Non mi pare che i
mezzi d’informazione italiani su carta o in video abbiano
frequentato con la dovuta attenzione le ultime vicende che
hanno caratterizzato la vita politica polacca. Eppure nelle
recenti elezioni politiche che si sono svolte in quel paese,
a settembre per il rinnovo del Parlamento e ad ottobre per
la presidenza della repubblica, si sono prepotentemente affermati
due gemelli, Jaroslaw e Lech Kaczynski, dell’ultra destra
reazionaria e xenofoba, con fortissime componenti antieuropee
ed una propensione notevole verso l’America di Bush.
Dei 466 seggi del nuovo Parlamento ben 288 andranno alla destra
(una coalizione tra Diritto e Giustizia, il partito dei Kaczynski
e la Piattaforma civica del candidato liberale Donald Tusk,
anch’egli della destra, che ha sino all’ultimo
contrastato la vittoria alle presidenziali di Lech Kaczynski).
La sinistra dell’ex comunista Alexander Kwasniewski,
che aveva vinto le elezioni del 2001, ha subito un tracollo
verticale, incapace di avviare a soluzione i molteplici problemi
di un paese non in grado di produrre per soddisfare i fabbisogni
interni, con una industria tecnologicamente arretrata e una
rete di comunicazioni interne assai carente. Un paese, quindi,
dipendente dall’estero, con un alto grado di indebitamento
e di disavanzo dei conti pubblici.
Cosa cambierà adesso? In politica interna, tutti gli
osservatori concordano nel prefigurare una svolta nella politica
economica nel senso di un capitalismo più aggressivo,
privo di regole, con una riduzione drastica del costo del
lavoro ed un altrettanto drastico ridimensionamento dei diritti
che tutelano i lavoratori. Ed è singolare, perciò,
che i due Kaczynski siano riusciti ad ottenere il consenso
della parte più umile dell’elettorato, promettendo
sostegni alle famiglie, ai pensionati e al mondo agricolo
senza spiegare dove troveranno le risorse per mantenere queste
promesse. Anche in latitudini lontane dalle nostre, il berlusconismo
ha fatto scuola.
Una sinistra assente
Ed è questa destra che attualmente, in Europa, alimenta
il dibattito su problemi che, nella sostanza, sono gli stessi
che si presentano al nuovo governo polacco: come conciliare
la permanenza di uno stato sociale che garantisca pensioni,
assistenza sanitaria, sostegni alla disoccupazione in contesti
in cui le risorse sono scarse, l’inflazione è
sempre dietro l’angolo, i fattori della produzione sono
in crisi ed espellono mano d’opera dalle imprese.
In assenza di una sinistra vera, che elabori modelli alternativi
ai percorsi consueti del capitalismo maturo, è la destra
a dettare le cadenze di un dibattito che pone soluzioni obbligate,
ed è un dibattito che vede la sinistra, quella che
così si qualifica nello schieramento politico delle
singole realtà nazionali, irretita in una dialettica
che non dovrebbe appartenerle: quando mai una sinistra autentica
ha barattato le esigenze della stragrande maggioranza degli
uomini e delle donne, quelli/e che lavorano e con fatica sopravvivono,
con le compatibilità imposte dal modello di sviluppo
capitalistico? Quando mai una sinistra vera ha accettato le
logiche del mercato, che pianificano lo sfruttamento e condannano
all’indigenza (quando non addirittura alla morte) miliardi
di esseri viventi sparsi in ogni plaga del pianeta?
Ebbene sono queste compatibilità che condizionano il
dibattito sul nostro continente.
Guardate la Germania: la Grande Coalizione, che è scaturita
come strada obbligata dalle recenti elezioni per il rinnovo
del Bundestag, vede le sue due grandi componenti, la CDU/CSU
di Angela Merkel e la Spd di Helmut Schröder, condizionarsi
a vicenda nel tentativo di elaborare un programma che fornisca
soluzioni agli stessi problemi che insistono nella realtà
polacca. Solo che, per effetto delle compatibilità,
è Schröder a uscirne più snaturato, a dover
annacquare il vino della sua tradizione socialdemocratica
con l’acqua dell’ineludibile stabilità
del sistema
E la stessa cosa avviene in Francia, in cui il dibattito si
svolge tra due esponenti della destra, il primo ministro Dominique
de Villepin e il suo Ministro dell’Interno Nicolas Sarkozy
(nei ruoli dei loro omologhi polacchi Tusk e Kaczynski): il
primo, de Villepin, erede spirituale di De Gaulle, vede nella
continuità, nello sviluppo compatibile con la sopravvivenza
di norme che garantiscono il lavoro e i più deboli,
l’avvenire di una Francia capace di riconquistare un
posto preminente nel consesso dei popoli; il secondo, Sarkozy,
è invece votato ad un liberismo senza condizionamenti,
capace di rilanciare la grandeur francese, privilegiando il
rapporto con gli USA ed egemonizzando la politica europea
con la forza di un’economia interna in espansione ed
un assetto statale autorevole (per non dire, come si dovrebbe,
autoritario).
Manco a dirlo, anche la Francia è attraversata dalle
stesse difficoltà che abbiamo rilevato in Polonia e
in Germania, e non sembra che disponga di strumenti inediti
per affrontarle.
Selezione ed esclusione
Per concludere questo sintetico affresco, a me pare che,
per la natura dei problemi, per la scarsità crescente
delle risorse, per la sclerosi della razionalità occidentale
– almeno della razionalità che concretizza gli
assetti politico-economico-sociali dei suoi contesti –
il ruolo dissolutorio della destra, comunque manifesta o mascherata,
sia destinato a crescere ed a disarticolare ulteriormente
il tessuto dei popoli.
Seguire la sinistra nelle sue istanze riformiste, mi pare
pura follia: non esiste meccanismo riformistico che possa
trasferire al proletariato, agli anziani, ai diseredati della
terra una ricchezza la cui produzione e redistribuzione avviene
secondo logiche di selezione e di esclusione: il mercato premia
sempre chi più può offrire in denaro o in potere;
premia chi può produrre a minor costo e il minor costo
grava sempre su chi è costretto comunque a lavorare.
I meccanismi sono questi e non sono emendabili. Occorrerebbe
una rivoluzione del modo di produzione delle idee, senza la
quale è impossibile creare il necessario distacco con
l’esistente e aggredire i problemi degli uomini, partendo
da una corretta analisi delle relazioni che è naturale
e necessario intercorrano tra gli uomini stessi, tra gli uomini
e il pianeta che occupano e che debbono salvaguardare e da
cui possa scaturire un nuovo, egualitario concetto di giustizia
che tuteli la pace e consenta uno sviluppo compatibile.