Vita Indipendente
Percorsi verso una vita indipendente per tutti: dal possono al devono…
di Claudio Roberti
Rispetto alla costruzione di un dibattito sulla vita indipendente che possa definirsi adeguato ai tempi – efficace, si deve avviare al graduale superamento quella fase dove si doveva affermare culturalmente che la vita indipendente è complessivamente e di gran lunga migliore rispetto ad altre soluzioni. Sia chiaro, per altre soluzioni s’intendono eutanasie vecchie e nuove, abbandoni ed istituzioni totali. Tralasciando le precedenti (ma non lontane) “soluzioni “, l’alternativa ricorrente è data dalle istituzioni totali. Oggi, quel che non è a tutti chiaro, è che questi istituti sono economicamente molto meno convenienti rispetto ai costi finanziari della vita indipendente. Tutto questo, dando per acquisiti i danni sociali e psichici che produce una vita custodializzata. Rispetto all’insieme di questa realtà, sia nell’ambito del ceto politico, che fra gli addetti ai lavori – operatori, vi è ancora chi non sa e/o fa finta di non sapere.
La vita indipendente rappresenta un notevole mutamento culturale che sottende cambiamenti organizzativi: di fronte ad un presupposto del genere, è prevedibile che scattino vecchie e nuove resistenze. A sua volta, i fatti sociali vanno sempre contestualizzati in un quadro complessivo: è notorio che in genere, la mentalità italiana è poco incline al mutamento, specialmente quando subentrano interessi corporativi, stereotipi culturali.
Allora, per comprendere fino in fondo i presupposti che hanno innescato i nodi attuali, bisogna partire da quanto sopra sintetizzato. Da qui, i nodi da sciogliere per rendere esigibile un principio relegato a mera filosofia del diritto. Sbarramenti voluti dal vecchio modello come strategia di ostacolo verso il nuovo modello.
La prima strategia di sbarramento è stata messa in atto utilizzando nella L. 162/98 (Vita Indipendente) il vecchio (ma efficace...) istituto giuridico dell’opzione fra il possono ed il devono (1). Infatti, non si tratta di semplice confusione, dimenticanza del legislatore: questa è una scappatoia istituzionale antica e molto diffusa negli ordinamenti democratici e non. Prescindendo dalla specificità di questo o quel tema dove si rivolge, nel primo caso il legislatore prevede la facoltatività , nel secondo l’obbligo. Quando vi è facoltatività vuol dire che subentra la discrezionalità , nell’altro caso l’obbligo. L’analisi è molto lineare, vi è poco margine per i sofismi!
Ne scaturisce che, la discrezionalità è sinonimo di valutatività... ideologica. Nulla di strambo, tutt’è saperlo e comprenderne i motivi e gli interessi per cui si opera. Ovvero, questo significa che i possono si traducono in una libera volontà politica di fare, disfare, non fare, fare a talune condizioni, rifare, non rifare, mai fare, fare lì e non là, fare nel frattempo, per quel territorio e non per quell’altro. Insomma, contempla ogni combinazione di possibilità legittimamente riconosciuta al potere politico, fin quando questi potrebbe degenerare nell’arbitrio del potere. Potere dell’arbitrio...
Ovvero, siamo nell’ambito di quella che si definisce comunemente volontà politica. Un tizio che di queste cose s’ intendeva, tale Max Weber, questo tipo di agire lo definiva come potere di disposizione, qui rivolto verso un’ azione razionale rispetto ad uno scopo. Poi, si da il caso che tale scopo, nella fattispecie specifica, innesca atti discriminatori ai sensi di quella famosa Convenzione ONU rispetto alla quale a tanti piace fare propaganda.
Allora, veniamo a noi, ci interessa che l’istituzione della vita indipendente sia sottoposta al potere di disposizione? Attenzione, non quello nostro, ma del ceto politico e dei meccanismi di consenso legittimati (più organizzati, ricorrenti)! Se la risposta fosse si, effettivamente sarebbe inutile cambiare il possono con il devono. Ovviamente, la risposta è no, di conseguenza questo passaggio è indispensabile.
Allora, vista la quantità – qualità delle organizzazioni date, la strategia della petizione (2) si rivela uno strumento molto utile, da portare avanti fino in fondo. La parola petizione (vedi latino) vuol dire richiesta, ogni richiesta ha un fine che risiede nell’oggetto della richiesta medesima. Di conseguenza il nostro fine sarebbe esaudito dalla sola presentazione della petizione? È evidente che le cose non stanno così , di conseguenza bisogna andare avanti per ottenere una nuova normativa quadro che affermi il devono. L’obiettivo è prioritario e bisogna ottenerlo comunque, anche contemplando la possibilità di supportare la petizione con altre forme di pressione politica!
Gli stessi riferimenti federali nei quali ci si dovrà muovere per districarsi nelle questioni di cui sopra, devono rappresentare un’opportunità di snellimento nelle diversità territoriali, non un’ occasione per ulteriori frantumazioni, sfilacciamenti: guai se un disabile di Matera prende atto che con un disabile di Udine ha in comune la sola disabilità (la tendenza in atto è quella...). In tale scenario, certamente uno fra i due sarà il privilegiato, ma entrambi saranno più deboli nell’ambito di un unico sistema, comunemente detto globalizzazione.
Appunto, il sistema mondo ha cambiato e cambierà ancora tanti fatti, comprenderlo significa “governarlo”: ovvero cogliere compatti le opportunità del nuovo senza fare la fine del vecchio. Nel nostro caso specifico, vita indipendente vuol dire buttare via il vecchio stato assistenziale ed aprire alle forme più avanzate di Welfare State: non più a pioggia, ma in progetti mirati, razionalmente legati alla persona ed alla qualità di ciò che si produce. I benefici sono provati sia in ambiti finanziari che sociali. Le resistenze vi sono, sostanzialmente sintetizzate nel quadro introduttivo. Sarebbe ingenuo pensare a repentini dissolvimenti in occasione dell’imminente dibattito sulla Finanziaria 07/08.
La conferenza di ottobre a Roma sulla Vita Indipendente è uno strumento teorico/operativo nel quale dovrebbero emergere tutte le questioni qui poste. Si tratta di una scadenza strategicamente essenziale, ma probabilmente non conclusiva. Su tutto il tema della riforma del Welfare State occorre una mobilitazione politica urgente, trasversale, compatta, decisa. Qualcosa di efficace rispetto agli immobilismi prodotti dagli asseti sin qui dati.
Il presente intervento si inserisce in un contesto di discussioni fitte ed accese. Questo è fisiologico rientra nell’ambito della tradizione politico culturale italiana. Sarebbe strano se i protagonisti di questi temi ne fossero immuni. La diversità nelle idee-saperi è la madre di ogni altra diversità, proprio noi dovremmo essere tra i primi ad aver elaborato questo concetto. Tutt’è nel ricercare una mediazione che soddisfi gli interessi comuni. Claudio Roberti
Sociologo, esperto afferente alla Commissione Inclusione Studenti Disabili Università degli Studi “Federico II “ di Napoli.
Già dirigente nazionale e locale movimento disabili. Note
- La legge oggi prevede che “Le Regioni possono provvedere, sentite le rappresentanze degli Enti locali e le principali organizzazioni del privato sociale presenti sul territorio a disciplinare, allo scopo di garantire il diritto ad una vita indipendente alle persone con disabilità permanente e grave limitazione dell’autonomia personale nello svolgimento di una o più funzioni essenziali della vita, non superabili mediante ausili tecnici, le modalità di realizzazione di programmi di aiuto alla persona, gestiti in forma indiretta, anche mediante piani personalizzati per i soggetti che ne facciano richiesta, con verifica delle prestazioni erogate e della loro efficacia” (NdC).
- L’autore si riferisce alla petizione scaricabile su http://www.pianetabile.it/ (NdC).
Una realtà anche a Pavia? (1)
di Emanuela Boriani
È questo il titolo del confronto svoltosi a Pavia il 23 giugno 2007, organizzato dall’Associazione PaviainserieA e dal Comitato Coordinamento Pavese per i Problemi dell’Handicap con la partecipazione del Comune e Provincia di Pavia.
Lo scopo dell’incontro era quello di aprire un confronto sul tema della Vita Indipendente anche nel territorio di Pavia dove l’Amministrazione Pubblica non ha ancora deliberato in materia né stanziato finanziamenti specifici.
Nel volantino dell’evento si legge:
“VITA INDIPENDENTE: è poter vivere proprio come chiunque altro: avere la possibilità di prendere decisioni riguardanti la propria vita e la capacità di svolgere attività di propria scelta, il diritto e l’opportunità di perseguire una linea di azione e la libertà di sbagliare e di imparare dai propri errori esattamente come le persone che non hanno disabilità!
VITA INDIPENDENTE significa porre l’accento e credere nelle capacità che la persona con disabilità potrà così esprimere nonostante le limitazioni fisiche, in modo da consentire la massima libertà di scelta e rendere possibile ad ogni singolo, il poter scegliere da chi farsi aiutare, come farsi aiutare e quando farsi aiutare!”
Appunto lo spirito della Vita Indipendente.
Paolo Mogliati dell’Associazione Pavia in Serie A, promotore e curatore dell’incontro con il valido aiuto di Maria Teresa Montanaro, ha introdotto il pubblico nel tema e ne ha condotto i vari punti. È stata poi la volta di Antonio Malafarina che tramite un suo scritto, purtroppo non ha potuto essere presente, ha introdotto il tema della disabilità parlando della storia e dei passi fondamentali per il riconoscimento dei diritti del disabile; analizzando la disabilità ed il suo rapporto con la società e figurando dei possibili scenari futuri. Ida Sala del Comitato Lombardo per la Vita Indipendente ha esposto la normativa relativa alla Vita Indipendente.
Poi le testimonianze di vita pratica hanno reso l’atmosfera meno formale e umanamente compartecipata anche tramite voci dal pubblico. Cinzia Rossetti da Brescia, Roberto Tarditi da Torino, Emanuela Boriani da Milano hanno raccontato le personali esperienze di autodeterminazione costate fatica ma che hanno dato loro gratificanti risultati. Antonio Celsi, da Milano, ha esposto le sue considerazioni sui concetti generali della Vita Indipendente ed i punti focali per aver un’assistenza autogestita.
Da tutto ciò è emersa la fondamentale importanza per una persona con disabilità grave di acquisire la capacità di autodeterminazione. Con questa si intende la consapevolezza delle potenzialità e della capacità personale di scegliere della propria vita. Questi aspetti sono naturalmente più spiccati in alcune persone e meno in altre e sono in genere il frutto delle attitudini personali allenate nelle esperienze che la vita propone. Esattamente come per le persone senza disabilità che però hanno il vantaggio di poter provare più facilmente esperienze rispetto a chi ha impedimenti motori o cognitivo-motori ed in particolare possono espletare autonomamente gli atti fondamentali della vita quotidiana e sociale con autodeterminazione.
Come fare allora per acquisire autodeterminazione? Non esiste una formula matematica valida per tutti. In linea generale è preziosa l’iniziativa personale volta a scegliere delle proprie attività, dei propri modi di vita. Il fare è importante e doveroso perchè le persone disabili non hanno solo diritti da pretendere riconosciuti ma hanno anche il dovere di dare il proprio contributo alla società in base alle proprie possibilità (attività nelle associazioni, svolgimento di lavori part-time o full-time, consulenza, collaborazioni, attività sociali, etc). Per acquisire autodeterminazione si potrà in futuro forse anche ricorrere all’aiuto di supporti che stanno prendendo piede e che potranno diffondersi divenendo funzionali nella pratica. Questi supporti hanno a che fare con l’Empowerment (2).
Ritornando all’incontro di Pavia, di seguito è emersa la grossa importanza che l’assistenza personale autogestita ricopre per raggiungere tale autodeterminazione. Tale assistenza è realizzata o attuando assunzione diretta dell’assistente oppure avvalendosi di una cooperativa con cui la persona interessata ha rapporti diretti e non tramite l’Ente Pubblico. Questo permette alla persona disabile di potere scegliere di rimanere al domicilio (proprio o familiare) invece di essere obbligato ad andare in Istituto. Ma accanto a questo tipo di soluzione bisogna creare delle procedure che permettono alla persona di non rimanere segregata nella propria abitazione ma al contrario possa mettere in pratica la personale autodeterminazione nella vita socio-lavorativa. Infine è stata esplicitata l’inesistenza pratica del riconoscimento da parte delle Amministrazioni Pubbliche del diritto alla Vita Indipendente. Questo significa la mancanza del diritto delle persone con disabilità gravi e gravissime di avere procedure, strumenti e stanziamenti economici garantiti e continuati nel tempo che sono necessari a portare queste al livello base di autodeterminazione delle persone non disabili.
Come rappresentanti del Comune di Pavia erano presenti all’incontro la responsabile dei Servizi ai Disabili dott.ssa Torchio e l’assessore alle “politiche sociali della casa, politiche di inclusione sociale e immigrazione, sanità” Francesco Brandolise. Quest’ultimo è intervenuto esplicitando che anche a Pavia non sono arrivati dalla Regione Lombardia i finanziamenti della 162/98 e di altre leggi di settore (104/92) e quindi il Comune ha dovuto integrare. Si è detto interessato al tema della Vita Indipendente e si è impegnato ad attivare dei progetti.
Ha però anche espresso un concetto che diverse Amministrazioni Pubbliche avanzano e cioè di utilizzare il Volontariato per coprire (visto che per certi argomenti i soldi sono sempre insufficienti) i bisogni primari di assistenza. La scrivente e Katia Pietra gli hanno prontamente contestato il fatto che i livelli minimi esigibili, di cui si dovrebbe avere il diritto per ora negato nella pratica, per superare la non autosufficienza arrivando al grado basilare di autodeterminazione, devono essere garantiti dall’Amministrazione Pubblica. Questo perchè i Volontari, per la loro stessa natura, possono anche non garantire sempre un servizio a delle persone la cui disabilità non va mai in vacanza.
L’incontro è terminato con la promessa da parte di Paolo Mogliati e Katia Pietra al Comune di Pavia di fare richieste di progetti di Vita Indipendente a Pavia a partire da gennaio 2008 e di aspettarsi che queste verranno accolte. Tra le persone intervenute c’è stato vivo interesse e coscienza che solo lavorando insieme è possibile ottenere dei risultati.
Emanuela Boriani
Note
- Tratto da “Ruota Libera” di ottobre 2007, la rivista dell’Associazione Paraplegici Lombardia.
- Dal sito del Centro EmpowerNet della Lombardia: “Empowerment” è un termine inglese che deriva da to empower e letteralmente significa “accrescere in potere”. Adottare una prospettiva di empowerment per migliorare la qualità della vita delle persone significa valorizzarne le risorse focalizzandosi su abilità e capacità, attive e latenti.
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