Scenari inquietanti quelli di Belfast e Derry nella seconda metà del secolo scorso: rastrellamenti, arresti arbitrari, discriminazioni da apartheid, esecuzioni extragiudiziali e squadroni della morte. Con Il diario di Bobby Sands – storia di un ragazzo irlandese (Castelvecchi editore) si viene a colmare una lacuna. Grazie ai tre autori, la scrittrice Silvia Calamati, l’ex prigioniero Laurence McKeown e il giornalista Denis O’Hearn, le icone rivoluzionarie degli hunger strikers ritrovano la loro dimensione umana, storica e sociale. Dalle biografie emerge una comune condizione proletaria. Giovani lavoratori, spesso disoccupati, costretti a lasciare la scuola ancora adolescenti, vittime sempre più consapevoli di un sistema economico che in Irlanda si manifestava nella sua forma coloniale. Nei loro confronti, il governo inglese si mosse con una logica da annientamento. Lo scopo, ben oltre l’applicazione della legge, era quello di spezzare lo spirito dei prigionieri. Sottometterli, farli rientrare nei ranghi. Isolarli politicamente e socialmente se non si fossero arresi. Per i detenuti nessuna alternativa. Capitolare o resistere. Sands e gli altri scelsero una forma di resistenza che deriva dalle tradizioni gaeliche, lo sciopero della fame fino alle estreme conseguenze. L’introduzione dell’internamento a tempo indeterminato risaliva al 1971, mentre nel 1976 veniva revocato lo status di prigionieri politici. Da quel momento i repubblicani arrestati furono segregati nei Blocchi H. Il 27 ottobre 1980 iniziava uno sciopero della fame che, dopo una sospensione in dicembre, riprenderà nel marzo 1981. Bobby Sands muore il 5 maggio. Dopo una settimana, il 12 maggio, è la volta di Francis Hughes. Raimond McCreesh e Patsy O’Hara muoiono il 21 maggio. Tra luglio e agosto del 1981 la stessa sorte toccherà ad altri sei prigionieri.
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Bobby Sands |
Come per Jan Palach, come per Salvador Puig Antich
Uno dei tre autori del libro Il diario di Bobby Sands, Laurence Mc Keown, è rimasto per sedici anni prigioniero nell’inferno di Long Kesh. Destinato a diventare l’undicesima vittima, il suo sciopero della fame si interruppe al settantesimo giorno, quando ormai era già in coma. I familiari acconsentirono a farlo alimentare artificialmente perché il governo inglese aveva lasciato capire che le richieste dei prigionieri sarebbero state accettate.
Come Praga per Jan Palach (1968) e Barcellona per Salvador Puig Antich (1974), così i quartieri cattolici di una Belfast più livida del solito accolsero con rabbia la notizia della morte di Bobby Sands. L’indignazione si manifestava in molte parti d’Europa e del mondo, da Bilbao a Beirut, da Barcellona a Roma. In Italia a protestare davanti alle ambasciate inglesi fu soprattutto la sinistra extraparlamentare, gli “autonomi”, Lotta continua per il comunismo...
Ma chi all’epoca aveva occhi ricorda anche le scritte e i manifesti di Terza Posizione (Tp) che inneggiavano all’esempio irlandese e firmavano con la runa “dente di lupo”. Un tentativo della “nuova destra” di appropriarsi della lotta di liberazione nazionale del popolo irlandese. Alcuni neofascisti vennero arrestati con in casa manifesti e giornali repubblicani e libri su Bobby Sands. Se non schizofrenia, era almeno confusione ideologica, dato che nelle latitanze britanniche venivano aiutati da elementi del National Front notoriamente schierato con le squadre “lealiste”, protestanti-filoinglesi, quelle che periodicamente si rendevano responsabili di omicidi settari (cattolici assassinati in quanto tali, indipendentemente dalla loro appartenenza politica). I legami tra l’estrema destra inglese e la destra protestante dell’Ulster emersero in maniera spettacolare a Dublino il 15 febbraio 1995 durante un’amichevole tra le nazionali di calcio di Inghilterra e Irlanda. La partita si svolse tra saluti nazisti, slogan contro l’Ira e cori contro gli accordi di pace, lanci di oggetti contro il pubblico irlandese e violenti scontri. Bilancio: una cinquantina di feriti e la morte di un tifoso irlandese. Si scoprì che molti hooligans, i tifosi britannici più esagitati, facevano parte delle organizzazioni neonaziste (in particolare C18, dove C sta per Combat mentre il numero indica la prima e l’ottava lettera dell’alfabeto, le iniziali di Adolf Hitler). Dall’Irlanda del Nord erano arrivati i simpatizzanti di gruppi come l’Ulster volunteer force che si faceva fotografare alle celebrazioni con neonazisti fiamminghi e francesi, quelli di Ordre Nouveau. Riconoscibili questi ultimi perché usavano la cosiddetta “croce celtica”. In realtà il simbolo (denominato “celtica” solo in epoca recente, non alle origini) ricorda una runa (anche se i neofascisti lo escludono) e veniva utilizzato da francesi collaborazionisti nella seconda guerra mondiale. Nel 1944 ornava le mostrine dei volontari della “compagnia Flak”, una unità della divisione Charlemagne delle waffen-SS che combatté fino a Berlino, in difesa del bunker di Hitler. Forse sarebbe più corretto denominarla “croce cerchiata delle SS francesi”.
Quando venne adottata dal Fronte della gioventù (Fdg) negli anni settanta, ben sapendo quale fosse il riferimento, arrivarono le “sgridate” di Almirante. Evidentemente l’autore di “Memorie di un fucilatore” aveva colto il richiamo neonazista e temeva per la sua politica perbenista del doppiopetto. Niente a che vedere comunque con le vere croci celtiche che svettano sulle antiche tombe irlandesi (quelle storiche che esprimono un sincretismo tra cristianesimo e religione gaelica) e anche su molte tombe di volontari dell’Ira e dell’Inla morti in combattimento.
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Un murale rappresentante Bobby Sands a Belfast |
Volendo approfondire, in Italia la “croce cerchiata delle SS francesi” era già stata adottata nei primi anni sessanta da Giovane Europa, filiale italiana del movimento Jeune Europe fondato da Jean Thiriart che aveva combattuto nelle waffen-ss (e che raccontò di aver scelto quel simbolo di riconoscimento perché “era facile da tracciare sui muri”). A questo movimento, nel 1963, aderirono un gruppo di missini fiorentini (tra cui: Attilio Mordin, Franco Cardini, Marco Bersacchi, Amerino Griffini...) e qualche ex-ordinovista (Massimo Marletta...). In quello che sembra un attacco di autorevisionismo, uno dei soci fondatori sosteneva che fu per “allontanarsi dalla lugubre e bellicosa simbologia neofascista e neonazista” (...e per questo adottavano un simbolo delle waffen.ss?!?). È assai più probabile che fosse un modo per rivendicare quelle origini, quella appartenenza, senza insospettire l’opinione pubblica e nel contempo strizzare l’occhio agli iniziati. Da ricordare che Giovane Europa si caratterizzava per una ambigua “equidistanza” tra Usa e Urss (terza posizione?) che sapeva tanto di “intossicazione”. Tra i cultori del simbolo vanno citati anche Claudio Mutti e Adriano Romualdi. Attorno al 1975 venne adottato dalle organizzazioni giovanili missine (Fdg e Fuan), mentre qualche anno prima (pare nel 1970) i rautiani lo avevano proposto all’interno del MSI con l’aggiunta di una fiamma tricolore sullo sfondo. Dire, come fa Alemanno, che è un richiamo all’amore cristiano mi sembra un pochino azzardato.
Tornando a Cardini, lo storico fiorentino, bontà sua, ammette “un legame sentimentale con il fascismo letterario francese, ma – minimizza – si tratta di quello a cui aderì Pierre Drieu la Rochelle, molto vicino all’estrema sinistra” (il corsivo è mio, nda). Sicuramente i maquisards dovevano pensarla diversamente. Nell’ottobre del 1941, insieme a Brasillach, Chardonne, Jouhandeau e altri scrittori francesi, Drieu la Rochelle accolse l’invito di Goebbels e prese parte ad un “Congresso degli intellettuali europei” in Germania. Il viaggio e il convegno furono l’occasione per visitare la Cancelleria del Reich e iniziare quel percorso di collaborazionismo che alla fine gli costò caro.
Chi ha scelto quel simbolo (la “croce cerchiata delle SS francesi”, erroneamente chiamata “celtica”) sapeva bene cosa rappresentava! Con il precedente storico della Charlemagne, appare chiaro perché nell’immediato dopoguerra diventasse l’emblema preferito delle organizzazioni francesi neonaziste e neofasciste. In Francia venne ripreso dal Parti Nationaliste costituito nel 1958 dai reduci di J.N. e in seguito dal Front de l’Algerie francaise e dal Front national pour l’Algerie francaise sotto la guida di Jean-Marie Le Pen. La maggior parte degli aderenti entrerà poi nell‘Organisation de l’armèe secrète (Oas), l’organizzazione dei pieds-noirs, i coloni francesi in Algeria, gruppo terroristico contrario alla decolonizzazione. Passerà alla storia, tra gli altri misfatti, per il putsch d’Algeri (v. il generale Salan). Ogni slogan tracciato dall’Oas sui muri di Algeri era regolarmente accompagnato dalla “croce cerchiata delle SS francesi”. A causa degli attentati dell’Oas, tra il maggio 1961 e il settembre e il settembre 1962, vennero uccise circa 2700 persone, di cui 2400 erano algerini. Da una costola dell’Oas nacque a Lisbona l’Aginter Press che operò soprattutto in Africa inviando mercenari, fascisti (francesi, belgi, italiani...) e agenti segreti (portoghesi e statunitensi) in Congo, Angola e Namibia contro le lotte di liberazione. L’Aginter Press svolse poi un ruolo non indifferente nella “strategia della tensione” che insanguinò l‘Italia, da Piazza Fontana in poi. E intanto nell’Esagono il controverso simbolo veniva ereditato da Ordre Nouveau.
Come ho detto, anche l’ascia bipenne adottata dal nostrano “Ordine Nuovo” (quello di Rauti, Signorelli, Concutelli, ...) era un simbolo del collaborazionismo francese (il maresciallo Petain), sebbene gli ordinovisti cercassero di nobilitarla con richiami all’antica civiltà cretese. Probabilmente, vietati l’uso della svastica e del fascio, i nostalgici nostrani ricorrevano ad una forma di mimetismo prendendo in prestito la simbologia dei loro camerati d’oltralpe.
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Ernesto Che Guevara |
Un’ossessione dell’estrema destra
È risaputo che molti repubblicani irlandesi avevano combattuto nelle Brigate Internazionali durante la Guerra Civile spagnola. Alcuni di loro sono ricordati nella lapide per i caduti della battaglia di Brunete (8-9 luglio 1938). Altri al memoriale dell’isola di Achill, in Irlanda. Qui si trova anche la lapide per Tommy Patten, caduto a Madrid verso la fine 1936 in prossimità del luogo dove, pochi giorni prima, era stato ucciso Buenaventura Durruti.
Qualche irlandese sarebbe stato eliminato dagli stalinisti. Nel maggio 1937, per aver denunciato le ingerenze della ghepeù, Gould Verschoyle venne sequestrato e trasportato via mare a Leningrado. Sarebbe morto nel 1945 a Karaganda, dove era stato deportato, durante un tentativo di evasione. Meno noto invece che alla fine della seconda guerra mondiale, l’Irish Republican Army abbia addestrato militarmente contro gli inglesi gli ebrei giunti in Palestina dopo essere scampati all’Olocausto.
Quella di accreditarsi in qualche modo nei confronti delle lotte di liberazione nazionale e per l’autodeterminazione è stata, periodicamente, un’ossessione dell’estrema destra (da On a Tp, fino a “Forza nuova”). Ma in genere mal corrisposta. Intervistando ancora nel 1985 Bernadette Devlin, le avevo chiesto cosa ne pensasse della simpatia dimostrata dalla cosiddetta “destra radicale” per la causa irlandese. Risposta lapidaria: “Di sicuro sono simpatie a senso unico”. Tutto questo sarebbe ormai passato remoto, pura accademia per sopravvissuti, se non fosse tornato di attualità al momento della presentazione ufficiale del libro di Calamati, McKeawn e O’Hearn sotto le insegne, addirittura, del Parlamento europeo. A fare gli onori di casa l’attuale vicepresidente del Parlamento europeo, Roberta Angelilli, in gioventù precoce simpatizzante di Tp, poi segretaria del Fronte della gioventù, deputata europea di An dal 1994. Ma, anche, amica di quell’Andrea Insabato che nel dicembre 2000 rimase ferito nell’esplosione della propria bomba davanti alla redazione de il Manifesto, sulle scale della vecchia sede di via Tomacelli.
Ai compagni meno giovani ricordava un episodio analogo dell’aprile1973. Nella toilette del treno, il sanbabilino Nico Azzi (con doppia militanza, Msi e “La Fenice” di Rognoni, succursale milanese di O.N.) si fece esplodere un ordigno tra le gambe. Non prima di essersi fatto ampiamente notare con Lotta continua in mano nei vari scompartimenti. Ai suoi funerali, nel 2007 in Sant’Ambrogio di Milano, delegazioni di Forza Nuova e della famiglia Larussa.
L’Angelilli è nota per aver pesantemente attaccato i partigiani definendoli “assassini”, e perché anche lei (non solo Alemanno) porta al collo la “croce cerchiata delle SS francesi”, però d’argento. Noblesse oblige.
Una curiosa coincidenza (proprio solo una coincidenza, niente di “sincronico”). L’attentato a il manifesto sarebbe stato diretto in particolare contro Stefano Chiarini che si occupava della questione palestinese e con cui Insabato aveva cercato di entrare in contatto. In precedenza Chiarini si era dedicato all’Irlanda, sia come editore che come giornalista.
Dopo accurate indagini, ha anche dovuto riconoscere che a molti militanti di sinistra (in particolare anarchici e trotzchisti) della questione irlandese non gliene frega più di tanto. Qualcuno ha obiettato che siamo di fronte ad una ulteriore conferma della natura “oggettivamente reazionaria del nazionalismo”. Anche quando si tratta di liberazione nazionale.
Resta il fatto che la vicenda di Sands ha assunto un valore più ampio, diventando nel tempo una testimonianza contro le carceri speciali, contro la tortura, contro la legislazione d’emergenza. Un “grido contro l’ingiustizia”, così come la resistenza popolare, in tutte le sue molteplici forme, nei quartieri proletari di Derry e Belfast, dal Bogside a Falls road, tra gli anni sessanta e novanta. Alcune lotte di liberazione nazionale (Irlanda, Paesi baschi, Paisos Catalans...tanto per restare in Europa) hanno espresso, bene o male, una forte volontà di liberazione sociale, talvolta di radicale difesa ambientale (in Corsica).
Le destre hanno tentato di appropriarsene (vedi il caso dell’ex ordinovista, ora leghista, Borghezio con i suoi interventi, non richiesti, sulla questione basca) così come avevano fatto con le lotte contro il nucleare e contro la globalizzazione, con l’ecologia e, più recentemente, anche con la liberazione animale e l’antispecismo. Legittimo voler “mantenere le distanze da questi cattolici nazionalisti e un po’ bigotti” (come mi ha detto un compagno). Tuttavia , a mio avviso, bisognerebbe anche saper riconoscere, al di là del folclore, un metodo (uno stile?) che ricorda le infiltrazioni degli anni sessanta. O il precedente dei “corpi franchi” in Germania nel primo dopoguerra.
Oggi tocca a Bobby Sands, mentre Alemanno ci riprova con Che Guevara. Domani qualcuno potrebbe tentare di “recuperare” da destra Barry Horne (e forse nel nord-est lo stanno già facendo), animalista e anarchico, scomparso dieci anni fa in carcere per le conseguenze di alcuni scioperi della fame contro la vivisezione. Anche lui, come Bobby Sands e Patsy O’Hara “morto perché altri fossero liberi”.