Rovesci
d’amore
Due parti – il fenomeno e le politiche –
scandite in quindici sezioni compongono la ricerca di Daniela
Danna, Donne di mondo. Commercio del sesso e controllo
statale, Elèuthera Milano 2004, dedicata alla
“prostituzione”. Termine istituzionale usato (e
abusato) dal linguaggio mediatico secondo un’univoca accezione
che l’autrice supera suggerendo linee di approfondimento
tese a porre il commercio del sesso aldiquà di reiterati
influssi moralistici.
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L’allegoria del viaggio nel mondo della prostituzione,
compiuto nella complessità sociale e contemporaneamente
nell’intimità individuale più profonda:
la volontà di sapere che cos’è questo legame
diretto tra sesso e denaro, abbandonando i giudizi stereotipati
e osservando e ascoltando coloro che in questo mondo vivono,
porta inevitabilmente a riflettere sulla nostra sessualità.
Non per caso la lettura del libro mi ha riportato alla mente
una frase – bella – di Clarice Lispector, la scrittrice
dalla quale sovente attingo verità e illuminazioni che,
nel tempo e in altri contesti, mi sopraggiungono inaspettate,
folgorando di nuovo senso situazioni e realtà che sembrano
non avere attinenza con quelle cui sono riferite. La frase –
cito a memoria – suona pressappoco così: quando,
mio dio, si può dire che l’animo è puro?
Probabilmente nell’amore illecito…
Il congedo dal parametro moralistico procura al pensiero di
chi scrive e di chi legge il vedere le cose come sono e non
come dovrebbero essere. Così distolto, rispettando l’essere
e non insistendo su astratte idealità, lo sguardo si
alleggerisce dall’ingombro posto dal giudizio sul bene
e sul male, sul giusto e l’ingiusto in funzione vessatoria
e penalizzante. Lo sguardo mira alla sofferenza, al piacere,
al desiderio, al bisogno e alle pratiche di coloro che agiscono
e patiscono il mondo. Questo spostamento di prospettiva apre
alla comprensione che prescinde tanto l’indignazione perbenistica
quanto il virtuosismo di redimere un “flagello sociale”.
Le politiche che improntano il fenomeno prostituzione sono riassunte
dal proibizionismo e dalla regolamentazione, dall’abolizionismo
e dalla depenalizzazione, ognuna delle quali sottende la peculiare
domanda: Perché le donne non sono clienti? Senza
pretese esaustive, il testo accenna alcune risposte. In primo
luogo il fatto che i clienti siano in gran parte uomini riflette
gli squilibri di ricchezza e di potere nella società.
Ciò non significa che la prostituzione sia all’origine
del ruolo maschile dominante: ne è una parte e una conferma,
annota l’autrice. Che subito dopo, a seguito di alcune
testimonianze, scrive: l’accettazione per una prestazione
sessuale non necessariamente pone chi lo fa in una condizione
di sottomissione assoluta. Una concezione della prostituzione
può prevedere senso di inferiorità per essere
costretti a pagare per il sesso, ma può anche sollecitare
sentimenti di gratitudine per chi soddisfa le loro esigenze.
Da qui, specularmente, lo studio ricerca di Danna privilegia
la considerazione della prostituzione non come “danno
sociale”, bensì “risorsa” evitando
di cadere nel catastrofismo e nella criminalizzazione presenti,
a vario grado, sia nelle legislazioni più datate sia
in quelle attuali.
Secondo lo sguardo che preserva il reale additando le differenze
irriducibili di senso e di corso che animano donne e uomini,
l’attestazione di efficacia delle politiche adottate nelle
giurisdizioni nazionali è misurata sull’impatto
concreto da esse appartato, o non apportato, nelle relazioni
umane, nelle esistenze di chi nel commercio del sesso trova
una movenza propria, in gran parte indecifrabile alla ragione
dell’altro/a. Restano un di più e un di meno, un
soprammercato mai normalizzabile che nessuna politica giurisdizionale
può assolvere e colmare. È questa scheggia di
interdetto che muove la ricerca di Donne di mondo.
Le politiche non rappresentano a tutto tondo scelte che discendono
obbligatoriamente da una particolare visione della prostituzione,
presentano tuttavia delle affinità con talune specifiche
visioni. Si accomuna così il “flagello sociale”
a proibizionismo e regolamentarismo; la “risorsa”
ad abolizionismo e depenalizzazione; il “lavoro”
al neo-regolamentarismo.
Particolarmente intrigante risulta in tal senso il confronto
congiunto di prostituzione e droga tra le idee soggiacenti l’abolizionismo
storico, che lasciavano spazio alla liceità della prostituzione,
e quelle del neo-abolizionismo, riferite nelle parole di una
neo-abolizionista. Il regolamentarismo – si legge
– avendo legittimato la prostituzione, lasciò
i riformatori nella posizione di considerare la prostituzione
come abuso solo se coinvolgeva pratiche vittimizzanti come lo
sfruttamento. Stabilire una differenza tra prostituzione liberamente
scelta e quella forzata voleva dire implicitamente che una parte
della prostituzione è accettabile. Oggi sarebbe come
suggerire che l’abuso di droga è accettabile quando
non è forzato, quando le persone si iniettano le sostanze
da sé senza una diretta costrizione da parte degli altri.
La criminalizzazione del cliente, legiferata dalla Svezia nel
1955 quando “le donne nel parlamento più paritario
del mondo prendono posizione comune sulla questione prostituzione”
ha determinato conseguenze negative per le prostitute dal momento
che il neo-probizionismo, ribaltando senza eludere la logica
del discorso moralistico – ieri criminalizzava le donne,
oggi gli uomini – pregiudica fortemente la possibilità
di lavorare per le donne stesse.
Sembra allora che depenalizzazione e vuoto legislativo sulla
prostituzione possano garantire la referenza ad una legge non
scritta, ventilata dai diritti fondamentali già presente
nei codici – il diritto al lavoro appunto, alla salvaguardia
della salute, all’integrità fisica del vivente
e al rispetto delle libertà e non libertà –
affinché ciò che non è proibito non diventi
obbligatorio. La legge non scritta non esonera dalla volontà
di aiutare, anzi. Sempre che all’altro, all’altra
l’aiuto non sia imposto…
Non sono avvezza a fare, né mi convincono le già
fatte, graduatorie di merito. Ma per dire quello che sento,
mi sento di dire che l’offerta e il consumo, l’uso
e il dono di sesso sono quanto di più indispensabile
e arduo regga l’umanità.
E come per ogni economia vitale, vale il prezzo di dolore e
di piacere, di sofferenza e di gratitudine: imprescindibili
dell’amore.
Monica Giorgi
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