Questa estate, lo hanno detto
praticamente tutti, Berlusconi è stato un disastro. Ha
inaugurato lagognato semestre europeo con una delle peggiori
magre della storia diplomatica del continente e da quel momento
non è stato più lui. Bastava guardarlo in televisione,
le rare volte in cui è vi comparso: annoiato, imbolsito,
invecchiato, lontano le mille miglia dalla figura scattante
e trasudante carisma che aveva caratterizzato, appena tre anni
fa, la campagna elettorale, costretto a subire il protagonismo
di fastidiosi leader alleati e lirriverente schiamazzo
dei politici minori dello schieramento di cui avrebbe dovuto,
in teoria, essere lindiscusso padre padrone. E mentre
i sondaggi scricchiolavano pericolosamente e persino gli esponenti
dellUlivo si azzardavano ad alzare la cresta quel
tanto di cresta, almeno, di cui potevano disporre il
poveraccio non riusciva neanche a trovare il coraggio necessario
per affrontare la minaccia di una contestazione di basso profilo
allArena di Verona (anche se in questa ultima circostanza
può aver giocato una certa sua personale ripugnanza per
qualsiasi genere di opera lirica). Nemmeno i bei giorni di sciambola
a Portorotondo con lamico Putin, così desolatamente
privi, nello splendore della coreografia, di qualsiasi risvolto
politico degno di nota, sono serviti a ridare lustro a unimmagine
che a parecchi osservatori è apparsa definitivamente
offuscata. Cosicché, piano piano, è cominciato
a circolare, nei circoli di sinistra, una specie di dissennato
ottimismo. Il centro destra va a ruota libera, il governo è
allo sbando, Bossi non smette di straparlare, la gente seria
non ne può più e lo stesso Berlusconi, basta guardarlo,
è finito. Ancora una spintarella e vedrete che al prossimo
turno ce lo toglieremo dai piedi una volta per tutte.
Il pericolo Berlusconi
Non vorrei rovinare la festa a nessuno (né credo di
avere lautorevolezza per farlo) ma ho come il sospetto
che questo stato danimo più diffuso a sinistra
di quanto non si abbia, forse per scaramanzia, il coraggio di
ammettere sia una prova in più di quanto venga
sottovalutato, nel nostro allegro paese, il pericolo che Berlusconi
e i suoi rappresentano per la democrazia. Perché è
vero che limmagine mediatica del personaggio si è,
in un certo qual modo, appannata, che lo schieramento politico
che gli sta alle spalle non appare più così monolitico
come una volta e che il governo che presiede dimostra, soprattutto
nella gestione ordinaria, un livello dinefficienza inconsueto
persino per gli standard nazionali, ma è anche vero che,
a rifletterci un poco, il progetto politico del berlusconismo
risulta tuttaltro che impantanato. A me sembra, anzi,
che stia facendo dei passi in avanti decisivi. Che la situazione
che sta creando nel paese stia diventando progressivamente irreversibile.
Per quanto ridicolo possa sembrare un progetto di grande
riforma istituzionale preparato da quattro saggi
sconosciuti, rinchiusi in una baita alpina per ridisegnare la
struttura dello stato tra una polenta e una grigliata, il fatto
che quel progetto sia stato presentato (e, naturalmente, che
sia stato accolto dallopposizione con il solito coro di
distinguo piuttosto futili, per non dire dei vedremo,
dei si può fare, dei perché
no? e compagnia bella) rappresenta, per la democrazia
italiana, uno dei passi più pericolosi che abbia affrontato.
La sinistra, si sa, è ossessionata da Berlusconi, ma
forse non lo ha mai preso davvero sul serio. Tutti, compreso
chi scrive, abbiamo sempre pensato che le contraddizioni dellindividuo
fossero davvero troppe per permettergli di durare, che il fatto
stesso del suo avvento al potere fosse una specie di scherzo,
una delle non rare manifestazioni di quel destino cinico
e baro cui la politica italiana è sempre lieta
di addebitare gli eventi che non ha saputo prevedere, e come
tale fosse destinato a venire corretto, comera daltronde
avvenuto nel 94, dallinevitabile imporsi di una
razionalità politica seria. Non era proprio
possibile credere alla dimensione politica di uno che proclamava,
negli anni 90 del XX secolo, di essere sceso in
campo per salvare lItalia dal comunismo, che si
era inventato un partito riciclando i quadri di una sua azienda,
che aveva messo insieme, ideologicamente parlando, il diavolo
e lacqua santa, affiancando lultrafederalismo nordista
della Lega al vecchio centralismo burocratico a base meridionale
che caratterizzava i postfascisti. Uno che da un lato si presentava
come il rinnovatore del quadro politico passato (della cui rovina,
oggettivamente, beneficiava) e, dallaltro, pretendeva
di raccoglierne leredità morale e ideologica. Un
ex protegé del craxismo che ammetteva senza falsi pudori
di essere mosso da interessi personali e patrimoniali (
volevano
distruggermi
) ed esigeva che in tal senso, se necessario,
si legiferasse, ma non rinunciava, per questo, ad ammantarsi
degli improbabili panni del grande statista e a rivendicare
a gran voce la capacità di dar lustro al paese sul piano
internazionale. Limpressionante consenso che lo accompagnava
non poteva che esser frutto di un equivoco (lincapacità
della maggioranza dellelettorato di comprendere la rilevanza
del conflitto di interessi) e, in ultima analisi, di un inganno:
quello rappresentato dalluso improprio del potere mediatico
a fini di propaganda.
Interesse personale
Tutto questo, sintende, è abbastanza vero. Il
potere delluomo di Arcore è ideologicamente contraddittorio,
viziato dallinteresse personale e fondato, in definitiva,
sullesercizio di un quasi monopolio che nessun altro sistema
occidentale si azzarderebbe a riconoscere a un soggetto privato.
Ma quello del consenso che lo accompagna è, probabilmente,
un altro discorso e il fatto che non lo si sia mai voluto affrontare
spiega il perché da quelle premesse vere si siano tratte
delle conclusioni affatto disastrose, come la convinzione
errata di poter controllare senza difficoltà un
soggetto tanto malmesso, convinzione che è stata alla
base non soltanto della tragicommedia della bicamerale nella
passata legislatura, ma di tutte le batoste tattiche e strategiche
che il centro sinistra ha accumulato nella storia ormai pluriennale
del suo confronto con lo schieramento opposto.
In fondo, lerrore che abbiamo commesso è stato
quello di prendere per buono, in un modo o nellaltro,
quello che Berlusconi diceva di se stesso, di accettare passivamente
la storiella del grande imprenditore che scendeva in politica,
oltre che per risolvere un paio di gravi problemi personali,
per realizzare un ideale, quale che fosse. Non ci siamo resi
conto che quello era soltanto uno schermo narrativo abbastanza
frusto, dietro il quale si celava la ristrutturazione di un
nuovo quadro politico moderato, capace di fare a meno, in nome
dellutile proprio, di quasi tutte le futilità ideologiche
cui la passata storia politica ci aveva abituato. Oggi, se il
federalismo dei devoti di Bossi convive alla grande con la passione
prefettizia dei seguaci di Fini ciò non significa che
gli uni o gli altri siano in qualche modo obnubilati o incapaci
di rendersi conto con chi si siano messi, ma che entrambi hanno
tranquillamente deciso che gli interessi del ceto cui appartengono
esigono, allo stato, la pura e semplice permanenza al potere.
Perché, naturalmente, il problema che interessa veramente
a costoro è quello di ristrutturare il quadro valori
corrente della governabilità, mandando in soffitta una
volta per tutti il vecchio concetto di interesse collettivo,
del tutto superfluo dal punto di vista dei gruppi che oggi esercitano
legemonia sulla struttura produttiva e facendo a meno,
contestualmente, delle pratiche di mediazione politica che in
nome di quel concetto erano, a suo tempo, invalse, e se questo
causa qualche problema con i quadri dellUDC, che nella
cultura di quel tipo di mediazione si riconoscono, poco danno.
Il circo Barnum berlusconiano
Daltronde è noto come lo smantellamento della
grande industria e la crisi della imprenditoria relativa abbiano
lasciato lItalia in mano a una sorta di confederazione
di gruppi di potentati economici e sociali più i meno
parassitari, affatto indifferenti alla dimensione comune, ma
interessati soltanto ad arraffare larraffabile prima dello
scatenarsi di un diluvio sulle cui acque contano di riuscire,
in un modo o nellaltro, a galleggiare. Per portare tranquillamente
a termine questa spoliazione estrema delle risorse del paese,
questa specie di privatizzazione allultimo respiro, quei
gruppi hanno un gran bisogno di un quadro politico molto, ma
molto accomodante, quale può essere, appunto, il circo
Barnum berlusconiano, i cui servizievoli clown hanno
lincarico di eliminare progressivamente, costi quello
che costi in termini dimmagine, i vincoli democratici
e le garanzie giurisdizionali che lasciano ancora alla massa
dei cittadini qualche modesta voce in capitolo. Non per niente
lo schema di riforme istituzionali elaborato dai quattro della
baita ha poco a che fare, checché se ne sia detto, con
il federalismo, ma prevede il rafforzamento a oltranza dellesecutivo
e lo smantellamento sostanziale delle poche istituzioni di controllo
e di contrappeso previste dal sistema costituzionale vigente.
Una volta accentrato il potere in poche mani sicure, ridotto
il parlamento a poco più di una formalità e ricondotta
la magistratura alla tradizionale posizione di subordinazione,
chi li fermerà più?
Quanto al capocomico, probabilmente si annoia. Quella dellesercizio
diuturno delle responsabilità amministrative non è
unattività che possa gratificarlo più di
tanto e per quanto egli si compiaccia di pavoneggiarsi sul piano
internazionale, laver scelto da subito come, peraltro,
gran parte dei governanti italiani dal dopoguerra in poi
il partito di asservire il paese alla superpotenza di riferimento
non gli garantisce che un ruolo, appunto, servile. Probabilmente
ambisce a qualche funzione in cui possa brillare senza impegolarsi
nelle bassure della politica corrente e il non riuscire a ritagliarsi
un ruolo di questo tipo un po lo intristisce. Ma questi,
naturalmente, sono problemi suoi. Il problema nostro, purtroppo,
non è quello di spiare ansiosamente gli indizi del suo
disincanto, ma quello di affrontare come possiamo la situazione
di degenerazione democratica cui si è ridotto il paese.
Sperando di non aver ancora raggiunto il punto di non ritorno.
Carlo Oliva
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