Contro la logica del mercato capitalista
Quello che segue è il testo del volantino del Gruppo
di acquisto che si riunisce ogni mercoledì alle 18 ai
giardini di via Locchi - Firenze Careggi, davanti alle macerie
del Badaquà demolito (finché non si troverà
una nuova sede…). Il Gruppo ha partecipato alla Fiera
dell’autogestione di Modena (di cui riferisce
Andrea Papi in questo numero).
Devo aggiungere a quanto scritto:
- che la scelta dei prodotti da comperare si basa su valori etici
e di qualità, si preferiscono produttori e distributori
compagni, comuni agricole, grossisti onesti, che praticano l’agricoltura
biologica e biodinamica, prodotti senza OGM e senza sfruttamento
di uomini e animali (un esempio è l’acquisto del
caffè biologico di una cooperativa del Chiapas ispirata
a Flores Magon);
- che il discutere su cose semplici come l’acquisto dei
prodotti sta rinsaldando legami d’amicizia o creandone
di nuovi, quanto il discutere in astratto invece sovente li
spezza e crea rarefazione nelle affinità;
- che si dedica qualche minuto al giorno in più a procacciarsi
i cibi (ad es. la raccolta delle erbe officinali) o a cucinare
(per produrre marmellate e altre cose che in genere si acquistano
già pronte al supermercato), che si cerca di scambiare
o regalare ciò che avanza “il superfluo”,
interrompendo l’infame meccanismo consumista per cui tutto
va buttato e nulla si può ottenere gratis per ridurre
la gente a uno stato ancora più di bisogno; inoltre stiamo
pensando di mettere su una piccola cassa di mutuo soccorso per
i compagni della zona che si trovano in stato di necessità,
tanto da pensare di ridefinire il nome del gruppo non solo in
base agli acquisti, ma anche alla nostra scelta di solidarietà
o “resistenza umana”.
Inoltre la scelta di riunirsi in un posto occupato non è
casuale, ma fa parte di un nostro modo di pensare che rifiutiamo
l’anarchismo-radicalchic di certi ambienti. In particolare
il Badaquà per tutto quello che sta organizzando, è
un posto fra quelli occupati, che sta nel cuore di tutti. In
concreto, il risultato è che andiamo tutti di meno a
fare la spesa al supermercato, ma non è solo questo,
c’è molto di più. Leggete il testo sotto.
Pralina
Ognuno di noi prova sempre maggiore disagio di
fronte a un mercato dove si trovano prodotti di cui sappiamo
poco rispetto alla qualità, alla provenienza, alle modalità
di produzione; dove i profitti della produzione, distribuzione
e commercializzazione sono sempre più concentrati fra
pochi soggetti che se ne infischiano del benessere della comunità
e del potere d’acquisto della gente. Spesso non si considera
che attraverso le nostre azioni, quelle quotidiane, consuete,
abitudinarie, apparentemente innocue, si sostengono proprio
questi interessi. Ciò avviene principalmente perché
le scelte quotidiane sono poste come “non scelte”,
ovvero come soluzioni normali senza alternative, perché
sono sottovalutate nella loro importanza.
Ma se i criteri che ci vengono proposti come modelli sociali
ci appaiono insostenibili, è necessario pensare che la
loro modificazione potrebbe essere avviata concretamente dall’acquisizione
di comportamenti diversi da quelli previsti e che vadano a incidere
proprio sul lato debole della struttura: il mercato. I consumatori
infatti, così come possono creare un mercato, lo possono
distruggere. Ma, questo, molti sembrano non saperlo ancora.
Non è necessario rimandare la ricerca e il raggiungimento
del benessere a un mondo tutto da realizzare, diverso, successivo:
un mondo cambiato dall’acquisizione del potere, da una
vittoria elettorale o dalla rivoluzione sociale. Un altro mondo
è possibile già da ora, semplicemente comportandosi
in maniera diversa, dando così continuità tra
l’oggi e il domani, lavorando nel presente, per il presente
e non solo per il futuro, e riappropriandosi così della
dignità delle proprie scelte e della libertà di
compierle. Per far ciò non è possibile delegare
ad altri o al futuro il compito, ma occorre divenire parte attiva
attraverso il nostro, corretto agire. Vogliamo credere che si
sia in molti a pensare che questo mondo non è più
possibile, che non è giusto, che non può essere
condiviso.
Per questo abbiamo voluto con semplicità riflettere criticamente
sulla possibilità, attraverso comportamenti più
consapevoli, di non essere strumenti di sostegno ad un modello
che porta nel mondo miseria, sopraffazione, danni all’ambiente,
alle comunità e alla salute.
Un elemento importante per la realizzazione di un progetto del
genere è la formazione di gruppi d’acquisto, ossia
gruppi di amici, colleghi di lavoro, collettivi politici, case
occupate, famiglie in grado di stilare ordinazioni collettive
di autoconsumo direttamente ai produttori: evitando così
gli innumerevoli passaggi intermedi che costano, sia in termini
economici che di distruzione ambientale.
Pensiamo che organizzarci collettivamente per affrontare una
delle operazioni che quasi quotidianamente ognuno di noi compie,
la scelta e l’acquisto delle cose di cui abbiamo bisogno,
possa essere un piccolo passo verso un’alternativa che
sia praticabile qui e ora.
Siamo sempre più insofferenti di fronte al potere di
chi pone i propri interessi al primo posto a danno di quelli
della collettività e dell’ambiente. Non sopportiamo
la logica del mercato capitalista, delle multinazionali e di
tutte quelle imprese che sull’onda della globalizzazione
non fanno altro che incrementare i propri margini di profitto
all’ombra dello sfruttamento dell’uomo sull’uomo.
Siamo consapevoli che questa singola iniziativa non rappresenta
che un granello in un deserto, ma crediamo che, unita a tante
altre, possa essere un contributo utile al processo di trasformazione
radicale della società.
Gruppo d’acquisto solidale del Badaquà
per contatti: pattydiamante@interfree.it
Ricordando Sergio Costa
Conoscevo Sergio Costa da poco meno di trent’anni e cioè
da quando da studente liceale mi avvicinai al movimento anarchico.
Tanti erano i compagni che con le loro qualità umane
e di sapienza politica mi trasmettevano quello che io andavo
a cercare loro. Tanti sono diventati esempi per me di etica
anarchica, sapienza storica e politica e tra questi sono debitore
anche nei confronti di Sergio Costa.
Io allora lo vedevo come un compagno già adulto che parlava
poco, ma quando parlava tutti lo ascoltavano con timoroso rispetto.
Con gli anni ne ho apprezzato più di tante altre sue
qualità quella della sua assoluta genuinità, risultato
di idee chiare, di spiccata personalità e di capacità
di passare dalle parole ai fatti.
Sergio non aveva mai una doppia faccia, diceva quello che pensava
e pensava quello che diceva e soprattutto faceva quello che
diceva. Non è da tutti.
Molti erano i compagni che lo amavano, ma tutti lo rispettavano
proprio per questo modo di essere e cioè di vivere da
anarchico in modo schietto e sincero: aperto con gli altri senza
essere un “buonista”, generoso con tutti, ma con
la consapevolezza di chi sa dove andare con uno o cento compagni
di viaggio.
Molti compagni in questi giorni hanno ricordato Sergio Costa
come il direttore per antonomasia di Umanità Nova
e cioè come il compagno anarchico che accetta il rischio
di tutte le conseguenze legali di tale sua qualità senza
assumersi né particolari onori né compiti censori
nei confronti di coloro che con lui hanno sempre avuto la massima
libertà nello scrivere sul periodico storico del movimento
anarchico italiano.
Ma questo è l’aspetto della vita di Sergio che
sarà ricordato negli annali della storia del movimento
anarchico. A me piace però anche ricordarlo dietro i
fornelli a preparare da mangiare per decine di compagni o con
la sua bicicletta con appesi i sacchetti della spesa con dentro
i giornali che andava a distribuire durante le manifestazioni:
era un direttore/diffusore responsabile.
A tutti gli appuntamenti del movimento bastava guardarsi un
attimo intorno e lo si vedeva sempre. Quasi una sfinge. O come
la montagna che non si sposta mai e che diventa punto di orientamento
per coloro che guardano ad un compagno che si rispetta e che
è sempre presente per individuare la direzione da prendere
in momenti importanti.
Quanti erano i compagni che si fermavano a parlare con lui,
non a chiacchierare perché lui le parole le pesava e
talvolta rimanevi perplesso perché usciva con delle espressioni
così enigmatiche che ti costringevano sempre a pensare,
magari non a quello che voleva dire lui in quel momento, ma
comunque a farti ragionare da uomo libero.
In questo senso lui era un maestro senza volerlo mai apparire.
Il suo carattere era burbero, ma sempre di un burbero benefico.
Amava stare con i compagni, ma senza compiacerseli, rispettava
tutte le anime del movimento, nella consapevolezza di rappresentarne
una parte significativa. Dava rispetto a tutti ed è per
questo che sempre è stato rispettato. Le sue parole di
critica erano accettate così come i suoi apprezzamenti
perché entrambi erano sinceri e sgorgavano dal suo intimo.
Potevi non essere d’accordo con lui e lui con te, ma da
parte sua non vi erano mai né rancore né risentimento.
Era un compagno rappresentativo, era schierato in modo inequivoco,
ma non si comportava come un leader ed utilizzava la sua chiarezza
politica per collaborare con tutte le realtà del movimento
anarchico, scambiando esperienze e cercando sempre di trovare
un comune denominatore.
E così lo ricordano con affetto non solo i compagni della
FAI, che gli sono stati sempre vicini, ma anche quelli del Torricelli,
della Rivista Anarchica, dell’USI e di tutte
le altre realtà libertarie, che hanno avuto modo di conoscerlo
senza per questo averlo fra le loro fila, ma anche senza temere
che dall’alto della sua esperienza egli potesse “mettere
il cappello”.
Un compagno vero che speri sempre di avere al tuo fianco e che
quando ti lascia percepisci il vuoto che ha creato con la sua
dipartita.
È da tempo che l’immagine del gatto selvaggio è
entrata a far parte di grafica e iconografia anarchica. Ed è
così che a me piace vedere Sergio Costa: come un gatto
di cui percepisci la presenza e sai che ti guarda, autonomo
ed indipendente, che sa sempre dove andare e cosa fare. Anche
quando si prepara a morire.
Sergio Costa sapeva di morire ed ai compagni a lui più
vicini aveva detto che avrebbe levato il disturbo entro agosto
e, fedele come sempre alla correttezza e serietà che
lo caratterizzavano, aveva pagato la sua quota fino a tutto
il mese di agosto e non aveva mancato all’appuntamento
con la morte.
Non ha cercato pietismi perché amava essere ricordato
come il compagno forte e coraggioso che tutti noi conoscevamo.
E così, da uomo di vigore fisico e morale quale era,
si è comportato fino all’ultimo suo respiro, impartendo
un’ultima lezione di vita: saper morire con amore, dignità
e rispetto per gli altri e per sé.
Mi auguro che i compagni della FAI raccolgano ciò che
Sergio ha scritto di più significativo e fotografie che
lo ritraggono con i tanti compagni che lo hanno conosciuto e
possano pubblicare questo materiale a ricordo di un pezzo del
movimento anarchico milanese che è andato a raggiungere,
tra gli altri, Antonio Pileggi, Otello Menchi ed “Anacleto”.
Perché, dopo la sua la morte, Sergio Costa riviva nella
memoria collettiva di tutto il movimento anarchico.
Sergio Onesti
A
Sergio: bon voyage.
Volerà ancora con la sua bicicletta
portando i giornali in immediata fretta
Stretti nel pacco dietro la dura sella
Infaticabile nella continua e fiera corsa
Il nostro compagno Sergio Costa
Ogni settimana farà il completo giro
Fra librerie, chioschi e metrò di Milano
E imprecherà sino all’ultimo respiro
Il traffico caotico, impossibile, a tutto spiano
Per colpa del solito pirla di un vigile urbano.
Lo
aspetteremo insieme al “suo” settimanale
Sicuri di vederlo sempre ridere e scherzare
Per essere il solo, l’unico, direttore irresponsabile
Di un giornale anarchico che, anche a nome suo,
la memoria storica non potrà più cancellare:
Umanità Nova. Il nostro giornale.
Jules Èlysard
Pena di morte
A Occidente...
Preston Hughes III si trova nel braccio della morte dal 17 maggio
1989 in Texas: è un uomo innocente condannato
a morte.
Il 26 settembre 1988 due ragazzini (14 e 3 anni) sono stati
trovati uccisi, accoltellati, intorno alle ore 21 (Preston conosceva
la ragazzina uccisa, era come una sua sorella minore).
Preston dalle 18.30 alle 22.30 di quel giorno ha testimoni chiave
oculari che lui era da tutt’altra parte:
non sono mai stati sentiti. Perché? In America a volte
è più importante fermare “un”
colpevole piuttosto che “il” colpevole
per rabbonire l’opinione pubblica, si sa.
Sette mesi prima del duplice e infame delitto, Preston andò
a caccia e uccise con un coltello un coniglio: non lavò
mai il coltello dalle tracce di sangue. La Polizia di Houston
sequestrò questo coltello in casa sua senza alcun mandato
di perquisizione, con abuso d’ufficio e di potere, e lo
arrestò.
Preston
Hughes
Vennero fatte le indagini chimiche di rito, e una volta pronte
la giuria popolare venne fatta uscire
dall’aula! Il perito chimico forense si pronunciò:
coltello positivo a sangue animale e negativo
a sangue umano! La giuria popolare venne fatta poi rientrare
in aula e il p.m. esibì alla stessa il coltello come
“arma del delitto”! Preston venne condannato a morte:
per aver ucciso un coniglio!
Se da oggi (06/08/2004) entro 3 mesi Preston non riesce a trovare
75/100.000 $ per assoldare un avvocato e un investigatore che
lo difendano veramente (non come quelli d’ufficio che
gli sono stati affibbiati, perché senza soldi, che non
hanno fatto nulla se non ratificare la condanna a morte), lo
Stato del Texas fisserà la data di esecuzione
verso ottobre/novembre di quest’anno e Preston sarà
ammazzato come vittima di una cospirazione, senza aver fatto
nulla!
Quest’appello è rivolto a tutte le persone che
sentono questa storia come una vergogna e un’onta per
l’Umanità intera (pur essendoci purtroppo tantissimi
casi simili): aiutateci a trovare questi soldi
sennò Preston sarà vigliaccamente ammazzato da
innocente!!!
Grazie se ci aiuterete a salvare una vita umana!
I tempi bruciano, anche un solo euro da parte vostra può
fare la differenza tra la vita e la morte di una persona innocente!
Associazione AMI.CA. (Amici dei Carcerati), c.p. 84 –
31015 Conegliano (TV), tel. 347/04 65 271 – ccp 10881316
(causale “Pro Preston Hughes III”).
… e a Oriente
Esecuzioni di massa
Un giovane uomo si inginocchia. Ha le mani ed i piedi legati,
la testa china. Un soldato gli ordina di stare fermo. Uno sparo
e l’uomo si raggomitola al suolo. Un momento dopo, un
altro sparo ed un altro corpo raggomitolato. Ancora ed ancora
fino a che dozzine di vite sono state stroncate a sangue freddo.
La scena è quella di un’esecuzione di massa. Sono
frequenti in Cina, dove migliaia di persone sono condannate
a morte ogni anno. Alcune esecuzioni sono pubbliche. La maggior
parte si svolgono in luoghi nascosti dopo che i prigionieri
sono stati fatti sfilare per le strade nei cassoni dei camion.
Esecuzione
a Chengdu, capitale della provincia del Sichuan, 8 luglio 1989
La morte in cifre
Le autorità cinesi usano molto la pena di morte per creare
paura. La paura dovrebbe fermare i crimini. Non lo fa. Eppure,
vengono giustiziate più persone in un anno in Cina che
in tutto il resto del mondo. In molti casi, la pena di morte
viene applicata arbitrariamente senza garanzie contro errori
giudiziari. La Cina continua ad allargare il numero di reati
per cui è prevista la pena di morte. A tutt’oggi,
68 reati sono punibili con la morte, e sempre più persone
vengono giustiziate per crimini non violenti. Gli standard internazionali
stabiliscono che la pena di morte dovrebbe essere applicata
solo in caso di “crimini molto gravi”.
Quasi ogni aspetto del modo in cui la pena di morte viene applicata
in Cina è caratterizzato da violazioni dei più
basilari diritti umani. Ondate di esecuzioni spesso precedono
i principali festival o eventi internazionali e solitamente
accompagnano annunci ufficiali di campagne anticrimine.
La pena di morte è stata largamente applicata durante
le repressioni dell’opposizione. Decine di cittadini sono
stati giustiziati sommariamente a Pechino e nel resto del Paese
dopo la protesta del 1989 a favore della democrazia. Nazionalisti
musulmani sono stati giustiziati nello Xinjiang in questi anni
per supposto coinvolgimento in gruppi d’opposizione clandestini
o attentati dinamitardi.
Un numero crescente di persone è giustiziato per reati
relativamente modesti. Nel 1994 due contadini sono stati messi
a morte nella provincia di Henan per aver rubato 36 mucche e
macchinari agricoli del valore di 9.300 dollari. Una legge del
1983 permette processi sommari in casi che prevedano la pena
di morte. Tali processi sono particolarmente frequenti durante
campagne di “pulizia”. Ad esempio, durante manifestazioni
pubbliche nella provincia di Guangxi nel giugno 1995, 34 persone
sono state condannate per spaccio di droga ed immediatamente
giustiziate.
Gli imputati possono essere processati senza un avvocato e senza
conoscere l’accusa fino al momento di entrare in tribunale.
I verdetti sono spesso decisi prima del processo per via di
pressioni politiche. Alcune persone sono condannate solo in
base alle loro confessioni, a volte estorte sotto tortura. Le
esecuzioni possono avere luogo entro pochi giorni dalla sentenza.
Gli appelli sono formalità e raramente hanno successo.
I prigionieri condannati a morte sono incatenati dal momento
della sentenza fino all’esecuzione e spesso vengono esposti
al pubblico prima dell’uccisione.
Reati punibili con la morte
In Cina lo stato uccide per:
avvelenamento di bestiame – omicidio – tentato omicidio
– omicidio colposo – uccisione di una tigre –
rapina a mano armata – rapina – stupro – ferimento
– assalto – furto ripetuto – furto –
intrusione – rapimento – traffico di donne o bambini
– organizzazione della prostituzione – sfruttamento
della prostituzione – organizzazione di spettacoli pornografici
– pubblicazione di materiale pornografico – teppismo
– disturbo dell’ordine pubblico – esplosioni
provocate – distruzione o danneggiamento della proprietà
pubblica o privata – sabotaggio controrivoluzionario –
incendio – traffico di droga – corruzione –
truffa – concussione – frode – usura –
contraffazione – rivendita di ricevute IVA – evasione
fiscale – furto o costruzione illegale di armi –
possesso o vendita illegali di armi e munizioni – furto
o contrabbando di tesori nazionali o reliquie culturali –
spaccio di denaro falso – ricatto.
Amnesty International
Ripreso dal sito: www.amnesty.it/campaign/cina/b_pdm.htm
“Speranza” e tradimento
In una Milano sempre più multietnica è possibile
che dodici lavoratori egiziani e una eritrea restino senza lavoro
dopo ben tredici anni di servizio per il semplice fatto di essere
extracomunitari? Parrebbe di sì. L’Istituto Leone
XIII ha disdetto il contratto di appalto per le pulizie alla
“Interservice” per affidarlo alla ditta “Speranza”:
il fatto non costituisce reato e sarebbe dunque poco degno di
nota se non fosse che la ditta subentrante, la “Speranza”,
violando tutte le norme di legge e di contratto non si fosse
rifiutata di assorbire gli addetti che già lavoravano
presso il “Leone XIII”.
Guido Trifiletti, segretario regionale CUB ha contattato la
"Speranza" per capire le ragioni e Massimo Manfredini,
uno dei dirigenti della ditta che ha il nuovo appalto ha fornito
come unica spiegazione il fatto che “la dirigenza della
scuola non vuole quei lavoratori”.
“Ho naturalmente contattato il Leone XIII e chiesto più
volte di parlare con il dottor Gulinatti per capire se questa
affermazione di Massimo Manfredini corrispondesse a verità,
ma non mi hanno mai risposto – afferma Guido Trifiletti
– e quindi la FlaicaUniti CUB, insieme ai lavoratori,
ne deduce che le possibilità sono due: o questa è
una scusa messa in campo dai rappresentanti dell’Impresa
‘Speranza’ per non farsi carico del destino di 13
lavoratori e la dirigenza dell’Istituto non è coinvolta,
o si tratta di puro e semplice razzismo”.
La FlaicaUniti CUB insieme ai lavoratori chiede alla dirigenza
del Leone XIII di smentire l’affermazione di Massimo Manfredini
e di risolvere in modo positivo la vicenda dei 12 lavoratori
egiziani e della lavoratrice eritrea ingiustamente finiti sulla
strada dopo 13 anni di servizio. I lavoratori, insieme alla
FlaicaUniti CUB, stanno in questo momento (a partire dalle ore
15) presidiando l’Istituto per protestare e ottenere maggiori
informazioni e chiarimenti sulla vicenda.
Per informazioni: Guido Trifiletti cell. 338 4713789 –
Fabia Caporizzi 349 1937558.
A proposito di un Festival
Nei giorni del primo week-end di agosto si è tenuto
a Carrara, e precisamente nel bel Parco della Padula, un festival
intitolato “UrlaPadula” organizzato da Contatto
Radio, radio locale che fa parte del circuito Popolare Network.
Numerose le iniziative, i concerti, le presentazioni, i dibattiti
– tra cui anche una simpatica presentazione del nostro
doppio Cd mille papaveri rossi. Tanta gente, nessun problema
particolare, insomma un bel successo.
Sulla prima pagina de Il Sole-24 Ore del 30 agosto, però,
è comparso un articolo a firma di Luca Paolazzi dal significativo
titolo “Quei marmi d’autore feriti da ‘urla’
e vandali”. In realtà i danni subiti da alcune
delle opere artistiche di marmo disseminate nel Parco erano
tutti stati realizzati da ignoti vandali nei mesi precedenti
il Festival, come testimonia anche la documentazione fotografica
realizzata dai promotori del Festival. Lo spiega bene un lungo
comunicato di Contatto Radio, in cui si ricostruisce la storia
del Parco della Padula e si accusano le autorità cittadine
di incuria e disinteresse. È lo stesso articolo del quotidiano
confindustriale ad ammetterlo, in palese contrasto con il titolo
“terroristico”.
Ma tant’è. A livello locale si è scatenata
la polemica e l’indicazione lanciata da lor signori è
precisa: basta concessioni della Padula ai rockettari. Nel 2005
niente UrlaPadula.
Peccato che, come sottolineano giustamente i promotori del Festival,
la salvezza del Parco della Padula stia proprio in una sua riappropriazione
da parte della gente, che lo porti ad essere sempre più
“vissuto” e sentito come proprio, sottraendolo così
a vandali, tossicomani e all’inedia di chi dovrebbe curarsene.
Intanto, dopo UrlaPadula, è sceso in campo UrlaPadrone..
P.F.
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