Rivista Anarchica Online


elezioni

Un bambino, un voto
di Francesco Codello

 

La crisi della rappresentanza politica è un dato di fatto incontrovertibile.

Dopo Austria e Germania, arriva anche in Italia la proposta di allargare il suffragio universale anche ai minori.
A rilanciare questa idea sono le ACLI attraverso un documento redatto dal presidente Luigi Bobba e il prorettore della Cattolica di Milano, Luigi Campiglio.
“Dieci milioni di bambini senza rappresentanza, ci vuole una politica di più ampio respiro” (Corriere della Sera del 30 marzo 2004), sostengono come premessa gli estensori di questo documento. In pratica la proposta si concretizza nell’idea di affidare alle madri, per procura, il compito di votare e di interpretare quindi le idee e le opinioni dei minori rispetto alle scelte politiche ed amministrative.
Se il progetto dovesse andare in porto in Italia avremo circa dieci milioni di elettori in più. L’idea è molto semplice: dar corso ad una riforma costituzionale che estenda il concetto di “suffragio universale” a tutti gli italiani e delegare le madri ad esprimere le preferenze dei propri figli fino al raggiungimento del diciottesimo anno di età.
In Germania e Austria le proposte a questo riguardo hanno accolto un’adesione trasversale agli schieramenti politici e lo stesso succederà, è facile prevederlo, anche qui da noi. Addirittura esiste una proposta in tal senso anche rispetto alla costituzione europea e quindi di estensione del voto ai minori in tutti i paesi dell’Unione.
Le ragioni di tutto ciò stanno nella convinzione, espressa dai proponenti, che i giovani siano davvero il nostro futuro e che quindi solo queste regole consentirebbero una politica di più ampio respiro e costituirebbero un metodo efficace per dare voce ai più piccoli.
Naturalmente occorre essere convinti, come di fatto si esprimono chiaramente Luigi Bobba e Luigi Campiglio, che per i cittadini il voto sia lo strumento centrale attraverso il quale ogni cittadino esprime realmente la sua sovranità, comunica la sua approvazione o disapprovazione rispetto a ciò che un governo, un partito, un singolo politico, promettono di fare.

Esercitare il potere

Per i partiti politici invece, sostengono i due proponenti, acquisire il voto favorevole dei cittadini, è l’obiettivo principale che ne legittima la ragion d’essere e la virtù fondamentale che consente loro di prendere il potere, esercitarlo e mantenerlo (il più a lungo possibile, aggiungo).
L’idea di fondo è che la democrazia rappresentativa sia quella che in modo più completo ed esauriente rappresenti veramente la volontà popolare. Inoltre, sempre secondo questa proposta, va ricordato che gli interessi economici degli elettori “si materializzano, fra l’altro, nella percentuale del Pil che viene prelevata e distribuita con criteri politici anziché di mercato… La sua distribuzione per categorie di spesa rispecchia in gran parte gli interessi economici di quei gruppi sociali che possono meglio garantire la maggioranza elettorale e quindi la conquista del potere politico”.
Tutto questo sarebbe una “virtù e non un vizio delle moderne democrazie” anche se gli interessi degli elettori organizzati (le lobby) contano economicamente e quindi anche politicamente. Ma il pregio di questa innovazione starebbe proprio nel fatto di costituire di fatto una lobby di lungimiranza, una scommessa sul futuro, un’ipoteca sul domani.
Il principio di eguaglianza democratica (uguali di fronte alla legge del governo della cosa pubblica), quello insomma tutto giacobino di “una testa, un voto”, che qui si traduce nel piano economico “un interesse personale, un voto”, è inapplicato nel caso dei minori.
Ciò è particolarmente grave perché vi è, sempre secondo i proponenti, una trascuratezza sociale evidente di bambini e ragazzi che si accompagna ad una rapida riduzione della natalità.
Quindi è necessario un riequilibrio del Welfare a favore della più giovani generazioni.
Con questa modifica costituzionale insomma “si realizza il raro risultato di far coincidere gli interessi del rappresentante con quelli del rappresentato, creando una competizione in cui il politico che interpreti meglio gli interessi economici dei minori è anche quello che ha maggiori probabilità di vincere le elezioni”.
Questa proposta si accompagna ad una precedente legge che ha istituito in circa cinquecento città e paesi italiani i Consigli comunali dei ragazzi, eletti secondo opposti schieramenti, ma che hanno potere consultivo.
Ecco delineato il quadro di una vera e propria educazione alla democrazia delegata. Dopo l’introduzione nelle scuole, da parte di tutti i progetti di riforma degli ultimi anni, di questo insegnamento, anche l’intero sistema elettorale e ordinamentale sarebbe così completato.
A parte la legittimità, non giuridica, ma sostanziale di una tale proposta (come può una madre votare al posto del proprio figlio adolescente rispettandone i desideri?), ciò che mi preme mettere in rilievo è la sostanza di tale progetto.
La crisi della rappresentanza politica è un dato di fatto, incontrovertibile, che si manifesta non solo nell’ampliarsi dell’astensionismo elettorale, ma anche purtroppo nell’accettazione passiva di un sistema democratico che, attraverso la delega sempre più lontana, della rappresentanza politica, ha permesso l’affermarsi violento e stabile dell’oligarchia espressasi sia a livello economico che politico.

Democrazia mass-mediatica

La nostra non è più neppure una democrazia della rappresentanza, ma piuttosto una democrazia che si esprime nell’esercizio legittimo e non di apparati di potere e di lobby internazionali.
È chiaro che proprio gli interessi, anche economici, che ruotano attorno ad un mondo giovanile sempre più interlocutore di grandi businnes e di massicce campagne pubblicitarie, trovano in questo quadro una loro nuova espressione e interpretazione.
In una democrazia post-moderna e mass-mediatica, come la nostra, prevale la logica della formazione del consenso rispetto ad una originaria attenzione a garantire il dissenso. Per formare un “bravo” cittadino, un uomo e una donna ben inseriti, in questo sistema, il passaggio attraverso una codificazione e una istituzionalizzazione della rappresentanza politica e governativa, è essenziale.
Dopo la famiglia, dopo la scuola, tocca ora all’intero sistema adeguarsi alla formazione del consenso e anzi, ancor più strabiliante, ipotecarne addirittura il futuro per delega.
La democrazia per legge, quella che si vuole anche esportare in tutto il mondo, in realtà non consente l’espressione di una vera e libera volontà individuale, ma solamente un’accettazione a-critica e fondamentalista, del principio della delega come unica forma di manifestazione del proprio pensiero e della propria agibilità.
Altre sono le forme, altri i contenuti, di una possibile partecipazione diretta di ogni essere umano alla determinazione delle scelte di una comunità.
Si cominci allora a rendere scuole e famiglie veri luoghi di espressione della propria autonomia, dell’uguaglianza e della responsabilità. Gli esempi non mancano, proviamo ad estenderli. Ma soprattutto sveliamo con forza e convinzione la perversa logica di potere che nascondono proposte come questa che ammantandosi di una falsa verità innovatrice, nascondono in realtà tecniche più sofisticate e attuali, più spendibili sul piano dell’immagine, del potere.
Abbiamo sicuramente bisogno di dare voce vera e concreta ai bambini, ai loro bisogni, alle loro aspettative, ma abbiamo il dovere il aiutarli a realizzare i loro sogni e non ad ingannarli con queste idee che non mutano minimamente i rapporti di potere tra gli esseri umani.

Francesco Codello