo dellOnu, quale ambito di definizione di
regole, che per quanto sempre asimmetriche, lasciavano aperto
uno spazio nel quale, pur sancita la superiorità del
più forte (il Consiglio di Sicurezza ed i suoi cinque
membri dotati di facoltà di veto), si desse una parvenza
di «legittimità» alle varie operazioni belliche.
Nel lontano 1991, quando Bush I diede inizio alla guerra contro
lIraq, la coalizione a guida statunitense partì
con la benedizione dellOnu. Da allora di acqua sotto i
ponti ne è passata parecchia ed il ruolo dellOnu,
in un mondo sempre più unipolare, è divenuto esile,
sostanzialmente ininfluente.
La «guerra preventiva» enunciata da Bush di fatto
prefigura un ordine in cui il gendarme americano si assume il
ruolo di poliziotto, giudice e boia.
La campagna di guerra dellamministrazione americana dovrebbe
terminare solo con la sconfitta del nemico. Già il «nemico».
Osama, gli integralisti, gli Stati detti «canaglia»,
perché non al servizio degli interessi Usa. Ma i morti,
i mutilati, gli affamati sono uomini, donne, bambini, vittime
ed ostaggi di interessi per i quali non valgono nulla, granelli
di sabbia sullo scacchiere del «grande gioco» della
politica di potenza. Il «gioco» feroce di Bush II,
luomo dei petrolieri e dei mercanti darmi, interessati
al controllo delle grandi risorse energetiche, timorosi della
concorrenza dei recalcitranti alleati europei, consapevoli che
oggi la «supremazia» statunitense si afferma soprattutto
sul piano militare.
Linvasione dellIraq voluta da Bush non è
che lultimo atto di una guerra che dura da oltre un decennio.
Dopo la guerra guerreggiata, lembargo e i bombardamenti
«mirati» hanno mietuto le loro vittime. Le cifre
di questa lenta strage sono spaventose: oltre un milione di
morti tra i più deboli, i più poveri, i senza
potere.
Saddam Hussein, lattuale obbiettivo della guerra permanente,
è un feroce dittatore che guida una compagine fascista
come il partito Baath, fondato nel dopoguerra da nazionalisti
arabi che avevano combattuto con i nazifascisti. Hussein già
nel lontano 1988 si distinse per il massacro di migliaia di
curdi con armi chimiche fornite dagli Usa. Ma allora nessuno
minacciò ritorsioni. Allepoca, non diversamente
da Bin Laden, il Rais di Baghdad era unimportante pedina
nella politica degli USA che si guardarono bene dal rimarcare
la disinvoltura con cui trattava i propri «affari».
Lo stesso dittatore che oggi deve essere destituito massacrando
a suon di bombe la disgraziata popolazione irachena è
stato ricevuto con tutti gli onori dai governi delle maggiori
democrazie mondiali. Ma, si sa, criminali ed alleati variano
a seconda della convenienza del momento. Ed il principio di
«non ingerenza» assume caratteristiche carsiche,
comparendo o scomparendo alloccorrenza.
Lo dice persino il noto assassino, golpista e guerrafondaio,
nonché nobel per la pace, Henry Kissinger che è
tempo di far saltare il principio di non ingerenza negli affari
interni di uno stato. La «guerra preventiva» contro
tutti coloro che oggi od in futuro contrasteranno gli interessi
americani non può più nascondersi dietro la foglia
di fico dellintervento «umanitario» con la
quale si era coperta la guerra contro la Serbia per il controllo
del Kossovo e, soprattutto, di unimportante via di collegamento
per la circolazione di petrolio, gas, armi e droga.
I giochi delle varie diplomazie vanno avanti: forse lattacco
può essere rimandato di settimane o mesi. Ma fermarlo
sarà possibile solo se lopposizione alla guerra
ed al militarismo continueranno a crescere negli Usa come in
Europa.
dio, patria famiglia
Qui da noi, nel Belpaese di Berlusconi, Bossi e Fini sono in
atto le grandi manovre: una bella finanziaria di guerra, leggi
liberticide contro i lavoratori, gli immigrati, le donne. La
retorica, quella più becera, si spreca. Tornano in auge
i mai sopiti mostri dellintolleranza, del razzismo, del
nazionalismo.
I soldi sottratti alla sanità, alla scuola, ai servizi
sociali serviranno per finanziare il viaggio ed il soggiorno
di mille assassini legalizzati in divisa da alpino alla volta
dellAfganistan. Con il beneplacito, ancora una volta,
di parte del centro-sinistra.
Chi si oppone è definito «traditore della patria»,
schierato con il «nemico», sostenitore del terrorismo.
Come sempre di fronte allorrore della guerra la neolingua
dei potenti chiama la guerra pace, la ferocia giustizia.
Gli alpini aprono le loro parate con «Dio, patria, famiglia».
Noi, senzapatria, senzadio, senzafamiglia abbiamo per patria
il mondo intero.
Siamo uomini e donne di parte. La parte delle vittime. Sempre.
Maria Matteo
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