Quali
sono le cause delle rivoluzioni? Perché i sistemi di
valori cambiano? In che modo lopinione pubblica influenza
gli avvenimenti?. A questi interrogativi, con riferimento
alla Francia della seconda metà del XVIII secolo, cerca
di dare una risposta, in un interessantissimo libro, lo storico
francese Robert Darnton ( Libri proibiti. Pornografia, satira
e utopia allorigine della rivoluzione francese, Mondadori,
Milano 1997). I temi e le risposte suggerite da questo pregevole
lavoro credo possano essere di qualche interesse per la cultura
libertaria contemporanea, attenta tanto ai meccanismi di riproduzione
simbolica del dominio quanto ai mezzi utili alla sua delegittimazione.
Alcuni dei più significativi contributi del pensiero
libertario nella seconda metà del XX secolo penso,
in particolare, agli studi di Pierre Clastres, Cornelius Castoriadis,
Murray Bookchin ( 1) hanno messo
in luce il ruolo fondamentale che luniverso simbolico,
limmaginario istituito, ricopre nel consenso e nella legittimazione
politica su cui si fonda luniverso materiale delle relazioni
sociali, mettendo così in seria discussione il paradigma
marxista secondo il quale la sovrastruttura simbolica della
società è, più o meno univocamente, determinata
dalla sua struttura materiale ( 2). Nella
loro diversità, le ricerche degli autori suddetti confermano
e approfondiscono, in poche parole, una delle tesi centrali
del pensiero anarchico classico, secondo la quale, se è
vero che esiste una interdipendenza tra luniverso simbolico
e quello materiale della società, è altrettanto
vero che la «sovrastruttura» politica e culturale
gode di una certa autonomia e in molti casi è essa stessa
la causa dei mutamenti che avvengono nella dimensione «strutturale»
( 3).
Delegittimazione della cultura dominante
Lo studio di Darnton si occupa di chiarire in che modo sia
avvenuto il processo di delegittimazione della cultura dominante
nella Francia del Settecento, individuando in questo processo
uno non certo lunico dei fattori più
importanti che hanno prodotto il rovesciamento rivoluzionario
del regime assolutistico nel 1789. Per rispondere ad uno degli
interrogativi che più ha assillato la storiografia francese
sul XVIII secolo negli ultimi settantanni, a partire dalla
pubblicazione del noto studio di Daniel Mornet (4).
Possono i libri provocare le rivoluzioni? Darnton ha
cercato anzitutto, nella prima parte del suo lavoro, di capire
cosa leggessero i francesi del Settecento, studiando una mole
impressionante di fonti archivistiche carte di polizia,
corrispondenze editoriali, ecc. ed in particolare gli
archivi di una importante tipografia svizzera della seconda
metà del XVIII secolo, la Société Tipographique
di Neuchâtel (dora in avanti: STN), che tra
il 1769 anno dinizio delle sue attività
e il 1785 anno in cui rinunciò a fare affari
in Francia, a causa della stretta repressiva della censura
inondò il mercato librario francese di una notevole quantità
di libri proibiti. Gli archivi della STN sono gli unici, tra
quelli delle decine di tipografie che sorgevano «appena
al di là delle frontiere francesi» e da cui «fuoriuscivano
le opere appartenenti ad una letteratura libertina che minava
i valori fondamentali dellAncien régime»
(5), ad essersi conservati pressoché
integralmente, ed hanno pertanto un valore imprescindibile per
comprendere la qualità e la diffusione della letteratura
clandestina nella Francia pre-rivoluzionaria. Occorre poi specificare
che la STN, come altre grandi tipografie del periodo, non stampava
in proprio i libri proibiti: con una politica editoriale di
scambi, si riforniva di questa richiestissima merce da piccole,
spesso piccolissime, tipografie clandestine, per poi riversarla
sul mercato francese. Ai più fidati distributori che
ne facevano esplicita richiesta, la STN provvedeva a fare avere
i propri cataloghi (clandestini anchessi, evidentemente)
di libri proibiti, che erano naturalmente assai diversi da quelli
che contenevano i titoli della produzione ufficiale e consentita.
Ma quali erano, precisamente, i libri proibiti nella Francia
della seconda metà del Settecento? I libri proibiti,
chiamati mauvais livres dalle autorità e livres
philosophiques da tipografi e distributori, comprendevano
in verità una gamma assai ampia di letteratura, non del
tutto coincidente con quello che ancor oggi siamo soliti ascrivere
al filone illuministico: essa spaziava dalla letteratura libellistica
e scandalosa alla saggistica politico-filosofica, dalla letteratura
utopistica a quella «pornografica» (6).
Nellimpossibilità di controllare e reprimere quel
vasto fenomeno letterario che squassò la cultura francese
ed europea del XVIII secolo e che, in un modo o nellaltro,
era espressione di una cultura laica e illuministica, le autorità
francesi concentrarono la propria attenzione sulle opere che,
senza ombra di dubbio, mettevano in discussione i valori dominanti:
molti libri, pure figli della cultura dei lumi, erano in qualche
misura tollerati, anche se non avevano ottenuto lautorizzazione
a stampa.
Letteratura clandestina
Confrontando i cataloghi di libri proibiti della STN, quelli
di altre sei tipografie svizzere, i registri delle confische
di libri proibiti effettuate alla dogana di Parigi e infine
i cataloghi dei libri confiscati dalla polizia parigina nelle
irruzioni nelle librerie, Darnton è stato in grado di
stilare un elenco pressoché completo dellintero
corpus della letteratura clandestina, che comprende
ben 720 titoli (7), e un elenco delle
opere più richieste, cioè dei best-seller:
questultimo rende palese «lesistenza di un
pubblico avido di letteratura oscena, diffamatoria e sovversiva»
(8), tale per cui appare corretto, per
lepoca, rilevare che «libertà e libertinismo
appaiono strettamente intrecciati» (9).
Ai primi posti della classifica dei best-seller vi sono opere
di autori noti del movimento illuministico (Voltaire, dHolbach,
Raynal) e di scrittori oggi pressoché sconosciuti (Mercier,
Linguet, dArgens, Pidasant de Mairobert). Molto richieste
dal pubblico di lettori francesi erano i saggi antireligiosi
e anticristiani: «Per la prima volta, durante gli ultimi
tre decenni dellAncien régime il lettore comune
poteva accedere allateismo in forma di libro» (10).
Più in generale, si può osservare come i best-seller
di maggior successo Lan 2440 di Louis-Sebastien-Mercier,
lHistoire philosophique et politique des établissements
et du commerce des européeens dans les deux Indes,
di Guillaume-Thomas-François Raynal, le Questions
sur lencyclopédie di Voltaire «attaccavano
in pratica ogni autorità costituita» (11).
Sarebbe sbagliato, tuttavia osserva Darnton pensare
a questo processo di erosione della morale e della cultura politica
dominanti come al prodotto di un disegno consapevole: «I
libri proibiti hanno probabilmente indebolito il regime, minandone
la legittimità, ma non avevano lo scopo di rovesciarlo»
(12), tesi, questultima, sostenuta
invece da scrittori reazionari come Augustin Barruel, secondo
il quale la rivoluzione francese sarebbe stata il frutto di
un complotto massonico e illuministico (13).
Nessuno in Francia, fino al 1787, presagì o auspicò
la rivoluzione; tuttavia, si può dire che i libri proibiti
abbiano preparato il terreno, inintenzionalmente, al crollo
violento dellAntico regime.
Nella seconda parte del libro, lautore analizza tre best-seller,
rappresentativi di tre generi più richiesti di libri
proibiti: la «pornografia» filosofica, la visione
utopica, la diffamazione politica. Il primo genere, cui appartengono
opere come Les Bijoux indiscrets di Denis Diderot,
certo il più libertario dei grandi illuministi francesi,
la Pulcelle dOrleans di Voltaire o Ma conversion,
ou le libertin de qualité di Honoré-Gabriel
Riqueti, conte di Mirabeau, è ben rappresentato dal romanzo
Therese philosophe (1748), opera probabilmente di Jean-Baptiste
de Boyer, marchese dArgens. Nonostante i ripetuti inviti
al conformismo politico, tipica espressione della cultura libertina
di cui Therese philosophe è figlia, questo romanzo
può essere ritenuto un testo rivoluzionario: anzitutto,
perché questo libro è un trattato sulla contraccezione,
e poi perché la protagonista è una donna che rifiuta
il ruolo stereotipico di moglie e madre per accedere a quello,
sino ad allora riservato ai maschi, di libertina e filosofa:
«Sesso e metafisica: nulla è più lontano
dalla nostra mentalità, ma nulla è più
conforme allo spirito libertino del Settecento» (14).
Therese philosophe rappresenta, se vogliamo, una volgarizzazione
della filosofia materialistica e meccanicistica di La Mettrie:
«In tutte le scene di sesso il corpo è descritto
come una macchina. Fluidi, fibre, pompe, pressione idraulica:
questa sembra essere la natura profonda dellattività
sessuale» (15).
Letteratura utopica
Al genere della letteratura utopica va invece ascritto un altro
romanzo, Lan 2440 di Mercier, opera che, dal
1771, anno della editio princeps, ebbe ben 25 edizioni.
Si tratta di uno scritto, ai nostri occhi, per molti aspetti
inquietante, intriso di moralismo rousseauiano, addirittura
protototalitario. Del resto, come acutamente notava Maria Luisa
Berneri nel suo bellissimo lavoro sullutopia, il genere
utopistico ha rare volte assunto connotazioni libertarie (16),
e certo lopera di Mercier, così influenzata dalle
tesi di Jean-Jacques Rousseau, filosofo certo complesso ma che
tuttavia sembra indubbiamente un anticipatore delle dottrine
totalitarie (17), non fa certo eccezione,
da questo punto di vista. Lan 2440 è una
u-cronia: lisola felice non è un posto tropicale,
fuori dal tempo e dalla storia, ma la Parigi del 2440, nella
quale il protagonista si risveglia dopo un sonno durato 700
anni. La Parigi del futuro è costruita, come già
lUtopia di Thomas More, sulla negazione: è
una città senza preti, mendicanti, prostitute, eserciti
permanenti, schiavitù, commercio estero e, soprattutto,
vizi. Il cristianesimo nel 2440 è scomparso: vige una
religione civile incentrata sul culto razionalistico dellEssere
supremo. LEncyclopédie di Diderot e dAlembert
è divenuta il sussidiario degli studenti e lo stesso
papa è un convinto razionalista. Non esistono, certo,
galere, ma gli omicidi, dopo aver fatto pubblica autocritica,
sono fucilati pubblicamente. È pur vero che lAn
2440 è un atto daccusa contro il dispotismo
dei re e dei preti: tuttavia, il carattere totalitario dellopera
emerge dal fatto che nella Parigi del futuro vige un orwelliano
controllo della cultura del passato: solo pochi libri e poche
opere hanno passato il vaglio critico della censura razionalistica,
e la libertà di stampa, di cui si fregia la Parigi del
2440 abitata da un popolo di scrittori, è vanificata
dal fatto che al posto della censura esiste una pubblica autocritica
nella quale incorrono gli scrittori eterodossi.
Diffamazione politica
Il terzo best-seller analizzato da Darnton, anchesso
rappresentativo di un genere, quello della diffamazione politica,
che aveva una lunga tradizione come la letteratura erotica,
ma che, come quella, subì nel Settecento una metamorfosi
quantitativa e qualitativa, è intitolato Anecdotes
sur Mme la Comtesse Du Barry (1775), opera forse del libelliste
parigino Matthieu-François Pidansat de Mairobert, autore,
insieme ad un gruppo di nouvellistes, di una gazzetta
manoscritta, poi stampata in 36 volumi, le Mémoires
secrets pur servir à lhistoire de la République
des lettres en France. Gli Anecdotes narrano lirresistibile
ascesa di Marie-Jeanne Béen, contessa Du Barry, che,
da prostituta di bordelli, finisce per entrare stabilmente,
dopo un percorso di perversione e libertinaggio, nel letto del
re e nella stanza dei bottoni. La morale degli Anecdotes
non potrebbe essere più chiara: «Una masnada di
farabutti si era impadronita dello stato, aveva dissanguato
il paese e trasformato la monarchia in dispotismo» (18).
Non importa che la ricostruzione storica degli Anecdotes,
come osserva Darnton, sia assai distante delle ricostruzioni
della vita politica effettuate, nei secoli successivi, dagli
storici: quel che conta mettere in luce è che la Du Barry
degli Anecdotes, lungi dal costituire un segno della
virilità del sovrano, divenne, agli occhi di molti francesi
dellepoca, il simbolo «dellavvilimento della
monarchia stessa», perché essa veniva rappresentata
come «uno strumento per risvegliare le declinanti energie
di un vecchio depravato» (19).
«Lo scettro», negli Anecdotes, «non
sembra più solido del pene del re», e questo per
i francesi del Settecento era un fatto gravissimo, dal momento
che «il corpo del sovrano continuava ad essere qualcosa
di sacro» (20). Il potere, allora,
si fondava soprattutto sulla reputazione personale di chi lo
deteneva: «Per imporre la propria autorità al popolo,
i sovrani dovevano metterla in scena, in occasione delle incoronazioni,
dei funerali, delle processioni, delle esecuzioni pubbliche
[
]. Tuttavia questa versione drammaturgia del potere era
vulnerabile. Uningiuria che colpiva nel segno poteva distruggere
una reputazione e mandare a monte ogni progetto» (21).
Negli Anecdotes, in conclusione, si può osservare
come la Du Barry abbia «privato il re del suo carisma
regale e [
] spogliato la monarchia del suo potere simbolico»
(22).
Nella terza parte del libro, significativamente intitolata I
libri provocano le rivoluzioni?, lautore ritorna
agli interrogativi posti allinizio del suo lavoro ed esplicita
così le sue conclusioni: «Le nostre fonti ci consentono
di stabilire un nesso tra la circolazione della letteratura
illegale da un lato, e la radicalizzazione dellopinione
pubblica dallaltro» (23).
Una radicalizzazione che coinvolgeva non solo la borghesia ma
le stesse classi aristocratiche: come già aveva profondamente
colto Alexis de Tocqueville nel suo monumentale Lantico
regime e la rivoluzione, nobili e borghesi nel settecento
francese, anche come paradosso effetto dellopera centralizzatrice
della monarchia assoluta, avevano finito per nutrirsi della
medesima cultura (24): una cultura spesso
di fatto, anche se non intenzionalmente, sovversiva. Le élites
aristocratiche, anche a causa dellazione corrosiva dei
livres philosophiques, «avevano perso la fede
nel regime prima che esso crollasse», e niente, in fondo,
è più temibile per un sistema politico del fatto
che le sue élite cessino «di credere nella
sua legittimità» (25). I
livres philosophiques, emancipando «la letteratura
dai suoi legami con lo Stato» e separando «la cultura
dal potere» (26), giocarono un
ruolo decisivo nella delegittimazione dellimmaginario
istituito, preparando così il terreno alla rivoluzione.
Tutta la copiosa letteratura aneddotica, alla fine del regno
di Luigi XVI, convergeva su un unico tema: «A causa degli
eccessi dellassolutismo di Luigi XV, si era aperto un
periodo di decadenza e la monarchia era degenerata in dispotismo»
(27), come nelle più cupe previsioni
di Montesquieu. E così, quando, tra il 1787 e il 1788,
Luigi XVI tentò un ultimo, disperato tentativo di riorganizzazione
fiscale dello Stato, la sorte del suo potere era già,
in qualche modo, segnata: «Il regime era condannato: aveva
perso la mano decisiva della lunga partita per il controllo
dellopinione pubblica, perdendo così la propria
legittimità» (28).
Tramonto della parola scritta?
Da allora, moltissime cose sono mutate: quel che rimane centrale
è il ruolo dellimmaginario nei processi di legittimazione
e delegittimazione del dominio.
Limmaginario sovversivo, tuttavia, dopo due secoli di
rivoluzioni, appare forse più logoro dello stesso immaginario
costituito. Il potere della parola scritta, nella società
dello spettacolo e dellimmagine, sembra, se non definitivamente
tramontato, quanto meno assai declinante. Se la vita del lettore
del XVIII secolo poteva essere trasformata da libri come quelli
di Rousseau e Voltaire, lo stesso non si può dire per
lo smaliziato e disincantato lettore di oggi. Lutopia
di Mercier si è, in qualche misura, avverata, trasformandosi
in una distopia, perché non ha sancito il trionfo della
civiltà della ragione: loccidente è divenuto
un popolo di scrittori, che però scrivono per lo più
cose insulse e inutili. Il sesso non è più un
tabù, è diventato tabù il suo freudianamente
uguale-contrario: la morte. Il trionfo schizofrenico di una
società razionalistica nella forma ma del tutto irrazionale,
spesso, nei contenuti, sta segnando il grande ritorno di maghi,
astrologi, indovini, sette e quanto di più stupidamente
contrario ai valori dellilluminismo, credenze che albergano
e fanno proseliti, occorre dirlo, anche nelle sub-culture che
si vogliono antagonistiche vedi le mode per le filosofie
e le religioni orientali e, più in generale, per ciò
che è antioccidentale, antimoderno, antiindividualistico
e antiliberale . Il declino della civiltà cristiana,
una civiltà che in qualche maniera era venuta a patti
con la tradizione razionalistica classica, sembra aver decretato
la fine dellateismo militante (29)
e, più in generale, dei progetti rivoluzionari. Nelle
secolarizzate società odierne, la gente non solo non
crede generalmente più nel dio cristiano: non crede più
in nulla, e questo potrebbe essere molto pericoloso, perché
chi non crede a niente è nella condizione psicologica
di credere a tutto. Il re è nudo, ma, ahimè, sono
nudi anche i suoi oppositori.
Francesco Berti
1.
Cfr. ad esempio: Clastres P., La società contro
lo Stato. Ricerche di antropologia politica, Feltrinelli,
Milano 1977; Id., I marxisti e la loro antropologia,
«An.Archos», 1979 n. 2, pp. 87-96; Bookchin
M., Lecologia della libertà. Emergenza
e dissoluzione della gerarchia, Elèuthera, Milano
1995; Castoriadis C., Listituzione immaginaria
della società, Bollati Boringhieri, Torino 1995;
Id., Potere, politica, autonomia, «Volontà»,
1989 n. 4, pp. 59-89. Ma vedi anche Colombo E. (a cura di),
Limmaginario capovolto, Elèuthera,
Milano 1987; Lourau R., Lo Stato incosciente, Elèuthera,
Milano 1988; Bertolo A., Utopia e immaginario sociale,
«A Rivista Anarchica», 191, maggio 1992, pp.
25-27.
2. «Lo spirito di rivolta», ha osservato Amedeo
Bertolo, «non nasce di per sé dalle condizioni
materiali, neppure da quelle più terribili, tanto
meno nel relativo benessere del mondo occidentale. Nasce
sì da condizioni vissute come intollerabili, ma appunto,
vissute come tali. Lintollerabilità
non è categoria oggettiva. È categoria soggettiva.
Un salario miserabile, un tugurio come casa
non sono
di per sé intollerabili. Centinaia di milioni, miliardi
di uomini e di donne lhanno tollerato e lo tollerano.
Ciò che determina la tollerabilità e lintollerabilità
sono le aspettative, i valori, le speranze, la rappresentazione
immaginaria, cioè, che un individuo o un gruppo sociale
ha di sé o del mondo». (Bertolo, Utopia
e immaginario sociale, cit., p. 27). Sul potere dellimmaginario
cfr. anche questo eloquente passo di Castoriadis: «La
quarta compagnia del reggimento Pavlosky (guardie del corpo
di Sua Maestà) e il reggimento Semenovsky, sono i
più solidi sostegni del trono dello Zar fino al 26
e 27 febbraio del 1917, giorno in cui essi fraternizzeranno
con la folla e rivolgeranno le armi contro i propri ufficiali.
Larmata più fedele del mondo non vi proteggerà
se non vi resta fedele. E il fondamento ultimo della sua
fedeltà è la credenza immaginaria nella vostra
legittimità immaginaria». (Castoriadis, Potere,
politica, autonomia, cit., p. 71).
3. Per quanto riguarda almeno le società primitive,
puntualizzava Pierre Clastres, «il cambiamento al
livello di quella che i marxisti chiamano linfrastruttura
economica non determina affatto, come suo riflesso e corollario,
la sovrastruttura politica, poiché questa appare
indipendente dalla sua base materiale». Nel continente
americano, infatti, «gruppi di cacciatori-pescatori-raccoglitori,
nomadi o non, presentano le medesime caratteristiche socio-politiche
che i loro vicini agricoltori sedentari: «infrastrutture»
diverse, «sovrastrutture» identiche. Inversamente,
le società centro-americane imperiali, statuali
dipendevano da unagricoltura che, più
intensiva che altrove, restava nondimeno, quanto al suo
livello tecnico, molto simile allagricoltura delle
tribù «selvagge» della Foresta Tropicale:
identica «infrastruttura», «sovrastrutture»
differenti, poiché nellun caso si tratta di
società senza Stato; nellaltro di Stati nel
vero senso della parola. Non il mutamento economico, ma
lorganizzazione politica è, dunque, il fattore
decisivo». (Clastres, La società contro
lo Stato, cit., pp. 148-49).
4. Cfr. Mornet D., Les Origines intellectuelles de la
Révolution française (1715-1787), Paris
1933 (tr. it.: Milano 1992).
5. Darnton, Libri proibiti, cit., p. 6.
6. Il concetto di pornografia, puntualizza Darnton, è
di origine ottocentesca: «È frutto del moralismo
censorio che la prima età vittoriana si studiò
di imporre su scala universale». (Ivi, p.
94).
7. Cfr. ivi, p. 66.
8. Ivi, p. 47.
9. Ivi, p. 30.
10. Ivi, p. 76.
11. Ivi, p. 80.
12. Ivi, p. 87.
13. Si tratta della nota tesi esposta da Barruel nella sua
opera del 1793 Mémoires pour servir à
lhistoire du jacobinisme.
14. Darnton, Libri proibiti, cit., p. 96.
15. Ivi, p. 108.
16. Cfr. Berneri M. L., Viaggio attraverso Utopia,
Edizione a cura del Movimento Anarchico Italiano, Pistoia
1981, sopr. pp. 19-27.
17. Sebbene vi sia stato chi ha voluto vedere nel pensiero
di Rousseau una anticipazione di tematiche anarchiche (Cfr.,
ad esempio, Rota Ghibaudi S., Proudhon e Rousseau, Milano
1965 e Metelli di Lallo C., Componenti anarchiche nel
pensiero di J.-J. Rousseau, La Nuova Italia, Firenze
1970), mi sembra più convincente la tesi opposta,
che individua nella dottrina del ginevrino i germi della
democrazia di tipo totalitario (Cfr. tra tutti Talmon J.
L., Le origini della democrazia totalitaria, Il
Mulino, Bologna 1952, pp. 57-72). Non bisogna dimenticare
che sia Proudhon che Bakunin, due dei padri storici dellanarchismo,
accusarono Rousseau, avvicinandosi su questo punto alla
storiografia liberale, di aver elaborato un pensiero dispotico
poi confluito nel terrorismo giacobino (Cfr. Berti G., Il
pensiero anarchico dal Settecento al Novecento, Lacaita,
Manduria-Bari-Roma 1998, p. 189 e Id., Michail Aleksandrovi?
Bakunin, in Bongiovanni B., Guerci L. (a cura di),
Lalbero della rivoluzione. Le interpretazioni
della rivoluzione francese, Einaudi, Torino 1989, p.
32). Quanto a Kropotkin, ho limpressione che il grande
anarchico russo, in virtù di una mitizzazione dello
spontaneismo popolare, abbia capito poco della cause della
rivoluzione francese e delle dinamiche politiche che ne
attraversarono la genesi e lo sviluppo, come emerge del
resto dalla sua assai poco libertaria difesa del giacobinismo.
(Cfr., a questo proposito, Berti, Il pensiero anarchico,
cit., pp. 341-49).
18. Darnton, Libri proibiti, cit., p. 157.
19. Ivi, p. 165.
20. Ivi, p. 167.
21. Ivi, p. 201.
22. Ivi, p. 212.
23. Ivi, p. 190.
24. Cfr. Tocqueville, A. de, Lantico regime e
la rivoluzione, a cura di G. Candeloro, BUR, Milano
1989, pp. 121-25.
25. Darnton, Libri proibiti, cit., pp. 196 e 194.
26. Ivi, p. 197.
27. Ivi, p. 240.
28. Ivi, p. 244.
29. Mi sembrano condivisibili e suggestive le conclusioni
cui è giunto Gerges Minois nella sua Storia dellateismo
(Riuniti, Roma 2000), dove si sostiene che «la tecnologia
parcellare ha preso sopravvento sullintelligenza,
sulla morale, sulla comprensione globale del mondo. In questo
naufragio della razionalità, anche la questione Dio
ha perso il suo significato. Il fatto è di capitale
importanza. È la prima volta che si verifica nella
storia, ed è per questo che il futuro è imprevedibile.
Se non si vede più oggi il bisogno di affermare o
di negare lesistenza di Dio, significa che lintelletto
umano è sulla strada di cedere davanti alle forze
della dispersione. Lidea di Dio era un modo di apprendere
luniverso intero e di dargli un senso, ponendosi in
rapporto a questo Essere: il teista gli attribuiva la direzione
di tutto; lateo glielha tolta e ha incaricato
luomo di dare un senso al mondo. Luno e laltro
sembrano oggi superati dallatomizzazione del sapere
[
]. Lateismo e la fede appaiono come due questioni
più che mai connesse, in quanto hanno in comune la
capacità di affermare qualcosa di globale a proposito
del mondo. Si perpetueranno insieme, o periranno insieme»
(pp. 604-05). |
|