11 settembre. Ci sono occasioni
in cui il mero rincorrersi di un luogo, di un nome, di un profumo,
di una data assume un sapore particolare che va al di là
della, pur casuale, coincidenza. È come incontrare qualcuno
con cui non si aveva appuntamento e rendersi conto che lappuntamento
cera, eccome, proprio a quellangolo di strada, proprio
a quellora. Una sorta di magia dei numeri che da meri
contabili del nostro tempo si mutano talora nelle insegne luminose
che lo significano.
L11 settembre del 2001, quando due aerei si schiantarono
contro le Torri gemelle di New York, abbattendole, a molti,
credo, il pensiero andò ad un altro 11 settembre. Immagini
di altri aerei che bombardavano un palazzo emersero dalla memoria,
una memoria in bianco e nero, meno spettacolarmente rappresentata,
ma non meno viva delle scene terrificanti che la televisione
trasmetteva in diretta dagli Stati Uniti. Era l11 settembre
del 1973 nellaltra metà dellAmerica, nel
giardino privato degli USA: il palazzo era la Moneda, la sede
del governo a Santiago del Cile, dove il presidente, il socialista
Salvador Allende, trovò la morte. Poi la repressione
passò nelle immense poblaciones della periferia della
capitale cilena, i quartieri della zona sud, dove il popolo
delle baracche aveva occupato terre e case in muratura. Quel
popolo, cui il governo non aveva voluto consegnare le armi,
resistette per un paio di settimane con poche vecchie pistole.
Nel quartiere «La Legua», dove le prime occupazioni
di terre risalivano agli anni 50, la gente combatté
a lungo. I militari golpisti dovettero impiegare due divisioni
con aerei e carri armati per piegare la tenace disperazione
di chi lottava per la propria vita, per la propria dignità.
Alla fine, in quel solo quartiere le vittime saranno oltre 400.
Le immagini dello stadio nazionale di Santiago trasformato in
un campo di concentramento fecero il giro del mondo, suscitando
rabbia ed indignazione. Ma la repressione non si fermò:
nello stadio e nelle decine di luoghi di detenzione sparsi per
il paese, migliaia di persone vennero imprigionate, torturate,
uccise. Di molti di loro non si conosce neppure la sepoltura,
perché, semplicemente, scomparvero. Il termine «desaparecido»
entrò allora nel nostro vocabolario e vi rimase stabilmente
nei lunghi anni in cui loperazione «Condor»,
promossa dagli Stati Uniti, insanguinò lintera
America Latina.
Gendarmi internazionali
11 settembre. Quando, dopo la tragedia delle Twin Towers, il
governo statunitense intraprese la sua guerra infinita contro
il cosiddetto «terrorismo internazionale», una formula,
che labbiamo presto capito, serve a definire chiunque
non sia allineato nella difesa degli interessi degli Stati Uniti,
in molti pensammo al Cile, allArgentina, ai mille sud
del mondo disciplinati a forza dalla più grande «democrazia»
del mondo. Gli USA sono gli inventori di una neolingua tra le
più efficaci, tale da rendere penosamente infantili i
più oscuri incubi orwelliani. In questa lingua la guerra
è pace, lattacco è difesa. Gendarmi internazionali
autonominati hanno violato tutte le norme, sia etiche che politiche,
in difesa delle quali proclamano di battersi. La lotta contro
il «terrorismo internazionale», giustifica laggressione
allAfghanistan e quella allIraq, lesautoramento
di quel pur risibile ambito di mediazione politica rappresentato
dallONU, le detenzioni extragiudiziali, i campi di concentramento,
la tortura.
Niente di nuovo sotto il sole. In Argentina, i militari genocidi
benedetti da Washington e dal Vaticano, perpetrarono crimini
orrendi in nome di quella che, per un qualche senso di pudicizia,
venne definita la «guerra sporca contro il
terrorismo». In quella guerra vennero inghiottite 30.000
persone. Nel Cile del «Condor nero» la repressione
avvenne alla luce del sole, senza infingimenti, con larrogante
consapevolezza di essere sullo stesso carro dei padroni del
mondo e di godere, quindi, della più assoluta impunità.
Il caudillo di Santiago venne ricevuto con tutti gli onori dal
primo ministro inglese di allora, Margaret Thatcher, e ricevette
la visita privata del papa. I peggiori crimini, se compiuti
dalla parte dei vincitori sono sempre giustificati. Non vi è
mai stata una Norimberga per i generali vittoriosi.
11 settembre 1973 - 11 settembre 2003
Sono trascorsi trentanni dai giorni terribili in cui
la furia dei militari golpisti si abbatté sul popolo
cileno. Lesercizio della memoria ci riporta a quei giorni,
allira, allindignazione, alla rabbia. Ed, infine,
semplicemente al dolore. Quegli eventi si impressero indelebilmente
nel DNA di una generazione di compagni. E mutarono anche la
nostra storia. La tragedia cilena indusse Enrico Berlinguer,
il segretario del Partito Comunista, a portare alle estreme
conseguenze la realpolitik togliattiana. Berlinguer passò
dallaccettazione delle regole di un gioco segnato dalla
divisione del mondo in due blocchi, o, in termini più
eufemistici, «aree di influenza» al perseguimento
dellalleanza con lavversario per poter giungere
senza rischi al potere. Il fallimento della cosiddetta via democratica
al socialismo anziché indurre una riflessione sullirriformabilità
dellistituito portò alla sua accettazione tout
court. Così gli avversari si trasformarono in possibili
alleati e la sinistra statalista, pur senza nulla perdere delle
proprie caratteristiche autoritarie, tagliò le radici
che la legavano ai movimenti di emancipazione sociale. In nome
del realismo, del senso di responsabilità il bambino
venne annegato nellacqua sporca.
In una recente intervista, Urbano, un anarchico cileno esule
nel nostro paese sin dal 1974, ricorda come il governo Allende,
anziché armare il popolo si adoperò per disarmarlo.
La «Ley Maldida» per il controllo sul possesso di
armi, promulgata pochi mesi prima del golpe per bloccare i gruppi
fascisti che attaccavano i quartieri popolari, venne invece
usata dallesercito per togliere le armi alla gente che
occupava fabbriche, case, terre, che autogestiva la distribuzione
di derrate alimentari.
Questa, nella concezione del segretario comunista e dei suoi
attuali apologeti, era gente irresponsabile incapace di comprendere
il senso della storia e di adattarvisi.
Per nostra fortuna sono ancora molti, nei vari angoli del pianeta
a non voler essere realisti, a considerare desiderabile e possibile
un altro mondo.
6
settembre, manifestazione anarchica a La Spezia nel trentennale
del colpo di stato in Cile
Giornata desaparecida
Nello striscione di apertura della manifestazione del 6 settembre
a La Spezia, organizzata nel trentennale del golpe dal Comitato
Lavoratori Cileni in esilio e dagli anarchici del Coordinamento
ligure e piemontese e di Carrara, era scritto «11 settembre
1973 - 11 settembre 2003: trentanni di terrorismo degli
stati».
In quella giornata, desaparecida sui media di governo come su
quelli di opposizione, la memoria di ieri, la volontà
di mantenerla viva per le nuove generazioni, si è saldata
con le lotte di oggi, con lopposizione al militarismo,
alla guerra, alle politiche predatorie del WTO.
La memoria collettiva, non diversamente da quella individuale,
non è un deposito ordinato con tanti cassetti e scomparti.
La memoria è come un grosso cesto in cui sono ammonticchiate
alla rinfusa tante cose diverse: alcune restano sommerse, altre
emergono a tratti, altre infine sono sempre in cima alla piglia,
ben presenti. Ciò che emerge come ciò che resta
sepolto è frutto di scelta. La memoria è una facoltà
activa, il suo dispiegarsi appartiene alla dimensione dellagire
e non è mera narrazione chiusa in se stessa.
Ed allora vorrei dimenticare l11 settembre: quello del
1973 come quello del 2001.
Vorrei invece ricordare limmenso sforzo di lotta, autogestione
popolare in atto in Cile in quel 1973.
Vorrei che tutti ricordassimo come tra il 1999 ed il 2001 si
siano sviluppati su scala planetaria movimenti di opposizione
capaci di gettare potenti fasci di luce sulla devastante ferocia
del capitalismo e degli stati.
Vorrei che la memoria del dolore non si mutasse inesorabilmente
nel dolore della memoria.
Maria Matteo
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