cultura
Leggere
Colin Ward
a cura di Francesco Codello
Pubblichiamo uno scritto dell’architetto, urbanista e intellettuale anarchico inglese, recentemente scomparso.
Sui prossimi numeri altri vedranno la luce.
Questa volta l’argomento è la pedagogia.
|
«Come si reagirebbe alla scoperta che la società in cui si vorrebbe realmente vivere c’è già (…) se non si tiene conto, ovviamente, di qualche piccolo guaio come sfruttamento, guerra, dittatura e gente che muore di fame? Questo libro vuol proprio dimostrare che una società anarchica, una società che si organizza senza autorità, esiste da sempre, come un seme sotto la neve, sepolta sotto il peso dello Stato e della burocrazia, del capitalismo e dei suoi sprechi, del privilegio e delle ingiustizie, del nazionalismo e delle sue lealtà suicide, delle religioni e delle loro superstizioni e separazioni». (Colin Ward, Anarchy in Action, (1973) ora: Anarchia come organizzazione, Eleuthèra, Milano, 2006).
In questa considerazione è racchiusa forse la sintesi più pertinente del pensiero di Colin Ward (1924-2010), anarchico inglese, urbanista, educatore, giornalista, militante, sociologo, ma soprattutto straordinaria persona.
Il suo approccio all’anarchismo è caratterizzato dall’attualizzazione del pensiero libertario classico (soprattutto di Petr Kropotkin) e dall’utilizzo di una vasta mole di studi contemporanei in diversi ambiti della conoscenza, secondo una visione empirica e pragmatica, ben ancorata però a una serie di valori guida irrinunciabili.
Sulla scia dell’approccio kropotkiniano la sua preoccupazione maggiore è quella di scovare le tracce di anarchismo che esistono già, seppur soffocate dalle maglie autoritarie delle società esistenti, non esitando quindi a riconoscersi in questa visione espressa da Paul Goodman: «Una società libera non può essere l’imposizione di un «ordine nuovo» al posto di quello vecchio: è l’ampliamento degli ambiti di azione autonoma fino a che questi occupino gran parte della vita sociale… In qualsiasi società contemporanea, a onta di una crescita continua e uniforme della coercizione, esistono comunque molti spazi liberi. Se così non fosse, per un libertario conseguente non sarebbe affatto possibile collaborare o viverci, mentre in effetti noi «tracciamo un limite» in continuazione: un limite al di là del quale non siamo più disposti a collaborare» (Reflections on Drawing the Line, in: Political Essays, New York, 1946).
Tutte le sue opere e la sua attività pratica, sia in ambito lavorativo che in quello della più stretta militanza, si svolgono secondo queste linee guida in molteplici ambiti della vita sociale e comunitaria.
Una parte delle sue opere è stata tradotta in italiano (grazie soprattutto all’encomiabile lavoro di Eleuthera) e sono potute giungere a noi le trame essenziali del suo pensiero. Ma con questo lavoro, che inizia da questo numero della rivista, intendiamo presentare ai lettori di A altri contributi, magari mai tradotti, che possono ampliare le nostre possibilità di conoscere le sue riflessioni.
Come Paul Goodman e Ivan Illich
Il primo saggio che qui pubblichiamo riguarda l’educazione e la sua visione dell’ambiente come luogo qualificante ogni relazione educativa. «Luoghi dove s’impara» è il testo di una conferenza del 1987 tenuta da Ward al Dipartimento di Architettura del MIT di Boston, che costituisce uno dei capitoli di un suo libro, inedito in Italia, «Talking Schools» (Freedom Press, London, 1995).
Il suo interesse per i temi educativi è costante lungo tutto il corso della vita e rientra spesso anche quando affronta temi, come in questo caso l’architettura, apparentemente non significativi per queste problematiche.
«Ciascuno di noi è stato un bambino, la maggior parte di noi è diventata genitore, mentre un incredibile numero di noi diventa in un modo o in un altro, in un certo momento delle nostre vite, insegnante. Di conseguenza molti di noi costituiscono una sorta di filosofia dell’educazione. Ma un certo numero di insegnanti non lo fa. Questi insegnano non con le tecniche che teoricamente avrebbero dovuto apprendere al College ma nei modi che loro stessi avevano subito a scuola» (Influences, Green Books, Bideford, 1991).
Nel solco della tradizione che va da Godwin a Goodman, Colin Ward dedica ai temi educativi e scolastici grande considerazione nutrita di acuta sensibilità. Anche in questo ambito la sua attenzione è sempre molto pragmatica e tende a sottolineare, con esempi concreti, come descolarizzare la società e avviare una vera educazione libertaria sia una necessità ormai inevitabile. Coerentemente con tutto ciò egli si spende «a favore delle scuole libere, delle scuole povere, delle non scuole; per un’educazione fuori dalle aule scolastiche, dalle classi, fuori dal concetto di infanzia; per un’educazione che divenga un processo lungo tutta la vita, per una vita che si addice a un processo educativo, perché ambedue si fondino in un’unica realtà» (Nicolas Walter, The Anarchist Past, Five Leaves Pubblications, Nottingham, 2007).
È convinto, come Goodman e Illich, che «perpetuare questa società è, in definitiva, la vera funzione sociale della scuola: è la funzione socializzante. La società assicura il suo futuro educando i bambini secondo il suo modello (…). L’istruzione obbligatoria è il prodotto storico di molteplici fattori: non solo dell’invenzione della stampa e della ascesa del protestantesimo e del capitalismo, ma anche della crescita degli stessi Stati nazionali» (Anarchia come organizzazione, cit.). Per queste ragioni riprende l’idea forte di Godwin circa l’assurdità di un curricolo nazionale e dell’istruzione statale, nella convinzione che, come Goodman ha spiegato, la vera istruzione (ma anche l’educazione) non può che essere «incidentale», vale a dire il risultato di una domanda che nasce spontaneamente dal contesto ambientale, e non l’abitudine a rispondere in modo giusto alle domande poste dall’educatore e dall’insegnante. Infatti «l’approccio anarchico al problema dell’istruzione si basa non sul disprezzo per lo studio ma sul rispetto dell’allievo».
Ward riassume in quattro principi base la sua visione dell’educazione:
1. L’assenza di coercizione nel processo educativo;
2. Sostenere che vi è una naturale motivazione del bambino ad apprendere e insistere in una pedagogia che sia conseguente a questo;
3. Stimolare la capacità di resistere del bambino all’ideologia imposta dalla scuola;
4. Educazione integrale del bambino.
... e lasciateli in pace!
Questo modello educativo trova attuazione nelle scuole alternative e antiautoritarie che legano indissolubilmente le idee di Godwin (rimaste solo intuizioni) e le esperienze della tradizione anarchica e libertaria, fino a raggiungere l’apogeo con la scuola di Summerhill di Alexander Neill di cui Colin Ward è stato un mentore appassionato. Le sue idee trovano sempre conferma in esperienze e in analisi che provengono anche dal di fuori dell’ambito intellettuale libertario, ma che egli sapientemente sa usare per avvalorare le sue convinzioni.
Ward esprime chiaramente la convinzione che un’educazione libertaria esige un profondo e vero rispetto della natura di ogni bambino e che nessun educatore ha il diritto di sovrapporvi le proprie convinzioni:
«Significativo è lo slogan coniato tempo fa nell’ambito della pedagogia progressista: Generateli, amateli e lasciateli in pace. È questo, lo ripeto, non vuole essere un invito al disinteresse, sottolinea invece che una buona metà dei guai e delle frustrazioni che una persona si trascina nell’adolescenza e nella vita adulta hanno le loro radici in quella insidiosa attenzione con cui, da bambini, sono stati circondati per indurli a comportarsi secondo quello che altri ritenevano «il loro bene» (Anarchia come organizzazione, cit.).
Con un’efficace immagine Ward esprime questo radicale bisogno di sconvolgere i termini tradizionali dell’educare, ritornandogli il suo significato originale di «tirar fuori» piuttosto che «trasmettere». Egli lo fa usando una metafora convincente: «Vaso, creta o fiore?». La centralità di un’educazione fondata sul vero e profondo rispetto del bambino conduce a dare una diversa definizione dell’atto educativo. Il bambino non è dunque un vaso da riempire, non è neppure una creta da plasmare, quanto piuttosto un fiore a cui deve essere permesso di sbocciare naturalmente.
Quest’ultima immagine rappresenta per Ward l’approccio educativo centrato sul bambino e implica che l’ambiente scolastico sia concepito coerentemente con i bisogni del bambino. L’insegnante diviene così un facilitatore, uno stimolatore, non un formidabile istruttore. Uno degli esempi che Ward porta per avvalorare le sue convinzioni, è quello all’uso creativo dei giochi e degli spazi a ciò deputati. I bambini dovrebbero poter giocare dovunque e in piena libertà e non essere costretti in ambiti circoscritti. Se osservassimo davvero come usano l’ambiente avremmo un’idea più chiara di come dovremmo adattarlo a loro. Uno dei deficit a cui oggi assistiamo è proprio questa impossibilità per i bambini di avere tempi e spazi non organizzati dagli adulti e ciò ha portato inevitabilmente all’aumento della deresponsabilizzazione e della mancanza di autonomia.
Infine nell’analizzare il significato dell’educazione della e nella strada, Ward lamenta come sia terminata e sia andata perduta quella cultura che proviene da luoghi non più frequentati dai piccoli e dai giovani. La scuola è divenuta progressivamente un istituto di custodia perdendo quella vitalità e quella ricchezza che può avere se si immerge interamente nell’ambiente. Questa concezione di separatezza tra scuola e strada rivela fino in fondo la progressiva estraneazione della cultura e dell’infanzia dalla vita reale.
Francesco Codello
Colin Ward, in italiano
Anarchia come organizzazione, Eleuthera, Milano, varie edizioni.
(a cura di Colin Ward), P. Kropotkin, Campi,
fabbriche, officine, Antistato, Milano, 1975.
Dopo l’automobile, Eleuthera, Milano, 1992.
La città dei ricchi e la città dei poveri, e/o, Roma, 1998.
Il bambino e la città, Ancora del Mediterraneo, Napoli, 2000.
Acqua e comunità, Eleuthera, Milano, 2003.
Conversazioni con Colin Ward, Eleuthera, Milano, 2003.
L’anarchia. Un approccio essenziale, Eleuthera, Milano, 2008.
Per una efficace introduzione al suo pensiero consiglio di leggere di Stuart White, L’anarchismo pragmatico di Colin Ward, Bollettino Archivio Pinelli, n. 30, Milano. |
|
|