Changes in forms of work and
of community and domestic life must be understood and planned
in relation to each other» [(«I cambiamenti nelle
forme di lavoro e di comunità e di vita domestica devono
essere interpretati e pianificati in relazione fra di loro»)
International Network for Urban Research and Action, Principi
dellINURA, 1991].
«
Dobbiamo restituire alla città le sue
funzioni materne e vitali, le attività autonome e le
associazioni simbiotiche che per lungo tempo sono state trascurate
o soffocate. Essa, infatti, dovrebbe essere un organo damore,
e la migliore economia urbana è la cura e la cultura
degli uomini» [(Lewis Munford, La città nella
storia. Dalla corte alla città invisibile, III volume,
Bompiani, Milano, 1977, pag. 711 (ed. originale 1961)].
«
The best that I can offer is an invitation to
a conversation about the hard work of tangible social transformation
that has as its objective the construction of a far more egalitarian,
openly democratic and creatively transformative society than
that is evident today, coupled with the analytic recognition
that this cannot be achieved within the existing social framework
of production, consumption and urbanisation
» [(«
Il
meglio che posso offrire è un invito ad una discussione
sul duro lavoro di una trasformazione sociale concreta che ha
come suo obiettivo la costruzione di una società ben
più egualitaria, apertamente democratica e creativamente
trasformatrice, di quanto sia oggi, insieme al riconoscimento
analitico che questo non può essere ottenuto allinterno
della struttura sociale esistente di produzione, consumo ed
urbanizzazione
») Harvey, 1999:270].
Lo scopo dei movimenti di emancipazione is to rearrange
relations of power and to bring a society into being that lives
at peace with itself and its environment, in which subalternity
has been eradicated, and which is striving for always greater
justice, care and community. In the movement toward such society,
there must be a joining of feminist and planning epistemologies
and practice [(«è di riorganizzare le relazioni
di potere e di creare una società che viva in pace con
sé stessa e il suo ambiente, in cui la subalternità
sia sradicata, e che si sforzi di ottenere una sempre maggiore
giustizia, cura e comunità. Nel muoversi verso questa
società, ci deve essere ununione fra le epistemologie
e le pratiche femministe e della pianificazione») Friedmann,1992:43].
«
Stiamo costruendo alternative, utilizzando modi
creativi per promuoverle. Stiamo costruendo unampia alleanza
a partire dalle nostre lotte e dalla resistenza a un sistema
che è fondato sul patriarcato, il razzismo e la violenza,
che privilegia gli interessi del capitale sui bisogni e le aspirazioni
dei popoli
» (2° punto delle Carta di Porto Alegre
2002).
Questo contributo si pone nellambito della discussione
interna ai movimenti sociali e di quella relativa alla proposta
di Carta dei nuovi municipi elaborata dal Laboratorio per la
progettazione ecologica degli insediamenti coordinato da Alberto
Magnaghi e del Cantiere dei nuovi municipi.
Produrre e riprodurre
Oggi, nellambito delle pratiche e delle teorie per il
«nuovo mondo in costruzione», il problema di cosa,
come, quanto, dove, per chi e per che cosa produrre è
una questione cruciale, patrimonio di tanti movimenti che hanno
smesso di pensare che il lavoro salariato possa limitarsi a
una posizione puramente rivendicativa, estranea ai fini della
produzione. Tuttavia questa posizione assume un reale valore
per la trasformazione societaria solo se viene messa in relazione
con la riproduzione individuale e sociale: intendendo con questo
termine la produzione e il mantenimento della vita in tutte
le sue espressioni: individuali, sociali, culturali, artistiche
e la cura delle persone.
Una delle forme che la riproduzione ha assunto nelle nostre
società, è il lavoro domestico svolto nel privato,
cioè lattività di mantenimento quotidiano
della casa e cura dei componenti il nucleo familiare, tradizionalmente
delegata alle donne e non retribuita. La riproduzione coinvolge
un insieme di funzioni che sono cruciali per il nostro benessere
e che nelle nostre società sono spesso ancora considerate
acriticamente un compito femminile, come la cura dei bambini,
degli anziani e dei disabili, il sostegno psicologico ed emotivo,
la preparazione di pasti, la pulizia e la gestione dellabitazione,
lassolvimento di compiti amministrativi e burocratici
legati alla casa. Lorganizzazione ed i ritmi del lavoro
retribuito sono strutturati come se ogni lavoratore avesse una
moglie a casa, sebbene il lavoro femminile sia in crescita,
creando contraddizioni sociali che per il momento pesano in
gran parte sulle donne.
Malgrado le attività riproduttive siano essenziali per
ogni società, la teoria economica, ma anche lanalisi
politica, le ha per lungo tempo lasciate in ombra. Privilegiare
nelle analisi e nelle proposte la produzione rispetto alla riproduzione,
ha significato non affrontare lo sfruttamento e le discriminazioni
alle quali sono soggette le donne: una condizione già
presente nelle società pre-industriali, che il capitalismo
nelle sue diverse fasi, compresa quella post-fordista e globalizzata,
ha utilizzato e rifunzionalizzato per il proprio profitto. Tuttavia
spesso anche chi si è occupato di riproduzione ha escluso
in modo ideologico il lavoro domestico dalle sue analisi: la
teoria urbana ricostruita negli anni settanta attorno al concetto
di consumo collettivo, ha incluso i servizi offerti dallo stato
sociale in alcuni contesti, come la casa, il trasporto e i servizi
sanitari che sostengono la riproduzione sociale degli individui,
e non quei beni e servizi offerti nellabitazione attraverso
il lavoro domestico, in modo tale da escludere il ruolo economico
e sociale della famiglia e del patriarcato.
Per molti aspetti lattività riproduttiva è
tuttora invisibile, interpretata come un ruolo naturale femminile,
e non compare nei calcoli economici, se non come sottrazione
di tempo per il lavoro «produttivo» retribuito o
come monetizzazione del tutto teorica, che non mette in discussione
la gratuità e limposizione dei ruoli di genere.
Mentre gestazione e parto, in altri termini la produzione della
vita, sono indubitabilmente una competenza femminile, lattribuzione
alle donne del lavoro domestico è un prodotto di relazioni
sociali patriarcali che in parte permangono ancora nella nostra
società, seppure in modo differenziato in base a classe
e cultura di appartenenza. Questo sfruttamento delle donne,
che ha comportato un notevole risparmio economico per lintera
società, è stato messo profondamente in discussione
dalle trasformazioni sociali generate dai movimenti femministi
negli ultimi 30 anni.
Il lavoro domestico ha acquistato visibilità grazie al
lavoro teorico ed alle rivendicazioni dei movimenti delle donne,
che hanno messo in discussione la sua attribuzione per obbligo
al genere femminile, la sua gratuità e la svalutazione
di cui è stato oggetto. Il femminismo non ha solo criticato
i ruoli di genere eterodiretti ed imposti: ha anche sottolineato
la centralità sociale delle «attività di
produzione e mantenimento della vita» e ha osservato come
la loro invisibilità e sottovalutazione corrispondesse
alla subordinazione delle donne nelle nostre società.
È stato il movimento femminista ad analizzare lo stretto
intreccio fra produzione e riproduzione, fra ruolo delle donne
e sistema economico-sociale, a smascherare i rapporti di potere
propri della famiglia tradizionale e a denunciare i residui
immondi delluso e del controllo patriarcale della capacità
riproduttiva femminile, sancito dalle religioni, con il corpo
delle donne ridotto a contenitore e oggetto.
I cambiamenti nei ruoli di genere e le città
Il movimento delle donne in Italia e allestero ha evidenziato
limportanza della lotta politica relativa agli ambiti
del personale e della riproduzione. Si tratta di
modificare le relazioni sociali e contemporaneamente le strutture
spazio-temporali esistenti.
Gli spazi urbani europeo ed americano, seppure presentino tipologie
edilizie ed organizzazioni spaziali differenti, sono strutturati
principalmente in relazione alla famiglia nucleare, caratterizzata
da ruoli di genere dicotomici, e in particolare dallassegnazione
alle donne del lavoro riproduttivo non retribuito, svalorizzato
e non considerato una vera occupazione quanto piuttosto unattività
«naturale» da svolgersi per amore: le
strutture spazio-temporali e leconomia fanno ancora affidamento
in gran parte sul lavoro riproduttivo non retribuito.
Altre culture ed idee di società, caratterizzate da ipotesi
di una diversa organizzazione della vita quotidiana, si scontrano
con strutture urbane spazio temporali rigide, costruite in base
allipotesi ideologica che i rapporti sociali propri della
famiglia nucleare, fossero gli unici possibili, perché
naturali, e quindi immodificabili. Al contrario
attualmente stanno avvenendo profondi cambiamenti nei ruoli
di genere, che influiscono sul processo di urbanizzazione e
si esprimono in una domanda di servizi alla persona che, in
una situazione di riduzione dello stato sociale, talvolta provocano
lingresso del mercato capitalistico nella loro offerta,
con effetti di esclusione.
Stanno emergendo altri rapporti sociali, rispetto a quelli propri
della famiglia nucleare, che domandano altre strutture e stanno
già trasformando le città quando sono espressi
da soggetti che per il loro reddito richiamano lattenzione
del mercato. Basti pensare ai residence o ai condomini di lusso
per singoli o coppie, con spazi comuni e con servizi di pulizia
inclusi; ai servizi di cura di bambini ed anziani a pagamento;
al lavoro di pulizia a pagamento svolto in gran parte da donne
(spesso immigrate); al sostegno emotivo ricercato negli studi
di psicologi e psicoanalisti; a club privati e palestre; oppure
al mix funzionale che supera la separazione fra quartiere residenziale
e luogo di lavoro, corrispondente ai ruoli dicotomici di maschio
percettore di reddito e donna casalinga, per consentire percorsi
casa-lavoro-servizi più ingarbugliati e disordinati di
quelli prevedibili con la separazione dei compiti.
Le attività riproduttive sono sempre più assolte
attraverso un intricato intreccio fra il diventare merci o servizi
prodotti dal mercato capitalistico e rimanere un compito svolto
per amore o solidarietà. Esiste una contraddizione
fra lingiustizia di un lavoro non retribuito assegnato
dai ruoli di genere dicotomici come un dovere, e il valore,
per alcuni dei compiti riproduttivi, di essere tenuti fuori
dalla razionalità del sistema di produzione capitalistico.
Alcune delle attività riproduttive coinvolgono relazioni
sociali ed attività che per essere pienamente assolte
devono rimanere esterne ai meccanismi del profitto. Contemporaneamente
il cambiamento è frenato dalla consistente riduzione
delle politiche dello stato sociale e dalle politiche volte
a preservare la famiglia, che molto spesso producono
una riaffermazione delle relazioni patriarcali di potere e dei
ruoli di genere.
I movimenti delle donne hanno elaborato numerose proposte di
soluzione e di superamento dei ruoli di genere propri del lavoro
domestico e di cura delle persone, fra cui la riduzione dellorario
di lavoro, con la liberazione di tempo da utilizzare per la
riproduzione, sia per gli uomini che per le donne, oppure una
condivisione del lavoro riproduttivo già sperimentato
in vario modo nelle case collettive, oppure la rivendicazione
di un insieme di servizi sociali che possono essere diffusi
nella città e non situati solo nel raggio del quartiere.
Tuttavia il superamento della discriminazione contro le donne
e dei ruoli di genere stereotipi richiede una ristrutturazione
urbana (spazio-temporale) complessiva che consenta lo sviluppo
di un nuovo tipo di relazioni sociali.
La centralità della riproduzione nel definire progetti
di trasformazione sociale ed urbana risiede nella convinzione
che la produzione ed il mantenimento della vita prevalga per
importanza, nel determinare la qualità dellambiente
costruito, sulla produzione ed il consumo di beni e servizi.
Il lavoro produttivo dovrebbe essere concettualizzato come sostegno
e complemento al lavoro per il mantenimento della vita piuttosto
del contrario (Sandercock, 1990).
Le attività riproduttive sociali, che stanno
a cavallo fra il pubblico e il privato e sono capaci di generare
qualità cruciali per la riqualificazione urbana e territoriale,
vanno riorganizzate in relazione alle modifiche strutturali
subite dalla famiglia nucleare e dai ruoli di genere. Tali attività
sono costrette, in relazione ai mutamenti in corso, a cercare
espletamento oltre lo spazio privato e a ridefinire le proprie
modalità di svolgimento. La contraddizione fra il voler
far emergere alcune di queste attività dallo sfruttamento
del lavoro non retribuito ed il valore sociale consentito dallestraneità
al mercato capitalistico, può essere risolta attraverso
la creazione di una economia non capitalista. Lofferta
di mercato capitalistica non è allaltezza del compito
perché oltre ad essere alienante e spersonalizzata, è
selettiva e discriminante e, privilegiando soprattutto lobiettivo
del profitto, esclude i soggetti non solvibili. A seconda delle
specificità di ognuna delle attività, si può
ipotizzare che lassolvimento di alcune di esse sia condiviso
da tutti i soggetti nel privato, altre è auspicabile
siano autogestite collettivamente, mentre altre è opportuno
siano offerte come servizi erogati dalla società nel
suo complesso.
Il tipo di domanda sociale che emerge oggi, indica la necessità
di costruire reti e strutture spaziotemporali per la socializzazione
e riproduzione che travalichino lo spazio residenziale. I problemi
della riproduzione e della vita quotidiana non possono essere
risolti nel ristretto e limitato spazio abitativo e residenziale:
possiamo immaginare abitazioni per forme di convivenza differenti
dalla famiglia nucleare stereotipa, di cui esistono esempi,
tuttavia è lintera città (e il sistema economico)
a doversi trasformare per accogliere, in modo proprio e collettivo,
funzioni che avvenivano e ancora avvengono nel privato dellalloggio
e flussi di persone che sono sempre meno strutturati dalla dicotomia
dei ruoli di genere. Dobbiamo aprire le nostre aree urbane alla
razionalità delle relazioni sociali che tendono ad avere
una scala più vasta che copre lintera area metropolitana
e talvolta è vasta come il globo.
Pianificazione territoriale e istanze femministe
Secondo Leonie Sandercock (1990) il lavoro teorico sulla pianificazione
deve fondarsi sul bisogno per la produzione ed il mantenimento
della vita piuttosto che sulla produzione e consumo di beni
e servizi (Sandercock,1990:85). Il lavoro che sostiene la vita
svolto dalle donne è intensivo e non retribuito economicamente;
esiste in potenza la possibilità di sviluppare teorie
di pianificazione e di buona forma urbana, dove il lavoro tradizionale
delle donne di mantenimento della vita assuma un ruolo centrale
(Sandercock, 1990:85). Il lavoro produttivo può essere
considerato di supporto e di complemento del lavoro riproduttivo,
più che essere sostenuto da esso. La rivendicazione dellimportanza
di questo tipo di attività non è in alcun modo
legato ad una proposta di mantenimento del compito da parte
delle donne, al contrario esso dovrebbe essere condiviso dai
due generi.
John Friedmann nel delineare gli elementi di una pratica di
pianificazione radicale o di opposizione sostiene che deve iniziare
dal ricentrare la politica della comunità sulleconomia
dei nuclei abitativi (household). Questo permetterebbe ai pianificatori
di fare i conti con lintera economia, che comprende relazioni
sia di mercato che non di mercato, e con la divisione sessuale
del lavoro, spostando lattenzione dal consumo collettivo
alla produzione della vita. Questa prospettiva enfatizza il
bisogno di liberare tempo disponibile dal dominio del privato
alla sfera pubblica. Friedmann rispetto alla economia dei nuclei
abitativi specifica tre compiti della pratica radicale (Friedmann,1987):
decolonizzazione come abbandono del consumismo; democratizzazione
che significa diritti eguali fra adulti nelle decisioni del
nucleo; auto-appropriazione di potere (empowerment) collettiva
che significa che è solo attraverso linterazione
con altri nuclei, specialmente ma non solo a livello di quartiere,
che lappropriazione di potere (empowerment) da parte dei
nuclei è possibile. Friedmann sostiene che il pianificatore
radicale non può lavorare con individui isolati ma deve
lavorare con famiglie e nuclei abitativi in una comunità
politica organizzata. Friedmann in questa proposta è
a giudizio di Sandercock (1990:74) molto in sintonia con le
teorie femministe.
John Friedmann (1992) sottolinea come la dimensione del potere
sia una preoccupazione cruciale della pratica femminista: i
processi emancipatori richiedono unappropriazione di potere
psicologico e politico da parte delle donne situate nelle loro
specifiche situazioni; lemancipazione necessita di essere
guidata da una visione alternativa della buona società
dalla quale il potere di dominare gli altri sia assente, e in
cui differenze ed eguaglianza possano coesistere; perché
lemancipazione abbia successo le abitudini di potere maschili
devono infrangersi, conducendo verso nuovi tipi di nucleo abitativo,
verso un superamento della divisione del lavoro per genere,
verso unorganizzazione sociale che riconosca sia alle
donne che agli uomini una vita autonoma, senza, al tempo stesso
sacrificare quello che condividono fra loro: la vita in famiglia,
in comunità e nello stato (Friedmann,1992:40).
Gilligan (1982;1988) rivendica una conoscenza morale che si
fondi sulla relazione di cura. Questa teorica intende contrastare
con unetica di cura, letica della giustizia, dove
duri giudizi sono statuiti nei riguardi del giusto ed ingiusto.
Secondo Gilligan, le cui conclusioni sono fondate su una ricerca
empirica estensiva, letica di cura che privilegia i modi
contestuali di conoscere e contiene una preferenza implicita
per la solidarietà sulla individualità, è
più tipica delle donne che degli uomini. Questo non implica
lessenzialismo o gli stereotipi perché le differenze
evidenziate sono radicate in una costruzione sociale specifica
di un tempo e di uno spazio. Friedmann è convinto che
Gilligan e le sue collaboratrici contribuiscano alla tradizione
della pianificazione radicale dando voce ai contorni morali
di una buona società in cui unetica
della cura e della solidarietà con le sofferenze degli
altri, attutisca gli impulsi avidi di guadagno delleconomia
individualistica e competitiva (Ruddick,1989; Friedmann, 1992).
Secondo Friedmann quei contorni morali sono parte di una visione
utopica verso la quale dirigere i nostri sforzi (Friedmann:1992:42).
Friedmann (1987; 1992) sottolinea che la tradizione radicale
di pianificazione in tutti i suoi diversi filoni si occupa di
progetti di emancipazione e che è pianificare nella e
per la società civile specialmente in riferimento a quei
settori che sono stati silenziosi e sommersi. Le donne non sono
il solo gruppo cui è stato sottratto il potere: ci sono
i lavoratori, le persone di colore, gli esiliati etnici, i contadini
di sussistenza e tutti loro premono, sebbene non sempre in modo
militante, per la loro liberazione dalla subalternità.
Le lotte che coinvolgono la resistenza di gruppi subalterni
deve essere sostenuta da loro stessi. Lo scopo dei movimenti
di emancipazione is to rearrange relations of power and
to bring a society into being that lives at peace with itself
and its environment, in which subalternity has been eradicated,
and which is striving for always greater justice, care and community.
In the movement toward such society, there must be a joining
of feminist and planning epistemologies and practice («è
di riorganizzare le relazioni di potere e di creare una società
che viva in pace con sé stessa e il suo ambiente, in
cui la subalternità sia sradicata, e che si sforzi di
ottenere una sempre maggiore giustizia, cura e comunità.
Nel muoversi verso questa società, ci deve essere una
unione fra le epistemologie e le pratiche femministe e della
pianificazione») (Friedmann,1992:43).
Cosa produrre e per chi?
Tutto questo ci induce a pensare che il problema di cosa produrre
se messo in relazione con le attività riproduttive apra
delle contraddizioni centrali e offra indicazioni per un cambiamento
sostanziale.
A ben guardare la dicotomia fra produzione e riproduzione ammette
che la produzione non riguardi la risposta ai bisogni e la qualità
della vita di tutti, ma sia piuttosto guidata da altre logiche.
Le lotte degli anni settanta per ottenere la casa, i servizi
sociali (alcuni dei quali andavano nella direzione di socializzare
alcuni compiti del lavoro domestico), i trasporti, per «riprendersi
la città», indicavano come tutto ciò che
non produce profitto, perché risponde a bisogni di soggetti
e gruppi sociali non solvibili o con scarsa capacità
di spesa, è strutturalmente escluso dalla produzione
capitalistica di beni e servizi: valica il confine della produzione
e diventa «riproduzione della forza lavoro» di cui
si deve occupare qualcun altro. Lideale per il sistema
è che il «servizio» sia offerto gratuitamente
come per tanto tempo è avvenuto per il lavoro domestico
assolto dalle donne. Per questo la riproduzione è stata
nel migliore dei casi un compito dello stato sociale, almeno
per quegli aspetti che sono stati inclusi nellofferta
dei servizi pubblici in risposta alle rivendicazioni dei movimenti
sociali. Va osservato che in questo modo lo stato si limita
a consentire che la produzione capitalistica si perpetui malgrado
la sua razionalità antisociale e distruttiva e così
facendo non tocca e non governa la produzione, ma crea le condizioni
perché possa avvenire malgrado essa non risolva i bisogni
sociali fondamentali. Vista da unaltra angolatura si tratta
di una minima ridistribuzione di quanto è stato socialmente
prodotto. Tuttavia oggi perfino le politiche dello stato sociale
sono messe in discussione attraverso le privatizzazioni di servizi,
risorse e beni pubblici, mentre il sistema capitalistico e lorganizzazione
delle aziende, malgrado i loro evidenti limiti, vengono assunti
come modello dagli enti pubblici. Acqua ed energia diventano
le rinnovate fonti del profitto. La fiducia nel neo-liberismo
è tale che vengono addirittura privatizzati settori di
governo della cosa pubblica.
Eppure i limiti del sistema di produzione capitalistico sono
evidenti. Le dinamiche fra domanda ed offerta sono sottoposte
alla condizione di creare profitto, che impedisce strutturalmente
una risposta ai bisogni di tutti. Come spiegare gli enormi costi
sopportati dai produttori di beni e servizi per la pubblicità,
che ci ruba tempo quando guardiamo la televisione o ascoltiamo
la radio e occlude la nostra vista con cartelloni e insegne,
se non con il fatto che non si sta rispondendo ai bisogni di
tutti ma si sta producendo solo per il profitto, al di là
e prima dei nostri bisogni e della nostra creatività?
Basti pensare al ruolo centrale oggi delle produzioni di lusso.
Di fatto troviamo beni e servizi sul mercato che rispondono
ai nostri bisogni, solo a condizione che limpresa produttrice
ne tragga profitto. Le nicchie di mercato sfruttano perfino
invenzioni dalla creatività sociale autogestita per intercettare
sempre nuovi bisogni, basta che paghino. Meglio ancora se la
merce si consuma in fretta come un viaggio, uno spettacolo,
un evento.
Se poi pensiamo chi e come ha prodotto quello che usiamo smascheriamo
la grettezza della produzione capitalista: iper-sfruttamento
della manodopera, distruzione delle risorse di tutti per il
profitto di pochi. I meccanismi della domanda e dellofferta
sono inficiati dalla relazione con la capacità di spesa
che non ha nessuna relazione con leffettivo bisogno. E
che dire delle scarse capacità creative del mercato,
della sua inefficienza, dello spreco e dissipazione di risorse,
di capacità e di creatività che genera sistematicamente?
Invece di andare dritto a quello che dovrebbe essere lo scopo
di una economia, rispondere ai molteplici bisogni sociali in
modo universalistico, il sistema capitalistico dissipa enormi
quantità di risorse collettive e di capacità umane
per lasciare la maggioranza dellumanità nella miseria.
Il nostro problema non è la produzione di ricchezza,
la valorizzazione economica, la crescita e lo sviluppo limitato
solo dalla riproducibilità ambientale, quanto piuttosto
creare una economia non capitalista in grado di offrire beni
e servizi che garantiscano qualità sociale ed ambientale
per tutti, insieme alle condizioni per il libero sviluppo delle
identità di ognuno. E per farlo non si tratta di produrre
dosi di merci e servizi crescenti, dai quali la stragrande maggioranza
degli abitanti del pianeta sono strutturalmente esclusi, ma
di creare le condizioni perché a tutti sia garantito
quello che gli serve per vivere: risorse naturali: acqua, aria,
suolo (non inquinati); beni mobili e immobili, di uso privato
e/o collettivo; infrastrutture e servizi a rete; istruzione,
socialità, cura e solidarietà; le condizioni per
sviluppare la creatività sociale ed individuale di ognuno.
Quanto di quello che ci occorre saranno «servizi»
o «reti di relazione, cura e solidarietà»,
che non lasciano segni tangibili se non il nostro benessere
individuale e collettivo e la nostra felicità, e quanto
beni mobili o immobili, dipenderà dai bisogni, quelli
uguali e quelli differenti, di ognuno, messi in relazione con
le condizioni e i limiti di riproducibilità del territorio
e dellambiente. La qualità ambientale e la riproducibilità
del territorio non sono opposte ai bisogni umani ma sono uno
dei bisogni umani rivendicato da tanti movimenti e comitati:
lottare contro un inceneritore, contro linquinamento elettromagnetico,
contro gli organismi geneticamente modificati, contro la distruzione
e linquinamento ambientale, lottare per un altro mondo
possibile con una altro modo di produrre e riprodurre, significa
avere la consapevolezza che il rispetto dellambiente è
anche il rispetto per la nostra salute, solo chi lucra sullo
sperpero di queste risorse la vede come una limitazione. Non
si può supplire a errori strutturali del sistema di produzione
capitalista, legati al primato del profitto su tutto il resto,
come linquinamento, leffetto serra, la produzione
di residui e di imballaggi non smaltibili, limpronta ecologica
smisurata, la mancata chiusura dei cicli delle acque e dei rifiuti,
generando ulteriori inquinamenti e «protesi tecnologiche»,
come le definisce Magnaghi.
Produrre per riprodurre
Si tratta di ricentrare le attività umane sulla qualità
della vita e sul libero sviluppo delle potenzialità di
ognuno.
Nella «nuova società in costruzione» il lavoro
riproduttivo deve essere socializzato e diventare un lavoro
assunto da tutta la collettività e contemporaneamente
va riconosciuta la sua centralità. Occorre infatti operare
un ribaltamento: la riproduzione non deve più essere
la mera condizione per permettere la produzione di beni e servizi
come avviene nel sistema capitalistico, in cui, semplificando,
il lavoratore/la lavoratrice deve riprodursi cioè mangiare,
dormire, ottenere sostegno affettivo, svagarsi solo nella misura
in cui gli/le serve per poter lavorare il giorno dopo e le donne
devono produrre nuova forza lavoro e spesso occuparsi della
riproduzione del lavoratore. Al contrario il lavoro riproduttivo,
in altre parole la «produzione e il mantenimento della
vita» in tutte le sue espressioni (individuali, sociali,
culturali, artistiche) ed il benessere e la cura delle persone
(fra cui anziani e bambini) dovrebbero assumere un ruolo centrale,
mentre la produzione di beni e servizi dovrebbe assolvere il
compito di sostenere e completare le attività riproduttive.
La produzione di beni e servizi non dovrebbe più essere
guidata dalla possibilità di produrre profitto (che richiede
di rispondere solo ai bisogni di chi è in grado di pagare,
e per esempio privilegia le produzioni di lusso rispetto ad
altre più basilari ma rivolte a chi non è solvibile),
quanto piuttosto realizzare quei beni e servizi necessari alla
vita di tutti.
La riproduzione individuale e sociale è un settore fondamentale
per ogni società. Solo operando questo ribaltamento,
produrre per riprodurre invece di riprodurre per produrre, si
può pensare di costruire una società che ponga
al centro le persone e non le merci. È questo il settore
che andrebbe sensibilmente ampliato in una nuova società.
Contemporaneamente mentre si sottolinea la centralità
di questo settore è necessario affermare che le attività
di cura devono essere assunte da tutti, socialmente, e non più
assegnate in gran parte per obbligo alle donne. I ruoli di genere
legati al lavoro domestico non hanno nulla a che fare con la
differenza di genere. Affrontare il nodo del lavoro domestico
e riproduttivo, svalutato malgrado la sua rilevanza sociale
e non retribuito, ma svolto «per amore», è
un modo per affrontare concretamente le discriminazioni di genere.
Al centro del nuovo mondo non ci deve essere solo la cura del
territorio, ma soprattutto la cura delle persone.
Marvi Maggio
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