Rivista Anarchica Online


piazza Fontana

La strage e il suo doppio
di Enrico Maltini

Appena uscito, due anni fa, Il segreto di piazza Fontana di Paolo Cucchiarelli fu recensito sulla rivista anarchica trimestrale Libertaria. Nel momento in cui questo libro pare essere il riferimento storiografico principale del prossimo film del regista Marco Tullio Giordana sulla strage di Stato, ci pare importante rileggersi quella recensione.

La copertina del dossier su Pinelli,
pubblicato con “A” n. 330, novembre 2007

 

Nel libro Il segreto di Piazza Fontana (Ponte alle Grazie, Milano, 2009, pp. 700, 19,80 euro), Paolo Cucchiarelli ripercorre la trama criminale ormai passata alla storia come «strategia della tensione», che ebbe il suo culmine nella strage di piazza Fontana il 12 dicembre1969. Vi si narra, con ampia documentazione, di servizi segreti ufficiali e «deviati» (?), nazionali ed esteri, di settori dei Carabinieri e della Polizia, di fascisti di Ordine nuovo, di Avanguardia nazionale, della Rosa dei venti, di Nuova Repubblica, l’Anello, la Gladio, l’Aginter press di Guerin Serac, Stay behind, il ministero dell’Interno e il famigerato Ufficio affari riservati, pezzi di magistratura, generali, colonnelli veri e presunti, agenti greci, la Cia, il Mossad, la Nato… più una pletora di faccendieri e spioni di ogni risma. Vi si narra delle macchinazioni per provocare tensione e paura con attentati e stragi da attribuire alla sinistra e vi si narra poi della frenetica attività di depistaggio, disinformazione, corruzione di testimoni, occultamento di prove vere e fabbricazione di prove false, seguite al sostanziale fallimento dell’operazione, che nella ridda di inchieste e procedimenti giudiziari innescati dalla madre di tutte le stragi doveva concludersi
con la sostanziale impunità di tutti i responsabili.
La documentazione, che proviene da atti processuali, interviste, notizie dalla stampa di allora, inchieste già pubblicate, nonché da altre «fonti» identificate e non, appare molto ricca e trova ampio spazio nelle 700 pagine del volume.
All’interno di questa estesa ricostruzione l’autore introduce la sua versione sulla dinamica materiale degli attentati, sia di quelli ai treni dell’agosto 1969 sia di quelli del 12 dicembre a Milano e Roma, ed è qui che si perde.
Il rigore dell’interpretazione lascia sempre più spazio a supposizioni e congetture, situazioni e perfino i caratteri di personaggi vengono largamente immaginati. Gli indizi divengono prove e vengono fatti convergere nel giustificare l’ipotesi. La dimostrazione diventa un teorema e come spesso accade, il ricercatore si fa prendere la mano dalla tesi che vuole dimostrare e ne rimane intrappolato.
Purtroppo la versione di Cucchiarelli non viene proposta come ipotesi ma come affermazione, il sottotitolo del libro enuncia infatti: «Finalmente la verità sulla strage: le doppie bombe e le bombe nascoste, Pinelli, Calabresi, Feltrinelli, i servizi deviati e quelli paralleli, la Dc, il Pci, la Nato e gli Stati Uniti. Il racconto tragico e sconvolgente del Pasticciaccio che ha ammalato l’Italia».
La nuova versione consiste nell’immaginare che gli anarchici, veri o plagiati che fossero, organizzavano attentati ma mentre deponevano i loro ordigni dimostrativi venivano affiancati a loro insaputa da provocatori e sicari che piazzavano la bomba mortale. Così troviamo le doppie borse, le doppie bombe, i doppi attentatori, i doppi taxi con relativi doppi Valpreda, doppi sosia e così via. Secondo l’autore il nuovo sosia di Pietro Valpreda sarebbe Claudio Orsi. Per inciso: Valpreda era un uomo di statura media, corporatura media, capelli mediamente arruffati, un po’ stempiato, nessun segno particolare, accento tipico da milanese medio. Su cento milanesi di età analoga, quanti potevano essere suoi sosia? Una buona percentuale.

“A” n. 2, marzo 1971

Nel libro gli anarchici sono quasi tutti inquinati da infiltrati e provocatori, mentre i pochi buoni e ingenui, rappresentati ovviamente da Giuseppe Pinelli, cercano di impedire gli attentati orditi dai compagni cattivi e però cadono in trappole a base di traffici di esplosivo. A essere preda di giochi occulti non sono solo gli anarchici, ma molto di più ampi settori della sinistra ribelle: in effetti veniamo a sapere che già gli scontri di Valle Giulia a Roma nel marzo 1968 furono in realtà guidati dai neonazisti, che Giangiacomo Feltrinelli (come anche i coniugi Corradini) era teleguidato da Giovanni Ventura, che lo stesso Ventura è stato il vero ispiratore del libro La Strage di Stato del 1970 e così via.
Cucchiarelli, non si capisce su quali basi, è convinto che gli ambienti anarchici e di sinistra fossero allora un coacervo di infiltrati, provocatori, fascisti travestiti e soprattutto «nazimaoisti». La categoria dei nazimaoisti pervade li testo in modo quasi ossessivo, basti una frase per tutte a p. 318: «E poi a Milano c’era la commistione con i maoisti e nazimaoisti che inquinava i gruppi anarchici e marxisti-leninisti». Chissà dove ha visto tutto questo.
È evidente che il il gruppo 22 Marzo di Valpreda e Mario Merlino costituisce per l’autore un modello più o meno generalizzabile a tutta l’allora sinistra extraparlamentare. Il 22 Marzo non era certo un esempio di rigore politico, era un gruppo appena nato, senza alcun ruolo nel movimento, raffazzonato da Valpreda con un ex fascista (peraltro dichiarato) un poliziotto in incognito, un informatore del Sid, un gruppetto di ragazzi di poco più o nemmeno venti anni. Un gruppo così sgangherato da essere inaffidabile anche come oggetto di provocazione, come dimostrerà il fallimento storico di tutta l’operazione piazza Fontana.

“A” n. 7, ottobre 1971

Il triangolo del depistaggio

Nella ricerca dei colpevoli materiali Cucchiarelli parte così con il piede sbagliato e nel suo percorso verso un’improbabile verità, inciampa più volte. Innumerevoli sono le frasi, le affermazioni e le illazioni gratuite in varie parti del testo, tanto che per ribatterle tutte ci vorrebbe un altro libro.
Solo su alcuni di questi inciampi vorrei qui fare chiarezza, per amore di verità storica ma anche perché riguardano molti di noi.

• I così detti «nazimaoisti» non hanno mai fatto parte della storia reale di quel periodo, e tanto meno dei circoli anarchici. Sono comparsi in rari casi, anni prima, con qualche affissione di manifesti. In quei pochi casi tutti sapevano di chi si trattava e non avevano alcuna credibilità. Nazimaoisti, finti cinesi e analoghi erano allora un po’ più diffusi in Veneto, ma anche stando a quanto scrive Cucchiarelli, agivano per lo più in proprio e con scarsi risultati quanto a infiltrazioni riuscite. C’è, è vero, il caso di Gianfranco Bertoli, che nel 1973 compie la strage alla questura milanese, che frequentò anarchici e fascisti, mise una bomba, ma si comportò poi come un ottocentesco anarchico individualista, si fece l’ergastolo, non parlò mai e finì nella droga. Fu un personaggio per certi versi tragico, rimasto in realtà un mistero, come anche riconosce lo stesso Cucchiarelli.
All’albergo Commercio di Milano, occupato, i nazimaoisti non c’erano. A Milano l’unica «mela marcia» di rilievo che frequentò il Ponte della Ghisolfa è stato Enrico Rovelli, non un infiltrato ma un anarchico poi passato per interesse al soldo della polizia e dell’Ufficio affari riservati.

• A Milano tanti sapevano che Nino Sottosanti (non si è mai dichiarato nazimaoista) era un ex fascista che dormiva nella sede di Nuova Repubblica e che era un tipo da cui stare alla larga. Era amico di Tito Pulsinelli a cui fornì un alibi. Quanto al suo ruolo come sosia, pare per lo meno incauto prendere come sosia una persona conosciuta da tutti nell’ambiente in cui deve operare e conosciuto da colui che deve «sostituire».
Adesso vediamo altre cose che non quadrano.

• A p. 47, la conferenza stampa del 17 dicembre, dopo la strage fu organizzata dai militanti del Ponte della Ghisolfa, il circolo principale, come era ovvio (chi scrive era presente). Non ci fu alcuna latitanza degli amici di Pinelli né ci furono «stridori» o «abissi sui modi di fare politica con i compagni di Scaldasole», anche perché il Circolo Scaldasole era gestito dagli anarchici del Ponte della Ghisolfa che lo lasceranno nel 1972 alla gestione di altri gruppi anarchici. Gli amici di Giuseppe Pinelli erano tutti presenti alla conferenza (il sottoscritto, Amedeo Bertolo, Ivan Guarnieri, Luciano Lanza, Antonella Frediani, Vincenzo Nardella, Umberto Del Grande, Gianni Bertolo e altri ancora). Joe Fallisi, il testimone pure presente cui fa riferimento Cucchiarelli, è evidentemente stato tradito dalla memoria. Peraltro la «vecchia dirigenza» di cui parla Cucchiarelli aveva in media 25 anni! Solo Pinelli ne aveva 41. Di quella conferenza stampa non si dice invece che fu fatta, in quel difficile momento, una scelta coraggiosa e politicamente ineccepibile: con grande sorpresa dei giornalisti, gli anarchici non presero le distanze da Valpreda, nonostante i non buoni rapporti, e denunciarono come mandante della strage non i «fascisti», come concordava la stampa di sinistra, ma lo stato.

• A p. 138 Cucchiarelli ci illustra il «triangolo del depistaggio»: «Il segreto della strage ha resistito per tanti anni godendo del silenzio di tutti i soggetti interessati: stato, fascisti e anarchici. Questi ultimi dovevano scagionare Valpreda e rivendicare l’innocenza di Pino Pinelli. Si erano fatti tirare dentro e ora la situazione non lasciava alcuno scampo politico: difficilmente sarebbe stata dimostrabile nelle aule dei tribunali la loro buona fede di non voler causare morti. Da un punto di vista giuridico la partecipazione degli anarchici alla vicenda sarebbe stata quantomeno un concorso in strage». A quali anarchici era stata carpita la buona fede? Fuori i nomi Cucchiarelli, perché qui si fa l’accusa di concorso in strage. Ma di nomi Cucchiarelli non ne può fare e così lancia accuse tanto infamanti quanto generiche.

• A p. 183 leggiamo che come «…rivela una fonte qualificata di destra che, naturalmente, non vuole essere citata…», Valpreda prese l’inspiegabile taxi «Perché qualcuno gli aveva semplicemente detto che doveva prendere il taxi. Gli diedero 50.000 lire e il ballerino non si pose di certo il perché» (nella versione dell’autore Valpreda doveva prendere un taxi per essere notato dal taxista). Qui la questione si fa grave: primo non si può citare fonti qualificate che però restano anonime; secondo, questo è uno degli innumerevoli passaggi nei quali Valpreda (solitamente chiamato «il ballerino») viene descritto come un poveretto, un esaltato zimbello di chiunque, un ignorante pronto a tutto per 50.000 lire. Ho conosciuto bene Valpreda, in quel periodo era certamente fuori dalle righe e il suo carattere era certamente un po’ sbruffone (e per questo fu scelto come vittima sacrificale), ma non era né ignorante né stupido, era certamente acuto, aveva una biblioteca ben fornita e una discreta cultura, e come sappiamo pubblicò poi diversi libri. Non dimentichiamo che il «ballerino», con tutto quello che di lui si può criticare, si è trovato da un giorno all’altro imprigionato sotto un’accusa atroce, trattato come un animale dalla stampa (La furia della bestia umana, su Il Corriere d’informazione del 17 dicembre), tenuto quaranta giorni in isolamento e interrogato centinaia di volte, sottoposto a una pressione fisica e psicologica che possiamo solo immaginare, minacciato di infamia e di ergastolo. Ma il «ballerino» ha retto, si è fatto tre anni di carcere, non si è piegato a ricatti, non ha accusato nessuno né ha rinnegato le sue idee, non risulta dagli atti che mai sia sceso a compromessi.

• A p. 228 l’autore avrebbe potuto precisare che la campagna di stampa di Lotta Continua contro il commissario Luigi Calabresi non fu un fatto gratuito. La campagna aveva lo scopo di indurre il commissario a una querela contro il giornale. Il giudice Giovanni Caizzi aveva fatto sapere che l’indagine sulla morte di Pinelli era in via di archiviazione e solo una querela da parte di un pubblico ufficiale, querela che prevedeva facoltà di prova, avrebbe permesso di riaprire il processo. Gli attacchi del giornale divennero così feroci perché Calabresi tardava a querelare (come anche riportato nel libro, secondo la moglie Gemma fu il ministero a opporsi a lungo alla querela)(*).

• A p. 245 Cucchiarelli insiste a lungo con ardite congetture sul misterioso caso di Paolo Erda, citato da Pinelli nel suo interrogatorio ma mai rintracciato né sentito da nessuno e nemmeno dallo stesso autore, che ne ha cercato a lungo notizie, fino a segnalare che in «Ivan e Paolo Erda è contenuto anagrammato il nome di Valpreda». Erda era solo il soprannome di un giovane anarchico di nome Paolo che ha tutt’altro cognome, tutto qui. Oggi è a metà strada fra i cinquanta e i sessant’anni.

“A” n. 79, dicembre 1979-gennaio 1980

Ma quali anarco-fascisti?

Ma qui c’è un’altra considerazione importante: nel testo si fa a lungo riferimento alle false dichiarazioni e/o alle ritrattazioni di Valpreda, della zia Rachele Torri, della madre Ele Lovati e dello stesso Pinelli a proposito del suo alibi, per sottintendere che vi erano verità scomode da nascondere (ovvero le bombe dimostrative messe dagli anarchici). L’autore dovrebbe però sapere che il vecchio detto «non c’ero e se c’ero dormivo» non è solo una battuta, ma è il comportamento di chiunque non ami particolarmente polizia, carabinieri e altri inquisitori e si trovi di fronte a un interrogatorio. Si dice il meno possibile, non si fanno nomi di amici e compagni e si resta nel vago. Se poi le cose si complicano si può sempre ricordare… e questo vale anche per una vecchia zia, che non vede per quale ragione dovrebbe dire che il nipote è dai nonni invece che dire semplicemente «non lo so». A quei tempi circolava il Manuale di autodifesa del militante a cura degli avvocati contro la repressione che dava dettagliate indicazioni in questo senso. Per questa stessa ragione Pinelli non cita Sottosanti, non cita Ester Bartoli (che con il «misterioso» Erda sarebbe testimone del suo passaggio al Ponte), cita il famoso Erda sapendo che è un soprannome e fa solo il nome di Ivan Guarneri, compagno già ben noto alla questura. Ma è proprio sulla base del «buco» dell’alibi di Pinelli che Cucchiarelli fonda in gran parte l’ipotesi fantasiosa, secondo cui Pinelli «poteva avere a che fare con le altre bombe». Ipotesi totalmente fantasiosa che non ha alcun riscontro.

“A” n. 168, novembre 1989

• A p. 274 si descrive una cena a casa di Pinelli presenti Nino Sottosanti, Rosemma Zublena, Armando Buzzola con la compagna, e l’algerino Miloud, quest’ultimo definito sbrigativamente «uomo di collegamento con i palestinesi». Questo Miloud, berbero, militante nella lotta di liberazione algerina, non ha mai avuto a che fare con i palestinesi, da dove viene questa notizia? A questa e a un’altra cena, sempre a casa di Pinelli, avrebbe partecipato anche «un anarchico sconosciuto» che, attingendo a un rapporto del ministero dell’Interno ritovato nel deposito della via Appia a Roma, Cucchiarelli identifica in Gianfranco Bertoli: l’autore della strage del 1973 alla questura di Milano. Peccato che quando la Zublema frequentava gli anarchici di Gianfranco Bertoli nessuno aveva ancora sentito parlare. Fantasia pura.

• A p. 290 incontriamo Mauro Meli, altro presunto anarchico, ferroviere, sedicente provocatore infiltrato a suo dire nel circolo Ponte della Ghisolfa. Costui non è mai stato visto (c’è la fotografia nel libro), né conosciuto da alcuno. Se è stato al Ponte la sua attività provocatoria si è fatta notare ben poco. Viene da chiedersi perché, su queste e altre notizie, Cucchiarelli non ha chiesto conferme a testimoni che pure conosce? Forse perché degli anarchici c’è poco da fidarsi, come confessa in un altro passaggio del libro?

•A p. 345 la nota 11 ci informa sugli «editori librai apparentemente di sinistra: oltre a Ventura troveremo Nino Massari a Roma e Umberto del Grande a Milano. «Quest’ultimo conosceva molto bene Pinelli ma era anche in contatto con uomini di Ordine Nuovo e con Carlo Fumagalli, capo del MAR».
Umberto del Grande (è morto pochi anni fa) non era un editore né un libraio, era un anarchico del Ponte della Ghisolfa da anni ed era un componente della Crocenera anarchica. L’unica sua veste di editore è stata di assumersi nel 1971 la titolarità dell’editrice che pubblicava A rivista anarchica, mentre veniva costituita una società cooperativa che avrebbe gestito la rivista. Non ha mai avuto a che fare con uomini di Ordine Nuovo. Era anche appassionato di viaggi nel Sahara, per questo aveva acquistato una vecchia Land Rover da un meccanico di Segrate. Quando il prefetto Libero Mazza rese pubblico il censimento dei gruppi «sovversivi» di Milano, citò del Grande come responsabile della Crocenera. Il rapporto Mazza fu letto anche dal meccanico, che era Fumagalli, e che si rivelò come tale a del Grande. E il rapporto cliente-meccanico si chiuse.

• A p. 347 si afferma che la stesura del libro La strage di Stato fu pilotata da Giovanni Ventura. Nella relativa nota 12 a p. 667 si precisa che «c’è motivo di credere» questo perché Mario Quaranta, (socio editoriale di Ventura, e personaggio squalificato quanto il suo sodale Franzin) lo avrebbe raccontato al giudice Gerardo D’Ambrosio. La testimonianza di uno come Quaranta non dovrebbe essere presa in considerazione con tanta leggerezza.

• A p. 368 si afferma per certo che Valpreda sarebbe andato al congresso anarchico di Carrara nel 1968 insieme a un codazzo di fascisti del XII marzo di Roma, di cui elenca i nomi: Pietro «Gregorio» Maulorico, Lucio Paulon, Augusto De Amicis, Aldo Pennisi, Alfredo Sestili e «il già “convertito» anarchico Mario Merlino». Da dove Cucchiarelli ha tratto questa notizia non è dato sapere.

“A” n. 168, novembre 1989

• A p. 399 c’è un’altra affermazione grave, grave perché diffamatoria: vi si dice che Enrico Di Cola, un giovane componente del 22 Marzo romano, sarebbe colui che avrebbe indirizzato le indagini contro Valpreda e che per questo sarebbe stato compensato dalla polizia con un salvacondotto per espatriare in Svezia. Di Cola, espatriò effettivamente in Svezia dove chiese e ottenne asilo politico, ma lo fece clandestinamente, con non poche difficoltà, aiutato da alcuni anarchici e con un documento falso.
Poche righe più in basso Roberto Mander ed Emilio Borghese vengono classificati, con Merlino, «i più compromessi con la provocazione». Come e su quali basi Cucchiarelli si permette di dare del provocatore a questo e a quello senza alcuna prova non è dato sapere (Mander ha già querelato Cucchiarelli). È sempre l’ossessione degli anarco-fascisti-nazisti eccetera, di cui è permeato l’intero romanzo.

• A p. 621 «Sulla tomba di Pino Pinelli c’è proprio una poesia di quell’antologia che, un Natale, il commissario Calabresi regalò all’anarchico», il libro è Antologia di Spoon River di Edgar Lee Master, ma le cose andarono esattamente all’opposto: Calabresi regalò a Pinelli Mille milioni di uomini di Enrico Emanuelli. È solo una svista, ma ci piace ricordare che la poesia che i cavatori di Carrara incisero sulla tomba di Pinelli non era tratta dal libro che gli regalò il commissario, ma da quello che lui regalò, per sdebitarsi di quel regalo inaspettato, a Calabresi.

Infine, in diversi passaggi del libro si ha l’impressione che l’autore riporti racconti ascoltati a voce da qualcuno, solo così si spiegano i ripetuti errori sui nomi: Otello Manghi invece di Otello Menchi, Octavio Alberala invece di Octavio Alberola…
Queste sono soltanto alcune delle imprecisioni e delle «fantasie» del libro di Cucchiarelli.

Enrico Maltini
(da
Libertaria, 3/2009)

* L’autore dell’articolo è incorso qui in un errore: erano sia il commissario Calabresi che la procura di Milano a essere riluttanti a sporgere querela contro Pio Baldelli, direttore di Lotta continua. Fu invece il Ministero a insistere perché Calabresi sporgesse querela, cosa che avvenne solo poco prima della scadenza dei termini. Vedi l’articolo “Un processo che non si voleva fare” di Angiolo Bandinelli su L’astrolabio dell’11 ottobre 1970, particolarmente interessante perché contemporaneo ai fatti. (n.d.r. e dell’autore).