Giorgio
Sacchetti, Senza frontiere. Pensiero e azione
dell’anarchico Umberto Marzocchi (1900-1986),
Edizioni ZIC, Milano 2005, pag. 543, euro 35,00.
Giorgio
Amico – Yurii Colombo, Un comunista senza
rivoluzione. Arrigo Cervetto dall’anarchismo a Lotta
Comunista: appunti per una biografia politica,
Massari Editore, Bolsena 2005, pag. 167, euro 10,00.
Antonio
Cardella – Ludovico Fenech, Anni senza tregua.
Per una storia della Federazione Anarchica Italiana dal 1970
al 1980, Edizioni ZIC, Milano 2005, pag. 350,
euro 25,00.
Può sembrare
singolare la scelta di accomunare questi tre libri –
recentemente usciti – in un discorso comune, ma a ben
vedere tanto strana non è. In primo luogo, ad un livello
molto generale, trattano tutti e tre (in varia misura e in
modo diverso) della storia del movimento anarchico e, con
qualche sovrapposizione, ma anche con precise demarcazioni
temporali, di questa storia nel secondo dopoguerra, fino agli
anni ’80. Periodo su cui per adesso si è scritto,
ricercato e ricostruito davvero poco. Attraverso le figure
di Umberto Marzocchi e Arrigo Cervetto, le vicende dei GAAP
e della Federazione Anarchica Italiana e il loro dibattito
esterno e interno si delinea un quadro che, a pelle di leopardo,
copre oltre quarant’anni di storia dell’anarchismo
italiano. Ma questo ancora non basterebbe a trarre un filo
comune da una collettanea di scritti di argomento analogo,
se non si aggirasse sullo sfondo di queste ricerche la questione
dell’anarchismo di classe.
Esplicitamente nel libro su Cervetto, come contesto di alcune
vicende nel libro su Marzocchi, come uno spettro da esorcizzare
nel libro sulla FAI.
È questa la grande questione che attraversa la storia
del movimento e della FAI nel dopoguerra: la natura storica
e sociale dell’anarchismo e la contrapposizione su questo
tema tra chi riteneva (e ritiene) che l’anarchismo fosse
nato “... non dalle astratte riflessioni di uno
studioso o di un filosofo, ma dalla lotta diretta dei lavoratori
contro il capitale, dai bisogni e le necessità dei
lavoratori, dalla loro aspirazione alla libertà e all’eguaglianza”
(1), e chi, più ecumenicamente,
lo riteneva (ritiene) la massima espressione di un eterno
spirito di rivolta e di ricerca di libertà che attraversa
tutte le epoche e tutti gli sfruttati, enucleato in principi
dai suoi grandi teorici.
Questa contrapposizione, in realtà, viene da lontano,
almeno da quando il movimento anarchico, raggiunte dimensioni
di massa, ha iniziato a riflettere sulle proprie origini,
ed è patrimonio dell’anarchismo di tutti i paesi.
Spesso, inoltre, questa querelle è stata mascherata,
sottesa o inglobata in altre: quella tra individualisti e
organizzati, tra organizzatori e antiorganizzatori, tra piattaformisti
e tradizionalisti, tra anarcosindacalisti e anarchici “puri”
e così via.
Tuttavia, in Italia, nel dopoguerra, a partire dal congresso
di Carrara del settembre 1945 che sancisce una transitoria
e fittizia unità tra le varie anime dell’anarchismo
italiano, questa contrapposizione si esprime in massima parte
nel duro confronto (che si sviluppa in maniera esplicita in
diverse fasi, fino all’inizio degli anni ’80)
tra piattaformisti (2) (o arscinovisti
che dir si voglia) e il resto del movimento.
È vero che questa riduzione può sembrare eccessivamente
semplificativa nel non tenere conto, ad esempio, del dibattito
sulla questione sindacale di fine anni ’40 (3)
o della scissione dei Gruppi di Iniziativa Anarchica dalla
FAI del 1965, ma è anche vero che i contenuti del primo
(trasversale, ieri come oggi, rispetto alle diverse concezioni
dell’anarchismo) riguardavano la specificità
della condizione dei lavoratori e la seconda, entro certi
limiti, può essere considerata il regolamento di conti
definitivo all’interno della Federazione rispetto alla
vicenda gaappista.
Piotr
Arscinov appartenente al gruppo dei "piattaformisti"
L’esperienza
dei GAAP
Proprio le figure di Marzocchi e Cervetto sono in qualche
modo esemplari all’interno di questo dibattito. Il primo,
figura ormai carismatica dell’anarchismo italiano, rappresenta
il nucleo duro e lo spirito della Federazione, attento alle
istanze di rinnovamento che provengono dagli strati giovanili
della FAI, legato da un forte rapporto al giovane Cervetto,
è tuttavia anche preoccupato da possibili derive filo-marxiste
e si pone, se mi è concesso il termine, come fautore
di un rinnovamento nella continuità delle migliori
tradizioni del movimento anarchico organizzato in Italia,
del suo patrimonio ideale, ma anche del suo radicamento nel
mondo dei lavoratori e dell’attività sindacale.
Il secondo, anche lui savonese, è il simbolo di una
profonda spinta al rinnovamento che viene dai giovani, prevalentemente
di estrazione operaia, affluiti al movimento durante la lotta
partigiana, e sarà insieme ad altri giovani (come Masini,
Parodi, Vinazza, ecc.) elemento propulsore nella costituzione,
nel 1951, dei Gruppi Anarchici di Azione Proletaria (GAAP).
Tuttavia nelle vicende (4) di fine
anni ’40, inizio anni ’50 – ben sintetizzate
nel libro di Amico e Colombo – che porteranno all’estromissione
di fatto dalla Federazione dei giovani piattaformisti (Congresso
FAI di Ancona dell’8-10 dicembre 1950) e alla fondazione
dei GAAP (Convegno di Pontedecimo, 24-25 febbraio 1951) sancendo
una dolorosa spaccatura nel movimento anarchico, prevale lo
scontro sulle forme e le dinamiche organizzative rispetto
a quello, ben più rilevante, sui contenuti politici
dello scontro in atto.
Questa accentuazione (ed in particolare il forte accento sulla
responsabilità collettiva) e talune pratiche poco limpide
(5), dettero l’impressione
di un lavoro clandestino di frazione orientato a una manovra
scissionista.
Così, almeno all’inizio, sicuramente non era,
il progetto dei giovani piattaformisti era quello, esplicitamente
dichiarato, di trasformare la FAI in un’organizzazione
di tendenza, coesa dal punto di vista programmatico e ideologico,
fortemente strutturata dal punto di vista organizzativo e
decisamente classista. Gli avversari da sconfiggere che venivano
accusati di “resistenzialismo” e di “nullismo”
ovvero di essere portatori di una visione difensiva, testimoniale,
puramente propagandista e sostanzialmente aclassista dell’anarchismo,
erano le aree vicine alla rivista «Volontà»
e al periodico «L’Adunata dei Refrattari».
Il progetto dei futuri gaappisti – nella sostanza e
non nelle accentuazioni organizzativiste – trovò,
almeno inizialmente, un certo sostegno e simpatia da parte
di molti “vecchi” militanti (Mantovani, ma anche
Failla e molti altri). Lo stesso Marzocchi, legato da forti
rapporti di stima a Cervetto e agli altri giovani “orientatori”
(6) liguri, ebbe – come ben
testimoniano Sacchetti e Amico-Colombo – forte interesse
nell’iniziativa, almeno fino a che il livello della
polemica non travalicò certi limiti. Preoccupato delle
lacerazioni che si stavano profilando nella Federazione, infatti
Marzocchi si chiamò fuori dalle esasperazioni polemiche
del dibattito e non partecipò al già citato
Congresso di Ancona che sancì l’estromissione
dei gruppi “orientatori” e per questo fu nel seguito
aspramente criticato dai “resistenzialisti”.
Si chiude dunque nel 1951 la prima esperienza piattaformista
all’interno della FAI, i GAAP seguiranno una propria
strada accentuando sempre più l’aspetto dirigista
sul piano organizzativo mentre, dal punto di vista teorico,
gli elementi iniziali di analisi marxista scivoleranno (per
una parte della leadership: Cervetto e Parodi in primis) nella
rilettura e nell’accettazione e nella riformulazione
di tesi leniniste. Qui, almeno nell’ambito di questo
articolo, il discorso si chiude se non per un piccolo bilancio
dell’esperienza e due rilievi sul libro di Amico e Colombo.
Un bilancio minimo, a mio avviso, non può essere che
questo: l’esperienza “orientatrice” non
fallì per un’interna incoerenza, né per
l’accentuazione dell’importanza di categorie d’analisi
marxiste (7), ma piuttosto per una
certa arroganza intellettuale dei giovani piattaformisti e
per il loro uso spregiudicato di dinamiche organizzative non
sempre trasparenti.
Il primo rilievo riguarda invece l’assoluta condivisibilità
della tesi delle convinzioni anarchiche di Cervetto e Parodi,
almeno per la prima fase dell’esperienza gaappista.
Articoli e scritti dei due su varie pubblicazioni e periodici
anarchici (8) smentiscono nettamente
la tesi di un loro leninismo originario.
Il secondo, che può sembrare una pignoleria filologica
(ma non è tale) e che è forse l’unico
piccolo neo della monografia su Cervetto, è l’attribuzione
a questi delle “Tesi sull’abrogazione dello Stato
come apparato di classe”. Documenti, relazioni, testimonianze
dirette e indirette di partecipanti al Convegno di Pontedecimo
avvalorano la tesi che queste furono discusse, prodotte e
redatte da una commissione ristretta a cui parteciparono,
tra gli altri, Cervetto e Masini, che poi le illustrarono
in sede di Convegno. Una attribuzione ad personam
non pare dunque possibile (9).
Per
onorare Malatesta:
Nell’aprire
il tesseramento 1953 il C. N. dei GAAP indica a tutti
i militanti i compiti il cui disimpegno costituirà
quest’anno la celebrazione più degna del
centenario malatestiano.
- Rafforzare
l’organizzazione estendendola alle zone più
refrattarie, ampliandone l’influenza politica,
conquistando ad essa nuovi militanti qualificati.
- Diffondere,
difendere, sostenere l’IMPULSO, organo dei GAAP,
garantire ad esso una vita continua e prospera, farne
lo strumento efficiente della nostra propaganda.
- Accrescere
con una presenza attiva, con una esemplare partecipazione
alla lotta, con una chiara applicazione dei nostri
principi, il peso della nostra influenza nelle organizzazioni
operaie e di massa.
- Migliorare
il nostro lavoro teorico e la nostra attività
culturale, elevando il livello ideologico di tutti
i militanti.
- Contribuire
su piano nazionale e su piano internazionale alla
più intensa cooperazione, alla più fraterna
solidarietà fra gli anarchici e fra tutti i
veri rivoluzionari.
Il Comitato Nazionale dei G.A.A.P.
|
Frontespizio
e testo interno della tessera dei GAAP (Gruppi Anarchici di
Azione Proletaria) del 1953
Quegli
anni tumultuosi
Abbandoniamo il libro su Cervetto e facciamo un salto di
circa vent’anni. Inizio anni ’70: il movimento
anarchico, dopo la crisi dei primi anni ’60, culminata
nella scissione del 1965 dei Gruppi di Iniziativa Anarchica,
è in notevole crescita.
Ha perduto la sua unità organizzativa (alla FAI e ai
GIA si affiancano, come organizzazione a carattere nazionale,
i Gruppi Anarchici Federati), ma grazie all’afflusso
di giovani militanti (di estrazione studentesca, ma anche
operaia) maturati nelle lotte del 1968/69, si sono moltiplicati
sedi, circoli, gruppi, federazioni a carattere cittadino e
regionale, dentro e fuori le organizzazioni a carattere nazionale.
A questa crescita quantitativa corrisponde una forte richiesta,
da parte dei nuovi gruppi e compagni, di approfondimento dell’apparato
teorico e analitico specifico del movimento anarchico e di
una maggiore incidenza di questi nelle lotte sociali e operaie
del periodo.
È quasi naturale dunque che nella situazione convulsa
di quegli anni (la campagna sulla strage di Stato e l’assassinio
di Pinelli, la campagna per la liberazione di Valpreda e Marini),
insieme al dibattito sulle forme di lotta (la candidatura
elettorale di Valpreda, ma anche la violenza rivoluzionaria)
si riapra con forza la discussione sulla centralità
della questione operaia nel movimento.
Ed è quasi altrettanto inevitabile che le risposte
del movimento siano differenti: mentre i GIA arroccati ad
una visione testimoniale dell’anarchismo, rimangono
sostanzialmente impermeabili alle nuove spinte, e i GAF si
avviano verso una revisione colta dell’anarchismo (10)
che però problematicizza lo stesso concetto di lotta
di classe, nella FAI (e nella vasta area di gruppi non federati)
si apre un profondo dibattito sulla natura dell’anarchismo,
le sue forme organizzative, la questione sindacale e le lotte
operaie.
Inizia un decennio (quello ’70-’80), che è
anche l’argomento del libro di Cardella e Fenech, che
per la FAI (e il resto del movimento) è ricco di eventi,
discussioni e polemiche, in una parola tumultuoso.
In estrema sintesi alcuni degli episodi salienti di quegli
anni. Nel biennio ’72-’73 una serie di gruppi
e di organizzazioni regionali (interne ed esterne alla FAI)
intraprende un percorso di dibattito e di confronto che, partendo
dalla necessità di recuperare le istanze classiste
e la natura operaia dell’anarchismo, finisce per sfociare
nella rilettura dell’arscinovismo e dell’esperienza
gaappista e nell’adesione al piattaformismo.
Ida Mett
appartenente al gruppo dei “piattaformisti”
La contrapposizione all’interno del movimento
è subito aspra, alcune prese di posizione dei GAF sulla
figura di Bertoli (11) la acuiscono
e diventano, per certi aspetti, un casus belli.
La costituzione di una vasta area piattaformista – fuori
e dentro la FAI – genera non poche preoccupazioni all’interno
di una parte del movimento anarchico (GIA, GAF e alcuni settori
della FAI stessa), che la vede come un tentativo di egemonizzare
il movimento stesso. I timori non sono del tutto ingiustificati
in quanto l’obbiettivo esplicito dell’area piattaformista
è – agendo in maniera concertata fuori e dentro
la Federazione – di riportare il movimento alle sue
radici operaie emarginandone le componenti giudicate aclassiste.
Si tratta di un progetto politico radicale che implica un
confronto (anzi uno scontro) estremamente duro, ma legittimo.
Quello che lo guasterà e contribuirà a determinarne
l’insuccesso saranno l’immaturità politica
e comportamentale di alcuni gruppi di quest’area, l’uso
spregiudicato di dinamiche organizzative e assembleari e,
come nel caso dei GAAP, un certo settarismo intollerante che
porta alla sottovalutazione degli “avversari”.
Così dopo l’indiscutibile successo del Convegno
nazionale lavoratori anarchici promosso dall’area piattaformista
(Bologna, 11-15 agosto 1973) che sembra il preludio di un
processo inarrestabile di recupero delle radici classiste
del movimento, una serie di durissime contrapposizioni a livello
locale (Milano, ma anche Genova), ai limiti dello scontro
materiale, sviano e snaturano i contenuti politici del dibattito.
È proprio da una di queste situazioni molto tese e
da uno spiacevole episodio che vi si verifica (il danneggiamento
dei locali del circolo di via Scaldasole ad opera di piattaformisti
milanesi – settembre 1973) che trae alimento, da un
lato, una maggior coesione dell’area anti-piattaformista
e, dall’altro, una campagna strumentale che porterà,
dapprima all’estromissione dell’area piattaformista
da importanti scadenze di movimento (come il Convegno pro-Marini
di Carrara – 7 ottobre 1973) e, in seguito all’uscita
dei gruppi FAI del “nucleo operativo” dalla Federazione
stessa (12).
Anche qui un piccolo bilancio si impone. Questa seconda esperienza
piattaformista – più partecipata numericamente
della prima – rimane però largamente confinata
allo stato di progetto, non produce cioè esiti organizzativi
duraturi (13).
La relativa immaturità dei suoi protagonisti produce
spesso atteggiamenti arroganti e settari (contrappuntati,
bisogna dire, da altrettanta arroganza e settarismo di vasti
settori del movimento anarchico organizzato) che offuscano
i termini reali del conflitto politico in atto. Il merito
indiscutibile dell’esperienza è comunque, al
di là di tutto, quello di riproporre con forza e chiarezza
la questione della natura classista dell’anarchismo
e di rinsaldare la sua presenza nel movimento operaio. A questo
stimolo non resteranno indifferenti diversi vecchi militanti
della FAI, come Umberto Marzocchi, e i frutti si vedranno
qualche anno dopo.
Nestor
Makhno, “leader” della “makhnovcina”
e appartenente al gruppo dei “piattaformisti”
Vecchie
discussioni
Proprio la figura di Marzocchi ci consente un balzo in avanti
di alcuni anni, per arrivare alla fine del decennio ’70.
La FAI, di cui Umberto Marzocchi è uno degli esponenti
più prestigiosi, ha riguadagnato le sue posizioni di
preminenza nel movimento (i GIA sono sull’orlo dell’estinzione
per la scomparsa dei loro vecchi militanti, i GAF si stanno
trasformando esplicitamente in progetto culturale che non
richiede forme specifiche organizzative), gruppi e federazioni
locali, molto consistenti, sono impegnati nell’intervento
politico e in un’accesa discussione interna che spazia
dalla forma organizzativa specifica, alla presenza nel movimento
operaio, all’intervento nel sociale, alla violenza rivoluzionaria.
Sulle prime due di queste questioni si innesta un doppio percorso
che, da un lato, prelude ad una nuova spaccatura della Federazione
e, dall’altro, porta a riconsiderare le scelte sindacali
fatte nell’immediato dopoguerra e mai rimesse, nella
sostanza, in discussione (14).
Due percorsi che si intrecciano perché i protagonisti
sono gli stessi e perché dinamiche e tematiche organizzative
specifiche – purtroppo e come spesso accade –
oscurano i contenuti di un importante dibattito, che neanche
può essere ridotto ad una mera scelta sindacale.
Così, mentre tra il 1977 e il 1983 si sviluppa un articolato
percorso che porterà alla rifondazione dell’Unione
Sindacale Italiana, attraverso due importanti e partecipati
attivi preparatori (15), raccogliendo
in qualche modo il lascito politico della necessità
del recupero dell’anarchismo di classe del già
citato Convegno nazionale dei lavoratori anarchici di cinque
anni prima, sul piano dell’organizzazione specifica
(la FAI) il dibattito sul recupero della natura operaia dell’anarchismo
è fuorviato (anche per responsabilità dei promotori,
una “nuova generazione” piattaformista) sul terreno
delle scelte e delle modalità organizzative.
Così tutto l’armamentario di vecchie discussioni
è rimesso in campo: organizzazione di sintesi vs. organizzazione
di tendenza, organizzazione strutturata vs. organizzazione
federata, responsabilità collettiva vs. responsabilità
individuale. Si continua a confondere il contenitore con il
contenuto e la discussione, come al solito, ne viene falsata
trasformandosi in quello che appare uno scontro di potere
all’interno della Federazione. Scontro che si conclude
al Congresso straordinario della FAI di Carrara (gennaio 1979)
che sancisce l’estromissione di alcuni gruppi piattaformisti.
Termino qui questa sommaria e lacunosa ricostruzione di circa
trent’anni di dibattito e scontro politico all’interno
della FAI e del movimento anarchico, che altro non mi serviva
se non a tratteggiarne la complessità e l’importanza.
In questo senso il piattaformismo (o arscinovismo) altro non
è stato che una forma specifica, contestualizzabile
e, per certi versi, criticabile della rivendicazione della
natura operaia e proletaria del movimento anarchico e della
necessità di riportare la sua prassi e la sua strategia
su questa coordinata politica.
Gli scontri e le lacerazioni che questa rivendicazione hanno
portato all’interno della Federazione (e del movimento)
sono stati aspri e dolorosi, tuttavia “necessari”
in quanto hanno portato a confronto tra loro (e con la realtà
sociale e politica) visioni dell’anarchismo contrastanti,
se non inconciliabili.
Quello che stupisce – per ritornare ai libri in oggetto
– è che un testo documentato, per certi versi
interessante (e che deve essere costato parecchio impegno
agli autori) come quello di Cardella e Fenech non colga né
la complessità di questa dinamica, né la sua
importanza e si abbandoni a giudizi superficiali e banalizzanti
(16), vagamente fastidiosi per chi,
come chi scrive, è stato testimone e parte attiva di
quell’esperienza. Introdurre surrettiziamente elementi
di polemica (e non di dibattito) per di più datata
e acontestualizzata, in una ricerca storiografica non è
un buon servizio alla storia del nostro movimento. Peccato,
un’occasione mancata.
Vsevolod
Mikhaïlovitch Eichenbaum detto Voline, Luigi Fabbri e
Errico Malatesta, si espressero criticamente contro le tesi
portate avanti nella “Piattaforma”
Concludo con un ultimo apprezzamento per il libro di Giorgio
Sacchetti. Umberto Marzocchi è stato, nei suoi oltre
sessant’anni di militanza, figura di estremo rilievo
dell’anarchismo italiano e non solo. Nel secondo dopoguerra
ha avuto un ruolo centrale nella FAI, vivendone, per quarant’anni,
crescita, successi, crisi, riprese e contraddizioni, con lo
sguardo sempre attento al nuovo e con la preoccupazione di
salvare il meglio delle tradizioni del movimento.
Il libro di Sacchetti rende tutto ciò in maniera esaustiva,
documentata e convincente. Credo che non si potesse fare di
più. Chi intendesse dedicarsi ad una ricostruzione
seria e rigorosa delle vicende del nostro movimento, a partire
dal secondo dopoguerra, non potrà prescindere né
dalla figura di Umberto Marzocchi, né da questo libro.
Guido Barroero
Note
- Georges Fontenis, Changer le monde, Toulouse 2000.
Riportato in Amico-Colombo, Un comunista senza rivoluzione.
- Dal nome della Piattaforma di Arscinov, il programma-manifesto
elaborato nel 1926 dal gruppo di anarchici russi in esilio
Delo Truda e che, ricalcando l’esperienza machnovista,
propugnava l’esigenza di un’organizzazione anarchica
fortemente strutturata e classista.
- Tra i fautori della ricostituzione dell’USI e coloro
che privilegiavano l’unità d’azione con
i lavoratori degli altri partiti della sinistra nella CGIL.
- Poco è stato scritto, recentemente, specificamente
sull’esperienza gappista. Posso segnalare solo la mia
ricerca: Barroero Guido, Per la storia del movimento anarchico
nel dopoguerra. Un’esperienza dell’anarchismo
di classe: I Gruppi Anarchici di Azione Proletaria –
in «Comunismo Libertario», nn.32, 33, 34, 35 del
1998 e nn.39, 41, 43 del 1999, raccolti in opuscolo, nel 2004,
dalla redazione della rivista, senza la necessaria opera di
revisione.
- Come la riproposizione da parte dei futuri gaappisti della
mozione, già presentata al Convegno di costituzione
della Unione Anarchica Laziale, a Frascati nel febbraio del
1950, al Congresso della Federazione Anarchica Ligure, svoltosi
a Pontedecimo il 19/3/1950, senza citare il precedente.
- “Per un movimento orientato e federato”, così
era definito il progetto.
- L’accettazione di queste nel movimento anarchico,
a ben vedere, non ha mai provocato grosso scandalo, a partire
da Bakunin e Cafiero.
- Cito – come fanno Amico e Colombo – e senza
pretesa di completezza: «Umanità Nova»,
«Volontà», «Inquietudine»,
«il Libertario».
- Stupisce che nel Dizionario Biografico degli Anarchici Italiani,
all’interno della scheda su Pier Carlo Masini, le “Tesi”,
pur riconosciute prodotto di discussione collettiva, vengano
poi considerate uno scritto attribuibile allo stesso. È
evidente che chiunque sia stato l’estensore materiale
di quel documento non può averne attribuita la paternità
politica. Altrimenti, seguendo questo curioso criterio, dovremmo
considerare scritti di singoli (o di poche persone) tutte
le relazioni, le mozioni, le tesi e altri documenti a firma
collettiva, adottati o approvati in vari Convegni e Congressi.
- Cfr. tra l’altro le tesi sul “feudalesimo industriale”,
ispirate da una rilettura di Bruno Rizzi.
- Autore di un attentato davanti alla questura di Milano nel
maggio del 1973.
- A questi gruppi fu negata la partecipazione al Congresso
FAI di Carrara – 22-25 dicembre 1973.
- Immagino che questa affermazione non sarà condivisa
dall’attuale area comunista-libertaria che si rifà
a quell’esperienza, ma è innegabile che le aspettative
che allora si davano trascendono di gran lunga gli esiti di
oggi.
- Parliamo, evidentemente, della scelta pro-CGIL che non viene
intaccata dalla ricostituzione dell’USI, su posizioni
minoritarie, negli anni ’50 e che si estinguerà
all’inizio degli anni ’70.
- Mi riferisco al I attivo nazionale di base dei lavoratori
per l’USI (Roma, 22-23 aprile 1978) e al secondo (Genova,
25-26 novembre 1978). Esulando, tuttavia, la storia recente
dell’Unione Sindacale dagli scopi del presente scritto,
rimando all’articolo di Giorgio Sacchetti: L’Unione
Sindacale Italiana (USI) nel movimento operaio italiano,
in «Autogestione» n.10, dicembre 1984, essendo
il testo di Gianfranco Careri (Il sindacalismo autogestionario,
Ed. USI, Roma 1991) che affronta lo stesso periodo, un po’
troppo apologetico e venato da eccessi romanzeschi.
- Particolarmente deplorevole è la ripresa acritica
di giudizi e di prese di posizione che forse allora (ma non
certo oggi) potevano essere comprensibili solo all’interno
di una polemica accesissima. Cito solamente: “il sedicente
[sic] Convegno nazionale lavoratori anarchici”
e “[elementi e gruppi piattaformisti – nda]...
procedevano all’assalto [sic] e alla devastazione
della sede del Circolo Pinelli”.
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