Facendo
riferimento ai cortei di Beirut contro il governo libanese
e alle elezioni irachene, egiziane e saudite, Magdi Allam
sostiene, sul “Corriere della Sera” del 1°
marzo 2005 (in prima pagina), che “nel mondo arabo
è in atto una vera rivoluzione democratica”
e ci esorta a “dare una mano, ai popoli che ambiscono
a riscattare la propria libertà, troppo a lungo
negata”. Ma, nel frattempo, pare che dopo l’omicidio
di Theo Van Gogh ad Amsterdam il numero degli olandesi
che intendono trasferirsi, il più lontano possibile
dalla sfera d’influenza della cultura islamica,
sia in vertiginoso aumento (lo scrive sullo stesso “Corriere”,
in fondo a pagina 16, Mario Porqueddu). Uno potrebbe ben
chiedersi se la “libertà” cui aspirano
i popoli arabi sia o meno la stessa “libertà”
cui credeva di poter godere l’autore del cortometraggio
Submission, dedicato alla violenza contro le
donne nell’Islam. |
Elias Canetti sostiene
che ogni essere umano “si oppone, entro di sé,
al comando”. Ognuno avverte la pressione cui è
sottoposto, riservandosi, in cuor suo, un “diritto di
sovvertimento o di ribellione” (1).
L’imperativo permarrebbe come una sorta di corpo estraneo,
metaforicamente un “spina” conficcata nel corpo,
che attenderebbe solo di essere espulsa dall’organismo
che se la porta con sé – di solito, purtroppo,
mediante un drammatico rovesciamento della situazione in cui,
chi prima subiva un’imposizione, la può adesso,
a sua volta, imporre ad altri (soddisfazione del boia).
Il che spiegherebbe abbastanza, fra l’altro, la mancanza
di senso di responsabilità, e anche di memoria, tipica
di coloro che si mettono nell’atteggiamento di eseguire
ordini ricevuti da altri.
Si tratta di una situazione comunicativa, dove i soggetti produttori
di attività mentale e relativo linguaggio sono già
almeno due: chi comanda e chi ubbidisce. Non è impossibile
dare ordini a se stessi, ma si tratta pur sempre di uno sdoppiamento,
che deve essere operato attraverso la memoria (o altro, ad esempio,
“metto la sveglia alle 7.00”).
Nessun mio comportamento, voglio dire, che si tratti di alzarsi
alle 7.00 o altro, in quanto tale è “libero”
o “determinato” (2). Per
considerarlo tale dobbiamo aggiungere delle ulteriori operazioni
mentali, e lo facciamo, di solito, per spiegare la differenza
di quel comportamento da un paradigma di “normalità”.
Se mi sveglio tutti i giorni alle 7.00, non avrò il problema
di considerare questo comportamento come libero o determinato,
a meno che non lo metta in rapporto, per esempio, a un desiderio
insoddisfatto di dormire più a lungo (e allora troverò
un vincolo e un comportamento determinato) o, al contrario,
al piacere di respirare l’aria del mattino (ed ecco che
diventerà una libera scelta).
“Scelta”
o “tic”
Posso considerare l’accensione, ad esempio, di una sigaretta
come una “scelta” – o come, invece, un “tic”
– solo inquadrando l’evento in uno schema. Un conto
è lo sdoppiamento dell’evento in un comando ed
un’esecuzione – sia poi l’accendersi la sigaretta
dovuto a carenza di nicotina del sangue, reazione all’accensione
di una sigaretta da parte di altri o abitudine a una certa ora
sono varianti dello schema deterministico. Tutt’altro
conto è se, invece, vediamo la cosa in termini di evento
fra altri parimenti realizzabili (accendo la televisione, mi
verso un whisky, vado a letto, continuo a scrivere, etc.).
Se penso che ho promesso l’articolo per il giorno tale
e manca poco, mi sento obbligato a scrivere e scrivo (brontolando
fra me e me contro l’editore). Se invece penso di poter
benissimo concedermi una pausa, o continuo a scrivere con un
senso di libertà addosso, che altrimenti non avrei, o
smetto.
Detto questo, sarebbe del tutto auto-contradittorio ritenere
che siamo “liberi di”, o “costretti a”
se è per questo, considerarci “liberi” o
“determinati” – come ha fatto notare Felice
Accade (3).
Si tratta di due schemi mentali alternativi che, come per tutto
ciò che facciamo con la nostra testa e con il nostro
corpo, usiamo perlopiù inconsapevolmente. Il fatto di
rendersene consapevoli non ci mette di per sé in grado
di controllarne poi l’uso a piacere in qualsiasi contesto
possibile. Ci mette in grado di provarci (e non è poco),
salvo fare i conti con la situazione comunicativa di cui sopra.
Canetti, come altri prima di lui, ricorda che l’Islam
è una religione di guerra (“Uccidete gli infedeli”
Corano, sura 9 v. 5). Tanto basterebbe a giustificare tutto
lo scetticismo possibile da parte del movimento anarchico nei
confronti di questa religione – scetticismo che, tuttavia,
stranamente non sembra poi così diffuso (4).
Forse bisogna tenere presente, a questo proposito, la propaganda
di regime – da suddividere in “di destra”
e “di sinistra”.
Secondo la scrittrice Oriana Fallaci, in arabo non esisterebbe
il termine adatto per tradurre il vocabolo “libertà”
(5). Fermo restando che questo genere
di argomentazione solleva non pochi problemi (basterebbe citare
il caso della lingua degli Hopi che secondo Sapir era priva
delle nozioni di “spazio” e “tempo”)
(6); ho l’impressione che la
Fallaci estremizzi notevolmente l’argomento arrivando
a suggerire implicitamente che nella cultura islamica non sarebbe
riconosciuta alcuna forma di libertà.
L’Italia
legata agli Arabi
Un autorevole storico inglese (ecco la “sinistra”)
come John M. Hobson, oppone alla Fallaci (nella mia ricostruzione,
ovviamente) che lo stesso Profeta Maometto fu un mercante a
“commenda”. La forma contrattuale secondo cui un
investitore finanziava il viaggio di un mercante era chiamata,
appunto, “commenda” nelle città italiane
del secolo XI – città che, secondo molti storici
“euro-centrici”, l’avrebbero inventata. Secondo
Hobson “difficilmente può sorprendere che gli italiani
adottarono questa istituzione dato che l’Italia era strettamente
legata al sistema commerciale degli Arabi”, che rivendevano
in Europa i sofisticati prodotti provenienti da India e Cina,
e che lo applicavano, già dal secolo VIII, anche alla
manifattura e al credito in generale, con un sistema capitalistico
in tutto e per tutto (7).
L’Islam avrebbe anticipato di 150 anni le teorie di Copernico
e quelle di Lutero, e, insomma, andrebbero riviste praticamente
tutte le narrazioni cruciali per il mito dell’Occidente.
Compresa la presunzione di aver creato la “libertà”.
Presunzione che si regge sulle pretese di un sistema di rappresentanza
parlamentare che solo dal 1913, in Norvegia, dal 1946 in Francia
e Italia, e dal 1965 in America, ha potuto avvalersi del suffragio
universale – peraltro, dico io, entro i limiti che le
ultime elezioni statunitensi hanno messo in evidenza.
Un sistema che non ha mai entusiasmato né gli anarchici
né, ad esempio, i bolscevichi di Bogdanov (8),
né, tanto meno, gli amanti della libertà in genere
– essendo abbastanza evidenti i limiti intrinseci del
concetto di “rappresentanza” adottato.
Nel film “Farenheit 9/11”, ad esempio, il regista
Michael Moore mostra che nessun senatore, compresi i canditati
democratici alla Presidenza e Vicepresidenza degli Stati Uniti
nelle elezioni del 2004, John Kerry e John Edwards, ebbe il
coraggio di appoggiare formalmente il reclamo dei comitati degli
elettori della Florida che non avevano potuto votare per la
Presidenza nel 2000, impedendo così l’avvio di
un’istruttoria formale da parte del Senato – i cui
100 membri sono praticamente tutti bianchi, milionari, cristiani
e maschi a differenza del corpo elettorale che “rappresentano”
(nel caso della Florida si trattava soprattutto di neri, poveri
rispetto ai senatori milionari e non collocabili in una categoria
sola dal punto di vista religioso né dal punto di vista
sessuale).
Alla ricerca di tesi meno “destrorse” rispetto alla
Fallaci, lo studioso Bernard Lewis ricorda che esiste un versetto
“molto citato” del Corano secondo cui “non
c’è costrizione nella religione” (2,256)
(9). Il versetto, dimenticato da Canetti,
è stato, in effetti, citato anche recentemente dall’Iman
di Torino, intervenuto a “Porta a porta” (Rai uno).
Lewis, tuttavia, non rinuncia ad avanzare delle pretese di sua
differenza dall’Islam, in nome del Cristianesimo. Lungi
dal contrapporre il monito “uccidete gli infedeli”,
ricordato da Canetti, all’evangelico invito a “porgere
l’altra guancia”, tuttavia, egli sostiene che distinguere
le Chiese dagli Stati sarebbe, “in senso profondo, un’idea
cristiana” (10), figlia dell’evangelico
“date a Cesare quel che è di Cesare e a Dio quel
che è di Dio” (Matteo, 22,21 – molto probabilmente,
peraltro, un falso della Chiesa), dimenticando i Romani e tanti
altri popoli non cristiani – compresi i musulmani che,
anche loro, come sappiamo possono benissimo farsi la guerra
pur rimanendo “fratelli” nell’Islam.
Lewis deve ammettere, ma lo fa solo a denti stretti, e a modo
tutto suo, che, nel mondo cristiano, “di tanto in tanto
i preti esercitarono il potere temporale” e “i re
invocarono il diritto divino”, ma riesce a concludere
affermando che “queste erano deviazioni dalle norme cristiane,
giudicate tali e denunciate dai portavoce della monarchia e
della chiesa” (11).
Roghi e massacri
cancellati
Ci sono vari modi, insomma, per affermare la supremazia culturale
dell’Occidente cristiano e barcamenarsi fra le pressioni
religiose e ideologiche dei vari centri di potere, cancellando
dalla Storia roghi e massacri perpetrati dalla Chiesa Cattolica
come dalla borghesia “illuminata” e dall’Islam.
Lewis, per concludere, afferma che le idee della Rivoluzione
Francese “fornirono la principale ispirazione ideologica
di molti dei movimenti modernizzatori e riformatori del mondo
islamico” (12).
Ma, d’altra parte, quando le guerre successive alla Rivoluzione
Francese coinvolsero l’Impero Ottomano e Napoleone invase
l’Egitto, protettorato turco (già nel 1798, ancora
da semplice generale), le vicende dei profughi delle guerre
di quel periodo dimostrerebbero che l’Impero Ottomano
“offriva un grado di tolleranza senza pari nell’Europa
cristiana”.
Nel senso che, “ogni comunità religiosa, era autorizzata
a praticare liberamente”. Poteva persino “applicare
le proprie leggi” nell’ambito dell’educazione
e della regolazione della vita sociale in genere – purché
esse non fossero in contrasto con le leggi fondamentali dell’Impero
(13). Quasi a dire che l’Islam
avrebbe “appreso l’intolleranza” dall’Occidente.
Francesco Codello, sul numero 303 di
“A”, pone il problema dell’Islam, e in
generale del “relativismo culturale”, dal punto
di vista degli anarchici. Sono d’accordo nel rifiutare
la scelta fra difendere i propri valori come “assoluti”
e accettare di subire nel nome del “relativismo”
i valori di qualsivoglia residente, per esempio, ad Amsterdam
(caso Theo Van Gogh, ucciso per aver osato criticare l’Islam).
Si tratta, piuttosto, di consapevolezza delle proprie scelte,
esplicitazione dei criteri che ci guidano e apertura al dialogo
fra chi condivide esigenze di consapevolezza e di libertà,
considerata come risultato di operazioni mentali e non come
dato ontologico.
Francesco Ranci
Note
- Elias Canetti, Massa e potere,
Adelphi-Bompiani, Milano 1988, p. 370. (ed. or. 1960).
- AAVV, Scritti in memoria di Silvio
Ceccato, “Quaderni di Metodologia”
n. 7, Società Stampa Sportiva – Divisione
Cultura e Scienze, Roma, 1999, p. 8.
- Felice Accame, La costituzione
del determinato, del casuale e del probabile,
in “Hortus Musicus”, 20, 2004.
- Vedi ad esempio il dibattito sulla
conversione di Leda Rafanelli, promosso
da Felice Accame su questa rivista nel febbraio
2001.
- Articolo apparso sul “Corriere
della Sera”, dopo l’attentato dell’11/9/2001.
- Caso discusso da Giuseppe Vaccarino,
in “Scienza e semantica costruttivista”,
Clup, Milano, 1989.
- John M. Hobson, The Eastern Origins
of Western Civilization, Cambridge, 2004, p.
120.
- A.A.Bogdanov, Quattro dialoghi
su scienza e filosofia, Odradek, Roma, 2004.
- Bernard Lewis, Il suicidio dell’Islam.
In che cosa ha sbagliato la civiltà mediorentale,
Mondadori, Milano, 2002, p. 123 (ed. or. What
Went Wrong?, Oxford University Press, 2002).
- Lewis, cit., p. 103.
- Sempre a pagina 103.
- Lewis, cit., p. 112.
- Lewis, cit., p. 36.
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