Il cervello di Passannante
Leggerlo è un piacere. Ascoltarlo ancor più.
Soprattutto se è proprio lui, lautore, sornione
e caustico potentino a recitarlo. Sì perché,
ciò di cui stiamo recensendo non è soltanto un
libro (Ulderico Pesce, Linnaffiatore del cervello di
Passannante. Lanarchico che tentò di uccidere Umberto
I di Savoia, PianetaLibro Editori, Possidente (PZ), pp.
59, € 5,00.) che ha la grazia di un racconto sussurrato
e gridato al contempo, ma ancor più è
una sceneggiatura, una pièce teatrale, ed in modo particolare
un monito a far presto, a non più sopportare linfamia,
il sopruso, loffesa. E lui, Ulderico Pesce, un attore/autore
che presta la sua poetica per far sì che il ricordo sia
il motore di una pacifica, ma ferma, protesta. Quella di dare,
finalmente, degna sepoltura al cranio e al cervello dellanarchico
lucano, Giovanni Passannante, che la sera del 17 novembre del
1878, a Napoli, attentò alla vita di Umberto I di Savoia,
e che imprigionato sino alla fine dei suoi giorni, fu in seguito
decapitato così da porre in bella mostra nel museo
criminologico di polizia a Roma, costo dellingresso 2,00
euro (sic!) il cranio e il cervello di chi ebbe
il coraggio e lavventatezza di farla pagare al Re dItalia
per tutti i soprusi e le vessazioni contro i diseredati.
Ulderico
Pesce
Protagonista del racconto è Mariuccio,
di professione carabiniere come i tanti del Sud Italia alla
ricerca del posto sicuro senza porsi alcun perché e nessun
ma, il quale dopo una breve e disastrosa esperienza per le strade
e le piazze del settentrione impegnato più a schivare
che a dar botte e manganellate da ogni dove viene definitivamente
trasferito a Roma con il compito di fare la guardia alle bacheche
e agli strumenti di tortura del Museo di Polizia, in via Gonfalone
al 29. Cosi tra la «Gabbia di Milazzo» (gabbia di
ferro a forma di uomo che si apre a metà per rinchiudere
il condannato) e la «Vergine di Norimberga» (statua
di legno a forma di donna, apribile e contenente punte di chiodi
da entrambi i lati), il nostro si trova occupato ad innaffiare
il cervello di Passannante ogni qual volta la formalina che
lo conserva nella teca scende di livello.
Finché un giorno proprio «quel» giorno
della visita del Presidente Ciampi col Guardasigilli Castelli
la sua vita cambia
e per merito di Giovanni Passannante.
O meglio: del suo cervello. Beh
non esattamente
piuttosto
grazie al suo cervello
e soprattutto allamorevole
interesse di Lucia splendida creatura che impressionata
dal veder così da vicino ciò che rimane di un
uomo, colpevole di aver graffiato la chiappa al Re con un temperino
dalla lama di quattro dita, dimentica lì appresso le
carte del suo lavoro su Giovanni Passannante.
Siamo allantivigilia di Natale. La mattina seguente la
famiglia Savoia sarebbe andata a far visita a Giovanni Paolo
II, preludio del loro prossimo rientro dallesilio in Italia.
Quella notte che come «quel» giorno cambiò
la vita al carabiniere lucano Mariuccio non dormì.
Lesse le «carte di Lucia» che raccontavano la vita
del giovane anarchico, di sua madre e dei suoi fratelli che
come lui furono rinchiusi in manicomio, umiliati, torturati
fino alla morte. No! Per Giovanni anche dopo; costretto
il suo cervello a restare sotto formalina per esser osservato,
rimirato, soppesato quale pezzo unico della macabra galleria
del museo di polizia. Con tanto di guardia, preposta ad innaffiarlo
alla bisogna. Poteva continuare, Mariuccio, dopo aver conosciuto
Passannante grazie alle «carte di Lucia», e dopo
aver conosciuto Lucia grazie al «cervello di Passannante»?
Il «crescendo» del racconto lo affidiamo ai lettori.
A noi basti riportare a chiare lettere il sito dellautore
www.uldericopesce.com
e con lautore (che per chi non lo sapesse ha lavorato
come attore e aiuto regista con Luca Ronconi, Giorgio Albertazzi,
Gabriele Lavia, Carmelo Bene e altri) farci promotori di un
gesto di umana civiltà e cultura, esigendo che Giovanni
Passannante abbia degna sepoltura al suo paese, il cui cartello
stradale non riporta il suo antico nome Salvia ,
ma Savoia di Lucania, a dimostrazione di un affronto che ormai
è giusto cancellare per sempre.
I Savoia non si preoccupino. Ad ucciderli ci ha già pensato
la Storia.
Benjamin Atman
American Nightmare
A chi non è mai capitato di trascorrere parte del proprio
tempo a tratteggiare tra loro i punti numerati di un gioco enigmistico
la cui soluzione è alla fine svelata attraverso
il contorno della figura precedentemente ipostatizzata? Ebbene,
la lettura del libro di Sbancor (uno pseudonimo dietro il quale
si cela un noto e stimato esperto di finanza internazionale,
di cui solo pochi conoscono lidentità) American
Nightmare (Incubo americano), Nuovi Mondi Media, Bologna
2003, pp. 176, € 12,00, è del tutto simile a questo
gioco, tanto è vero che alla fine della lettura il disegno
che compare è un incubo. Precisamente un incubo americano:
American Nightmare.
Ma vi è di più. Nel redigere il proprio lavoro
lautore stesso si presta con impegno a unire collegando
tra loro aspetti e situazioni casuali i contorni di uno
scenario geopolitico internazionale che tra i suoi punti figura
anche il numero 11. Quellundici settembre
2001 che se per alcuni ha segnato una data storica a partire
dalla quale niente sarà più come prima,
per Sbancor rappresenta al contrario levento
storico da cui tutto sarà più di prima.
O, per meglio dire, la conferma che quello che è successo
prima dellundici settembre 2001 non solo ha reso possibile
e necessario lattentato terroristico alle Twin Towers
di Manhattan, ma ne ha determinato il suo prosieguo in Afganistan,
in Iraq e prossimamente in Iran.
Certo: Sbancor non svela nessun retroscena che già non
sia stato reso noto e divulgato attraverso Internet ed altri
libri di questo tenore. Che lundici settembre sia da considerarsi
un colpo di Stato interno allAmministrazione Bush, più
che un attentato terroristico compiuto dallorganizzazione
di bin Laden, altri lo hanno supposto; non ultimo Maurizio Blondet,
inviato speciale per il Giornale Nuovo e attualmente
per Avvenire, tanto da intitolare il suo ultimo
libro Colpo di Stato in USA. Ugualmente la guerra
in Afganistan, per la sua repentinità con la quale è
stata preparata, ha immediatamente fatto ricordare gli interessi
nel tracciare nuove pipe-line per far affluire il petrolio del
Caspio, scavalcando la regione del Golfo senza per questo utilizzare
gli oleodotti russi, al punto da considerare la lotta al governo
talebano di Kabul un tassello del wargame a suo tempo
immaginato da Samuel Huntington, Zbigniev Brzezinsky, e da quella
vecchia volpe di Henry Kissinger. E che dire poi di bin Laden,
agente segreto in forza alla CIA?
Allora perché American Nightmare fa la differenza
rispetto allinnumerevole mole di informazioni, che è
possibile reperire sulla Rete, su ciò che è realmente
accaduto e sta realmente accadendo? Bene lo ha espresso Valerio
Evangelisti nella prefazione al libro: «Sbancor è
una straordinaria macchina della memoria o, se vogliamo usare
un esempio più pittoresco, il guardiano di uno di quei
pannelli su cui, negli uffici o in qualche scuola, vengono fissati
gli appunti con puntine da disegno. Normalmente, dei più
ingialliti tra quegli appunti ci si scorda. Sbancor invece li
ha tutti presenti e, quando occorre, interviene ad illustrarcene
una possibile coerenza.»
La coerenza, di cui parla Evangelisti, non è altro che
la capacità di costruire uno scenario nel quale gli avvenimenti
tra loro sparsi hanno una consequenzialità.
Così la brutale repressione poliziesca avvenuta a Genova
durante i giorni del convegno del G8, non è tanto frutto
di inesperienza e impreparazione nel tenere la piazza,
ma una strategia pianificata a tavolino tra gli agenti dellantisommossa
della L.A.P.S. (la Polizia di Los Angeles: I you remember Rodney
King) e i nostri del Tuscania, sì proprio
gli stessi carabinieri che in Somalia, in Bosnia, in Kosovo
hanno dato prova di perizia e competenza collegando gli elettrodi
ai genitali di presunti terroristi. Per non parlare della stretta
correlazione tra interventi militari e ripresa delleconomia
americana, così stretta da mettere in serio dubbio il
fatto che la Grande depressione fu effettivamente
risolta grazie al Welfare keynesiano, e non piuttosto dallintervento
americano nella Seconda guerra mondiale, in una coerente logica
di Warfare che in seguito determinò ad
ogni crisi di sovrapproduzione la guerra in Corea, nel
Vietnam, in Afganistan ed ora (e per il momento) in Iraq. E
in tutto questo il petrolio, la cui variabile esplicativa
del suo prezzo non è certo il rapporto tra domanda e
offerta, quanto piuttosto la Storia: quella degli imperi europei
prima e quella dellimpero americano
poi , da sempre proiettata al dominio ed al controllo
dei giacimenti minerari e delle risorse energetiche.
Perché se la Storia sono gli uomini a farla, il più
delle volte come insegna Sbancor essa diventa
un incubo quando gli uomini, per farla, devono farsi ammazzare.
Benjamin Atman
La voce di dio parla
in assenza
Come compendiare tre libri in un titolo che ne
rispetti la dissonanza e la risonanza?
Perché i libri, rivelando loriginalità da
cui irradiano, sono ed è bene che in tal modo
si mantengano e li si riconosca sempre diversi tra loro
e sempre aperti allaltra proposta.
La filigrana che li accomuna, nel caso a me presente, è
la loro autorialità. Ne sono autrici due donne e un gruppo
di donne della comunità filosofica Diotima.
Usciti a breve distanza luno dallaltro i libri lasciano
circolare ricchezza da cui ho attinto lelemento, intrinseco
ed estrinseco al contempo, dellautorialità: testi
infatti dellesperienza femminile a beneficio gratuito
del mondo, piccolo e grande, della cultura e del sé.
Cè sempre una dose di emozione intorno allattesa
e alla sorte di questi doni scritti, che scrivono cose vere,
che comunicano parti di verità senza obbligo di condivisione,
lontani e vicini proprio come i doni gratuiti.
Dire elemento nel tessuto di queste opere è per
non saper dire linvisibile traccia che si lascia intravedere
soltanto dalle apparenze.
Passione, raffinata accurata libera come la passione alla fonte
dellanima creativa, viene rimandata dalle tre scritture
alla lettura. Passioni interdette, ma non proibite, nellesplicitazione
discorsiva agiscono, aprendo panorami simbolici traducibili
a quella umana e precaria misura che tende a librarsi oltre
il mondo già dato, pur facendone parte.
La voce di Dio parla in assenza mi sembra sufficientemente
adatto ad articolare insieme filosofia della narrazione, politica
della parola e teologia sorgiva che i tre libri contengono:
ognuna inverata dallamore per la verità e per le
sue finzioni, secondo andature diverse e comuni tratti sotterranei.
Il Dio delle donne di Luisa Muraro (Mondadori, Febbraio
2003) testimonia il senso di una ricerca, sulla mistica in lingua
materna, a partire da sé; Approfittare dellassenza,
saggio collettaneo di Diotima (Liguori, Luglio 2002),
inscrive lagente invisibile a posizione politica e A
più voci di Adriana Cavarero (Feltrinelli, Gennaio
2003) rilancia la mediazione del corpo sullespressività
vocale, sottaciuta e tacitata dalla storia del pensiero.
Tra i non facili passaggi che compongono il libro di Muraro
si fa luce un sentire-pensare vicino ai luoghi della (mia) memoria,
mai però coincidente nella storia delle esperienze. Si
tratta di qualcosa, sentito-pensato, alla radice dellessere
e riguardante le costruzioni fatte per le mediazioni tra sé
e laltro da sé quando quelle, da leve necessarie
per far presa sulla realtà, ostacolano il lasciar «semplicemente
che altro possa avvenire sul filo dellamore e della contingenza
storica».
Da qui una storia che, della mistica in lingua materna, fa pensiero
di libertà nella differenza sessuale. Scrive Muraro:
«Ma a questa stregua, cioè senza apparati, senza
legge, senza poteri costituiti, la cosa non durava, non poteva
durare, è lobiezione. Quante volte mi è
capitato di riascoltarla, da quando ho scoperto la politica
delle donne, che non si organizza, non ha rappresentanti, non
mira al potere, agisce per contagio, si affida, non separa,
sopporta limpotenza, cura le relazioni. Non può
durare. Suppongo che sia vero, ma cè un altro
modo di essere nella storia, che non ha bisogno di durare, un
esserci come possibilità di essere che comincia».
Quale guadagno maggiore ricevere da un libro dove il discorso
ragionante dellautrice illumina un tratto della mia stessa
esperienza? Quella dellimpresa sulla strada anarchica,
nella differenza che ha per me: ossessionata e libera dallinvasiva
ideologia che restringe la vita sulle etichette. Del resto il
nome anarchia è quanto di meno definente
abbia offerto e possa offrire lassodato linguaggio, falsamente
neutro, al mio senso politico avvalorato, oggi, dal riconoscimento
che lessere io una donna non è più indifferente.
Quale superiore politica si riversa da un insegnamento che smuove
lo sguardo, che dice essere ciascuna e ciascuno il seme che
radica larea pubblica delle relazioni?
Senza enfatizzarlo, il silenzio di chi si sottrae, si astiene
e si congeda dai luoghi canonici del potere costituito non è
soltanto letto come il risultato scontato di unestromissione
imposta o come un insuccesso delle aspirazioni. Esso regge anche
una strategia di libertà che non può non sortire
altri effetti, che non può non fare mondo.
Dio è una risposta o una domanda al mistero? Il Dio
delle donne induce a esserLo, a dirLo anche nei limiti del
silenzio; sollecita ma non forza, orienta senza obbligare, riconosce
e non ha bisogno di dimostrare; non ha intenti edificatori né
elogiativi. Fa spazio, lascia aperta la domanda, anche quella
teologica, dove si possono diramare altre vie di scampo per
la dicibilità della propria esperienza.
Con la sua scrittura piana e distesa, ma pensosamente accesa
e appassionata, il testo rimanda limmagine di una spiaggia,
la cui desolata mancanza, patisce lessere accolita del
mare.
Sulla scena politica dischiusa dal libro di Diotima
Approfittare dellassenza, la mancanza si profila
condizione libera di tradurre amore nellesperienza di
vita. Al di qua di una testimonianza di fede, è la fiducia
del sapere damore a esporre la parola sul riflesso del
pensiero.
Come si può pensare lesperienza ineffabile dellamore
sul palcoscenico della politica?
Si può (e non importa tanto come)
invita a dire, attraverso il testo e il contesto del libro,
la politica delle donne i cui punti di avvistamento sulla
tradizione come il sottotitolo segnala non
sono ingombrati da progetti prefissati rispetto alla contestualità
delle pratiche. I punti di avvistamento non prevedono astrazioni
procedurali a discapito della contingenza viva del presente;
riguardano, per loro parte, le effettive condizioni di esistenza,
la sostanza delle relazioni umane piuttosto che le direttive
etiche che debbano durare nel tempo come valori
assoluti.
«Ho fiducia che il tessuto di relazioni e di parola tra
donne, anche tra donne di diverse età ed esperienze[
]
porti a riconoscere il filo di continuità con antiche
e meno antiche pratiche femminili che in autonomia hanno saputo
creare civiltà di rapporti e nuovi sguardi sul mondo»-
afferma Anna Maria Piussi nel suo scritto Sulla fiducia,
appunto.
Approfittare dellassenza significa, nellinsieme
dei singoli contributi, la potenza simbolica del disfare.
Annarosa Buttarelli scrive su un fare di Tabula rasa
fuori dalla «tradizione testuale che si arrovella a riprecisare
o distruggere i canoni con relative iperboli critiche e autocritiche[
]
Una tabula rasa che scarta le forme distruttive segnalate dallo
schema mitico e sostanzialmente patriarcale per cui il figlio
deve uccidere il padre, deve far meglio del padre, per conquistare
il proprio spazio».
La tabula rasa cui allude Buttarelli quale attenta lettrice
dellopera di Carla Lonzi viene rintracciata nelle
pieghe dellagire politico e nella storia delle donne.
Essa rappresenta una scaturigine di lavoro interiore, alimentata
dal coraggio per cui una donna crea orizzonti di
libertà decostruendo lidentità data, al
suo essere già qualcosa o qualcuno ed essere, di fatto,
in un movimento di trasformazione. La pratica damore e
lamore della pratica dispiegano un universo di tuttaltro
mondo da quello dove la tabula rasa coincide con
lo schema logico del nichilismo.
La vocazione politica del corpo Adriana Cavarero lha già
esposta con grande maestria e curata con forza damore
nei suoi lavori filosofici. Basti ricordare fra gli altri il
libro Corpo in figure.
La ricerca si è fatta ancor più sapiente e chiara
nel suo recente saggio di filosofia dellespressione
vocale intitolato A più voci.
«Il primato della voce rispetto alla parola, o se si vuole,
la voce inarticolata sta allinizio di molte culture che
riconducono, in vario modo, alla sfera acustica la presenza
del divino» si legge nelle prime pagine. Spaziando
con colto e raffinato linguaggio dai racconti
di Calvino ai dialoghi di Platone, dai canti aedici dellepica
greca alla filosofia di Derrida, dalla lettura biblica di Lévinas
alle performance caraibiche di Edward Kamau Brathwaite,
Cavarero rintraccia, nel suono peculiare della voce, la filigrana
politica dellunicità nella moltitudine,
che fa di ogni essere umano un essere irripetibile.
Estromessa dal logos filosofico, la voce rimanda effetti non
indifferenti sullessere, stare e fare mondo, come lautrice
sottolinea, interloquendo nel suo excursus sia con
la filosofia politica di Arendt, sia con le linee di contributo
psicanalitico alle teorie del linguaggio. Da quella che la linguista
Hélène Cixous chiama la lingualatte e da
quanto la semiologa Julia Kristeva, rivisitando la chora
materna, considera la rivoluzione del linguaggio poetico
affiorano le linee di un ordine simbolico, nel quale il suono
della voce fa sapere più di quel che il semantico tenti
di codificare controllando il significato.
Per una politica delle voci la terza parte che
compone lo studio di Cavarero viene dischiuso, oltre
la risonanza della parola che fa Eco al già detto, un
comunicarsi delle voci in base al quale «secondo Arendt
la parola non diventa politica per via delle cose della comunità
che è capace di significare, bensì per lautorivelazione
di chi, qualsiasi siano i contenuti specifici del suo discorso,
parlando esprime e comunica se stesso, la sua connaturata unicità».
In questa dimensione Cavarero prosegue: «La valenza politica
del significare si sposta quindi dalla parola e dal linguaggio
come sistema della significazione ai parlanti. Questi
non sono politici per quel che dicono, ma perché lo dicono
ad altri che condividono uno spazio interattivo di reciproca
esposizione». In altri termini la politica, di cui Cavarero
mostra il sottile senso profondo, ha luogo ma non è in
nessun luogo. Essa si intesse su una matrice relazionale e sul
desiderio di esistenza simbolica. A cui i tre libri in questione,
frutti del pensiero della differenza sessuale, sanno dar
voce e mondo.
Nessuno di essi ha la pretesa di dare risposta a domanda che
impone soluzioni a lei implicite, a conferma del già
dato. E neppure descrive scenari utopici a futura realizzazione,
a conferma del così sarà. Ogni testo
però sporge verso mondi possibili, verso cose di altro
mondo che è già qui e ora, necessariamente invisibile.
Se il libro di Muraro rivela la domanda su e/o di Dio,
dalla quale si può anche sorvolare - alla presenza di
altre donne, quello di Cavarero pone la necessità di
unaltra domanda indagatrice, espulsa dal tessuto del discorso
dominante, che dia conto nei termini della peculiare corporeità.
Infine il volume collettaneo di Diotima gioca sui
confini di unaffascinante tautologia. Proietta il luogo
della risposta verso larea della domanda.
I tre libri offrono altrettante perle di preziosità,
risorte dal mare insondabile del pensiero e della parola ed
attestano, con le loro differenti andature autoriali, che lamore
dirige una bizzarra amministrazione: quel che spende guadagna.
Monica Cerutti Giorgi
Un giallo come
si deve
Potrei suggerire al lettore di leggere il capitolo finale di
questo libro (Marco Sommariva, Vorompatra, Sicilia Punto
L, pp. 176, € 8,00) e scoprire dun tratto tutte le
risposte che invano cercherà di scorgere nelle centosettanta
pagine colme di insidie e diversivi che lo precedono. Perché
questo è un giallo come si deve, costruito con
abilità geometrica, disseminato di tasselli senza collocazione,
che solo in quel capitolo ritrovano un loro ordine. Ma questo
è un film visto per la prima volta, e la sorpresa fa
parte del gioco cui gli amanti della lettura, i cultori della
letteratura, sono invitati a partecipare, consumando il romanzo
per intero, godendone tutte le misture, di modo che larrivo
allultima pagina abbia il sapore vero e genuino dellultimo
sorso di una bevanda fresca e desiderata sotto il cocente sole
di un mezzogiorno afoso di un luglio qualsiasi.
Il mal di vivere disseminato sin dalle prime righe, le caricature
dipinte con pennellate quasi distratte ma sicure, il susseguirsi
di scene e sequenze in continuo frenetico movimento, la fotografia
di paesaggi mutanti, di città e di ambienti esterni ed
interni rappresentati nel loro squallore o nella loro imbarazzante
normalità, fanno da sfondo allenigmatico vorompatra
che affiora finalmente a un certo punto della narrazione, dopo
che già dal titolo si è insinuato con tutta la
sua penetrante curiosità nella testa di chi legge.
Vorompatra è un giallo più un mistero,
è un romanzo esistenziale e un saggio di sociologia della
resistenza umana nellepoca del neoliberismo.
Qui Sommariva che già avevamo avuto occasione di conoscere
con Il cristallo di quarzo, batte ogni record personale
e riesce a riproporci i suoi quadri grigi e i suoi tristi personaggi,
ancora più rafforzati nel profondo del loro grigiore
e nella loro tristezza, pur in presenza di giornate estive che
avrebbero dovuto essere solari e abbagliare di luce le pagine
del libro. La forza descrittiva è così marcata
da mandare allaria gli schemi, da condizionare ogni logica
e trascinarci tutti nel vortice della narrazione.
Pippo Gurrieri
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