In un saggio intitolato Platone,
la storia e gli storici (1), Pierre Vidal-Naquet, dopo
aver categoricamente affermato di essere uno storico, e non
un filosofo, mette il dito sulla piaga osservando che la
pochezza di quanto gli storici scrivono sulla filosofia
ha eguale solo nellinsignificanza di quanto i filosofi
scrivono sullambiente storico delle opere che studiano.
Già Aristotele, il primo storico della filosofia visto
che Platone delinea quadri cronologici impossibili per non dire
che presenta il mito di Atlantide come una storia vera, rifiuta
di collocare questa cosiddetta storia nel suo racconto
della storia di Atene. Sarebbe allora il caso di inserire,
nella storia, la filosofia. E Vidal-Naquet sottolinea
in quanto tale, non questa o quella filosofia.
Di opinione opposta, Giovanni Reale, che in un recente saggio
dedicato a Socrate prende come riferimento Kierkegaard, secondo
cui i filosofi hanno molti pensieri che, tutti, valgono
fino a un certo punto, mentre Socrate (2) ne ha
uno solo, ma assoluto e che avrebbe cambiato la
storia spirituale dellOccidente. Socrate, tuttavia,
come è noto non ha lasciato scritti. Le nostre informazioni
sul suo pensiero provengono principalmente dai resoconti, in
parte discordanti, attribuiti a Platone e a Senofonte, oltre
che dalle commedie di Aristofane. Secondo Reale, per dirimere
ogni controversia sarebbe decisivo il fatto che Senofonte
non è un filosofo, e, di conseguenza, quello che
riferisce andrebbe valutato alla luce del resoconto di Platone.
Reale si appella così ad Heidegger, affermando che la
storia della filosofia non è affare della storiografia,
ma della filosofia. E citando la frase per ben due volte
nel suo libro commenta: laffermazione è,
a nostro avviso, esatta e incontestabile.
Vidal-Naquet, peraltro, già nella conclusione del saggio
di cui sopra, abbassa la cresta rassegnandosi allidea
che praticare la storia della filosofia, per uno storico,
significa accettare il gioco difficile, ma inevitabile, che
consiste nellessere filosofo con i filosofi; e,
tuttavia, prima di deporre le armi della sua critica, ha un
ultimo impulso ribelle. Dichiara che occorre andare oltre,
accostare ciò che ancora non è stato accostato,
mettere in serie ciò che non è mai stato messo
in serie, mostrare la fragilità ideologica di ciò
che è stato considerato scienza, distruggere le certezze
ostentate, cercare il rovescio delle carte, insomma svolgere
il ruolo che in ogni tempo è stato proprio dello storico:
il ruolo del traditore. Con il che, però, la sua
situazione si è fatta critica, e quasi tragica, per cui
largomento sembrerebbe chiuso per la massima soddisfazione
di Heidegger: chi tocca la filosofia muore, o quantomeno perde
la dignità di probo intellettuale.
Fatto sta che lo storico deve avere dei criteri di scelta, prima
ancora che di valutazione, del proprio oggetto, qualunque esso
sia. Anche chi, come Ostrogorsky per fare un esempio, scrive
la storia dellimpero bizantino, deve fare
i conti con il fatto che il termine sorgerà molto
dopo, e i veri bizantini non lo conoscevano,
considerandosi piuttosto romani nel senso
che gli imperatori continuarono a pensare a se stessi come discendenti
dei Cesari e ad accampare, perciò, quelli che ritenevano
essere i loro diritti (3). Voglio dire che, nel
caso della filosofia, questo criterio manca, e per questo la
tesi di Vidal-Naquet incontra un ostacolo apparentemente insormontabile.
Non tutti i filosofi sono uguali
Manca, si potrebbe dire, il paradigma della filosofia, o, anche,
la sua matrice disciplinare. E, tuttavia, anche il criterio
di Heidegger si rivela inutilizzabile visto che i filosofi
(comunque individuati) non sono mai stati daccordo su
cosa intendono per filosofia, come ammette esplicitamente,
per esempio, Gianni Vattimo quando afferma che ogni sistema
filosofico comincia, in un certo modo, con una ridefinizione
dellessenza della filosofia, o come ammette implicitamente
Richard Rorty, quando afferma che filosofia è tutto
ciò che facciamo noi professori di filosofia, nei dipartimenti
di filosofia. Le testimonianze di un Senofonte o di un
Aristofane, riguardo alla posizione di un Socrate sembrerebbero,
di conseguenza, valere in linea di principio esattamente quanto
i racconti di un Platone. Di questa situazione, un punto di
vista libertario sembrerebbe poter gioire; ognuno
pensi e dica quello che gli pare, ognuno dia alla parola filosofia
i significati che vuole, e si ritroverà, comunque, onorato
del titolo di filosofo, e anche di storico
della filosofia. Che pacchia.
Presto ci si rende conto però che non tutti i filosofi
sono uguali; o, meglio, chissà perché, alcuni
filosofi sono più filosofi degli altri.
La storia della filosofia, secondo Nicola Abbagnano, muove
dalla convinzione che nulla di umano è estraneo alla
filosofia e che anzi questa è luomo stesso, che
si fa problema a se stesso e cerca le ragioni e il fondamento
dellessere che è suo. I filosofi sarebbero,
di conseguenza, uomini solidalmente legati da una comune
ricerca. E, tuttavia, sempre per Abbagnano, una
filosofia non ha valore in quanto suscita laccordo formale
di un certo numero di persone su determinate dottrine, ma solo
in quanto suscita ed ispira negli altri quella ricerca che li
conduce a trovare ognuno la propria via. In conclusione,
guarda caso ancora Platone e non Abbagnano stesso, o, Dio ce
ne scampi, sua sorella, una donna, risulterebbe la più
alta personalità filosofica di tutti i tempi.
A questo punto non sarà inutile accennare al fatto che
del problema di Atlantide, luogo mitologico inventato da Platone,
si occupavano assiduamente gli studiosi nazisti e Himmler in
persona. Non sarà inutile ricordare che lideologia
dei rivoluzionari francesi del 1789 prevedeva che Socrate stesse
dalla parte della ragione e quindi della verità;
basti pensare che in occasione della loro festa dedicata allEssere
supremo essi cantavano, sulle note della Marsigliese,
Premier principe, être suprême / Dieu de
Socrate et de Platon / ô toi do le pouvoir extrême
/ fit léléphant et le ciron (Primo
principio, Essere supremo / Dio di Socrate e di Platone / o
tu il cui potere supremo / fece lelefante e la pulce).
Che, una statua già eretta per santa Scolastica divenne
allora la statua della Filosofia, e che si diffuse
persino lesigenza di aggiungere al proprio patronimico
il nome di Socrate tanto che si rese necessaria
una discussione in merito nella massima sede politica dove Danton,
tuttavia, ritenne opportuno frenare gli entusiasmi, argomentando
che ora che i santi sono stati sloggiati dal paradiso,
è legittimo che non ci si voglia più chiamare
Giorgio o Pietro, ma è stravagante voler prendere i nomi
dei più grandi uomini dellantichità, quando
non si hanno le loro virtù.
Ecco che il filosofo, quello vero, sarebbe un uomo virtuoso.
Ma vediamo in che senso. Socrate ateniese, si faceva beffe dellidea
che un artigiano o un commerciante, ma non un nobile proprietario
terriero, prendessero decisioni politiche. Passava le sue giornate
a discutere, in privato e in pubblico, con tutti,
ma non usufruì mai del suo diritto a parlare in assemblea.
Disprezzava i sofisti, termine che designava, allepoca,
insegnanti rispettati e retribuiti, e utilizzati per meglio
difendersi personalmente come era obbligatorio
davanti allassemblea riunita in sede giudiziaria, nonché
per confezionare proposte politiche o legislative. Si contrapponeva
ai sofisti, come filosofo, ironizzando tuttavia
sul fatto che nessuno, nemmeno lui stesso, sapeva niente
non essendo nemmeno certo che si potesse imparare qualcosa da
altri.
Al teatro, veniva abbondantemente dileggiato per i suoi discorsi
sconclusionati, nonché per la sua posizione di rilievo
nella cricca degli aristocratici filo-spartani ma quando
i due colpi di stato del 411 a.C. e del 404 rovesciarono la
democrazia, questa cricca divenne concretamente pericolosa per
il demos. Fu condannato a morte dallassemblea,
sulla base di accuse formulate contro di lui da Anito, che era
una figura di primo piano fra i democratici (e perciò
reduce dallesilio) accuse che, purtroppo, non ci
sono state tramandate con precisione. La difesa postuma, opera
dei suoi allievi Platone e Senofonte, sostiene peraltro che
avrebbe potuto ottenere una pena pecuniaria di 30 mine, che
Platone stesso gli offrì, se solo si fosse degnato di
proporre una pena alternativa, come ogni imputato poteva fare
(si votava due volte, prima sulla colpevolezza o meno e poi
eventualmente sulla pena adeguata); e, soprattutto, se avesse
mostrato rispetto per lassemblea, invece di insultarla
ripetutamente e di pretendere da essa la considerazione spettante
a un eroe nazionale come ricompensa per i suoi discorsi filosofici
(per questo la maggioranza favorevole alla pena di morte fu
nettamente superiore a quella favorevole alla condanna).
Nellarringa difensiva, comunque, si guardò bene
dal chiamare in causa la libertà di pensiero e di parola,
sostenendo, al contrario, che il sacro oracolo di Delfi gli
aveva assegnato il compito di trasmettere la sua superiore conoscenza
agli ateniesi. Il suo insegnamento in materia politica era,
verosimilmente, che colui che sa deve governare,
e gli altri obbedire (come ci riferisce Senofonte). Difficile
vedere in Socrate un martire del libero pensiero. Arduo vedere
nella filosofia ai suoi albori lespressione di unesigenza
democratica. Sembrerebbe, piuttosto, una parte organica della
reazione contraria al demos, che teorizza il governo
tecnico dei filosofi educati nelle famiglie aristocratiche,
non dai sofisti che fu poi reso celebre da Platone e
che ancora oggi ci affligge vestito da presunzioni di sapere
che, se messe alla corda, invocano sempre la filosofia come
fonte suprema della loro legittimità.
Socrate fu obbligato al suicidio, e del macabro episodio rimane
traccia in ogni coscienza democratica, nonostante il fatto che
ad Atene, allepoca, per ogni cittadino si contavano in
media quattro schiavi, e che a quanto dice lo stesso Platone
una via di fuga gli fosse stata di fatto lasciata anche dopo
la condanna a morte. Altri filosofi sono usciti male dalla lotta
per il potere. Ma rimane il fatto che una certa libertà
di filosofare vale solo per alcuni. Per gli altri, invece, lospedale
psichiatrico è unalternativa molto più realistica,
anche se i discorsi possono essere esattamente gli stessi. Per
questo motivo, a chi preme la propria e laltrui libertà,
conviene starsene fuori dal gioco, seguire lindicazione
di Vidal-Naquet dandosi da fare per dotarsi di un criterio di
analisi esterno alla filosofia, che sia in grado di rendere
conto della sua genesi di strumento ideologico particolarmente
duttile e perciò funzionale a qualsiasi tipo di potere.
La denuncia di Bakunin
Non è un caso se in molti nel corso della storia culturale
del movimento operaio, in senso lato, hanno provato a indicare
una via duscita dalla caverna di Platone, ma che non conduca
al Sole di Icaro, subendo tuttavia il contagio del virus mentale
del potere, di cui non sono riusciti a individuare il codice
genetico, che si trova proprio nella pratica della filosofia
in quanto tale. Bakunin, per esempio, denuncia chiaramente la
filosofia, e le presunte scienze che ne derivano come politica,
storia ed economia, sostanzialmente falsificate;
ma poi, non avendo ben chiari i confini della filosofia stessa,
salva la sociologia di Auguste Comte, che sarebbe
basata sulla analisi accurata dei fatti e sulla pura ragione
come lo sarebbero le scienze naturali, pur respingendone
con decisione laspirazione a strumento di governo della
società degli umani. Paul Feyerabend, invece, ha parlato
di anarchismo epistemologico, dice, forse un po
per scherzo e forse davvero, al fine di liberare la gente
dalla tirannia imposta da ottenebratori filosofici e concetti
astratti come verità, realtà,
o obiettività, apparentemente senza
rendersi conto che la distinzione fra concetti astratti e concreti
è proprio uno dei capisaldi della filosofia
Affrontando questi temi in La funzione ideologica delle
teorie della conoscenza, Felice Accame (4) ricostruisce,
fra molte altre, la vicenda umana e il pensiero di Silvio Ceccato,
in rapporto al contesto culturale in cui la prima si è
svolta e il secondo ha preso forma, risalendo attraverso di
essa alla matrice ideologica della filosofia e dei rapporti
umani che ne conseguono.
La pretesa di formulare una teoria della conoscenza,
che fallisce perché luso del verbo è irriducibilmente
metaforico facendo riferimento a un rapporto di adeguatezza
delle idee soggettive alla realtà oggettiva,
anziché alla ripetizione di costrutti mentali da parte
di qualcuno, resiste tuttavia alle denunce del fallimento grazie
alla sua funzionalità per chi comanda. Impostata in questo
modo, la questione della filosofia, del potere e della rivoluzione
coinvolge anche persone apparentemente insospettabili,
come il premio Nobel per la fisica Percy William Bridgman, secondo
cui una concezione metafisica della natura dello Stato
non può uscire indenne dallanalisi della natura
delle operazioni che in concreto nelle diverse situazioni danno
significato alle affermazioni relative allo Stato, e altrettanto
ne consegue per la Società, concepita come una
specie di superpersonalità, con dei diritti e un valore
superiore a quelli degli individui che la compongono.
Francesco Ranci
Note:
1. Pierre Vidal-Naquet, La democrazia greca nellimmaginario
dei moderni, Il Saggiatore, Milano, 1996.
2. Giovanni Reale, Socrate. Alla scoperta della sapienza
umana, Rizzoli, Milano, 2000.
3. Georg Ostrogorsky, Storia dellimpero bizantino,
Einaudi, Torino, 1993.
4. Felice Accame, La funzione ideologica delle teorie della
conoscenza, Spirali, Milano, 2002.
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