Qualche
anno fa quando scrissi dei Gas (gruppi d’acquisto
solidali) su questa rivista, stavo descrivendo un magma
in formazione, esperienze particolari a mezza strada
tra l’utopia ed il velleitarismo. Nel 1997 si
contavano 8 gruppi sparsi in tutta Italia, oggi abbiamo
raggiunto quota 200 con migliaia di partecipanti e il
fenomeno sembra in continua espansione, assumendo sempre
più i contorni di un vero e proprio movimento
del consumo critico e partecipato.
Lorenzo Valera, giornalista di Radio Popolare di Milano
nonché gasista convinto, ha recentemente dato
alle stampe un prezioso volumetto*
che traccia un primo bilancio di questa esperienza,
fotografando un mondo composito ed imprevedibile. |
Iniziamo dal libro, tutto nasce da un’inchiesta
che hai svolto facendo circolare un questionario tra i Gas.
Come era costruito e che tipo di reazione hai trovato, tenendo
conto che non tutti amano relazionarsi con il mondo della comunicazione?
E ne hanno tutte le ragioni: i Gas hanno imparato a diffidare
dei mezzi di informazione perché molto raramente ne sono
rappresentati in maniera corretta. La tentazione per un giornalista,
soprattutto se deve rispettare dei tempi di produzione molto
ristretti, è quella di semplificare, ridurre tutto a
facili schemi. Inoltre sa che è più facile suscitare
l’interesse del pubblico utilizzando messaggi facili,
univoci, semplificando al massimo ciò che racconta. Se
queste sono le regole per la gran parte del giornalismo italiano,
il fenomeno dei Gas è quanto di più “antigiornalistico”
si possa immaginare.
Quando la casa editrice mi ha incaricato di scrivere il libro
avevo solo una vaga impressione della complessità di
questo mondo. Tuttavia bastava per stabilire un presupposto
di partenza: l’unico modo per rappresentarlo nella maniera
più fedele possibile era di far parlare di sé
tutti i gruppi con cui riuscivo a mettermi in contatto, lasciando
da parte la pretesa di stabilire i confini precisi entro i quali
si dovessero collocare i gruppi per definirsi Gas.
La realtà che ne è emersa è decisamente
più articolata di quanto sospettassi e, a fine lavoro,
leggendo le risposte, mi sono venute in mente decine di domande
che avrei voluto fare... ma anche io avevo dei tempi da rispettare.
Il questionario era suddiviso in 5 grandi sezioni, che poi sono
diventate i capitoli del libro: la storia del Gas, il funzionamento,
la partecipazione, i criteri di scelta dei prodotti, i rapporti
con l’esterno. Ciascuna sezione conteneva una serie di
domande. La raccomandazione era di cercare di utilizzare il
questionario come traccia, piuttosto che rispondere schematicamente
ad ogni domanda. Ciò ha comportato una maggiore difficoltà
nella rielaborazione delle risposte, ma i documenti che ho ricevuto
sono stati decisamente stimolanti, soprattutto quando sono andati
fuori tema. Ciascuno dei circa 60 Gas che hanno risposto ha
contribuito a modificare la mia visione iniziale.
La reazione è stata sempre di grande gentilezza e sollecitudine.
Credo che le domande in sé dimostrassero abbastanza chiaramente
un intento diverso da quello solitamente perseguito dai mezzi
di informazione. Quando sei abituato a sentirti chiedere come
unica domanda: “Ma risparmiate? Ma quanto risparmiate?”
(che è il modo migliore per irritare un gasista...) forse
ti fa piacere sentirti chiedere: “Che tipo di organizzazione
utilizzate? Esistono diversi livelli di partecipazione? Con
quali criteri scegliete i prodotti?”.
Vari livelli di coordinamento
La realtà che tu descrivi nel libro appare molto
frammentata, esistono dei principi base ai quali si ispirano
i Gas?
Sarebbe ‘frammentata’ se fosse davvero un’unica
grande realtà; ma se ciascun nucleo è in grado
di nascere, vivere e svilupparsi indipendentemente dagli altri
non lo possiamo definire un ‘frammento’. Il singolo
che entra a far parte di un gruppo non aderisce a un ‘movimento
dei Gas’, a una grande associazione che li raggruppa tutti.
Esistono vari livelli di coordinamento, come la Rete Gas nazionale
o quelle che si sviluppano a livello locale tra i Gas di una
città o di una regione, ma servono più che altro
a mettere in relazione i gruppi tra di loro, per scambiare informazioni
e confrontarsi.
Eppure una realtà dei Gas esiste, perché effettivamente
alla base ci sono alcuni presupposti condivisi. Nel 1999 sono
stati riassunti in un Documento Base, che possiamo sintetizzare
in alcuni punti fondamentali:
- La pratica del consumo critico, inteso come l’atteggiamento
di chi valuta e sceglie ciò che acquista in base ai propri
criteri e non a quelli imposti dal mercato e affermati dalla
pubblicità;
- la pratica della solidarietà come regola di appartenenza
al gruppo stesso, ma anche come modalità di relazione
con chi produce o trasforma i prodotti che si acquistano e con
tutti coloro che, soprattutto nel Sud del mondo, subiscono le
ingiustizie del sistema capitalista.
Nel Documento Base (che potete trovare integralmente consultando
www.retegas.org)
è riportata anche una lunga lista di criteri per la scelta
dei prodotti. Diciamo che quasi tutti i criteri si richiamano
a due filoni fondamentali:
- Rispetto dell’uomo: i beni acquistati non devono essere
prodotti secondo logiche di sfruttamento dei lavoratori; si
privilegia chi fa lavorare categorie svantaggiate o escluse
dal mercato del lavoro.
- Rispetto dell’ambiente: prodotti biologici e biodinamici
per quanto riguarda gli alimentari; prodotti locali per ridurre
l’inquinamento, il consumo di energia ed il traffico per
il trasporto della merce.
È importante sottolineare che il Documento Base non
è un regolamento da applicare alla lettera; nell’indagine
sono emerse divergenze anche profonde nella traduzione pratica
di quanto espresso in linea i principio. Da questo punto di
vista i Gas possono essere considerati come dei cantieri perennemente
aperti, in continuo divenire.
Possiamo definirli gli eredi storici del cooperativismo
italiano? Oppure, altre matrici culturali e politiche, hanno
influenzato il DNA dei Gas?
È una domanda complessa che meriterebbe uno studio a
parte, che io non ho fatto per la stesura del libro. In chiusura
c’è una breve intervista a Alberto Martinelli,
docente di scienze politiche alla Statale di Milano, al quale
ho chiesto quali fossero le origini delle idee di cooperazione,
collaborazione e mutualismo che ispirano le pratiche dei Gas.
Ciò che ne è emerso è che la tensione alla
cooperazione è qualcosa che risale ai primordi, un istinto
profondamente connaturato all’agire sociale fin dalle
prime comunità umane. In tempi più recenti il
riferimento è sicuramente al cooperativismo di stampo
socialista che ha iniziato ad affermarsi nella seconda metà
dell’800, ma anche a quello di matrice cattolica improntato
sul comandamento dell’amore per il prossimo. In effetti,
a giudicare anche dalla provenienza e dalla cultura di chi confluisce
nei Gas, sono le due anime tuttora maggioritarie. L’eredità
di cui tu parli è indubbia, ma sarebbe interessante analizzare
come sia stata trasmessa: la generazione precedente, quella
del boom economico e dello stato sociale, sembrava aver dimenticato
la possibilità di costituire reti per rispondere più
efficacemente alle necessità degli individui... forse
è proprio lo smantellamento progressivo di un sistema
di garanzie, piuttosto che la crisi economica, ad aver determinato
questo nuovo impulso all’autorganizzazione, alla gestione
collettiva dei problemi legati alla soddisfazione di necessità
e desideri.
Devo dire che la centralità del prodotto mi
convince poco, tu stesso nella tua indagine riscontri che la
convenienza non è fondamentale nella valutazione della
gran parte dei gruppi. D’altronde per quanto la domenica
uno possa caricare la macchina di formaggio, troverà
sempre più conveniente andare all’Ipercoop a comprare
un formaggio biologico. Oltre alla qualità di un prodotto
sembra che la filiera sia ispirata alla qualità della
relazione. Quali caratteristiche deve avere un prodotto Gas?
Credo che tu abbia fatto l’esempio sbagliato: hai idea
di quanto costa il formaggio biologico dell’Ipercoop?
Certo, se mi parli di quello acquistato al mercato è
un altro discorso...
In ogni caso la mia esperienza è che sui prodotti di
qualità e di provenienza certificata, a parte il risparmio
dovuto all’acquisto di grandi quantitativi, i prezzi non
differiscono di molto dalla grande distribuzione, quella di
qualità. Ma c’è anche un’altra considerazione
da fare: la certificazione del biologico è costosa e
non tutti i piccoli produttori possono permettersela, a meno
di non far lievitare i prezzi dei prodotti al punto di renderli
inaccessibili; se, come alcuni Gas sono riusciti a fare, ci
si dota degli strumenti per verificare di persona e si instaura
un rapporto di fiducia con il produttore la certificazione diventa
secondaria e su quello si può risparmiare. Anche i costi
del trasporto possono essere abbattuti organizzandosi. Certo,
la grande distribuzione riesce a contenere i prezzi grazie alla
ripartizione dei costi fissi sulle grandi quantità; ma
allora dobbiamo intenderci sul concetto di convenienza: l’acquisto
di beni importati da altri Paesi o continenti (magari dove la
forza lavoro ha un costo insignificante) può certamente
tradursi in un risparmio per il mio portafoglio. Ma il costo
sociale e ambientale che tutto questo comporta è conveniente?
Per chi?
Detto questo è vero però che la differenza sta
soprattutto nella possibilità di instaurare una relazione
con chi produce e vende, un ritorno all’umanità
dei rapporti in alternativa all’alienazione del supermercato.
Molti di quelli che entrano in un Gas semplicemente non ne possono
più della trafila spersonalizzante del grande magazzino
e scoprono che unendo le forze è possibile creare un’alternativa.
Cooperare o competere?
È per questo che i gruppi d’acquisto si
chiamano solidali? Un’economia su piccola scala dal volto
umano?
Sì, ma la solidarietà, ancora prima che un fatto
di umanità è un fatto di buon senso; se gli abitanti
di un condominio, invece che guardarsi storto sul pianerottolo
e massacrarsi per un passeggino nel sottoscala avessero il bon
senso di capire che la solidarietà è conveniente,
allora imparerebbero a sotterrare l’ascia di guerra e
ritroverebbero l’umanità perduta... lo stesso vale
per i colleghi d’ufficio: quanto sarebbero più
efficienti in un clima di cooperazione piuttosto che di competizione?
Il condominio e l’ufficio, o comunque il posto di lavoro,
sarebbero gli ambiti ideali per la nascita di un Gas, ma per
il momento questo succede molto raramente. La cultura dominante,
soprattutto nelle grandi città, è quella della
diffidenza e dell’aggressività.
I Gas sono solidali anche tra loro? D’accordo
che non tutto l’economico è riconducibile a freddi
numeri, ma immagino che ogni gruppo abbia sviluppato una politica
di buon vicinato con gli altri per gestire grossi quantitativi
di merce.
Sì, ma sempre in un ottica di scambio. Ricordo che il
mio Gas, uno dei più antichi di Milano e perciò
dotato di una buona struttura organizzativa, gestiva l’ordine
della pasta anche per conto di altri Gruppi. Ovviamente più
l’ordine era corposo più lo sconto era cospicuo,
e questo conveniva a tutti. Ma quando cominciarono ad aggregarsi
gruppi di cui non avevamo mai sentito parlare, senza fare alcuna
domanda sul tipo di criterio che ci aveva portato a scegliere
quel produttore, abbiamo capito che tutto sommato le differenze
con la grande distribuzione si andavano assottigliando. In fondo
una parte del lavoro del Gas, forse quella più stimolante,
è proprio la ricerca e la discussione collettiva sui
produttori...
Da allora chi vuole fare un ordine con noi deve venire a incontrarci
di persona, conoscere e condividere le scelte sui prodotti.
Inoltre è gradita la partecipazione di uno o più
membri alle operazioni di smistamento della merce, che nel caso
della pasta sono decisamente faticose e complesse.
I Gas scontano lo stereotipo del salame nostrano buono
che viene dallo zio contadino. Al contrario ho letto che la
gamma di prodotti offerti si sta significativamente ampliando
ed inizia a toccare i sevizi. Insomma, un consumo sempre più
articolato che cerca di avvicinarsi alle necessità quotidiane
delle persone. È presto per parlare di un modello di
economia alternativa?
Sì, è decisamente presto. Anche se il fenomeno
è in grande crescita, una crescita che forse dieci anni
fa nessuno si sarebbe aspettato, secondo me potremo parlare
di un modello alternativo quando il fenomeno investirà
ambiti e soggettività slegati da percorsi comuni di impegno
politico e sociale.
Mi spiego meglio: fino ad oggi i Gas sono nati dalle Botteghe
del Commercio Equo, dai centri sociali, da gruppi di amici già
attivi in ambiti di volontariato o di militanza politica, da
strutture insomma in cui persone accomunate da un percorso di
critica del sistema economico si possono incontrare riconoscere.
Ho fatto gli esempi del condominio e dell’ufficio: quando
questi ambiti saranno i luoghi privilegiati in cui prendono
le mosse esperienze di questo tipo, allora potremo parlare i
un modello nuovo. Devo aggiungere tuttavia che una delle sorprese
maggiori nell’indagine che ho condotto è stato
scoprire che i nuovi Gruppi nascono sempre più spesso
da persone che si accostano per la prima volta ai temi del consumo
critico, e questo è decisamente un buon segno.
Da un punto di vista organizzativo, come sono strutturati
i Gas? Chi decide?
L’organizzazione varia notevolmente da gruppo a gruppo,
a partire dal tipo di struttura: ci sono gruppi informali, associazioni,
cooperative. Numericamente si va da gruppi formati da 5-10 nuclei
familiari a oltre 300, anche se questi ultimi in genere si suddividono
in sottogruppi. Nella stragrande maggioranza c’è
una suddivisione di compiti alla quale partecipano tutti i membri:
chi si occupa degli ordini, chi di trovare nuovi prodotti da
proporre al gruppo, chi dei rapporti con l’esterno, chi
degli incontri culturali... Più raramente c’è
un gruppo ristretto che si occupa della gestione e uno più
ampio che si limita ad acquistare i prodotti. Ci sono delle
riunioni regolari, generalmente una o due al mese, che servono
a fare il punto sulla logistica, assaggiare nuovi prodotti,
discutere su temi legati al consumo critico. Nelle riunioni
viene data molta importanza all’aspetto della convivialità.
Tra i metodi decisionali, cui era dedicata una parte specifica
del questionario, il più utilizzato è decisamente
quello del consenso. Molti gruppi hanno dei coordinatori o dei
facilitatori, (solitamente i membri fondatori o i più
anziani del gruppo), o semplicemente quelli che si sbattono
di più. Di solito si tratta di una delega spontanea,
non formalizzata.
Il numero sembra una variabile fondamentale. Molti
Gas per evitare la congestione favoriscono la nascita di nuovi
gruppi.
Questo è un aspetto molto interessante. Quando il gruppo
raggiunge e supera la trentina di nuclei familiari l’aspetto
relazionale comincia a risentirne. Allora può succedere
che il gruppo decida di non allargarsi ulteriormente, anche
per consentire ai membri una partecipazione di qualità;
le persone che non trovano posto in un Gas di solito vengono
indirizzate ad altri nella stessa zona che possono ancora crescere.
Se non ce ne sono, gli aspiranti gasisti vengono messi in contatto
fra loro e accompagnati alla creazione di nuovi gruppi. Un Gas
che abbia raggiunto e superato i limiti di crescita può
anche decidere di scindersi in più gruppi, che in genere
si mantengono in relazione tra loro, magari acquistando un certo
prodotto insieme, o scambiandosi informazioni sui produttori
incontrati. La cosa interessante è tutto ciò avviene
in maniera spontanea, senza una pianificazione centralizzata.
Esistono esperienze simili in altri Paesi?
Non lo so, credo di sì.
I granelli possono mettere in crisi l’ingranaggio
Credo che questa esperienza sia giunta a un bivio:
è troppo piccola per incidere significativamente sul
mercato e sulla distribuzione ma è troppo grande per
passare inosservata come fenomeno sociale. Secondo te, quali
prospettive si aprono a medio termine?
Qui torniamo all’equivoco iniziale: non bisogna pensare
ad un’unica grande entità, quella che i media definiscono
spesso in maniera semplicistica il ‘popolo dei Gas’.
Sono convinto che se la rete attualmente esistente si costituisse
in associazione formalizzata, con un direttivo, un portavoce,
degli organi di comunicazione che pubblicizzino la grande mole
di elaborazione critica che viene prodotta nei singoli gruppi,
allora come soggetto economico e politico avrebbe un peso non
indifferente, con una discreta capacità di influenzare
il mercato attenuandone gli aspetti più deleteri. Un
po’ la tentazione c’è, soprattutto in chi
da anni si spende in questa esperienza e improvvisamente si
rende conto che il momento è maturo per uscire dalla
nicchia e fare il ‘salto di qualità’... Personalmente
non credo che sia la strada giusta. Ritengo piuttosto che la
caratteristica vincente di questa esperienza sia proprio la
sua polverizzazione: riprendendo una vecchia immagine, sono
i piccoli granelli di sabbia che possono infilarsi nell’ingranaggio
e metterne in crisi il funzionamento. Il livello di condivisione
dei principi di base è più che sufficiente a garantire
un certo coordinamento tra un granello e l’altro. E comunque
la diffusione a cui stiamo assistendo è interamente frutto
del passaparola. Non sono tra quelli che pensano che l’importante
sia far parlare del fenomeno, indipendentemente dalla rappresentazione
che ne viene data.
Un’immagine fuorviante proposta da una trasmissione televisiva
con milioni di spettatori può essere decisamente controproducente,
soprattutto se proposta con quell’odioso tono di sufficienza,
tra il divertito e il paternalistico, con cui vengono affrontate
tutte le pratiche che si pongono in alternativa alla maggioranza.
Quando va bene.
Nei Gas ci sono persone comuni, non mattacchioni col pallino
dell’originalità. Alcuni, per evitare disguidi
di questo tipo, vorrebbero delegare ad un ristretto gruppo di
persone i rapporti con la stampa, in modo da offrire una rappresentazione
univoca ed evitare fraintendimenti. Io penso piuttosto che ciascun
Gas, se lo ritiene utile, debba parlare per sé, perché
non c’è davvero nessuno che possa rappresentarli
tutti.
È anche per questo che nel libro ho riportato tante diverse
esperienze, a costo di dare quell’immagine di ‘frammentazione’
di cui si parlava. Io non ti posso dire “i Gas sono questo
e quest’altro”, ma solo che ne ho conosciuti alcuni
che fanno in un modo, altri in un altro...
D’altra parte è certamente vero che la notorietà
e l’interesse che i Gas hanno cominciato a suscitare implicano
una trasformazione del fenomeno che deve essere gestita e non
ignorata.
Per rispondere alla tua domanda, penso che i Gas debbano cominciare
a porsi maggiormente il problema dei loro rapporti col territorio
in cui sono calati. Sono i singoli Gruppi che devono imparare
a pesare maggiormente nella vita dei loro quartieri, della loro
città, instaurando rapporti e relazioni con tutti i soggetti
che si muovono in quel contesto. Molti hanno già cominciato
a farlo, organizzando per esempio iniziative pubbliche non necessariamente
legate allo scambio di prodotti, collaborando con soggetti anche
di natura diversa. Per ora i soggetti privilegiati sono le banche
del tempo, le botteghe del commercio equo, i centri sociali,
i gruppi parrocchiali, che però sono anche gli ambienti
più vicini e più contaminabili. Secondo me sarebbe
opportuno uscire un po’ dal giro. Non si può ignorare,
per esempio, che nella vita di un quartiere i piccoli esercizi
commerciali rappresentano, soprattutto per la popolazione più
anziana, i luoghi principali dell’incontro, della relazione
e della comunicazione. I piccoli commercianti non sono tutti
degli esseri diabolici, con alcuni di loro forse è possibile
instaurare delle relazioni proficue e definire anche qualche
obiettivo comune, come ad esempio la vivibilità del quartiere.
Dino Taddei
* Lorenzo
Valera, GAS. Gruppi di acquisto solidali, Terre
di Mezzo, Milano, 2005. Pagg. 112, Euro 8,00.
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