Negli anni Settanta girava tra
i lavoratori una bella vignetta: un gruppo di operai in lotta
si trovano davanti a un unico palazzo con due porte. In una
cè scritto padroni e in quellaltra
sindacato.
Gli operai si guardano perplessi e preoccupati domandandosi
«con chi dobbiamo trattare per primo?»
Mai come oggi la realtà che viviamo corrisponde al messaggio
della vignetta descritta.
Chi oggi difende i diritti delle classi più deboli? E
chi li attacca?
Se alla prima domanda possiamo rispondere che solo i lavoratori
stessi, autonomamente, possono difendersi (creando, in un contesto
sempre più difficile e complesso, nuove forme di conflittualità
e dautorganizzazione di base), per il secondo quesito
lunica risposta certa ce la dà la nostra vignetta
col suo palazzo a due porte.
Neoliberismo antipopolare
Un padronato sempre più aggressivo e arrogante detta
ormai le sue leggi senza trovare ostacoli servendosi di uno
stato che, nelle sue varianti che si sono succedute al potere
(destra e sinistra, o se volete centrodestra e centrosinistra),
persegue ununica linea economica e politica neoliberista
ed antipopolare: privatizzazioni, utilizzo della forza lavoro
nella forma usa (cioè sfrutta) e getta, fine del posto
garantito e precarietà diffusa, cancellazione progressiva
dei diritti rimasti, repressione del dissenso (quando questo
è reale e non è solo finzione mediatica).
Se sul terreno delle pensioni (tentativo di innalzare letà
pensionabile), sullo scippo delle liquidazioni e sulla cancellazione
dei diritti governo e padronato giocheranno fin dallautunno
le loro pesanti carte, è sulla questione del mercato
del lavoro che lattacco ha già centrato il suo
bersaglio.
La recente «Legge Delega» (Biagi) sul lavoro, approvata
dalla maggioranza di destra, ha accelerato infatti un processo
già in atto dai tempi dellUlivo al potere. Fine
generalizzata del rapporto di lavoro garantito e a tempo indeterminato,
precariato diffuso (nelle mille forme di sfruttamento inventate:
«lavoro in affitto», «lavoro a progetto»,
«lavoro a chiamata» e «job sharing»
cioè lavoro diviso: due lavoratori con un solo misero
salario) e quindi fine dei diritti e sparizione dei contratti
nazionali.
Se nel nuovo processo, con la fine del collocamento, anche il
sindacato «ufficiale» (vedi «Patto per lItalia»)
diventa centro di potere «istituzionale» (mafioso
e clientelare) per lo smistamento delle assunzioni, altri grandi
guadagni avvengono attraverso le agenzie interinali, un caporalato
legalizzato (nuovi schiavi?) che vede in prima fila anche agenzie
ricollegabili finanziariamente e politicamente allarea
dei partiti del centrosinistra e dei sindacati confederali.
Non è un caso che mentre urlava contro larticolo
18, la stessa CGIL ricompattava il fronte con CISL e UIL nella
firma dei nuovi contratti nazionali interinali (che dureranno
quattro anni).
Chiarire il ruolo attuale della CGIL è indispensabile
per capire poi chi difende chi e chi attacca chi. La tanto sbandierata
«verniciata» conflittuale e pacifista di questo
sindacato è solo un plateale inganno per convogliare
consensi. La linea concertativa (che oggi non ha affatto abbandonato)
infatti ha caratterizzato la storia recente di quella stessa
dirigenza cgiellina che «temporaneamente» attua
alcuni «distinguo» alla politica governativa dovuti
esclusivamente alla presenza di un esecutivo di centro-destra
e non certo a un reale rifiuto delle manovre antipopolari in
atto. Gli stessi attacchi ai diritti dei lavoratori (su pensione,
occupazione, contratti, leggi truffa, repressione violenta dellopposizione)
perpetuati dal precedente governo di centrosinistra hanno visto
la CGIL non solo tacere e cercare di imbavagliare il dissenso,
ma favorire apertamente tali manovre ricavandone rappresentatività
e potere politico ed economico.
Il consenso della CGIL alla guerra di Serbia
La stessa questione della guerra merita di essere ricordata.
Nel 1999 la CGIL (al pari degli altri sindacati confederali
ma certamente con più determinazione) approvò
e agevolò laggressione degli Stati Uniti (del «democratico»
Clinton) e dellItalia dellUlivo contro la popolazione
della Federazione Jugoslava. Mentre lItalia veniva trasformata
in unimmensa portaerei e le ONLUS organizzavano i loro
nuovi profitti (sotto forma di «aiuti umanitari»
e di progetti per la ricostruzione), la CGIL si dava un gran
daffare sia per impedire scioperi generali contro la guerra
sia per bloccare e reprimere ogni iniziativa dei lavoratori
in favore della pace.
Il consenso, e se vogliamo la partecipazione diretta (attraverso
il controllo sul mondo del lavoro) della CGIL ai massacri di
civili, ai bombardamenti di Belgrado (compiuti anche dagli aerei
di DAlema) è una realtà storica che è
impossibile negare o minimizzare e che non deve essere cancellata
(così come invece si cerca di fare) dalla memoria di
questo paese.
Alla luce di questi fatti la «svolta» della CGIL
di oggi, fatta di bandiere arcobaleno e di tentativi di prendere
la testa del movimento per la pace, ci appaiono in tutta la
loro squallida strumentalità.
Il finto pacifismo attuale è venuto bene alla luce quando,
nel corso dellattacco statunitense allIraq, la CGIL
fece rapida marcia indietro rifiutandosi di proclamare una giornata
di sciopero generale (e di premere nella Confederazione Sindacale
Europea per uno sciopero internazionale contro la guerra che
certamente avrebbe avuto il suo peso nel mondo).
Lo sciopero generale del Sindacalismo di Base, fu invece proclamato
da CUB/RdB, USI-AIT, Confederazione Cobas, Slai Cobas e SinCobas)
e condotto, con discreto successo, il 2 aprile 2003.
In un contesto in cui senza ombra di dubbio, in Italia come
in Europa, si è saldato unasse potente tra padroni,
governi, sindacati e signori della guerra il ruolo di un sindacalismo
diverso, assembleare, di classe e conflittuale, diventa elemento
indispensabile per poter difendere i diritti dei più
deboli.
Non possiamo nasconderci che in Italia il Sindacalismo di Base
(così come eravamo abituati a conoscerlo) sta vivendo
una stagione complessa, caratterizzata da percorsi e scelte
molto diverse, tanto da mettere spesso in crisi (vedi scioperi
contro la guerra) quellUnità in passato raggiunta
(almeno da una parte delle sigle esistenti) e che tanto positiva
è stata per le lotte dei lavoratori.
Senza condizionamenti né compromessi
Se da una parte infatti la CUB si sta attrezzando a divenire
un sindacato di tutto rispetto (modello CGIL anni cinquanta)
sacrificando, come spesso avviene in questi casi, sempre più
democrazia interna in favore dellefficienza e di strutture
«di servizio», dallaltra altre componenti
storiche come la Confederazione Cobas (ma anche il SinCobas)
rifiutano la definizione di essere «sindacati di base»
presentandosi come nuovi (o vecchi, a voi la scelta) «soggetti
politici» legati spesso ai carrozzoni dei Social Forum,
a componenti partitiche o comunque a vertici politici. Da qui
a intravedere lo scivolamento istituzional-partitico di tali
componenti, il passo è breve. Il tutto pesantemente condizionato
da una «rincorsa» (che spesso diventa vera sudditanza)
al mito di una CGIL a cui si lascia troppo spesso campo libero
per dirigere lotte su tematiche nazionali a tutto discapito
dellautorganizzazione dei lavoratori stessi.
In questo panorama lUSI-AIT, cresciuta numericamente e
rafforzatasi territorialmente, corre la sua strada senza condizionamenti
né compromessi, cercando percorsi unitari quando questi
sono possibili e portando avanti, oltre alla conflittualità
sindacale quotidiana (sono di questi mesi lotte durissime condotte
dai Sindacati Autogestiti USI Sanità negli ospedali milanesi
del San Paolo, del San Raffaele, al Pio Albergo Trivulzio, ecc.)
una ricerca costante di contenuti autogestionari capaci di produrre
quella trasformazione sociale e rivoluzionaria che è
propria dellanarcosindacalismo.
In un mondo dove non sai se ti colpirà prima il padrone,
il governo o il sindacato-istituzione, dove il militarismo penetra
nel tuo stesso posto di lavoro e nel tuo quartiere sporcando
tutto con una dilagante cultura della guerra e delle morte,
non vi sono alternative alla radicalizzazione dello scontro
di classe col sempre maggiore utilizzo delle forme proprie dellazione
diretta.
Su questa strada si va avanti e chissà se un giorno gli
operai della vignetta riusciranno a buttare giù il palazzo
del padrone e del sindacato iniziando un nuovo percorso di pace
e di libertà.
Gianfranco Careri
(Segretario nazionale dellUSI-AIT)
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