Il
sale sulla coda
L’incoscienza del nucleare e il mercato dei rifiuti.
Molti tornano a parlare del nucleare, come se fosse una soluzione.
Come se non sapessero che la maggior parte dei Paesi industrializzati
stanno abbandonando le costosissime e pericolose centrali nucleari,per
rivolgersi ad altre fonti di energia. La Germania per esempio,
sono anni che ha deciso di uscire dal programma nucleare, abbandonando
mano mano le vecchie centrali usurate,invece di ristrutturarle
come potrebbero fare. A questa politica si stanno anche adeguando
la Francia, l’Inghilterra e gli Stati Uniti.
E non si tratta di un problema di sicurezza. Il grave ed insolubile
dilemma sono le scorie nucleari che aumentano in maniera progressiva
e di cui nessuno è ancora riuscito a liberarsi in modo
razionale e sicuro. Ogni giorno una centrale produce quintali
di materiale altamente radioattivo, fra cui il più resistente
è il plutonio, che ci mette 22.000 anni solo per dimezzare
la sua potenza. Per ora le scorie vengono blindate dentro bidoni
di ferro e sistemate in fondo a miniere abbandonate, ma fra
poco non ci sarà più posto per nuovi fusti di
scorie e allora dove metterle? Fra l’altro le nuove legislazioni
in materia, stabiliscono che l’eliminazione delle scorie
debba essere controllato e curato dalle centrali stesse. E le
responsabilità cominciano a diventare gravose, proprio
per la difficoltà di “piazzare” questa massa
di materiale radioattivo.
La paura di tutti gli ecologisti è che gente incosciente
getti le scorie, per quanto stoccate, in mare, come sembra abbiano
fatto sia gli americani che i russi al tempo delle prime centrali.
Si calcola che questi bidoni possano reggere per una cinquantina
d’anni sotto la pressione dell’acqua. E dopo? Gli
incoscienti sperano in qualche invenzione che aiuti lo smaltimento
a lungo termine. Altri, più responsabili, si chiedono
se veramente sia giusto lasciare ai nostri discendenti un mondo
imbottito di materiale radioattivo che una volta disperso nell’ambiente
avrebbe un effetto devastante. Proprio in questi giorni stiamo
vedendo come la questione dei rifiuti, tossici o meno, costituisca
la grande problematica del futuro. I paesi agiati, infatti,
tendono ad esportare, dietro compenso, i loro rifiuti verso
i paesi disagiati. È di questi giorni la notizia che
in Albania la gente è scesa in strada per protestare
contro l’arrivo sconsiderato di quintali di rifiuti Italiani,
il cui stoccaggio è stato concordato fra i due governi.
Naturalmente per depositare i rifiuti si paga e si paga tanto.
Per questo la mafia o la camorra sono così ghiotte di
immondizie.
La Calabria ne è un esempio lampante. La magistratura
ha gia denunciato in alcuni comuni ampie collisioni fra la criminalità
e le amministrazioni locali. Città come Bergamo invece
hanno dimostrato che si può fare un buon uso dei rifiuti,
riciclandoli, ricavandone fertilizzanti ed energia.
Ma per fare questo occorrono: organizzazione e buona volontà,
investimenti e trasparenza. Cose poco comuni da noi. Basti pensare
che in Campania ci sono 800 discariche abusive controllate dalla
criminalità organizzata e né i politici né
la magistratura sono riuscite a farle chiudere. Le sole alternative,
a leggere quello che scrivono gli scienziati sui giornali specializzati,
sono l’energia solare e quella eolica. Solo che ancora
i sistemi per sfruttarle sono troppo costosi.
(…). Se, a suo tempo, avessero adeguatamente investito,
avremmo oggi pannelli solari molto meno costosi, molto più
piccoli e maneggevoli, capaci di catturare una energia gratuita
che appartiene a tutti e che non produce scorie.
Tommaso Vurchio
responsabile Sezione Valle del Lambro del WWF Lombardia
tommysia@libero.it
(Milano)
A
proposito di José Saramago
La lettura dell’articolo Cecità/lucidità
in José Saramago di Gianfranco Marelli, pubblicato
nel numero di aprile di “A” rivista anarchica,
mi ha indotto a scrivere questo breve testo non con l’intenzione
di aprire una polemica (l’argomento e un personaggio come
Saramago non lo meritano), ma soprattutto per fare chiarezza.
Qualche dato biografico, per comprendere meglio il Saramago
scrittore e il Saramago politico. È nato nel 1922 in
un paesino di una regione rurale molto distante da Lisbona,
ma, quando aveva tre anni, la famiglia si era trasferita nella
capitale lusitana. Le difficoltà economiche della famiglia
lo costrinsero ad abbandonare gli studi liceali e ad iscriversi
a un istituto tecnico. Entrò nel mondo del lavoro come
operaio ma, dopo aver provato diversi mestieri, la passione
per la lettura lo portò nel mondo editoriale, della traduzione,
della critica letteraria e infine del giornalismo.
Da giornalista lavorò nella redazione del Diário
de Lisboa (il quotidiano espressione di certi settori dell’opposizione
al fascismo prima del 25 aprile 1974) tra il 1972 e il 1973
e fu poi vicedirettore del Diário de Notícias
(il maggiore quotidiano portoghese) tra l’aprile e il
novembre del 1975.
Come uomo politico dal 1969 ha militato in uno dei partiti comunisti
più ortodossi d’Europa, quello portoghese. Proprio
per questa sua adesione era stato nominato vicedirettore del
Diário de Notícias nel periodo che è
passato alla storia come «l’Estate calda del 1975»,
quando la forza sociale e politica del Partito Comunista era
ben più importante della sua forza elettorale. La sua
attività nella funzione di vicedirettore del giornale
si può ben definire stalinista: chi non era d’accordo
con lui andava a ingrossare le file dei disoccupati. Nel tentativo
di mettere un giornale importante al servizio di quel partito,
varie decine di lavoratori, e non solo di giornalisti, furono
mandate a spasso, perché non erano del partito o non
volevano essere compagni di strada della sua politica per il
controllo dei mezzi di comunicazione.
Il tutto sarebbe finito nel novembre 1975, con un nuovo putsch
militare per dare il via alla «normalizzazione democratica”
del paese e per prepararne l’adesione alla Comunità
Economica Europea dell’epoca. Saramago lasciò il
giornale e il giornalismo e riprese il mestiere di traduttore
fino al 1980.
Come scrittore, aveva pubblicato il suo primo libro Terra
do Pecado («Terra del peccato») nel 1947, ma
non avrebbe più pubblicato niente fino al 1966. Da quell’anno
e per tutti gli anni settanta, la sua produzione letteraria
sarà sporadica. Solo dagli anni ottanta, dopo la pubblicazione
di Levantado do Chão («Una terra chiamata
Alentejo» 1980) e di Memorial do Convento («Memoriale
del convento» 1982), e una radicale trasformazione del
suo stile di scrittura, diventa scrittore a tempo pieno e conosce
la fama e la notorietà internazionale. Bisogna quindi
notare che il Saramago scrittore conosciuto nel Portogallo e
nel mondo è uno scrittore a vocazione tardiva.
Non voglio mettere in discussione l’analisi letteraria
dell’opera di Saramago condotta da GM. Un’analisi
letteraria è sempre soggettiva, personale. Io credo peraltro
che una certa mitizzazione della sua opera, così caratteristica
di certi settori della critica letteraria cosiddetta di sinistra,
secondo la quale Saramago sarebbe caduto dal cielo, non abbia
toccato altri scrittori che combinano una produzione letteraria
di una certa qualità con la militanza politica. Sono
note le sue prese di posizione riguardo a Cuba e a Fidel Castro,
si conosce il suo pensiero riguardo al marxismo, al leninismo
e all’ex impero sovietico. Il conferimento del Nobel è
stata la ciliegina sulla torta. Così l’acquisto
dei suoi libri è diventata un’azione intellettualmente
corretta e politicamente impegnata, anche sa va detto che molti
di quelli che li comprano non li leggono.
Nella «letteratura d’impegno», anche in Portogallo,
non è il primo né il più originale, e tanto
meno quello che si è spinto più avanti. E riguardo
al suo «stile orale», che GM illustra con frasi
come «la reticenza nel parlare tradotta su pagina grazie
alla sospensione dei puntini” e «…l’incalzante
repentinità delle virgole, consente di non dar respiro
ad un raccontare frenetico ed emozionante», bisogna dire
che nemmeno in questo c’è qualcosa di originale.
È molto più interessante e innovativa l’opera
di un’altra scrittrice portoghese, Lidia Jorge, che credo
sia stata tradotta in italiano [due suoi romanzi sono stati
tradotti: La costa dei sussurri (1992) e L’eredità
dell’assente (2003). N.d.T.].
Nell’articolo di GM, secondo me, il problema è
la confusione che si fa tra lo scrittore e l’uomo politico.
Se scrive a quel modo, deve pensarla a quel modo. Sbagliato!
Ciò che Saramago difende nei suoi libri e quello che
pratica nella vita politica sono due cose del tutto differenti.
La questione va ben oltre la critica corrente fatta da certi
settori della sinistra: ha scritto un libro in cui esorta a
votare scheda bianca (Ensaio sobre a Lucidez) e, nello
stesso tempo, si candida nelle liste del Partito Comunista al
Parlamento europeo. No, la critica libertaria dovrà andare
più al di là di tale questione di dati diversi
o di apparente contraddizione. Negando quello che ha scritto,
Saramago non è mai stato contro il potere, ma solamente
contro un certo potere: quello che non è il suo, non
è quello che sogna e che auspica per il mondo intero.
GM scrive: «... dove la ricerca di elaborare una poesia
critica ai tanti problemi del vivere umano si coniuga con una
feroce accusa nei confronti dei meccanismi di controllo, consenso,
repressione del sistema dominante». Nemmeno in un’ottica
esclusivamente politica Saramago ha qualche «autorità”
morale o personale per poter denunciare i meccanismi di controllo,
consenso e repressione del sistema dominante. E questo perché
la sua visione della società è sempre stata un’altra:
una società in cui, come si è visto per una sessantina
d’anni, questi meccanismi hanno operato e sono stati molto
più feroci che nei regimi democratici borghesi.
«Libertario» nella scrittura, staliniano nell’azione
e nel pensiero. È questa la mia definizione di Saramago.
Mário Rui Pinto
(Lisbona)
(traduzione dal francese di Guido Lagomarsino)
I
nostri fondi neri
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di Giovanni Rabai anarchico vigevanese, 30,00; Aurora
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Totale euro 150,00.
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