Ma
quale presunta debolezza?
Ho letto con estremo interesse i due interventi, prima di Francesco
Codello (su A 310) sulla Presunta debolezza del
movimento anarchico, poi la risposta
di Maria Matteo (su A 311), non a caso intitolata invece
Ma quale presunta debolezza?. Già dai differenti
due titoli risalta un’abissale differenza d’impostazione:
il primo si muove con cautela sulla riflessione di qualcosa
che presume, senza (importante!) affermare in modo categorico
ciò che in più parti dell’articolo identifica
come rischi, il secondo parte sparato, affermando al contrario
con certezza che la presunzione proposta è del tutto
inesistente.
Beati coloro che hanno certezze! Non tanto perché la
certezza sia effettivamente certa, quanto perché si creano
corazze che, presumo, possono regalare sicurezza e li fanno
sentire forti.
Non mi dilungo oltre su questi aspetti, perché siamo
già al centro del problema. Non ho neppure intenzione
di entrare addentro i contenuti espressi dai due, perché
richiederebbe un’esposizione argomentata troppo lunga,
che non è il caso. Ciò che invece m’interessa
mettere in evidenza è l’approccio molto diverso,
addirittura contrapposto, di Codello da una parte e della Matteo
dall’altra.
L’uno si muove su un piano di riflessione problematica,
esponendo preoccupazioni e rischi sentiti, sostenendo un modo
d’intendere di cui è convinto, ma che non ci propina
con saccente sicumera. Ce lo suggerisce invece e ce lo propone
come occasione di riflessione e di dibattito, sottolineando
soprattutto l’attenzione alla sensibilità di ogni
compagno nel proporsi su un piano di libertà e di sperimentazione
della stessa, per superare la logica del proselitismo,
che a suo modo di vedere attanaglia troppo il movimento anarchico
e ne è preoccupato. Nelle sue parole e nelle sue argomentazioni
non c’è l’uso della categoria del giudizio,
per stabilire, da un alto dell’intelletto presunto e inesistente,
chi fa bene da una parte e chi fa male dall’altra.
L’altra si chiude a difesa del movimento di cui si sente
pienamente parte. Da parte di chi la legge facilmente offre
l’idea di essere rimasta ferita nelle sue convinzioni
di appartenenza. Per questo reagisce con veemenza nell’intento
di difendere i confini e gli steccati del luogo simbolico (in
questo caso il movimento politico anarchico) in cui, secondo
me trova, secondo lei c’è, la sicurezza “necessaria”
per la realizzazione dell’ideale. Ed attacca, offende
(con eleganza intellettuale, sia chiaro, non con rozzezza “burina”)
il malcapitato Francesco Codello, che si è permesso di
cercare fluidi di pensiero e tensioni di libertà, non
contro (attenzione!), ma al di là, del movimento politico
ufficiale, di cui sembra comunque sentirsi parte in modo critico
e non strettamente militante e a cui propone il suo personale
contributo.
In altre parole, mi sembra che la Matteo parli di cose che non
c’entrano con ciò che Codello ha tentato di esprimere
con onestà ed umiltà. Inoltre, mentre Codello
si tiene al di fuori della categoria del giudizio perché
non gli interessa, la Matteo giudica pesantemente Codello e,
mi vien da dire, con accenti sacerdotali al di là delle
sue intenzioni, lo sconfessa pesantemente, non potendolo purtroppo
espellere come eretico perché gli anarchici non possono
avere ortodossia, almeno ufficialmente.
Andrea Papi
(Forlì)
I
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