Nella società in cui trionfa
la comunicazione gli uomini non comunicano più tra di
loro. Le relazioni tra gli esseri umani non sono mai state così
continue e facili eppure la comunicazione tra di loro non è
mai stata così povera e difficile. Le distanze geografiche
non sono mai state così ridotte, i tempi di spostamento
mai così rapidi, le abitudini e gli ambienti mai così
simili in gran parte del mondo, i media mai così potenti,
eppure la comunicazione vera e profonda mai così inesistente,
superficiale e formale, quando non completamente assente.
Tutto comincia nelle nostre case, nei luoghi di lavoro, negli
spazi ricreativi, insomma in ogni momento comune della nostra
vita quotidiana. Questo apparente paradosso sembra impossibile
ad ogni osservatore superficiale, in realtà se scaviamo
un po più a fondo con le nostre analisi qualche
spiegazione la troviamo.
La rapidissima accelerazione dello sviluppo tecnologico ha prodotto
dapprima il trasferimento dallo scritto alla parola (dalla lettera
al telefono, ad esempio), adesso è la parola che viene
soppiantata dallimmagine in tempo reale. Lilletteralismo
conseguente, e una sorta di analfabetismo derivato da questo
fenomeno, rivela una profonda mancanza di socialità,
perlomeno di una socialità sensata e spontanea che non
va confusa con una imposta e massificata.
Scrive giustamente Paul Virilio: Dopo la cancellazione
brutale della moltitudine dei dialetti delle tribù e
della famiglie, a vantaggio del linguaggio accademico di nazioni
in piena espansione, ora disimparato a beneficio del vocabolario
globale delle-mail, si può ormai immaginare una
vita planetaria che diventa progressivamente una storia senza
parole, un film muto, un romanzo senza autore, dei comics senza
fumetto (Paul Virilio, La bomba informatica, Milano,
Raffaello Cortina, 2000).
Sempre più non vi è comunicazione diretta tra
gli esseri umani ma mediata da tecnologie che stanno progressivamente
prendendo il sopravvento sulluomo trasformando il mezzo
in fine a tutto vantaggio dellincomunicabilità.
In fin dei conti anche le e-mail, che hanno cancellato la corrispondenza
epistolare, hanno consumato quella possibilità di calore
che accompagnava la scrittura della penna.
Ma lincomunicabilità tra gli uomini è ancora
più profonda perché i tempi, le modalità,
le ritualità della nuova comunicazione si riflettono
immancabilmente anche nel modo e nella sostanza della comunicazione
diretta tra due o più persone.
Uomini e donne, bambini e anziani, sempre più connessi
ma sempre più soli. Certamente questa solitudine diffusa,
propria di una società massificata, omologata, standardizzata
qual è la nostra, rivela la natura esclusiva e alienante
dellattuale comunicazione tra gli esseri umani.
Quante volte capita, nel nostro quotidiano procedere, di saltare
ed eludere compiutamente ogni comunicazione, nel senso di non
cogliere appieno ciò che laltro ci vuole esplicitamente,
ma anche implicitamente, far sapere. Troppo presi come siamo
dal nostro egocentrismo esasperato, o dai nostri interessi manifesti,
oppure dalla paura di essere toccati nelle nostre insicurezze
o nelle nostre ansie, ascoltiamo solo con ludito e mutiliamo
tutte le altre forme di relazione. In fin dei conti comunicare
vuol dire svelare, aprire le tante porte chiuse
a doppio o triplo mandato, che proteggono le nostre verità.
Uscire dalla cultura del sospetto
Le corazze e i paletti, che spesso uneducazione autoritaria
e repressiva ha allestito per conto di unideologia di
dominio, funzionano da schermi e da protezioni contro la rivelazione
del proprio essere che non siamo mai stati preparati ad accettare
serenamente fino in fondo. Il prototipo di uomo o di donna che
dobbiamo essere per poter convivere con lattuale gerarchia
di valori sociali, ci impedisce realmente di cercare noi stessi
attraverso la vera comunicazione con gli altri. Non vi può
essere vero incontro senza comunicazione, non vi può
essere vera comunicazione senza incontro.
Per poter rivelare se stessi ad altri è però necessario
uscire dalla cultura del sospetto, dalla paura del giudizio,
saper ascoltare con empatia e con disponibilità, saper
accettare fino in fondo e compiutamente non solo le rassicuranti
parole ma anche le più difficili caratteristiche dellaltro,
soprattutto quelle che riescono a destabilizzare le nostre certezze.
Capita spesso, credo a molti di noi, di avere degli a-priori,
dei pre-giudizi, che indubbiamente ostacolano una possibile
comunicazione. Questi sono purtroppo inevitabili ma non sono
impossibili da analizzare ed anche da sradicare (a meno che
non siano voluti e deliberatamente accettati).
In fin dei conti ogni forma di dominio si nutre di forza e violenza
ma anche di rassegnazione e di solitudine forzata. Se lindividuo
rompe lo schema ideologico del Potere, della gerarchia, del
ruolo, può, pur riconoscendo ed accettando la diversità,
cercare leguaglianza.
Vi è una comunicazione che pretende di essere a senso
unico (ladulto e il bambino, il capo e il subalterno,
ecc.) perché riconosce come ineluttabile la gerarchia
e la superiorità di qualcuno nei confronti di qualcun
altro.
Ma ve ne può essere anche una che riconosce nel rapporto
egualitario la vera natura e la condizione indispensabile perché
avvenga lincontro, che è lo scopo più autentico
della comunicazione stessa. Naturalmente i tratti e i ritmi
del potere (la velocità, la discriminazione, la gerarchia,
ecc.) non possono permettere questi incontri di empatie comuni,
ma necessitano di dipendenza, di subalternità, di obbedienza.
Ecco che praticare questa profonda e vera comunicazione, allargare
gli spazi e i tempi in cui essa possa essere vissuta, di fatto
significa sovvertire le forme prevalenti attraverso le quali
la logica del dominio si incunea nella psiche e nel comportamento
degli uomini e delle donne.
Ma vi è anche una prevalenza della comunicazione propria
della razionalità del neo-scientismo, vale a dire la
forma verbale e quella iconica, che soffoca e impedisce altre
forme di comunicazione che mettono in gioco linguaggi non verbali
liberati però da forme occulte (ma non troppo) di condizionamento.
Relazione autentica e pienamente libera
Non vi può essere una forma privilegiata di rivelazione
del proprio essere nella relazione dincontro, perché
la diversità naturale, bene sempre più prezioso
da tutelare, non può contemplare gerarchie predefinite.
Linguaggi verbali, corporei, emozionali, prassici, immaginativi,
non possono essere gerarchizzati né, tantomeno, usati
sempre consapevolmente. Sta infatti a chi diventa linterlocutore
saperli cogliere e decifrare. Non vi può essere vera
comunicazione se non vi è vero ascolto.
Il valore sociale e le implicazioni concrete che una diversa
e più autentica forma di comunicazione porta con sé,
non sono mai abbastanza prese in considerazione. Rompere lo
schema gerarchico delle relazioni umane a vantaggio di un rapporto
egualitario è infatti indispensabile per poter costruire
fin da subito unalternativa concreta e visibile nei comportamenti
umani.
Imparare a comunicare profondamente con le persone con le quali
entriamo in relazione le distoglie da stereotipi imposti e le
disorienta offrendo spazi e tempi di profonda empatia e libertà.
È importante nel comunicare svelare fino in fondo se
stessi, scoprire le proprie debolezze, rappresentarsi per quello
che si è, ma soprattutto creare le condizioni perché
laltro possa trovare liberamente i tempi del suo rivelarsi.
I modi del nostro comunicare rappresentano il simbolico del
nostro essere e limmaginario collettivo si nutre anche
di forme codificate e imposte di relazione e comunicazione.
Nellinevitabile processo di liberazione del nostro immaginario
dominante intraprendere forme e modi diversi, perché
liberi e autonomi, di comunicare, diventa una condizione essenziale
per sovvertire lordine e la forma del dominio e del potere.
Ma soprattutto diventa una necessità per riappropriarsi
di una relazione autentica e pienamente libera e vera di cui
abbiamo necessità per fondare un mondo diverso.
Francesco Codello
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